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martedì 19 luglio 2016

Turchia: storia di un golpe


martedì 19 luglio 2016
GOLPE A MOLLA
Ammetto che è una delle tante possibili interpretazioni.
In attesa di saperne di più, a me  comunque le liste di proscrizione già pronte
per i magistrati mi hanno abbastanza insospettito (e preoccupato).
SPRING GOLPE
 su CARTOONMOVEMENT
Gianfranco Uber


Oggi facciamo un po' di dietrologia sugli ultimi avvenimenti turchi.

Il colpo di Stato in Turchia 2016 è un fallito golpe militare messo in atto da una parte delle forze armate turche il 15 luglio 2016 per la presa del potere nel Paese.
Alcuni analisti hanno ipotizzato altre versioni sui reali motivi del sollevamento militare. Secondo il presidente turco Erdogan, l'organizzatore sarebbe Fethullah Gülen, che replica indicando invece nello stesso presidente l'ideatore.
Il tentativo di rovesciamento del potere ha portato alla morte di 290 persone e al ferimento di altre 1440. I dati forniti dal Governo riportano inoltre che, alla conclusione dell'evento, sono stati arrestati 2893 golpisti e 2745 giudici sono stati rimossi dall'incarico dall'Alto Consiglio. In particolare nella città di Istanbul, alcune agenzie di stampa hanno riportato il ferimento di molte persone che manifestavano contro i militari sul Ponte sul Bosforo, occupato dalle forze armate.
Le reazioni internazionali al colpo di Stato sono state particolarmente caute, anche se nella notte i principali leader internazionali hanno condannato il tentativo di presa di potere dei militari. (fonte)

Probabilmente il golpe non è stato organizzato direttamente da uomini di Erdogan ma penso che questi non potevano non sapere che migliaia di militari e giudici stessero ordendo un colpo di Stato.
E’ evidente che  Erdogan ed i suoi li hanno lasciati fare, si sono preparati con leggi ben precise, tipo la cancellazione  dell'immunità per i parlamentari dell'opposizione, per poi al momento giusto, intervenire, fermarli schiacciandoli e rendendo la Turchia un Paese ancor più fondamentalista. Ora vogliono ripristinare la pena di morte per i colpevoli di tradimento.
Kerry parla debolmente di mantenere standard di democrazia all'interno del paese, ma lo  stesso Erdogan ricorda che la stessa America ha la pena di morte in molti stati.
Il presidente turco in una intervista alla Cnn fa sapere che reintrodurrà la pena di morte se il Parlamento la varerà. "La pena di morte -ha detto poi in mattinata - c'è negli Stati Uniti, in Russia, in Cina e in diversi Paesi nel mondo. Solo in Europa non c'è". In Turchia era stata eliminata, "ma non ci sono statuti irrevocabili".


domenica 22 maggio 2016
UN BRUTTO SEGNALE
Un emendamento del Governo Turco cancella l'immunità per i parlamentari dell'opposizione.
Gianfranco Uber

Turkish F(a)iled coup d'état    Miguel Villalba Sánchez (Elchicotriste)
erdogame over? Nope.
15 Jul 2016 23:35






vorrei capire
Fogliazza








Erdogan
Bertelli



Military Coup in Turkey
Mohammad Ali Khalaji


Military Coup in Turkey 2016
By: Firuz©Kutal 16/06/2016 00:04


Putsch now    Paolo Lombardi
.
16 Jul 2016




Editoriale a Fumetti su afNews QUA: http://www.afnews.info/wordpress/2016/07/17/non-golpevole/
Su Flickr QUA: https://www.flickr.com/photos/moisevivi/28284349531/
Fonte QUA: http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2016/07/15/colpo-di-stato-in-turchia-carri-armati-ed-f16-su-ankara_432c117d-f188-423f-9f72-05260b0cc20c.html
Moise


16 luglio 2016 - Fallito colpo di Stato, Turchia nel caos: centinaia di morti, migliaia i feriti e altrettanti militari arrestati.
© Milko Dalla Battista





Tiziano Riverso


Mario Bochicchio



Bagno turco
Pierfrancesco Uva


La grande bufala del turco più pericoloso del mondo ...
Roberto Mangosi


FALSITA' POLITICHESE
Definire il governo turco
"democraticamente eletto"
è stata la peggior balla
che i governi occidentali
potessero concepire.
Roberto Mangosi


The noose    Cecigian
Erdogan plans to reintroduce the death penalty: a real suicide for Turkey.
18 Jul 2016



ElleKappa


 Nizza emerge dallo stato d’emergenza 
mentre Istanbul fa gol (pe)?!
Nadia Redoglia
La strada era chiusa al traffico automobilistico per i fuochi pirotecnici che partivano dalla spiaggia.
La Francia, Corsica compresa, si trovava al momento dei fatti in stato d’emergenza. Dopo gli attentati del 12 Novembre 2015 il governo francese l’ha dichiarato con ben tre decreti in sinergia con il plan rouge (prefettizio).   Lo stato di emergenza è misura di governo severissima, ovvero con questo s’instaurano forme di restrizioni eccezionali (possono portare persino alla censura di stampa) in quanto si dichiara ufficialmente lo stato di pericolo imminente. Ne consegue che non solo qualsiasi eccezione deve essere autorizzata e preventivamente intercettata, ma comporta anche l’organizzarsi nei casi in cui OGNI fatto anomalo (compresi l’accidentale e l’incidentale) sia “trattato”, dunque “attrezzato” per scongiurarlo in modo differente da ciò che comporta la sicurezza in stato di ordinaria amministrazione. Vedasi europei ove, perciò, non accadde strage.
Domanda: com’è che il carnefice nizzardo, a bordo del suo enorme autoarticolato frigorifero,  è potuto invece (emergere) transitare prima lentamente e poi in accelerazione su quel rettilineo, senza alcun tipo di prevenzione ante?


Mentre il globo era pesantemente coinvolto su Nizza, Ankara e Istanbul (location turche più globalmente conosciute) coglievano l’attimo per un colpo di stato. Umani internazionali di  buona volontà l’hanno pure seguito in diretta elucubrando speranze e timori…

I fatti oggi dimostrano che Erdogan solo in questo modo gliela poteva fare a mettere a rete (a maggior dimostrazione di presa per il culo mondiale: pure su rete internet da lui censurata) ovvero realizzare il suo obiettivo latente da anni. Stiamo parlando di potenza nucleare Nato che oggi, a tutti gli effetti, in persona del suo presidente, può perciò impunemente  dichiarare: ho sconfitto chi mi vuole male, potenzialmente ho diritto di condannare a morte, censurare, eliminare migliaia/milioni di persone che io giudico contro di me. E infatti così sta agendo.

Minchia signor tenente (del potere)…



Attentati e Golpe
Altan

Eventi
Alle ore 22:00 (ora locale) di venerdì 15 luglio 2016, la Jandarma effettua la chiusura di due ponti sul Bosforo con dei carri armati.
Alle ore 22:19, il ministro Binali Yıldırım conferma le voci riguardanti un tentativo di alcuni militari di effettuare un colpo di Stato dopo che alcuni jet ed elicotteri erano stati avvistati a sorvolare, a bassa quota, sia Istanbul che Ankara e dopo aver udito degli spari nei pressi della sede del parlamento turco.
Alle 22:21, l'esercito turco invita la popolazione a rientrare nelle proprie case.
Alle 22:22, viene bloccato qualsiasi accesso ai social network, tra cui Facebook, Twitter, Instagram e Snapchat, ma non alle Virtual Private Network (VPN) che consentono a chiunque di continuare a postare.
Alle 22:25, i militari irrompono nella sede della rete radiotelevisiva turca TRT ad Istanbul vengono interrotte le trasmissioni televisive. I militari si dichiarano appartenenti ad un "Consiglio di Pace Turco" con l'obiettivo di formare un nuovo governo.
Alle 22:41, i militari bloccano con i carri armati gli accessi all'aeroporto Kemal Ataturk di Istanbul dopo aver disarmato gli agenti di polizia addetti alla sicurezza e, inoltre, viene bloccato l'accesso anche all'aeroporto di Ankara.
Alle 22:43, l'esercito mette in atto alcune sparatorie nei pressi del quartier generale della polizia ad Istanbul.
Alle 22:49, i golpisti riescono ad addentrarsi nel quartier generale dell'esercito turco ad Ankara ed a prendere in ostaggio Hulusi Akar, il capo di stato maggiore delle forze armate turche.
Alle 22:56, i militari autori del colpo di stato si dichiarano pronti a mantenere intatte le relazioni con l'estero e che "lo stato di diritto rimarrà una priorità".[12]
Alle 23:02, i voli in partenza e in arrivo dall'aeroporto di Ataturk vengono cancellati dagli occupanti.
Alle 23:13, la televisione di stato turca diffonde dei comunicati delle forze armate che annunciano l'introduzione del coprifuoco e la proclamazione della legge marziale.
Alle 23:18, i golpisti irrompono nella sede del partito AKP e s'impossessano dell'edificio.
Alle 23:20, i militari provocano un'esplosione nei pressi del Centro di formazione delle forze di sicurezza di Gölbasi, in provincia di Ankara.
Alle 23:24, i militari dichiarano alla TV di stato l'intenzione di creare una nuova costituzione garante della democrazia e della laicità.
Alle 23:35, il presidente Erdoğan si collega da un luogo sconosciuto, attraverso FaceTime, con la CNN Turk per denunciare il tentativo di colpo di Stato dei militari e per incitare il popolo turco a "resistere e scendere in piazza". Anche dalle moschee di tutto il Paese sono partiti incitamenti per combattere contro i golpisti. Durante la notte, numerose persone hanno accolto favorevolmente l'appello del presidente ed hanno organizzato dei movimenti di resistenza nei confronti dei militari. In piazza Taksim, a Istanbul, alcuni civili, dopo essersi scontrati con i militari, sono saliti sui carri armati ed hanno fatto capire agli occupanti che non avrebbero mai sostenuto il rovesciamento del governo di Erdoğan.
Alle ore 04:30, riprendono le trasmissioni televisive delle reti occupate precedentemente dai militari.
Alle 05:30, il governo turco riesce a riprendere il controllo del Paese, mentre Erdoğan ritorna ad Istanbul ed il generale delle forze armate Hulusi Akar viene liberato.
Alle 10:32, viene confermata l'uccisione di 104 presunti golpisti, l'uccisione di 47 poliziotti e la morte di 41 civili (poi diventati 265), i quali sono stati definiti "martiri".
Alle ore 11:50 del 16 luglio 2016, viene confermato il fallimento del colpo di Stato anche se un piccolo gruppo di militari (circa 150) rimane asserragliato nel quartiere generale del comando delle Forze armate ad Ankara per cercare di trattare la propria resa.

Conseguenze
Arresti ed epurazioni governative
Il primo ministro, Binali Yıldırım, ha confermato l'arresto di 2839 soldati di vario grado, di 100 militari uccisi e altri 200 arresi, mentre altri sono stati espulsi dall'esercito. Tra i soldati arrestati vi sono almeno 34 tra ammiragli, generali e colonnelli. Tra gli arrestati vi sono:
Erdal Ozturk, comandante della Terza armata, arrestato per presunta complicità.
Akin Ozturk, ex capo di stato maggiore dell'aeronautica.
Adem Huduti, comandante della Seconda armata.
Avni Angun, vicecomandante della Seconda armata.
Nejat Atilla Demirhan, comandante del dipartimento Mediterraneo e della guarnigione di Mersina, per aver comunicato alla gendarmeria dell'area di sua competenza una presa del potere da parte dell'esercito.
Secondo il governo turco, inoltre, alcuni golpisti hanno tentato la fuga dalla Turchia ed è per questo che si sono intensificate operazioni di polizia lungo le frontiere. Otto ufficiali dell'esercito, invece, sono fuggiti, atterrando con un elicottero in Grecia per richiedere asilo politico. Il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu, dopo essersi confrontato con il ministro degli esteri greco Nikos Kotzias, ha richiesto ed ottenuto l'estradizione per i golpisti fuggiti.
I 2.745 magistrati rimossi dall'incarico sono stati arrestati e cinque membri del Consiglio superiore dei giudici e dei pubblici ministeri (HSYK) sono stati destituiti per presunti legami con Fethullah Gulen, considerato da Erdoğan come il responsabile principale del fallito golpe. Sono stati arrestati due giudici della Corte costituzionale, Alparslan Altan e Erdal Tercan, e 58 membri del Consiglio di Stato. Per 140 membri della Suprema corte d'appello sono stati emessi dei mandati d'arresto, 11 dei quali già eseguiti.
Tra gli arrestati vi è anche Bakir Ercan Van, il capo della base militare di Incirlik, accusato di complicità. Secondo il governo turco, infatti, la base sarebbe stata utilizzata per rifornire uno dei caccia utilizzato dai golpisti.
Inoltre, Umit Dundar è stato nominato nuovo capo di stato maggiore per sostituire Hulusi Akar.

Perdite
104 militari uccisi e 2839 arresti
2 UH-60 abbattuti
114 militari uccisi (41 poliziotti e 2 soldati)

sabato 9 luglio 2016

Tony Blair deve essere processato per crimini di guerra.

“Ingiustificata la guerra a Saddam”. Il rapporto Chilcot inchioda Blair
Pubblicata l’inchiesta sulle responsabilità britanniche: sottovalutate le conseguenze. L’ex premier ribatte alle accuse: «Ho agito in buona fede, oggi prenderei le stesse decisioni»
continua in fondo alla pagina


Cartoon of the Day: Yeah! Tony Blair must face war crimes charges! Via @alqudsalarabi http://www.alquds.co.uk/?p=562165&device=phone …
Latuff












Dopo sette anni di lavori e di rinvii la commissione presieduta da John Chilcot, istituita nel 2009 dall’allora premier laburista Gordon Brown per indagare le motivazioni della guerra in Iraq, ha reso noto il suo rapporto. Un testo sterminato, lungo quattro volte «Guerra e pace» di Tolstoj, lascia ora agli storici il più devastante atto accusa nei confronti di un ex premier britannico, Tony Blair, che quella guerra la appoggiò e la favorì senza riserve.

La commissione ha ascoltato 129 testimoni, che hanno pronunciato 2,5 milioni di parole registrate in 150 mila documenti e in 911 paragrafi, incredibile assonanza con il 9-11 dal quale tutto è cominciato. Gli elementi di accusa sono pesantissimi: la guerra non era l’ultima risorsa disponibile, non tutte le opzioni sono state esaminate; Blair ha esagerato nelle comunicazioni al Parlamento il pericolo rappresentato dall’Iraq; la colpa è anche dei servizi segreti, che hanno fornito informazioni inesatte sulle armi di distruzione di massa irachene; non era vero che Saddam rappresentasse una minaccia incombente; è falso che non partecipare alla guerra avrebbe compromesso il rapporto con gli Usa; è vero che Blair disse a George Bush, prima del voto in Parlamento: «Sarò con te comunque»; le conseguenze dell’invasione sono state ampiamente sottovalutate; l’esercito è stato mandato in Iraq impreparato e male equipaggiato; per rimediare, i soldati sono stati costretti all’umiliazione di stringere accordi con i militari iracheni; Stati Uniti e Gran Bretagna, per fare la guerra, hanno minato l’autorità del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e l’intera operazione è stata un fallimento.

Il rapporto ha lasciato comunque a Blair una via di fuga. Da scafato combattente dell’arena politica qual è, l’ex premier ha affrontato due ore di conferenza stampa per ribattere alle accuse, con voce incrinata al momento giusto, quando ha chiesto scusa per i 179 soldati britannici morti. Come fanno i leader più esperti, si è assunto ogni responsabilità dell’accaduto, lasciando però intendere tra le righe che le colpe sono di altri. «Ho agito in buona fede», ha detto, e ha aggiunto che «sulla base delle conoscenze disponibili, oggi prenderei le stesse decisioni». I servizi segreti, ha precisato, sono separati dal governo: è sottinteso che la colpa è loro. «Il rapporto prova - ha detto - che non ci sono state falsificazioni, né accordi segreti, né comunicazioni ingannevoli del governo». E cosa voleva dire «sarò con te comunque?», gli hanno chiesto. «Anche nel caso di complicazioni politiche», ha risposto. E le conseguenze della guerra? «Molti stanno meglio adesso, e il terrorismo attuale non ha rapporti con la caduta di Saddam».

L’Associazione dei famigliari delle vittime, che tanto si è battuta per l’indagine, si è limitata a sperare che il rapporto serva a cambiare le procedure con le quali il Regno Unito va in guerra. Ma i parenti dei soldati morti sono stati più duri nelle interviste: «È Blair il vero terrorista», ha detto la sorella di un caduto. Jeremy Corbyn, attuale leader del partito di Blair, si è scusato a nome dei laburisti: nel 2003 lui aveva votato contro la guerra. Il premier Cameron si è limitato ad auspicare che si tragga una lezione da tutto questo. Difficilmente Blair potrà essere incriminato per il rapporto Chilcot. Ma le sue speranze di essere nominato negoziatore della Brexit con l’Unione Europea sono diventate inconsistenti, e non c’è più alcun ruolo politico nel suo futuro.
(fonte)

domenica 6 marzo 2016

Oscars 2016 : le polemiche





Oscar to political conciliation    Miguel Villalba Sánchez (Elchicotriste)
The ethnic minorities provide Trump with the Oscar to political conciliation and racial issues.
01 Mar 2016

Il regista Spike Lee e l’attrice Jada Pinkett Smith, entrambi afroamericani, non hanno partecipato alla premiazione di Los Angeles il 28 febbraio, perché per il secondo anno consecutivo tutte le candidature per miglior attore e miglior attrice sono andate a persone bianche. Il regista Michael Moore si è unito al boicottaggio. L’Academy ha reagito votando all’unanimità per raddoppiare entro il 2020 il numero di nominati donne e appartenenti alle minoranze etniche.

Il problema ha avuto molto spazio sui diversi mezzi d’informazione statunitensi. Quartz ha scritto: “Sembrava sicuro che Idris Elba, eccezionale nel 2015 in Beasts of no nation, avrebbe ottenuto una candidatura come miglior attore non protagonista. La sua performance è stata lodata dai critici e ha ricevuto una candidatura in gran parte dei premi che hanno preceduto gli Oscar, compresi, la scorsa settimana, i Golden Globe. Non era uno qualunque, era uno dei favoriti. Niente”.


Vestidor de Chris Rock
BY CHRISTO KOMARNITSKI, BULGARIA  -  2/9/2016





Oscar Host Chris Rock 
BY TAYLOR JONES, POLITICALCARTOONS.COM  -  2/25/2016



Oscars Bus
BY RICK MCKEE, THE AUGUSTA CHRONICLE  -  2/26/2016



The white Oscar    Alex Falcó Chang
The white Oscar.
22 Jan 2016


domenica 3 gennaio 2016

Arabia Saudita: 47 esecuzioni capitali



sabato 2 gennaio 2016
QUARANTASETTE ... MORTI CHE PARLANO
In Arabia Saudita si festeggia l'anno nuovo con 47 esecuzioni capitali.
Paese che vai ...
Gianfranco Uber





SABATO 2 GENNAIO 2016
Il giovine apprendista


Ciliegina sulla torta; l'Arabia Saudit è a capo del Consiglio per i diritti umani dell’Onu. Per tutto il 2016.


Plantu


execution of Nimr Al-Nimr    Jalal Hajir
executed for daring to say "no" !!!
02 Jan 2016










Genio UN lamp    Vasco Gargalo
Saudi Arabia
03 Jan 2016



28-11-2015 Peter Brookes per The Times


Da Famiglia Cristiana
Lo Stato canaglia per eccellenza del Medio Oriente,l’Arabia Saudita, ha iniziato il 2016 esattamente come aveva concluso il 2015: ammazzando gente. 47 esecuzioni capitali per decapitazione o fucilazione in un solo giorno. Il che vuol dire che il secondo giorno dell’anno il regime wahabita ha già messo a morte un terzo delle persone uccise nel 2015 (157, secondo il calcolo delle diverse organizzazioni umanitarie) e più di metà di quelle uccise nel 2014 (87).
La pena di morte, in Arabia Saudita, è sempre meno uno strumento, pure allucinante, della giustizia penale e sempre più uno strumento di controllo sociale, usato senza alcun ritegno dall’accoppiata re-muftì. Il re Salman al-Saud, sul trono da meno di un anno, e Sheikh Abdul Aziz Alal-Sheikh, gran muftì dal 1999, per il quale parlano certe fatwa: per esempio, nel 2012, l’invito a distruggere tutte le Chiese cattoliche della penisola arabica e, sempre quell’anno, la conferma della legittimità del matrimonio coatto per le bambine di 10 anni.
Vedremo se la stampa internazionale, domani, parlerà di “svolta storica” per l’Arabia Saudita, come si precipitò a fare, poco tempo fa, per l’elezione di 13 donne in una tornata elettorale disertata dagli elettori (25% di affluenza ai seggi) perché coreografica e ininfluente.
 Nell’attesa, molti si sono concentrati sulla messa a morte dello sceicco Nimr al-Nimr, influente esponente della comunità sciita, minoritaria in Arabia Saudita (10-15% della popolazione) ma forte nella provincia del Qatif, affacciata sul Golfo Persico, ricca di riserve petrolifere (produce 500 mila barili al giorno dal 2004) e vicina al Bahrein. Con la Primavera araba del 2011, Nimr al-Nimr era diventato una figura di punta nella contestazione al regime e nella richiesta di maggiori diritti per le minoranze religiose. Gli sciiti del Qatif avevano anche cominciato a chiedere la separazione dall’Arabia Saudita e l’annessione al Bahrein, dove gli sciiti sono maggioranza (70% della popolazione) ma soggetti alla monarchia sunnita degli Al Khalifa.
Richiesta che aveva fatto scattare la repressione: gli Al Khalifa chiesero l’intervento dell’Arabia Saudita che mandò in Bahrein l’esercito, con tanto di forze corazzate. Morti, feriti, prigionieri politici e torture a seguire, senza alcuno scandalo internazionale. Al contrario, con la benevola approvazione del premio Nobel per la Pace Barack Obama.
Mettere a morte Al Nimr, oltre a molti altri personaggi che avevano come colpa soprattutto quella di opporsi agli Al Saud, non vuol dire tanto cercare lo scontro con gli sciiti, perché questo scontro va avanti da secoli e non saranno queste esecuzioni a cambiarne la natura o la radicalità. Vuol dire soprattutto ricordare all’Occidente che il patto col diavolo dev’essere rispettato. L’Occidente che sventola la bandiera della democrazia, e della sua diffusione in Medio Oriente, non deve impicciarsi della penisola arabica, dove pure la democrazia è fatta a pezzi. Le maggioranze controllate da minoranze possono farsi sentire altrove, tipo in Siria. Ed essere anche armate, finanziate, organizzate, sponsorizzate all’Onu e in ogni dove. Ma non in Bahrein.

E l’Arabia Saudita può fare ciò che vuole: appoggiarsi a una delle versioni dell’islam più retrive per giustificare la repressione politica, esportare il credo wahabita nel mondo, finanziare quasi tutti i movimenti islamisti più radicali, fomentare guerre civili, intervenire militarmente in altri Paesi, bombardare villaggi e città dello Yemen (quasi 6 mila morti, tra i quali tantissimi bambini, nella guerra contro i ribelli sciiti Houthi), appoggiare gli islamisti in Siria. Per noi va tutto bene.
Al momento in cui scrivo, Barack Obama non ha aperto bocca sulle 47 esecuzioni. Forse è meglio così: probabilmente direbbe “l’Arabia Saudita ha diritto di difendersi”, come se non bastassero i 27 mila soldati Usa sul Golfo Persico, le basi, le imponenti forniture di armi che da due anni fanno proprio dei sauditi i maggiori acquirenti e importatori di armi del mondo (primi, con 20 milioni di abitanti, davanti all’India, grande come un continente e con 1,3 miliardi di abitanti). Del resto, Obama portò la famiglia e mezzo Governo Usa a piangere ai funerali del re saudita Abdallah, un anno fa, e quindi non c’è molto da aspettarsi.
Nulla dirà anche il presidente francese Hollande, visto che solo due mesi fa il suo premier Manuel Valls andò a Riad e twittò orgoglioso per i 10 miliardi in contratti che riportava a casa, anche sotto forma di vendita di armi. Tacerà anche Matteo Renzi che pure non ama tacere: quando andò a Mosca si precipitò a portare fiori sul ponte dov’era stato ucciso Boris Nemtzov, oppositore di Vladimir Putin. Dubito che farà lo stesso gesto per Al Nimr:  anche Renzi è stato da poco in Arabia Saudita, anche lui ha firmato contratti, ha dispensato sorrisi ed è tornato a casa. In silenzio.

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  Saudi Arabia executes 47 people in one day including Shia cleric

giovedì 31 dicembre 2015

I posts più popolari del 2015

Amici cari grazie di avermi seguita anche quest'anno!
Il 2015 è stato un anno molto travagliato.

I posts più popolari del 2015
di Fany-Blog
Amici cari grazie di avermi seguita anche quest'anno!
Il 2015 è stato un anno molto travagliato.
Comunque abbiamo 242 posts editi.
Primo in classifica è L'EXPO di Dario Campagna
con un numero di visualizzazioni da grandi eventi
eccezionale 40.922 visualizzazioni


Primo in classifica è L'EXPO




Secondo: in ricordo di un disegnatore torturato ed ucciso





Terzo: il grande Banksy ed il suo Dismaland






Quarto: la crisi colpisce anche i cartoons

622

Quinto: in memoria degli amici di Charlie Hebdo






Sesto: Erdogan 




Settimo: il terremoto del Nepal





Ottavo: Tsipras e la Grecia





Nono: liberiamo Atena Farghadani




Decimo: cose turche













Undicesimo: siamo tutti Charlie







Dodicesimo: elezione di Mattarella






Tra i Concorsi 







Tra i Ciao










mercoledì 9 settembre 2015

Messico, Ayotzinapa : i 43 studenti non vennero bruciati. Dove sono finiti?

#Ayotzinapa
Latuff



Esperti indipendenti: «tutte menzogne sui 43»
Una commissione di esperti indipendenti smentisce Peña Nieto: i 43 studenti messicani non sono stati bruciati in una discarica di Cucuta. Secondo la versione ufficiale, la polizia di Iguala ha consegnato gli alunni della scuola Normal Rural di Ayotzinapa (nel Guerrero) ai narcotrafficanti dei Guerreros Unidos, che li avrebbero uccisi e bruciati. La ricostruzione ha preso piede qualche giorno dopo la scomparsa degli studenti, vittime dell’attacco congiunto di polizia e narcotrafficanti, il 26 settembre 2014. Secondo il governo, i fatti sarebbero emersi dalla confessione di alcuni narcotrafficanti, confermata dai poliziotti arrestati.
Una versione subito contestata dagli antropologi forensi argentini, nominati dai famigliari degli scomparsi e dai movimenti, che da allora denunciano nelle piazze di tutto il mondo il “crimine di stato”. Ora, un gruppo di esperti indipendenti designato dalla Commissione interamericana dei diritti umani (Cidu) riprende gli argomenti avanzati dagli specialisti argentini e sostenuti da alcune coraggiose inchieste giornalistiche, e contesta la verità ufficiale. Tre gli elementi principali messi in causa: il presunto incenerimento dei corpi, i motivi dei crimine e il ruolo della polizia militare e federale.
Nel corso di 550 pagine, il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (Giei) afferma che non esiste alcuna evidenza che un numero così elevato di cadaveri abbia potuto essere ridotto in cenere in una discarica senza essere notato nella zona. Per farlo, ci sarebbero volute 30 tonnellate di legna e il fuoco sarebbe divampato per 60 ore e non per circa 12 come hanno sostenuto i presunti pentiti. Le fiamme si sarebbero alzate per almeno sette metri e il fumo sarebbe stato notato nel raggio di 300 metri. E nei pressi della discarica non c’era combustibile sufficiente per bruciare neanche un corpo.
Uno dei sospetti emersi dalle indagini alternative è che i ragazzi siano stati portati in qualche caserma militare, dove si ritiene esistano prigioni sotterranee per le torture e forni crematori. Per questo, nel corso dei mesi i movimenti hanno manifestato davanti alle caserme, scontrandosi con la polizia e chiedendo inutilmente di poterle ispezionare.
Il Giei ricostruisce diversamente anche il motivo dell’aggressione. In quei giorni, gli studenti si erano recati a Iguala per raccogliere fondi e preparare la commemorazione di un massacro avvenuto nel ’68. Secondo una loro modalità di lotta, avevano preso “in prestito” alcuni autobus per recarsi sul posto. Avrebbero così dirottato senza saperlo anche un autobus usato dai narcotrafficanti per il mercato dell’eroina che va verso gli Stati uniti. Un mezzo di proprietà dell’impresa Costa Line.
Esercito e polizia federale — dicono poi gli esperti sulla base di testimonianze dirette — hanno costantemente seguito e controllato gli studenti fin da quando hanno lasciato la scuola. Un gruppo di soldati ha anche interrogato i ragazzi che stavano trasportando in ospedale uno dei loro compagni, ferito durante l’attacco armato. Il Giei ha cercato di interpellare il 27mo battaglione di fanteria, il gruppo militare competente per Iguala e dintorni, ma il governo non lo ha permesso. Sulla base di questi elementi, il rapporto degli esperti indipendenti conclude inviando al governo federale «20 raccomandazioni» e l’invito a riprendere le indagini.
I famigliari degli scomparsi hanno chiesto una riunione urgente con Peña Nieto, e alla presenza della commissione di esperti indipendenti: il Giei — hanno auspicato — dovrebbe rimanere nel paese fino al ritrovamento dei 43. Per il 23 settembre, famigliari e movimenti hanno annunciato uno sciopero della fame e per il 26 hanno indetto una marcia nella capitale. Con unTwitter, Nieto ha ringraziato gli esperti Giei e ha sostenuto di aver esortato gli inquirenti a tener conto delle loro conclusioni.
Intanto, un gruppo di organizzazioni, riunite nel Congresso nazionale cittadino, dal 29 agosto sta raccogliendo le firme per denunciare Nieto e i membri del suo gabinetto per appropriazione illecita di fondi pubblici. I deputati federali di Morena, il partito di Lopez Obrador, presenteranno un progetto di legge perché possa essere processato: come Otto Pérez Molina in Guatemala.
di Geraldina Colotti – Il Manifesto – 07/09/2015 http://ilmanifesto.info/espertiindipendentituttemenzognesui43/
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Conferenza stampa dei genitori dei genitori dei 43:https://www.youtube.com/watch?v=aeGimeraoUc
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Corriere della Sera – 07/09/2015
di Guido Olimpo
Il governo messicano è stato smentito. I 43 studenti scomparsi a Iguala, stato di Guerrero, quasi un anno fa, non sono mai stati bruciati. E ad oggi non si hanno informazioni sicure su dove siano finiti i loro resti. Questa la conclusione dell’indagine condotta dalla Commissione inter-americana per i diritti umani, un organismo chiamato a far luce su una vicenda angosciante e dove le sorprese non sono ancora finite.
I giovani sono spariti il 26 settembre del 2014 nei pressi di Iguala. Erano a bordo di alcuni veicoli bloccati da uomini armati: agenti e criminali della gang Guerreros Unidos. Secondo la versione ufficiale i ragazzi sono stati catturati dai banditi – probabilmente su ordine del sindaco di Iguala – e poi trasferiti vicino ad un torrente dove li hanno assassinati. Successivamente tre narcos – che hanno confessato il crimine – li hanno distrutti con il fuoco. Ma le successive ricerche non hanno permesso di trovare riscontri e le verifiche del DNA hanno dato esito negativo. Solo un corpo è stato riconosciuto come quello di uno dei ragazzi scomparsi.
Falsa la versione del governo
La Commissione ora ha stabilito che la storia raccontata dai «rei confessi» è probabilmente falsa, così come versione fatta circolare all’epoca. Il governo ha sempre parlato di 3 attacchi mentre in realtà sono stati 9 e sempre più violenti. Non solo. Il vero movente dell’assalto ai bus – ipotizzano gli inquirenti internazionali – sarebbe stato un tentativo di recuperare un carico di droga che era su uno dei mezzi. Stupefacenti diretti al mercato statunitense. Nel rapporto ufficiale si è sempre parlato di 4 veicoli mentre quella notte ve ne erano 5. In precedenza le autorità avevano sostenuto che la gang era entrata in azione perché temeva che gli studenti potessero disturbare un comizio organizzato dal sindaco di Iguala insieme alla moglie, donna imparentata con un noto clan locale. Una contestazione fomentata da un clan rivale. Scenario che non appare credibile.
Proteste popolari in Messico
La sparizione dei 43 ha provocato proteste popolari in Messico e all’estero, le autorità sono state più accusate di mentire e di nascondere la verità. Uno scandalo che ha coinvolto anche l’esercito: secondo alcune ricostruzioni – confermate dalla Commissione – unità erano presenti quando i banditi hanno teso l’agguato ai giovani. La vicenda, infine, ha fatto emergere altri massacri. I militari hanno recuperato, sempre nell’area di Iguala, i resti di 120 persone, vittime di regolamenti di conti o omicidi eseguiti da formazioni criminali spesso in combutta con la polizia.