Congratulazioni Presidente!!
Riber Hanson
David Rowe
David Rowe
No Correio Popular.
Dalcio
Obama won presidential election. He says: 'Best is yet to come'
Firuz Kutal
Obama Wins
Clay Bennett
Congratulatory bear hug
Steve Breen
Election risult 2012
Mike Keefe
Market Plunge
Eric Allie
Pedro X. Molina
Dave Brown -The Indipendent
Peter Brookes - The Times
Adams - Telegraph
Obama re-elected
Chappatte
evvai!!!
Tiziano Riverso
THE GENIUS
Gianfranco Uber
Let's give him still four ! 08 Nov 2012
Obama bis
ottomax
The winning smile
Cecigian
In the U.S., Obama wins: a smiling policy to nourish the hope 07 Nov 2012
Casa Bianca ritinteggiata
Tullio Boi
Andy Davey - the Sun
Bado/Canada
The Winner
By Olle Johansson, Sweden - 11/7/2012
Obama Wins
By Daryl Cagle, CagleCartoons.com - 11/6/2012
Morin
Obama wins
By Kap, Spain - 11/7/2012
Four More Years
By Rick McKee, The Augusta Chronicle - 11/7/2012
Chain smoker
By Petar Pismestrovic, Kleine Zeitung, Austria - 11/7/2012
The Mandate
By Nate Beeler, The Columbus Dispatch - 11/8/2012
Steve Bell- the Guardian
Obama bis
Vadot
Giannelli - Corriere della sera
auguri, mr president - da Il Fatto Quotidiano - www.natangelo.it
Natangelo
Cadei
Greetings
Mike Luckovich
Prima fila da sinistra: Lyndon B. Johnson (1908-1973), il democratico 1963 - 1969, George W. Bush (1946 -), repubblicano del 2001 al 2009, Jimmy Carter (1924 -), democratico del 1977 al 1981, William J. (Bill ) Clinton (1946 -), democratico del 1993 al 2001, Richard M. Nixon (1913-1994), repubblicano del 1969 al 1974, seconda fila da sinistra: Ronald Reagan (1911 - 2004), repubblicano del 1981 al 1989, Dwight D. Eisenhower ( 1890-1969), repubblicano 1953 - 1961, George Bush (1924 -), repubblicano del 1989 al 1993, John F Kennedy (1917-1963), il democratico 1961-1963, Gerald R. Ford (1913-2006), repubblicano 1.974-1977 Barack Obama (1961 -), democratico, 2009 -?
Jan-Erik Ander
Zapiro - The Times
Damien Glez
************************************************************************
PS: il segreto del successo... un pizzico di italianità!
Obama ha arruolato Marchionne!!!
PORTOS / Franco Portinari
ELECTION GIFT
Gianfranco Uber
WiTH HIS "SPONTANEOUS" STATEMENT MR. MARCHIONNE, CEO OF CHRYSLER/FIAT, ENSURES OBAMA ABOUT THE DELOCALIZATION CHINESE RUMORS.
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venerdì 9 novembre 2012
mercoledì 7 novembre 2012
6 novembre: Election Day
Adams by Thelegraph
Unless you've been living in a remote cave somewhere in the Himalayas for the past few months, you must be aware that today is the day on which the Americans will elect a new president (or re-elect the old one). This cartoon by Paresh Nath, chief cartoonist for India's National Herald, compares the election process to an obstacle race. Obama and Romney are neck and neck as they approach the finishing line. But who will be the winner?
Paresh Nath by Cagle Cartoons
Morten Morland by The Times
Duell
By Petar Pismestrovic, Kleine Zeitung, Austria - 11/3/2012
Raedy to start
By Petar Pismestrovic, Kleine Zeitung, Austria - 11/5/2012
David Rowe
Jan-Erik Ander
testa a testa
ERl
Change
Eric Allie
Election Pay
cecigian
Tiziano Riverso
KHAMARD
Paride Puglia
Obama ci riprova
Pierfrancesco Uva
Ganfalco
Buongiorno
06/11/2012
Usa, il voto della testa e quello del cuore
Massimo Gramellini
Obama, come no? Ma certo non è più la stessa cosa. Quattro anni dopo, la crisi ci ha resi meno retorici o forse soltanto più adulti. Meno disposti a rinfocolare quel sogno assurdo che tutti per un attimo abbiamo sognato: la delega della soluzione dei problemi del mondo a un unico uomo. Come in amore, quando l’oggetto della passione diventa il ricettacolo inconsapevole di ogni nostro desiderio sopito. Poi l’amore finisce, all’illusione subentra la delusione, e ci si trova davanti a un bivio: o ci si lascia o ci si ama, cioè ci si accetta per come si è davvero.
Vista da lontano, la sensazione è che a Obama verrà risparmiato il divorzio. Gli americani non amano interrompere a metà il lavoro di un Presidente. Nel dopoguerra lo hanno fatto soltanto due volte, con Carter e Bush senior, ma le alternative si chiamavano Ronald Reagan e Bill Clinton, mica Mitt Romney. Uno che, come il John Kerry strapazzato nel 2004 da Bush junior, su quella fronte spaziosa da ricco qualsiasi reca impresso il marchio «loser», perdente.
Ma se, nonostante se stesso, il “loser” dovesse vincere, avremmo la prova che il voto di quattro anni fa fu un’emozione violenta e passeggera, incapace di stratificarsi in sentimento.Allora - eravamo appena entrati in questa crisi epocale - i democratici americani scartarono la pragmatica e competente Hillary per tagliare un traguardo ancora più nobile della prima donna alla Casa Bianca: il primo nero. Giovane, atletico, intellettuale. Un contenitore che ciascuno di loro, e di noi, ha riempito dei propri sogni e delle proprie speranze. A immedesimarci in Obama contribuivano la sua biografia (Vendola direbbe “la sua narrazione”) e quello slogan semplice, furbo, aperto: Yes, we can. Sì, noi possiamo. Ma possiamo cosa? Tutto. Perché se un nero riesce a entrare alla Casa Bianca, quale altro sogno può essere precluso al genere umano? Noi possiamo fermare la guerra, la crisi, l’inquinamento, la finanza molesta. Possiamo costruire un mondo più verde, più umano, più giusto.
Era uno slogan sessantottino fuori tempo massimo. Eppure alzi la mano chi, almeno la notte della vittoria, non fece finta di crederci. Obama ha la colpa di avere alimentato quell’illusione collettiva, spropositata alla sua statura di statista, rivelatasi poi non così piccola ma certo inferiore alle dimensioni gigantesche dei problemi che ha dovuto affrontare.
A ben pensarci, però, ha anche il merito di non averne approfittato. Pur avendo ottenuto la più massiccia investitura popolare della storia - mezzo mondo votò idealmente per lui e gli diedero subito, senza alcun merito, il Nobel per la pace - in questi anni Obama non si è affacciato ad alcun balcone, non si è mai dato arie da unto del Signore, non ha cercato di sedurre le masse come un caudillo del Sud America o del Sud Europa. Ha fatto, al meglio delle sue capacità, un mestiere molto meno romantico del populista: il politico. Cercando di conciliare il cielo stellato degli ideali con la palude dei compromessi. Ha chiuso una guerra, ha raffazzonato una riforma sanitaria quasi umana (che infatti i suoi critici chiamano “europea”), ha tenuto il punto sui diritti civili. Ha imparato a fare il Presidente, nella speranza che oggi gli americani gli diano l’opportunità di diventarlo davvero.
Paradossalmente i ruoli si sono invertiti. Il venditore di illusioni adesso è lo sfidante, quel Romney che promette di tagliare le tasse senza tagliare la spesa pubblica. Obama invece è tornato sulla Terra. Dai suoi discorsi pieni di numeri sono scomparsi i sogni. Non pensa più che la nuova America possa cambiare il mondo. Si accontenterebbe che il mondo non cambiasse senza di lei. E senza di noi.
Se fossi americano, oggi gli assicurerei il mio voto. Ma sarebbe un voto dato con la testa, non più con il cuore. Quello, come tutti gli amanti che nella vita ci hanno illuso e quindi inevitabilmente deluso, lo dovrà riconquistare daccapo.
Unless you've been living in a remote cave somewhere in the Himalayas for the past few months, you must be aware that today is the day on which the Americans will elect a new president (or re-elect the old one). This cartoon by Paresh Nath, chief cartoonist for India's National Herald, compares the election process to an obstacle race. Obama and Romney are neck and neck as they approach the finishing line. But who will be the winner?
Paresh Nath by Cagle Cartoons
Morten Morland by The Times
Duell
By Petar Pismestrovic, Kleine Zeitung, Austria - 11/3/2012
Raedy to start
By Petar Pismestrovic, Kleine Zeitung, Austria - 11/5/2012
David Rowe
Jan-Erik Ander
testa a testa
ERl
Change
Eric Allie
Election Pay
cecigian
Tiziano Riverso
KHAMARD
Paride Puglia
Obama ci riprova
Pierfrancesco Uva
Ganfalco
Buongiorno
06/11/2012
Usa, il voto della testa e quello del cuore
Massimo Gramellini
Obama, come no? Ma certo non è più la stessa cosa. Quattro anni dopo, la crisi ci ha resi meno retorici o forse soltanto più adulti. Meno disposti a rinfocolare quel sogno assurdo che tutti per un attimo abbiamo sognato: la delega della soluzione dei problemi del mondo a un unico uomo. Come in amore, quando l’oggetto della passione diventa il ricettacolo inconsapevole di ogni nostro desiderio sopito. Poi l’amore finisce, all’illusione subentra la delusione, e ci si trova davanti a un bivio: o ci si lascia o ci si ama, cioè ci si accetta per come si è davvero.
Vista da lontano, la sensazione è che a Obama verrà risparmiato il divorzio. Gli americani non amano interrompere a metà il lavoro di un Presidente. Nel dopoguerra lo hanno fatto soltanto due volte, con Carter e Bush senior, ma le alternative si chiamavano Ronald Reagan e Bill Clinton, mica Mitt Romney. Uno che, come il John Kerry strapazzato nel 2004 da Bush junior, su quella fronte spaziosa da ricco qualsiasi reca impresso il marchio «loser», perdente.
Ma se, nonostante se stesso, il “loser” dovesse vincere, avremmo la prova che il voto di quattro anni fa fu un’emozione violenta e passeggera, incapace di stratificarsi in sentimento.Allora - eravamo appena entrati in questa crisi epocale - i democratici americani scartarono la pragmatica e competente Hillary per tagliare un traguardo ancora più nobile della prima donna alla Casa Bianca: il primo nero. Giovane, atletico, intellettuale. Un contenitore che ciascuno di loro, e di noi, ha riempito dei propri sogni e delle proprie speranze. A immedesimarci in Obama contribuivano la sua biografia (Vendola direbbe “la sua narrazione”) e quello slogan semplice, furbo, aperto: Yes, we can. Sì, noi possiamo. Ma possiamo cosa? Tutto. Perché se un nero riesce a entrare alla Casa Bianca, quale altro sogno può essere precluso al genere umano? Noi possiamo fermare la guerra, la crisi, l’inquinamento, la finanza molesta. Possiamo costruire un mondo più verde, più umano, più giusto.
Era uno slogan sessantottino fuori tempo massimo. Eppure alzi la mano chi, almeno la notte della vittoria, non fece finta di crederci. Obama ha la colpa di avere alimentato quell’illusione collettiva, spropositata alla sua statura di statista, rivelatasi poi non così piccola ma certo inferiore alle dimensioni gigantesche dei problemi che ha dovuto affrontare.
A ben pensarci, però, ha anche il merito di non averne approfittato. Pur avendo ottenuto la più massiccia investitura popolare della storia - mezzo mondo votò idealmente per lui e gli diedero subito, senza alcun merito, il Nobel per la pace - in questi anni Obama non si è affacciato ad alcun balcone, non si è mai dato arie da unto del Signore, non ha cercato di sedurre le masse come un caudillo del Sud America o del Sud Europa. Ha fatto, al meglio delle sue capacità, un mestiere molto meno romantico del populista: il politico. Cercando di conciliare il cielo stellato degli ideali con la palude dei compromessi. Ha chiuso una guerra, ha raffazzonato una riforma sanitaria quasi umana (che infatti i suoi critici chiamano “europea”), ha tenuto il punto sui diritti civili. Ha imparato a fare il Presidente, nella speranza che oggi gli americani gli diano l’opportunità di diventarlo davvero.
Paradossalmente i ruoli si sono invertiti. Il venditore di illusioni adesso è lo sfidante, quel Romney che promette di tagliare le tasse senza tagliare la spesa pubblica. Obama invece è tornato sulla Terra. Dai suoi discorsi pieni di numeri sono scomparsi i sogni. Non pensa più che la nuova America possa cambiare il mondo. Si accontenterebbe che il mondo non cambiasse senza di lei. E senza di noi.
Se fossi americano, oggi gli assicurerei il mio voto. Ma sarebbe un voto dato con la testa, non più con il cuore. Quello, come tutti gli amanti che nella vita ci hanno illuso e quindi inevitabilmente deluso, lo dovrà riconquistare daccapo.
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