La Carta è Morta evviva la CartA
Italiani popolo di navigatori, non di lettori: in trent'anni dimezzate le copie di giornali
Maurizio Maggiani
"Il Fatto Quotidiano", 18 marzo 2013
Magari non sarà bello dirlo proprio qui, su questo i giovane e speranzoso supporto di cellulosa editoriale, ma, sono più che certo che la storia della carta in generale e di quella stampata nel particolare, ecco, ciò che gli appassionati definiscono come l'era, o addirittura la civiltà della carta stampata, è finita, conclusa, estinta. Faccio una semplice, ragionevole constatazione sull'oggi e sul domani mattina.
Innanzitutto e sopra ogni altra cosa perché imprimere informazioni su supporto cartaceo, e diffonderle con i collaudati mezzi di distribuzione perché giungano nei pressi dei potenziali interessati, è l'attività più straordinariamente antieconomica del sistema produttivo universale. La più dispendiosa e la più inefficiente.
La carta è un manufatto molto costoso, lo è sempre stato e continua ad esserlo, anche se non si usano più stracci ma cellulosa e sono stati inventati degli alberi apposta,per fare molta cellulosa in poco tempo. Riciclare la carta, poi, costa più che coltivarla vergine. Infatti la carta fa sempre più schifo. Chi legge libri e giornali da un po' di tempo, sa quanto sia peggiorata la sua qualità negli ultimi decenni. Ovviamente la carta non serve solo per stamparci sopra, e gli industriali del ramo, dovendo lavorare sulla qualità si orientano sui prodotti cartacei dove possono provvedersi di maggiore guadagno. Infatti, decennio dopo decennio, migliora ad esempio la qualità della carta igienica, un mercato incomparabilmente più aggressivo e lucroso, dove la clientela non è disposta a tollerare i difetti del prodotto come invece assai generosamente fanno gli acquirenti di carta stampata. Quando ascolto lo straziato lamento di quegli appassionati della lettura che inorridiscono all'idea che un giorno non potranno più godere dei sensuale piacere indotto dai libri cartacei, e non potranno più in particolare, così riferiscono, gustare l'odore della carta, mi chiedo se si rendano conto che oggi la carta da stampa odora di indicibili eiezioni corporali, visto che è praticamente con quella materia che è prodotta. A tal proposito, non credo che circa la carta igienica si rifletta con la dovuta ponderatezza. A quel prodotto che siamo ormai abituati a considerare di primissima necessità, è destinata una gran fetta della cellulosa prodotta nelle apposite coltivazioni, e tra la migliore; per quel prodotto nei mercati ricchi l'uso della carta riciclata è ridottissimo, e chi incidentalmente ne ha fatto l'esperienza ne conserva un duraturo, spiacevole ricordo.
ORDUNQUE, dei sette miliardi di umani abitatori del pianeta, a tutt'oggi almeno due non accedono a quel bene primario; Asia, sub continente indiano, Africa e persino America Latina, paesi sofferenti ma emergenti. Per quanto tempo ancora quei due miliardi di umani saranno disposti a provvedere altrimenti? Non è lecito pensare per molto. Un anno, tre anni, dieci? Poi, chi e come potrà negare loro il diritto a consumare carta igienica? Quanta? Essendo popolazioni di millenaria abitudine alla morigeratezza, non molta. Diciamo 5 segmenti giornalieri cadauno? Constatando le nostre abitudini di consumo, un metro al giorno è veramente un'inezia, ma facciamo che sarà così, magari con l'aiuto di apposite politiche repressive dei governi. Fanno venti milioni di chilometri di carta igienica da fabbricare in più ogni giorno. A questo aggiungerei la cellulosa necessaria alla fabbricazione di pannolini per l'igiene intima femminile e per neonati, a cui attualmente un miliardo di umani non ha costante e certo accesso, e anche se non è proprio giusto, lascerei al momento da parte, i fazzolettini per il naso, e le lacrime, a cui accede ancor meno umanità. E allora il giorno che il genere umano avrà finalmente accesso universale alla cellulosa per uso personale, il globo sarà interamente ricoperto da un manto di pioppi transgenici. E se mai volessimo conservare qualche boschetto e qualche parchetto, saremo chiamati a scegliere. Allora come sarà possibile contrastare chi vorrà tutelare i suoi a lungo vagheggiati cinque segmenti giornalieri e ci imporrà, a noi sperperatori di risorse, di scegliere tra boschetto e libretto? Tra brossura e parco? Non lo sarà, perché la carta da stampa è indifendibile.
PARLIAMO DEI LIBRI, degli adorati volumi cartacei. Tanto per dire, il 15% del loro costo è dovuto alla carta e alla sua stampa, il 40% al sistema di distribuzione del prodotto stampato. Dopodiché, una volta distribuiti, l'80% di quei volumi viene reso all'editore e avviato al macero. Il solo fatto di dover tenere nei magazzini quella montagna di carta prima di essere distribuita e dopo che è stata resa, costa quanto il compenso che riceve l'autore delle parole che ci sono scritte dentro. Che senso economico ha tutto questo? Dov'è l'affare? E dove il rispetto delle limitate risorse? Non ce n'è. C'è solo un'industria tipografica e una editoriale, un sistema distributivo e di vendita destinati allo spreco, nutriti da costi intollerabili.
Ma non tutto è materia, c'è anche lo spirito. Ed è disumano sottrarre allo spirito il nutrimento della saggezza libresca. Dunque non aboliamo i libri, e a tal fine, ringraziando Iddio, abbiamo a disposizione la sezione elettronica dell'editoria, l'estensione digitale"
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La grande invenzione cinese
DAL PAPIRO ALLE TAVOLETTE Gli antichi inventarono molti mezzi per riuscire a scrivere: dai rotoli di papiro alle tavolette di cera. La carta arrivò dopo. Secondo la tradizione, il primo a produrre la carta fu Ts'ai Lun, eunuco della corte cinese Man dell'imperatore Ho Ti. Correva l'anno 15 avanti Cristo. Il materiale usato dagli inventori della carta era molto verosimilmente la corteccia del gelso da carta (Brussonetia papyrifera) trattata e filtrata in uno stampo di bastoncini di bambù. Recenti ritrovamenti hanno portato alla luce enormi quantità di carta risalente al II secolo avanti Cristo. Dopo sei secoli, intorno al 610, la carta fu introdotta in Giappone e, intorno al 750, nell'Asia centrale. La carta comparve in Egitto all'incirca nell'800.
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della pagina scritta, gli e-books. Una gran fortuna che li abbiano inventati in tempo. Personalmente sono anni che acquisto e leggo quella roba lì. Ed è come essere rinati, per diverse e straordinariamente felici e infelici ragioni.
Ho cominciato a leggere sullo schermo a Ied del mio ipad senza avere un'ideologia alle spalle, ma spinto dalla necessità di vederci meglio. I miei occhi sono troppo poco specializzati per stare al passo con la politica di riduzione dei costi, e del nitore e del corpo di carattere, dell'editoria cartacea. A parte il disgusto per la polta cellulitica a cui sono ridotte le edizioni "dure" al pari delle molli, non avevo più occhiali buoni per una lettura anche solo decente. Adesso non solo mi scelgo il corpo che meglio mi conviene, ma, usando le opzioni tipografiche a disposizione, mi compongo sullo schermo l'edizione che più mi aggrada; adesso torno ai bei tempi delle edizioni da nababbi che manco mi potevo permettere, nell'età d'oro di Millenni e compagnia. Dire che anche l'occhio vuole la sua parte è un po' troppo riduttivo: la lettura è prima di ogni altra cosa, prima ancora di una faccenda dell'anima, una questione dell'occhio. E con l'acuirsi dei fatti artrosici, pure una questione di dolenti giunture degli arti superiori, che trovano non secondario sollievo dal peso assai ridotto di un lettore digitale rispetto alle suntuose edizioni di cui si diceva.
NATURALMENTE più si riempie la memoria dell'ipad e più faccio spazio in casa mia. Non sono mai stato un esibizionista di interessanti librerie, affascinanti cataste di libri nel cesso, dotti cumuli di dispense sull'acquaio, ma adesso posso davvero pensare che quello che leggo è affar mio, nutrimento dello spirito e non delle relazioni sociali. Ora la mia biblioteca si sta facendo dovutamente interiore, custodita nel mio cuore e nel ben protetto cip di memoria dell'ipad. Non è poca cosa nell'epoca che ci consegna alla sobrietà come all'ultima delle virtù. Dopodiché, rinascendo, sono tornato ignorante, ma parecchio ignorante. Il fatto è che, così come parlo e scrivo, parimenti leggo in lingua italiana. È un limite, ma non arrivo al punto di ritenerla una colpa. Certo, è una magagna, visto che, differentemente dai parlanti e leggenti in inglese, tedesco, spagnolo, cinese, giapponese, coreano e francese la mia biblioteca digitale non può che essere ridicolmente limitata, appena sufficiente ad una frettolosa alfabetizzazione; non avessi letto qualcosina al tempo della carta ora non saprei quasi niente del mondo. Il fatto è che l'editoria nazionale non si è arrischiata ad investire capitali in un settore così incerto. Riferendo l'espressione di uno di loro, di uno dei lungimiranti, seppur avveduti, industriali dell'editoria: "abbiamo fatto i conti della serva". Non mi giunge nuova; gli industriali italiani dovrebbero farla incidere sul frontone della sede del loro sindacato la frase "Abbiamo Fatto i Conti della Serva". Fatto sta che i titoli digitali a disposizione in italiano sono pochi o niente. Zero in saggistica, zero virgola uno nei classici. Tanto per capire come suonano in moneta i conti della serva, si sappia che digitalizzare un libro a stampa, fosse pure Guerra e Pace, costa a voler esagerare un migliaio di euro, se il lavoro è eseguito a regola d'arte. E così ciò che si trova nel net sono le novità, dei maggiori editori, e un pochino di catalogo che era già disponibile sotto forma di file, ovvero, adatto per la versione digitale senza doverci spendere. In verità non è che sia disponibile tutto quanto ciò che sarebbe facilmente digitalizzabile. Non è disponibile, ad esempio, Infinite Jest di Wallace, mentre gli altri suoi titoli sì, come mancano alcuni dei titoli migliori di Philip Roth, e manca il mio amato Stephen King. Gli editori danno la colpa agli agenti italiani degli autori, che sarebbero smodatamente famelici. Non stento a credere cjje gli agenti letterari nazionali siano di indole predatoria, privi come sono per deontologia professionale di senso delle proporzioni, ma oso pensare che la battaglia che ingaggiano con gli editori sia una Ardenne delle serve. Ovviamente, nel solco dei conti serveschi, le edizioni digitali italiane costano mediamente di più, e anche molto di più, di quelle delle più fortunate e rifornite lingue già citate. Perché? Forse per la stessa ragione per cui in questo paese il latte per neonati o l'arnica per i dolori costano il doppio che in Germania? Forse. Oltre al tema della particolare venalità degli agenti letterari e dei loro autori, gli editori aggiungono che hanno investito parecchio nel settore, e ritengono che l'investimento non se lo devono tenere sul groppone solo loro, ma anche un pochino la spettabile clientela.
RISCHIO ESTINZIONE Prima i computer. Poi internet. E oggi il colpo quasi di grazia di app e tablet, sottili quasi come fogli. Ecco allora che la carta, ma soprattutto i libri e i giornali, sono entrati in crisi e devono ormai dividersi tra siti internet, edizioni cartacee e altre cosiddette pdf consumabili dal computer.
È di pochi mesi fa la notizia che uno dei più noti giornali del mondo, il settimanale americano Newsweek, ha cessato di uscire in edizione cartacea per comparire soltanto online. È soltanto l'ultimo più clamoroso caso. Prendete l'inglese Guardian, quotidiano tra i più prestigiosi del mondo: le copie vendute in edicola sono calate da 380 mila (nel 2008) a 210 mila nel 2012. In compenso gli utenti unici dell'edizione online sono passati da 15 a 70 milioni nello stesso periodo. Calano i lettori e, in un circolo vizioso, anche la pubblicità (-8,7% in un anno in Italia). Il giornale più famoso del mondo, il New York Times ha registrato recentemente il sorpasso delle entrate da vendite rispetto a quelle prodotte dalla pubblicità: 233 milioni l'anno contro 220. Un segnale non positivo, ma almeno si registra un aumento degli abbonamenti, soprattutto online. Non accade a molti altri giornali. La situazione in Italia non è certo migliore che altrove. Basti pensare che negli ultimi trent'anni le copie di quotidiani vendute ogni giorno sono più che dimezzate. Nel 1983 gli italiani compravano ogni giorno oltre otto milioni di copie di giornali. Oggi sono scesi a meno di quattro milioni, ma si prevede che nel giro di altri cinque anni si assisterà a un ulteriore dimezzamento: due milioni di copie. Così qualcuno si aggrappa a proposte singolari: Grimsby Telegraph, giornale britannico, viene stampato su una carta che, grazie agli additivi chimici, dovrebbe profumare di pane. circondariale.
COMUNQUE io leggo giorno e notte, perché c'è tanto da leggere anche così; non leggo quello che vorrei ma solo quello che trovo. Anche il sommo Dante nei lunghi decenni dell'esilio non leggeva quello che gli sarebbe piaciuto ma solo quello che trovava in giro per le altrui scale. Compro gli e-books che leggo; non mi avvalgo della facoltà di sgraffignarli, se non altro per solidarietà con chi vive di diritti d'autore. Come il sottoscritto. Compro nei siti appositi. Quei siti sono la forma digitale delle odierne catene di librerie, e dunque brutti, scomodi, chiassosi, dispersivi, ignoranti. Si basano sul principio che vendere un libro o un videogioco sia la stessa menata, probabilmente perché i loro allestitori sono stati scelti tra i sagaci marketing dei video games. Un sito copia digitale di una bella, austera, confortevole classica libreria, ancora non l'ha costruito nessuno. Come a suo tempo le case discografiche, anche gli editori sono in preda alla paranoia per il pirataggio digitale, e se non trovano il modo di rilassarsi, sono destinati alla stessa dolorosa fine dei discografici. Perché i sistemi di protezione sono insultanti e creano un'infinità di contrattempi agli onesti, mentre sono sempre e comunque inefficaci con i ladri. Il più odioso e diffuso sistema di protezione consiste in questo capolavoro: io compro dall'editore e pago, l'editore consegna il mio acquisto alla ditta Adobe che lo critta ben bene e me lo restituisce, sempre se tutto funziona come dovrebbe, riservandosi di controllare i miei sistemi di lettura. Come se il mio libraio venisse a casa mia a controllare se per caso il libro che ho acquistato da lui lo stia per caso, leggendo anche la mia ragazza per chiedermi qualcosina in più. Come è nei conti della serva,gli editori per le loro edizioni digitali non si son messi d'accordo per un unico standard e un'unica crittatura, cosicché mi devo arrangiare con almeno tre diversi programmi di acquisto. Come se dovessi entrare in tre diversi negozi, tenere in casa tre diverse librerie, leggere in tre diverse stanze con tre diverse serrature. Mah, è più facile e sicuro acquistate sul internet un'arma letale e per strada un etto di coca.
EPPURE all'edizione digitale non c'è alternativa. È così, come è stato così quando si è passati, con tutto l'umanissimo sconcerto degli utilizzatori e la comprensibile angoscia degli addetti al ramo, dalle tavolette di argilla al papiro, dagli amanuensi di Granada agli stampatori di Magonza. Come accadde allora, qualcosa del vecchio sistema rimarrà ancora per anni, decenni, forse secoli. Lussuose edizioni in carta uso mano per nababbi bibliofili, qualcosa di un po' più economico per gli amatori del ceto medio, cose più tecniche per le biblioteche e gli archivi. Ma inutile negare che per gli addetti al ramo, dagli operai tipografici ai distributori, sarà una strage. Non sono invece convinto che debbano straziarsi i librai, quei librai che sono veri librai. A parte le grandi catene, che potranno mettersi a vendere qualunque altra cosa, perché mai dovrebbero sparire le librerie indipendenti, le piccole, leggiadre, amabili librerie con dentro dei bravi, colti, affidabili librai? A chi ha bisogno di leggere, a chi ha voglia di leggere, saranno necessari in eterno e in eterno faranno piacere un luogo e un umano che gli offrano un servizio che i siti di vendita non sono interessati a dare e non possono offrire. Il servizio esclusivo del libraio, che non è quello di andare a prendere un libro da uno scaffale, ma è la competenza e la sensibilità intorno alle necessità e ai desideri del cliente. Un tutore? Un confessore? Un prosseneta? Sì, un libraio è quella roba lì. E può fare benissimo, e magari anche meglio, il suo mestiere in una libreria dove, assieme ai pochissimi, esclusivi acquirenti di opere cartacee di lusso, ce ne saranno molti che andranno in ambienti, tradizionalmente amichevoli e accoglienti come nessun sito potrà mai essere, a scaricarsi i libri sui loro tablet, ben disposti a pagare qualche centesimo in più in cambio delle sue intellettuali cure e premure. E comunque sia, come ci spiega quotidianamente il governo più amato dagli italiani, di carta non ce n'è più per nessuno.
PUBBLICITÀ TORMENTONE La trovate ovunque su internet. Il marito che sbeffeggia la moglie basta post it sul frigo. Basta giornali. Basta libri a letto. C'è l'ipad. Ma poi, nel momento del bisogno, l'antica vecchia carta vince sulla tecnologia
IL PRIMATO ITALIANO La carta arriva tardi in Europa, soltanto nel XII secolo, oltre un millennio dopo l'invenzione del materiale che rivoluzionerà la comunicazione umana. Ma la prima cartiera europea nasce in Italia, nel 1268, a Fabriano che per secoli resterà uno dei luoghi specializzati nella lavorazione della cellulosa.
1268 SI APRE LA PRIMA CARTIERA D'EUROPA A FABRIANO IL RECORD AMERICANO L'Europa, nonostante la crisi, è ai primi posti nel mondo per il consumo della carta e dei suoi derivati con oltre 393 chilogrammi l'anno a testa. L'America anche in questo primeggia con 504 chili. Al terzo posto l'America Latina con 94 chili, quindi l'Asia con 90. In Africa il consumo è di 16 chili pro capite.
393 KG IL CONSUMO DI CARTA PRO CAPITE L'ANNO IN EUROPA "Mi dispiace dirlo, ma la storia della carta stampata è finita. Imprimere informazioni sulla cellulosa e diffonderle con i collaudati mezzi di distribuzione perché giungano ai potenziali interessati, è l'attività più antieconomica del sistema produttivo universale. La più dispendiosa e la più inefficiente. Oltre che inquinante".
Maurizio Maggiani (Il Fatto Quotidiano, 18/3/2013)
Nel 1995 con "II Coraggio del pettirosso" ha vinto il Premio Mareggio e il Premio Campiello; nel 1998 con "La Regina disadorna" il premio Alassio e nel 1999 il premio Stresa di narrativa e il Letterario Chianti. Nel 2005 il premio Strega con il romanzo "II viaggiatore notturno" tutti editi da Feltrinelli. Oltre all'attività di scrittore collabora con "II Secolo XIX" e "La Stampa".