venerdì 5 ottobre 2018

1968-2018, CINQUANT’ANNI DOPO LA MACELLERIA MESSICANA


la cicatrice a 50 anni
Dario Castillejos


1968-2018, CINQUANT’ANNI DOPO LA MACELLERIA MESSICANA
di Oriana Fallaci
Il 2 ottobre 1968, dieci giorni prima dell’inaugurazione dei Giochi olimpici di Città del Messico, truppe dell’esercito aprirono il fuoco sui manifestanti uccidendo centinaia di persone. Nello stesso luogo, il 13 agosto del 1521, i conquistadores spagnoli avevano inaugurato con quarantamila morti il massacro degli aztechi e il genocidio dei popoli indigeni. Quella che segue è la testimonianza di Oriana Fallaci, inviata dell’Europeo presente al massacro, ferita dai colpi esplosi dai soldati e data per morta.
Oriana Fallaci in prima linea a Città del Messico
Oriana Fallaci, ferita mercoledì 2 ottobre a Città del Messico, durante i gravissimi incidenti di piazza delle Tre Culture, ci ha fatto giungere il suo racconto della stanza dell’ospedale in cui era ricoverata. Lo stato in cui si trovava, dopo le ferite e l’operazione subita, le ha impedito di mettersi alla macchina da scrivere. Essa ha però voluto ugualmente farci avere la propria testimonianza sui fatti di cui è stata anche protagonista: ha inciso su nastri tutto il racconto. La registrazione che è giunta da Città del Messico dura due ore e mezzo, con le inevitabili ripetizioni, gli indugi, e le interruzioni di una testimonianza resa a viva voce da una persona ancora sotto choc del rischio mortale che ha corso. Oriana Fallaci ci ha inviato i nastri raccomandandoci di usare la sua narrazione per ricavarne un servizio su ciò che era accaduto il 2 ottobre in Messico. Noi, dopo aver ascoltato queste bobine, abbiamo deciso di trascrivere esattamente ciò che vi è detto, senza cambiare niente. Nessun servizio avrebbe potuto essere più vivo, più drammatico di questo racconto fatto con la sua voce viva. Ogni tanto il discorso è interrotto da qualche lamento, da medici e infermieri che entrano ad escono dalla stanza, da pause di stanchezza della nostra collega. Il servizio di Oriana Fallaci che pubblichiamo è più di un racconto: è un eccezionale documento giornalistico.

(All’inizio del nastro si sentono voci, c’è gente nella stanza d’ospedale dove si trova Oriana Fallaci. Un’infermiera le ordina, in spagnolo, di non agitarsi. Poi comincia il racconto di Oriana Fallaci).

Mi sento male, ho ancora la testa confusa. Vedi, c’è qualcosa che mi fa più male del dolore, di questo dolore tremendo alla spalla, al polmone, al ginocchio, alla gamba, mi fa più male del dolore fisico: mi fa male questo incubo che ritorna, che mi ossessiona. Il dolore fisico si sopporta, ma l’incubo no. Non è l’incubo della guerra del Vietnam, io nel Vietnam ho visto delle cose spaventose, ho seguito delle battaglie tremende, dei pericoli allucinanti, ma era diverso, perché sapevo di andare alla guerra. Uno va in Vietnam e sa che va alla guerra e la guerra è una cosa dove ci sono dei signori armati da una parte e degli altri signori armati dall’altra: sai anche che si spara da tutte e due le parti. Ma quello che è successo là la sera in cui sono stata ferita non era una guerra. Era atroce perché non era la battaglia di Dak-To, non era la battaglia ai confini con la Cambogia o che diavolo. E non aveva niente a che vedere con le guerre che più o meno tutti, facendo questo mestiere, abbiamo visto come corrispondenti. Capisci? Non era una guerra. E non doveva essere una notte di sangue. Se insisto su questo punto è perché voglio cercare di spiegare quest’incubo che mi torna e mi ritorna la notte.
La storia dell’altra sera è questa: poi andrò indietro e ti racconterò il perché, come siamo arrivati a questo. Mercoledì alle cinque era stata indetta una manifestazione nella piazza delle Tre Culture a Città del Messico. Questa piazza, che credo sia una delle più grandi di Città del Messico e anche una delle più note, si chiama delle Tre Culture perché riunisce in un certo senso, simbolicamente, le tre culture del paese: quella azteca, quella spagnola, quella moderna: c’è una chiesa spagnola del 1500, c’è la base di una piramide azteca e ci sono gli edifici moderni, quelli costruiti ora. Gli studenti l’hanno sempre scelta per le loro manifestazioni, non soltanto perché si trova nel quartiere di Tlatelolco, vale a dire abbastanza vicino alla loro università, ma anche perché è molto grande, ha molte vie d’accesso e molte vie di fuga: è facile arrivarci ed è facile uscirne. E in questo paese è sempre meglio riunirsi in luoghi dove fai presto ad arrivare e fai presto a scappare.
Io ero già stata testimone di una manifestazione del genere nella piazza delle Tre Culture, esattamente il giorno dopo in cui ero arrivata in Messico. Era lì infatti, in una manifestazione del genere, nella piazza delle Tre Culture, che avevo conosciuto i capi degli studenti e avevo cominciato a intervistarli. Ero arrivata la notte tra il giovedì e il venerdì,

mercoledì 3 ottobre 2018

“Women in Flight” mostra a Manhattan di Andrea Arroyo



“Women in Flight”
Una mostra pubblica di installazioni artistiche di Andrea Arroyo, esposta in tre giardini di Manhattan fino al 31 ottobre 2018.

COSA: "Donne in volo" una mostra di opere di Andrea Arroyo.
DOVE: Tre giardini pubblici nell'Upper Manhattan, località:
- Friendship Garden (Wicked), 499 West 150th St. New York, NY 10031.
- Giardino delle erbe, 176 East 111th St, New York, NY 10029.
- Giardino della famiglia - sponsorizzato da Tiffany e Co., 431 East 114th St. New York, NY 10029.
QUANDO: Fino al 31 ottobre 2017. Orari di visualizzazione aggiornati settimanalmente, si prega di visitare il sito www.andrearrroyo.com
PIÙ INFO: NYRP: https://www.nyrp.org, sito web dell'artista: www.andreaarroyo.com
Immagini ad alta risoluzione disponibili su richiesta.
Social media: @NYRP @AndreaArroyoArt

DESCRIZIONE:
New York Restoration Project (NYRP), è lieta di presentare "Women in Flight", una mostra di opere site specific all'aperto create dalla pluripremiata artista Andrea Arroyo.
"Women in Flight" presenta una serie di opere d'arte ispirate alle donne storiche e contemporanee di New York, integrate in tre giardini comunitari nell'Upper Manhattan.
Ogni pezzo site-specific è realizzato con materiali riproposti e integrato con cura nell'ambiente naturale di piante, erba e altri elementi di ogni giardino.
Alcune delle opere liriche di Arroyo includono "The Women of the Forest", un'opera con ritagli di silhouette femminili integrati con una massiccia parete di edera a cascata, e "Women in Movement", con ritagli di silhouette femminili che galleggiano su ruote multiple sospese dagli alberi.
"Women in Flight" porta l'arte nel pubblico e crea un'esperienza artistica inaspettata e completamente accessibile, creando una conversazione a più livelli che collega arte, natura e comunità.
Le opere liriche e provocatorie di Andrea Arroyo portano l'attenzione su questioni urgenti come l'ambiente, i diritti delle donne e l'immigrazione.
Per l'artista, le lotte delle donne nella storia rispecchiano le lotte delle donne nella società contemporanea, che devono sfidare le norme sociali e i pregiudizi per ottenere giustizia e uguaglianza.

Sull'artista: Andrea Arroyo è un'artista pluripremiata che lavora in una serie di media che includono arte pubblica, pittura, disegno, illustrazione e installazioni site-specific.
Il suo lavoro è esposto a livello internazionale e si trova in collezioni private, aziendali e pubbliche in tutto il mondo.
L'arte pubblica e le commissioni includono progetti per il New York Restoration Project, il Morris-Jumel Mansion Museum, la New York Women Foundation, El Museo del Barrio, The International Museum of Women, The MTA/New York Subway, The NY School Construction Authority, e The Women's Rights National Historical Park.
Tra le sue onorificenze ricordiamo la New York Foundation for the Arts Fellowships, Global Citizen Award Artist, Clinton Global Initiative, United Nations Award for Political Art, 21 Leader for the 21st Century e Outstanding Woman of New York. Ha ricevuto molteplici sovvenzioni dalla Northern Manhattan Arts Alliance, dalla Puffin Foundation, dalla Harlem Arts Alliance e dal Lower Manhattan Cultural Council.
Le sue opere sono state ampiamente pubblicate anche sulla copertina del New Yorker e del New York Times, ed è stata oggetto di oltre duecento articoli sui media internazionali.  Si prega di visitare: www.andreaarroyo.com

A proposito di NYRP: New York Restoration Project ritiene che la natura sia un diritto fondamentale di ogni newyorkese, e noi lavoriamo per manifestare questo diritto collaborando quotidianamente con le comunità locali, le agenzie pubbliche e il settore privato. Aspiriamo ad espandere la nostra impronta e il nostro impatto in tutti e cinque i distretti per rendere la città più sicura, più sana e più felice. Visita nyrp.org per maggiori informazioni.
 "Women in Flight" è presentato dal New York Restoration Project ed è reso possibile in parte grazie ai finanziamenti dell'Upper Manhattan Empowerment Zone Development Corporation e gestito da LMCC. Sostegno aggiuntivo di Mano a Mano a Mano: Cultura messicana senza frontiere e materiali per le arti.









“Women in Flight”
An public art exhibition of site-specific works by Andrea Arroyo, on view at three gardens in Manhattan through October 31st, 2018. 

WHAT“Women in Flight” an exhibition of artworks by Andrea Arroyo.
WHERE: Three community gardens in Upper Manhattan, locations:
· Friendship Garden (Wicked), 499 West 150th St. New York, NY 10031.
· Herb Garden, 176 East 111th St, New York, NY 10029.
· Family Garden -Sponsored by Tiffany and Co., 431 East 114th St. New York, NY 10029.
WHEN: Through October 31, 2017. Viewing hours updated weekly, please visit www.andrearrroyo.com 
MORE INFO: NYRP: https://www.nyrp.org, Artist’s Website: www.andreaarroyo.com
High-resolution images available upon request.
Social media: @NYRP  @AndreaArroyoArt

DESCRIPTION: 
New York Restoration Project (NYRP), is pleased to present “Women in Flight” an exhibition of site-specific, outdoor works created by award-winning artist Andrea Arroyo.
“Women in Flight” features a series of artworks inspired by historical and contemporary women of New York, and integrated into three community gardens in Upper Manhattan.
Each site-specific piece is executed with repurposed materials and thoughtfully integrated within the natural environment of plants, grass and other elements of each garden.
Some of Arroyo’s lyrical artworks include “The Women of the Forest” a piece featuring female silhouette cutouts integrated with a massive wall of cascading ivy, and “Women in Movement” featuring female silhouette cutouts floating on multiple wheels suspended from trees.
“Women in Flight” Takes art into the public realm and creates an art experience that is unexpected and thoroughly accessible, creating a multi-level conversation that bridges art, nature and community. 
Andrea Arroyo’s lyrical and thought provoking works bring attention to pressing issues like the environment, women’s rights and immigration.
For the artist, the struggles of women in history mirror the struggles of women in contemporary society, who have to defy social norms and prejudice in order to achieve justice and equality.

About the artist: Andrea Arroyo is an award-winning artist working in a range of media including public art, painting, drawing, illustration and site-specific installation.
Her work is exhibited internationally and is in private, corporate and public collections around the world.
Public art and commissions include projects for New York Restoration Project, The Morris-Jumel Mansion Museum, the New York Women Foundation, El Museo del Barrio, The International Museum of Women, The MTA/New York Subway, The NY School Construction Authority, and The Women’s Rights National Historical Park.
Honors include New York Foundation for the Arts Fellowships, Global Citizen Award Artist, Clinton Global Initiative, United Nations Award for Political Art, 21 Leader for the 21st Century and Outstanding Woman of New York. She has received multiple grants from the Northern Manhattan Arts Alliance, the Puffin Foundation, the Harlem Arts Alliance and the Lower Manhattan Cultural Council.
Her artwork has been published extensively including in on the cover of The New Yorker and The New York Times, and has been the subject of over two hundred features in the international media.  Please visit: www.andreaarroyo.com
 
About NYRP: New York Restoration Project believes nature is a fundamental right of every New Yorker, and we work to manifest that right by partnering with local communities, public agencies, and the private sector on a daily basis. We aspire to expand our footprint and impact in all five boroughs to make a safer, healthier, and happier city. Visit nyrp.org for more information.
 "Women in Flight" is presented by New York Restoration Project and is made possible in part with funding from the Upper Manhattan Empowerment Zone Development Corporation and administered by LMCC. Additional support from Mano a Mano: Mexican Culture Without Borders and Materials for the Arts.

lunedì 1 ottobre 2018

Aretha Franklin

RESPECT FOR THE QUEEN OF SOUL

Respect
Gio / Mariagrazia Quaranta

Aretha Franklin
Omar Zevallos

Aleco


Omaggio alla regina del soul, Aretha Franklin.
Rayma





Priego




Jan Op De Beeck



Nelson per the New Jorker



Bill Bramhall per il NYDailyNews cartoon



Aretha
Aretha Franklin. Bacio forte.
Mauro Biani

Aretha Franklin è scomparsa il 16 agosto scorso all’età di 76 anni ed è stata festeggiata con quattro giorni di memorial, tra cui un concerto e un epico funerale di otto ore e 15 minuti lo scorso 30 agosto.
 La Franklin sarà inoltre onorata durante gli American Music Awards del 9 ottobre al Microsoft Theater di Los Angeles e con un concerto il 14 novembre al Madison Square Garden di New York City.





L'Italia presente alla XXV Mostra Internazionale d'Arte dell'Umorismo, a Alcalá de Henares in Spagna

L'Italia presente alla XXV Esposizione Internazionale d'Arte dell'Umorismo, con il tema "Movimenti e lotte dei lavoratori".

Di Francisco Punal Suarez
Speciale per Fany Blog

 L'Instituto Quevedo de las Artes del Humor, della Fundación General de la Universidad de Alcalá in collaborazione con il Comune di Alcalá de Henares, provincia di Madrid, e la Fondazione Francisco Largo Caballero, realizza la XXV Esposizione Internazionale con più di 120 disegni di autori provenienti da più di 50 paesi, che riflettono la lotta dei movimenti dei lavoratori, dal titolo "Non ci muoveremo"!

L'Italia partecipa con opere di Mariagrazia Quaranta (Gio), Lele Corvi e Lido Contemori, che offriamo esclusivamente ai lettori di Fany Blog.

Gio - Italia - Trabajador en el centre del mundo

Lele Corvi, Italia

Lido Contemori, Italia

La mostra comprende anche altre tre mostre simultanee, visitabili fino al 28 ottobre presso la Sala Antiguo Hospital Santa María la Rica (Calle Santa María la Rica 3, Alcalá de Henares), che trattano di umorismo grafico a Puerto Rico, caricature personali su Confucio (a cui partecipano anche gli italiani Gio e Mattia Massolini) e una mostra dell'umorista spagnolo Guillermo Torres.

Le attività espositive comprendono mostre, conferenze, conferenze, laboratori nelle scuole e nei centri penitenziari, presentazioni di libri, fiera di caricatura in cui gli artisti realizzano disegni dal vivo nella via principale della città e altri divertimenti per i bambini.

Questo evento, al quale partecipano disegnatori di tutto il mondo, si occupa anno dopo anno di questioni sociali che riguardano l'umanità. Così abbiamo visto come i loro appelli si riferiscono alla mancanza di accesso all'istruzione per milioni di persone, soprattutto bambini, che diventano vittime di abusi, manipolazioni e sfruttamento; alla mancanza di cibo nel mondo; ai diritti dei bambini e della maternità; alla denuncia dei maltrattamenti; alle frontiere del mondo; alla scarsità di acqua; al valore di ciò che si butta via; e a tracce di uguaglianza, tra gli altri.

È giusto sottolineare l'importante lavoro che la Fondazione Generale dell'Università di Alcalá de Henares svolge dall'inizio degli anni '90 nella difesa e promozione dell'umorismo grafico internazionale, come strumento vitale e indispensabile per sensibilizzare il mondo alle situazioni di disuguaglianza e di mancanza di libertà, nonché per far conoscere la ricchezza che la diversità e la differenza portano in una società in cui siamo tutti uguali nei diritti.

L'Istituto Quevedo  delle Arti Umoristiche, che inizia una nuova era con la rinnovata direzione tecnica di Julio Rey e Nieves Concostrina responsabili dell'istituto e con José María Pérez, Peridis, in qualità di ambasciatore, annuncia, nella sua incessante attività, dal 16 ottobre al 25 novembre, l'inaugurazione di una selezione della mostra World Press Cartoon 2018, nella sala Caracciolos, ad Alcalá de Henares, alla presenza del presidente del WPC Antonio Antunes e dell'artista italiana Marilena Nardi, che ha vinto il Gran Premio di quella edizione.

Da qui, ci congratuliamo con il Rettore dell'Università di Alcalá e Presidente della Fondazione Generale, Dr. José Vicente Saz Pérez, il Direttore Generale, Maite del Val Nuñez, il segretario esecutivo Juan García Cerrada, tutta la sua squadra: José L. Sánchez, Esther Morote, Dina Oprea, Adrián Arriola, Andrea Frutos, e i collaboratori esterni, che rendono possibile questa interessante e necessaria attività.

Maggiori informazioni: https://iqh.es/


Cartel XXV Muestra de Alcalá - Junco, España



Elena Ospina, Colombia



David Vela, España

Goran Milenkovic, Serbia

CARTAZ EXPOSIÇÃO ALCALÁ 2018-01

Italia presente en la XXV Muestra Internacional de las Artes del Humor, con el  tema “Movimientos y luchas obreras”

Por Francisco Punal Suarez
Especial para Fany Blog

 El Instituto Quevedo de las Artes del Humor, de la Fundación General de la Universidad de Alcalá en colaboración con el Ayuntamiento de Alcalá de Henares, provincia de Madrid,  y la Fundación Francisco Largo Caballero, realizan la XXV Muestra Internacional con más de 120 dibujos de autores de más de 50 países, que reflejan la lucha de los movimientos obreros, con el título de “¡No nos moverán”!

Italia participa con obras de Mariagrazia Quaranta (Gio), Lele Corvi y Lido Contemori, que ofrecemos en exclusiva a los lectores de Fany Blog.

La Muestra abarca además otras  tres  exposiciones simultáneas, que pueden visitarse hasta el 28 de octubre, en la Sala  Antiguo Hospital Santa María la Rica (Calle Santa María la Rica 3, Alcalá de Henares), y que abordan el humor gráfico de Puerto Rico, caricaturas personales sobre Confucio (donde también participan los italianos Gio y Mattia Massolini) y una muestra del humorista español Guillermo Torres.

Las actividades de la Muestra incluyen exposiciones, conferencias,  talleres en escuelas y en centros penitenciarios, presentación de libros, feria de la caricatura en la que artistas realizan dibujos en vivo en la calle Mayor de la ciudad, y otras animaciones para los más pequeños.

Este evento, al que concurren caricaturistas de todo el mundo, aborda año tras año temas sociales que preocupan a la humanidad. Así hemos visto cómo sus convocatorias se refieren a la falta de acceso a la educación de millones de personas, principalmente niños, que se convierten en víctimas de abusos, manipulaciones y explotación; a la falta de alimentos en el mundo; a los derechos de la infancia y la maternidad;  la denuncia de los maltratadores; las fronteras en el mundo; la escasez del agua;  el valor de lo que tiras; y trazos de igualdad, entre otros.

Es de justicia  destacar la importante labor que, desde principios de los años 90 está realizando la Fundación General de la Universidad de Alcalá de Henares, en defender y promover el humor gráfico internacional, como un instrumento vital e indispensable para sensibilizar al mundo ante situaciones de desigualdad y falta de libertades, así como para concienciar de la riqueza que aportan la diversidad y la diferencia, en una sociedad en la  que todos seamos iguales en derechos.

El Instituto Quevedo de las Artes del Humor, que comienza una nueva etapa con una dirección técnica renovada: con Julio Rey y Nieves Concostrina al frente del instituto y con José María Pérez, Peridis, como embajador, anuncia, en su incesante actividad, a partir del 16 de octubre y hasta el 25 de noviembre,  la inauguración de  una selección de la muestra del World Press Cartoon 2018, en la sala Caracciolos, de Alcalá de Henares, que contará con la presencia del presidente del WPC Antonio Antunes y de la artista italiana Marilena Nardi, quien obtuvo el Gran Premio de esa edición.


Desde aquí,  felicitamos al Rector de la Universidad de Alcalá y Presidente de la Fundación General, Dr. José Vicente Saz Pérez, a la Directora General, Maite del Val Nuñez, al secretario ejecutivo Juan García Cerrada, a todo su equipo: José L. Sánchez, Esther Morote, Dina Oprea,  Adrián Arriola, Andrea Frutos,   y  a los colaboradores externos, que hacen posible esta interesante y necesaria actividad.

Más info: https://iqh.es/

Thiago Lucas, Brasil

Fernando Pica, Colombia

Valentin Druzhinin, Rusia

Amorim - Brasil

martedì 25 settembre 2018

Vincino



Vincino, pseudonimo di Vincenzo Gallo (Palermo, 30 maggio 1946 – Roma, 21 agosto 2018[1), è stato un vignettista e giornalista italiano.

E' già passato un mese, ma rimane sempre nei ricordi...

Vincino in una scatola di matite, alla sua ultima festa
Abbiamo accompagnato Vincino nel Tempietto egizio del Verano per salutarlo tra i ricordi, i sorrisi e le lacrime




l'ultimo disegno : comunque sarò il prossimo James Bond... (di sicuro...)
©Vincino


Ciao Vincino amico mio!
© Vauro



Ciao Vincino, ora scherza pure coi santi
Luca Sommi

Allampanato, dinoccolato, un elegantissimo, letterato hippie che ti guardava storto da quelle lenti fondo di bottiglia – montate su Persol da sole, modello Steve McQueen – tanto da far diventare gli occhi minuscoli, ma non lo sguardo. Quello era lungo, lunghissimo, anarchico e indipendente, da artista, quale lui era. Vincino, al secolo Vincenzo Gallo, era molto più di un vignettista, di un disegnatore satirico, era un fine antropologo, uno che smascherava i vizi dei potenti (ma anche dei deboli) facendone sintesi in tre schizzi storti, irresistibili e irriverenti. Ieri se ne è andato, dopo una brutta bestia di malattia, a 72 anni, e dopo una carriera meravigliosa, mai al servizio di nessuno. Anzi, a volte sembrava, per vezzo, godere nel disegnare su giornali apparentemente a lui lontani – ergo conservatori, ordinari, filo-tutto purché quel tutto fosse potente. Ma in realtà tutto e tutti erano distanti da lui, che era vasto, contraddittorio e geniale, un artista senza confini né recinti, se non quelli della sua lucida e stralunata fantasia.

Vincino amava i vizi, di forma e di sostanza, i suoi disegni tremolanti non facevano né troppo ridere né troppo riflettere – queste sono cose comuni: le sue istantanee erano un pugno nello stomaco, spesso un anagramma, un’anamorfosi della vignetta. Tracimavano di cultura, erano allucinogene, piccoli trattati colorati che prendevano il senso comune di lato, mai frontalmente. A volte erano incomprensibili – a volte addirittura la didascalia lo era – però arrivavano al centro di dove dovevano arrivare, cuore o cervello che fosse. D’altronde l’arte mica deve illustrare, bensì mostrare ciò che è invisibile agli occhi, e lui in questo era ineffabile.

Nato a Palermo, ma uomo di mondo, si laurea in architettura ma non fa l’architetto, figuriamoci, lui che, come detto, aveva un’idiosincrasia genetica per le righe diritte – il rapporto pavimento-parete deve sempre essere di 90 gradi, ammoniva Le Corbusier: appunto, non roba per uno che volava tra sghiribizzi e lazzi come un uccello fluorescente e indomabile. Nel ’68 è vicino ai movimenti studenteschi e operai, poi arriva Lotta Continua e l’inserto satirico “L’avventurista”. È il primo di una lunga sfilza: “Il clandestino” con L’Espresso, “Tango” con l’Unità, “Boxer” sul Manifesto, poi “Cuore” e tanti altri – ha diretto “Ottovolante”, quotidiano di satira che durò poco più di una settimana, geniale, insieme ad altri giganti come Roland Topor, Andrea Pazienza o Guido Buzzelli – fino alle lunghe collaborazioni con Corriere della Sera prima e Il Foglio poi. Ma il suo capolavoro assoluto fu “Il Male”, fatto, tra gli altri, con il suo inseparabile sodale, fratello di matita, Vauro Senesi. Quella combriccola ne fece di cotte e di crude durante i cinque anni di vita del giornale: la più memorabile e riconoscibile fu la finta prima pagina di Repubblica che titolava “Arrestato Ugo Tognazzi. È il capo delle BR”. Roba impensabile oggi, da fustigazione pubblica. Nel 2011 sempre insieme a Vauro rimanda in edicola “Il Male”, durò poco ma fu bellissimo, basti pensare che la redazione la piazzarono nella sede storica della Democrazia Cristiana in piazza del Gesù – roba da far rivoltare nella bara più di un notabile.

Michele Santoro, uno che di televisione capisce davvero, lo aveva mandato in video, insieme a Vauro, come inviato nell’ultima edizione di “Servizio Pubblico”. Risultato? Due meravigliosi Totò e Peppino surrealisti e d’avanguardia, in moto-sidecar, sfreccianti a raccontare con taglio “cinico e baro” il costume degli italiani di oggi e di domani: capolavoro.

Vincino in gioventù provò anche l’ebbrezza del carcere “esperienza bellissima, che consiglio a tutti”, poi il pornofotoromanzo con Cicciolina fino alle incursioni ai comizi di Craxi, camuffato da Craxi. Il situazionismo era per lui una regola, l’irriverenza il suo dogma. La sua vasta cultura non era mai citazione, mai parafrasi, ma sempre sostanza metabolizzata e poi rivomitata a modo suo, coi suoi disegni, con le sue aspirazioni e i suoi progetti sghembi ma fantastici. Era un illuminista e un surrealista insieme, amava i libri e l’uso fiero della ragione, ma per poi distorcerli, piegarli con un segno eretico. In lui c’era Voltaire e c’era Bunuel, frullati insieme, un ibrido un po’ sornione e unico nel suo genere. Un Candide a spasso per la sua personalissima e moderna Westfalia a sfregiare i vari Pangloss di turno. Però Vincino era più sornione, zero moralista, molto esistenzialista, quasi disincantato e non amava né i santoni né i santini, di qualunque colore fossero. Si arrampicava sugli specchi come nessuno, dissimulava l’evidenza come tutti e sognava di sfondare porte aperte – provaci tu, se sei capace, a sfondare una porta aperta! diceva Carmelo Bene. Perché solo i veri artisti possono ambire a tanto, e non tutti hanno lo spirito per capire certe cose, solo le persone belle. Come Diderot, su quella panchina del Palais Royal, che intima al nipote di Rameau che “uno sciocco sarà più facilmente incline alla malvagità che un uomo di spirito”. Ciao Vincio, lassù non esagerare.




così vincino, così lontano (cit.)
© Mauro Biani

Un situazionista della satira col pennarello sempre in tasca
Vincino. Addio al disegnatore che nelle sue vignette ha raccontato con ironia l’Italia sin dai tempi del «Male»
Mauro Biani
Non ero pronto al coccodrillo per Vincino. Un pazzo immortale. Il pennarello nel taschino della camicia, sempre. I disegni espressività. «Qui c’è un fax?». Pure quando lo avevo invitato a un ennesimo incontro sulla satira (uff) ma era solo il 2011, un’eternità fa. È il destino di chi fa (almeno) una vignetta al giorno: ansia giornaliera da tematica (milioni per chi non è allineante) e ricerca di un fax (lui), gli altri di una connessione. Era connesso e sconnesso. Ok.
Che poi alla fine fu un bell’incontro. Una tavolata di esordienti, più o meno. Flaviano (ora fumettista di punta della Marvel), io, Vincino, Antonella Marrone (giornalista di «Liberazione»), Gianpiero Caldarella (Pizzino ed Emme), Makkox, Giuliano Cangiano, grande illustratore.

La discussione, organizzata da «Mamma!» la rivista inventata da Carlo Gubitosa e da me che come sottotitolo aveva: «Se ci leggi è giornalismo, se ci quereli è satira». Un tentativo sperimentale di libertà totale di satira e giornalismo grafico, in un momento storico in cui inserti e riviste di satira non esistevano praticamente più.
E Vincino ne sapeva più di tutti, dal «Male», per me forse l’unica vera pubblicazione satirica insieme al diversissimo (come diversa era la società degli anni ’90) successivo «Cuore», al siciliano «Pizzino», di venticinque anni dopo.

I vignettisti, e anche lui, sono solitari, gelosi dei propri luoghi di pubblicazione, individualisti. Ma Vincenzo amava anche il gruppo, la pubblicazione indipendente, pure se poi indipendente lo era comunque su qualsivoglia pezzo di carta o di web lo ospitasse.
E quindi si discettava: dove va la satira? E dove andava, e che satira (?). Le satire vanno poi dove vogliono, ed è talmente inutile cercare recinti di «purezza (boh) satirica». Fa quello che vuole e Vincino pure. Unico problema spesso è farsi pagare (ora di più) e su questo ci ha anche insegnato a non svendere (troppo) «l’arte». Poi, se gli chiedevo una vignetta (come è capitato per «il manifesto») la dava anche gratis, comunicandomi comunque l’iban, che non si sa mai.

E, infatti, partecipò anche a «Mamma!» gratis, ché l’unica cosa che poteva fare anche per sostenere chi ci provava, senza editori, senza padroni.
I suoi disegni erano brutti come è brutto Chagall. Lui riderebbe chiedendo se ho fumato. Ma i suoi espressivi omini e donnine e politici, spiegavano svolazzanti, e qua e là, già tutto, anche senza quelle decine di parole che facevano spesso somigliare un suo lavoro a un minifumetto piuttosto che a una vignetta.

Concordo con quello che mi ha scritto a caldo il mio compare su «Mamma!» Carlo Gubitosa: «L’eredità culturale che ci lascia Vincino non è solo quella del vignettista. Lo ricordo con affetto come giornalista politico (il primo a entrare a palazzo con la matita e non con la penna), come sincero e appassionato militante radicale, come situazionista irriducibile fino all’ultimo, quando ha messo lo storico busto in marmo di Andreotti realizzato dal ’Male’ in quella Piazza del Gesù che un tempo era della Dc e poi è stata espugnata dalla redazione del ’Male’ di Vauro e Vincino per una bella stagione di satira, e lo ricordo con affetto come artista, fantasista, ragazzino che guardava la politica divertito senza mai smettere di farle pernacchie ai vestiti finti degli imperatori».

E a proposito di vignette sui quotidiani, una volta mi scrisse una cosuccia impegnativa e gradassa (oltre a individualisti siamo piuttosto gradassi, forse per farci forza e coprire i santi dubbi che ci pigliano prima di realizzare un lavoro che sembra definitivo): «Io credo che l’unico spazio di verità dentro un giornale sia il quadratino della vignetta, cioè su trenta, cinquanta pagine l’unico spazio di verità sia il piccolo quadratino e sia responsabilità nostra quindi ogni volta pensare con la nostra testa e le nostre matite».
E adesso Vincino dove vai? Non era questo a cui si pensava quando dicevamo: «Non c’è ricambio nemmeno nella satira».




46° Premio Satira Politica di Forte dei Marmi: premiazione di Vincino per il libro autobiografico "Mi chiamavano Togliatti....", 7 luglio 2018




© Riccardo Mannelli


Addio al vignettista Vincino, l'omaggio di Ellekappa



Difficile per me spiegare a parole, o anche a disegni, chi fosse per me #Vincino. "Noi abbiamo un compito, raccontare il mondo a disegni", diceva sempre. Era un amico, ha creduto in me, mai bollito, uno dei pochi fuoriclasse della satira in Italia. Ciao maestro.
Dario Campagna


© Altan, Ellekappa, Sergio Staino


© Makkox



Un ricordo di Vincino (Sottovoce)
È morto Vincino, nelle sue vignette mezzo secolo di storia d'Italia


Tutto Vincino - Il Foglio

domenica 23 settembre 2018

Colombia : Nani è stata ingiustamente denunciata di creare odio razziale con le sue vignette.


Marilena Nardi :" Una volta di più si prendono fischi per fiaschi. Massima solidarietà alla mia amica Adriana Mosquera, in arte Nani, autrice delle strisce di Magola."

E' stata denunciata  la vignettista colombiana Nani, Adriana Mosquera, per "istigazione all'odio contro i venezuelani".
Questa è la terza denuncia in Colombia a causa di vignette satiriche quest'anno, si legge in questo articolo di JMora.
A marzo è stato il turno di Matador, anche se la denuncia è stata finalmente respinta, ma pochi giorni dopo Diego Garcia è stato denunciato per calunnia e diffamazione dal sindaco della Florida Hector Mantilla ed ora è la volta di Nani.

La figura dell'azione di tutela in Colombia è simile a quella del reclamo qui e viene eseguita rapidamente, è una procedura purtroppo preferenziale e sommaria. Per la sua risoluzione sono stabiliti 10 giorni lavorativi. La tutela mira a proteggere i diritti costituzionali fondamentali degli individui "quando ritengono che questi siano stati violati dall'azione o dall'omissione di qualsiasi autorità pubblica o di individui nei casi indicati nel presente decreto".


Mi associo a Marilena Nardi nella solidarietà dell'artista colombiana Nani e spero che le autorità si rendano conto dell'assurdità della denuncia.
Ho scritto a Nani , che mi ha mandato la vignetta incriminata e la mail dove spiega l'accaduto.





Estimada amiga
Gracias por tu interés

Actualmente en Colombia sufrimos una gran represión los caricaturistas, se coarta nuestra libertad de expresión y practicamente no se puede opinar.
Pero lo más preocupante es la gran ignorancia que envuelve todo. Por ejemplo se ha interpuesto una demanda judicial en mi contra por la mala interpretación de la tira que te adjunto.

El ciudadano que interpuso la demanda dice que invito a la discriminación, al racismo contra los inmigrantes venezolanos, al odio, y que vulnero los derechos de los desplazados.

Yo soy inmigrante colombiana en España, y comprendo la situación de estas pobres personas que ahora tienen que salir de Venezuela rumbo a Colombia con las manos vacías. Soy incapaz de hacer nada en contra de ellos y en la tira está clarísimo, de hecho el ciudadano que interpuso la acción judicial, realmente defiende los mismos ideales que yo, pero ahora tengo que esperar a que la justicia hable y si es el caso me sancione o no.

El funcionario que recibió la demanda también debería haberse dado cuenta que es simplemente absurdo.

Pero así están las cosas.
un abrazo
Nani


Cara amica

Grazie per il tuo interesse

Attualmente in Colombia subiamo una grande repressione dei vignettisti, la nostra libertà di espressione è limitata e non abbiamo praticamente alcuna voce in capitolo.
Ma la cosa più preoccupante è la grande ignoranza che avvolge il tutto. Ad esempio, è stata intentata una causa contro di me per cattiva interpretazione della striscia allegata.

Il cittadino che ha intentato la causa ha detto che ho invitato alla discriminazione, al razzismo contro gli immigrati venezuelani, all'odio e alla violazione dei diritti degli sfollati.

Sono un colombiana immigrata in Spagna, e capisco la situazione di questa povera gente che ora deve lasciare il Venezuela per la Colombia a mani vuote. Sono incapace di fare qualcosa contro di loro e la striscia è molto chiara, infatti il cittadino che ha intentato l'azione legale, difende davvero gli stessi ideali come me, ma ora devo aspettare che la giustizia parli e se è il caso sarò sanzionato o meno.

Il funzionario che ha ricevuto la denuncia dovrebbe anche aver capito che la situazione è semplicemente assurda.

Ma è così che stanno le cose.
Un abbraccio
Nani

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Adriana Mosquera “Nani” (Bogotá D.C.) es caricaturista, bióloga, diseñadora y escritora hispano-colombiana, autora de Magola, una de las tiras cómicas más conocidas en Iberoamérica,1​ a través de la cual trata temas de humor social y de parejas, de actualidad e igualdad de género. Ha participado en una docena de exposiciones en diversos países y organizado una itinerante titulada Las mujeres creadoras y el arte de la caricatura. Cuenta con una decena de premios, entre los que destacan el Gran Premio Diógenes en Argentina. Es profesora honorífica del humor por la Universidad de Alcalá de Henares. Reside en España desde 1997, miembro de Cartooning for Peace-Francia.

Adriana Mosquera "Nani" (Bogotá D.C.) è una fumettista, biologa, designer e scrittrice spagnola e colombiana, autrice di Magola, una delle strisce comiche più note in America Latina,  attraverso la quale affronta temi di umorismo sociale e coppie, attualità e uguaglianza di genere. Ha partecipato a una dozzina di mostre in vari paesi e ha organizzato una mostra itinerante dal titolo Donne creatrici e l'arte della Caricatura. Ha una dozzina di premi, tra cui il Gran Premio Diogenes in Argentina. È professore onorario di umorismo all'Università di Alcalá de Henares. Risiede in Spagna dal 1997, membro di Cartooning for Peace-France.

giovedì 20 settembre 2018

Venezia: i masegni in trachite... chi se li è rubati?

Venezia.
Cammino, inciampo e penso.
Dove saranno finite le sue “pietre”? I masegni in trachite... chi se li è rubati?
(per i non veneziani: i masegni sono i blocchi scuri che compongono la pavimentazione veneziana. In alternanza a quelli bianchi, in pietra d’Istria).
Anni fa si è iniziato un lodevole ammodernamento dell’impianto fognario della città e di messa in sicurezza contro gli incendi. Contemporaneamente molte delle calli e delle fondamenta sono state ripristinate o rifatte del tutto. Per ovviare alle acque alte, alcune sono anche state rialzate. Fin qui, tutto bene. Ci sarebbe da aggiungere qualcosa sulle pendenze al contrario, che portano l’acqua verso gli ingressi anziché al centro della calle, ma entrerei in un’altra storia.
Torno ai masegni, che sono il mio cruccio ogni volta che vado al lavoro. Ebbene, non sono più quelli originali. Durante le fasi di ripristino, sono stati progressivamente sostituti. Spariti!
Non è solo un problema di conservazione. I veneziani dei tempi andati (e anche gli austriaci) avevano saggiamente impiegato masegni in trachite, una pietra durissima, di origine lavica, antiscivolo, che non si usura al calpestio. Resistente e molto bella, con varianti cromatiche che andavano dal grigio scuro con toni caldi e bruni fino al viola. Dopo ogni pioggia, il suolo veneziano riluceva di tutte queste variazioni.
Nell’ultima decina d’anni, i masegni antichi sono stati sostituiti da una pietra nerastra e porosa che in breve si è usurata e danneggiata in modo differenziato. Risultato: il lastricato è brutto, opaco, spento e butterato. Col sole e con la pioggia. Sempre! E anche passeggiare non è più così agevole, perché si è costretti a guardare ad ogni passo dove si mette il piede, per colpa delle buche e dei diversi livelli che la salsedine ha creato.
Ogni volta che percorro le Zattere, e che inevitabilmente inciampo, mi chiedo che fine abbiano fatto i pietroni, i masegni antichi. Che sarebbero durati altri secoli! Perché per secoli i veneziani hanno riparato fondamenta e calli riutilizzando, anzi rimettendo ogni blocco al proprio posto. Invece, questi “nuovi”, fra pochissimo saranno già da sostituire. E insieme a loro saranno da aggiustare anche centinaia di caviglie e ginocchia sbucciate.
(anche la pietra d’Istria sta sparendo piano piano nello stesso modo. E anche quella non si potrà recuperare tanto facilmente).
Marilena Nardi






martedì 18 settembre 2018

I 100 miglior libri del XXI secolo ... per ora.

Illustrazione di Tim MacDonagh
Un tentativo sicuramente prematuro di stabilire i 100 miglior libri del XXI secolo
ma leggere è molto molto importante e quindi amici del blog vi ho voluto incuriosire e mettervi l'articolo apparso sul sito americano Vulture, rubrica culturale di New York Magazine.


Tra i cento c'è l'italiana Elena Ferrante, con L'Amica geniale, ( The Napoletolitan Novels 2011-2015).

Il miglior libro del secolo (per ora) invece è The Last Samurai , di Helen DeWitt (20 settembre 2000).
Un romanzo sulla natura del genio. È anche, più precisamente, un romanzo sul potenziale umano universale.
 Il brutto film che è stato girato con Tom Cruise ha purtroppo messo in ombra il romanzo. Poi vengono i libri molto attesi come "The Corrections" di Jonathan Franzen , "Let Me Go", di recente premio Nobel Ishiguro , "Il complotto contro l'America" di Philip Roth o "NO" di Zadie Smith .
Non troviamo che  autori anglosassoni a parte l'italiana Elena Ferrante, "2666", dello scrittore cileno Roberto Bolaño, norvegese Karl Ove Knaussgard per "un uomo amorevole" o ancora il tedesco WG Sebald con "Austerlitz". Canto del gallo, ci sono anche tre libri francesi: "Piattaforma" di Michel Houellebecq, "Other Lives Ma la mia" di Emmanuel Carrère e ... "Suite francese" Irene Nemirovsky, scelta sorprendente per una lista che dichiara di incapsulare spirito letterario del XXI secolo.


A Premature Attempt at the 21st Century Canon
 A panel of critics tells us what belongs on a list of the 100 most important books of the 2000s … so far.
By Vulture Editors Illustration by Tim MacDonagh

Why Now?

Okay, assessing a century’s literary legacy after only 18 and a half years is kind of a bizarre thing to do.

Actually, constructing a canon of any kind is a little weird at the moment, when so much of how we measure cultural value is in flux. Born of the ancient battle over which stories belonged in the “canon” of the Bible, the modern literary canon took root in universities and became defined as the static product of consensus — a set of leather-bound volumes you could shoot into space to make a good first impression with the aliens. Its supposed permanence became the subject of more recent battles, back in the 20th century, between those who defended it as the foundation of Western civilization and those who attacked it as exclusive or even racist.

But what if you could start a canon from scratch? We thought it might be fun to speculate (very prematurely) on what a canon of the 21st century might look like right now. A couple of months ago, we reached out to dozens of critics and authors — well-established voices (Michiko Kakutani, Luc Sante), more radical thinkers (Eileen Myles), younger reviewers for outlets like n+1, and some of our best-read contributors, too. We asked each of them to name several books that belong among the most important 100 works of fiction, memoir, poetry, and essays since 2000 and tallied the results. The purpose was not to build a fixed library but to take a blurry selfie of a cultural moment.

Any project like this is arbitrary, and ours is no exception. But the time frame is not quite as random as it may seem. The aughts and teens represent a fairly coherent cultural period, stretching from the eerie decadence of pre-9/11 America to the presidency of Donald Trump. This mini-era packed in the political, social, and cultural shifts of the average century, while following the arc of an epic narrative (perhaps a tragedy, though we pray for a happier sequel). Jonathan Franzen’s The Corrections, one of our panel’s favorite books, came out ten days before the World Trade Center fell; subsequent novels reflected that cataclysm’s destabilizing effects, the waves of hope and despair that accompanied wars, economic collapse, permanent-seeming victories for the once excluded, and the vicious backlash under which we currently shudder. They also reflected the fragmentation of culture brought about by social media. The novels of the Trump era await their shot at the canon of the future; because of the time it takes to write a book, we haven’t really seen them yet.

You never know exactly what you’ll discover when sending out a survey like this, the results of which owe something to chance and a lot to personal predilections. But given the sheer volume of stuff published each year, it is remarkable that a survey like this would yield any kind of consensus—which this one did. Almost 40 books got more than one endorsement, and 13 had between three and seven apiece. We have separately listed the single-most popular book; the dozen “classics” with several votes; the “high canon” of 26 books with two votes each; and the rest of the still-excellent but somewhat more contingent canon-in-utero. (To better reflect that contingency, we’ve included a handful of critics’ “dissents,” arguing for alternate books by the canonized authors.)

Unlike the old canons, ours is roughly half-female, less diverse than it should be but generally preoccupied with difference, and so fully saturated with what we once called “genre fiction” that we hardly even think of Cormac McCarthy’s post-apocalyptic The Road, Colson Whitehead’s zombie comedy Zone One, Helen Oyeyemi’s subversive fairy tales, or even the Harry Potter novels as deserving any other designation than “literature.” And a whole lot of them are, predictably, about instability, the hallmark of the era after the “end of history” that we call now.

At least one distinctive new style has dominated over the past decade. Call it autofiction if you like, but it’s really a collapsing of categories. (Perhaps not coincidentally, such lumping is better suited to “People Who Liked” algorithms than brick-and-mortar shelving systems.) This new style encompasses Elena Ferrante’s Neapolitan novels; Sheila Heti’s self-questing How Should a Person Be?; Karl Ove Knausgaard’s just-completed 3,600-page experiment in radical mundanity; the essay-poems of Claudia Rankine on race and the collage­like reflections of Maggie Nelson on gender. It’s not really a genre at all. It’s a way of examining the self and letting the world in all at once. Whether it changes the world is, as always with books, not really the point. It helps us see more clearly.

Our dozen “classics” do represent some consensus; their genius seems settled-on. Among them are Kazuo Ishiguro’s scary portrait of replicant loneliness in Never Let Me Go; Roberto Bolaño’s epic and powerfully confrontational 2666; Joan Didion’s stark self-dissection of grief in The Year of Magical Thinking. They aren’t too surprising, because they are (arguably as always, but still) great.

And then there’s The Last Samurai, Helen DeWitt’s debut: published at the start of the century, relegated to obscurity (and overshadowed by a bad and unrelated Tom Cruise movie of the same name), and now celebrated by more members of our panel than any other book. That’s still only seven out of 31, which gives you a sense of just how fragile this consensus is. Better not launch this canon into space just yet.

—Boris Kachka

(continua)

I vincitori della prima edizione del Concorso LIBEX-2018

Dopo avere selezionato 55 vignette tra le 635 ricevute da 260 vignettisti di 55 paesi diversi del Concorso LIBEX-2018 sul tema “Immaginatione e potere nell’era digitale”, la Giuria ha scelto le sue 15 vignette preferite e tra queste le tre vincitrici:

Primo premio: Nikola Listes- Croatia.

© Nikola Listes



Secondo premio: Emanuele Del Rosso - Italia
© Emanuele Del Rosso




Terzo premio: Fadi Abou Hassan / FadiToOn - Norway
© Fadi ToOn


Da La repubblica di Bari (16/09/18)
Le vignette raccontano il doppio volto della Rete
di Gennaro Totorizzo
Una vignetta per raccontare le due facce della rete.
Quella potenzialità che consente di lanciare messaggi universali con un semplice clic, e i pericoli che da quel gesto così apparentemente innocuo, possono derivare. Sono tre i lavori premiati nella prima edizione del concorso internazionale di vignette satiriche Libex, indetto il 15 maggio scorso dal centro euro-mediterraneo Librexpression della fondazione Di Vagno, potrebbero essere interpretati da chiunque, in qualunque parte del mondo.
Nonostante gli autori provengano da Paesi diversi, e per questo abbiano differenti necessità d'espressione e parlino diversi linguaggi. Nikola Listes, che ha conquistato il primo posto, ad esempio, è croato. In Nuova odissea ha rivisitato una celebre scena di 2001: Odissea nello spazio, con le schegge di osso lanciate dall'ominide a comporre una "chiocciola".
L'italiano Emanuele Del Rosso, secondo, fa rivivere la protesta di piazza Tienanmen, dove al posto dei carri armati ci sono dei mouse, mentre il rifugiato siriano, ora norvegese, Fadi Toon stende panni nella celebre "f" di Facebook. Tutti sono accomunati dal tema "Immaginazione e potere nell'era digitale", lo stesso della 14esima edizione del festival Lectorinfabula, nel quale oggi, alle 16 nel chiostro San Benedetto di Conversano, saranno premiati e commenteranno le proprie opere. «La maggioranza dei partecipanti, 260 provenienti da 55 Paesi, aveva una visione assai critica dell'uso dei mezzi digitali spiega il presidente della giuria Thierry Vissol - Tutti hanno timore delle grandi società che operano sul web e dell'uso dei big data. Nonostante le sensibilità siano diverse, c'è un'unità di pensiero. E questo ci ha colpito moltissimo». La giuria, composta dai giornalisti Piero Ricci ( Repubblica Bari), anche presidente dell'Ordine dei giornalisti di Puglia, Gian Paolo Accardo (Voxeurop.eu) e Cristiana Castellotti (Rai Radio 3) e dai vignettisti Fabio Magnasciutti e Marco De Angelis, ha selezionato le opere (55 i finalisti) secondo diversi criteri: dalla coerenza con il tema proposto alla condizione di non essere state premiate a livello internazionale, dalla qualità grafica al messaggio trasmesso.
«Abbiamo ricercato qualcosa di originale. Quella di Odissea nello spazio è un'idea utilizzata tantissime volte, ma la maniera in cui è stata riproposta è unica».
Vissol è anche direttore editoriale di Librexpression, giornale di satira presentato proprio in occasione del festival: «La rivista contiene articoli seri, basati su fonti attendibili, e illustrati da vignettisti. Permette di leggere qualcosa di importante e proseguire la riflessione con la vignetta. La satira è fatta proprio per toccare un problema e indurre a pensarci su». Tanti i temi trattati: dalla libertà di espressione in Spagna e in Marocco alla Brexit, per finire agli errori della giustizia italiana.

Tra le quindici migliori vignette:

© Guido Clericetti

© Elena Ospina


© nadia Khiari

Presenti anche famosi vignettisti internazionali

Fadi Aboi Hassan, Fadi ToOn, Doaa Eladl e Marco De Angelis

Ismail Kizil Doğan, Tjeerd Royaards e Fadi ToOn




The ceremony of "Digital Era" International Cartoon Contest 2018 and announcement of results:
First prize: Nikola Listes- Croatia.
Second Prize: Emanuele Del Rosso -Italy.
Third prize: Fadi Abou Hassan | FadiToOn-Norway.

The Jury members:
-Cristina Castellotti-Journalist (Rai 3 channel).
-Gian Paolo Accardo- Journalist ( Voxeurop.eu).
-Pietro Ricci - Journalist ( La Repubblica).
-Marco Marco De Angelis - Journalist & cartoonist.
-Fabio Magnasciutti-cartoonist.
- Prof. Thierry Vissol - Writer & director of LIBREXPRESSION CENTRO.


Maggiori informazioni sono reperibili sul sito e sui canali social del Centro Librexpression: