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martedì 30 luglio 2013
Fassina, Letta ed il fisco
http://www.corriere.it/economia/13_luglio_25/evasione-recupero-befera_55d243c6-f517-11e2-b38b-ce85f307318c.shtml
PORTOS / Franco Portinari
Fassina commenta il balzo record della pressione al 54%
«Esiste anche un’evasione di sopravvivenza . Senza voler strizzare l’occhio a nessuno e senza ambiguità nel voler contrastare l’evasione ci sono ragioni profonde che spingono molti soggetti verso comportamenti di cui farebbero a meno».
Per il viceministro dell'Economia, insomma, «esiste una connessione stretta tra pressione fiscale, spesa ed evasione». Quanto basta per scatenare la bufera.
venerdì 26 luglio 2013
EVADERE NECESSE EST
La sorpresa non è che uno di sinistra affermi che in questa situazione l'evasione fiscale diventa quasi necessaria ma che dalla sinistra non venga formulata una proposta "di sinistra" coraggiosa e non ambigua per renderla, per taluni, non più necessaria ma, per molti, meno facile.
Gianfranco Uber
Le vignette di ElleKappa - Repubblica.it
Lettera a un evasore mai nato
di Nadia Redoglia
“Caro dipendente da lavoro subordinato perciò tutelato (e qui ci vuole un inciso ché il termine “tutela” è -mica poco- ambiguo: interdetto e/o inabilitato rispetto a tutti quelli che le tasse le versano in proprio?!) da sostituto d’imposta, che ne pensi dell’esternazione del nostro rappresentante parlamentare (per amore o per forza) Fassina? Lascia perdere, accantona, adeguati al fatto, ti prego, che sei sempre stato di sinistra e che comunque hai voluto proseguire a credere d’esserlo ancora, nonostante il PP (pro porcellum). Fai uno (ulteriore) sforzo legato allo stato attuale dei fatti. Fatti che, secondo Fassina, così sono impostati: per evitare di fallire (e dunque far “fallire” i propri dipendenti) milioni di bottegai, artigiani, piccoli/medi imprenditori (i grandi nel nostro Paese da decenni fanno casta a sé come la medaglia dell’amore: più di ieri e meno di domani, dunque non fanno testo) sono costretti a evadere le tasse… Oh: sia chiaro! Buttata così, di primissimo acchito a uno ci verrebbe pure d’aggregarsi a ‘sto anomalo spirito di sopravvivenza da “mors tua, vita mea” (da qui l’Epifani che s’è appellato all’emendamento del frainteso).
Gli è che, caro dipendente subordinato al tuo datore di lavoro, ho da farti notare una “cosa”: tutto ciò che evade il tuo datore di lavoro (pur in extremis Fassina dipendente) lo PROSEGUIRAI a pagare tu col tuo sostituto d’imposta (tutore!) per busta-paga/pensione! In attesa di tuo cortese cenno di riscontro, caro dipendente, ti saluto. Con ossequi ciao”
PS. Ove il tuo datore di lavoro, esaurita l’evasione ad usum sopravvivenza (new entry legittimabile per Fassina ché la storica delinquenziale è ormai di fatto legittimamente omologata) ti sbattesse fuori per non saper più a che attingere per stipendiarti, glielo chiedi tu a quel Fassina lì un altro sistema “legittimo” per sfamare te e la tua famiglia?
26 luglio 2013
BRUNETTA: «LUI COME BERLUSCONI»
Claudio Cadei
Evadere per sopravvivere
Vukic
Il viceministro dell'Economia Fassina e l'evasione fiscale
Domenica, 28 Luglio 2013
Giorgio Forattini
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Letta durante un incontro con i dipendenti delle entrate:
«Chi ha portato i soldi all'estero sappia che il clima ora è cambiato »
SERGIO STAINO
giovedì 25 luglio 2013
AVVISO AI NAVIGANTI
Letta "tuona" contro l'esportazione illegale dei capitali e prevede, probabilmente a ragione, un cambiamento del clima mondiale.
Io sento odore non tanto di ozono quanto di un nuovo scudo fiscale e Voi?
Gianfranco Uber
sabato 20 luglio 2013
Affare kazako: Alfano non lo sapeva ...
... e se non lo sapeva è ancora peggio
19 luglio
Senato si vota la sfiducia al ministro degli Interni Angelino Alfano per l'estradizione della signora Alma Shalabayeva e di sua figlia
Letta ha difeso il suo vice: "I fatti descritti ci lasciano attoniti e non sono tollerabili nell'Italia 2013. Specie nei confronti di una donna e di una bambina", ma è "inoppugnabile l'estraneità di Alfano".
Voti:
226 no, 55 sì, 13 astenuti.
Etichette: Alfano, Kazakistan, postcards, Shalabayeva
Etichette: Angelino Alfano, berlusconi, E' una storia vera, Enrico Letta, Governo Letta
Informing Alfano
Natangelo
Test
Una farfalla, evidente.
Mauro Biani
18/07/2013
Il ministro ombra
massimo gramellini
È possibile che travestire una palestra da prima casa sia colpa infinitamente più grave che consegnare moglie e figlia di un dissidente al satrapo di un Paese fornitore di petrolio. Quindi non le dimissioni della perfida Idem si pretendono dal timido Alfano, ma semmai un’immissione sulla poltrona di ministro dell’Interno, che per sua stessa ammissione è attualmente disabitata. Alfano ha un vero talento nel non abitare le poltrone che occupa. Sarà per questo che gliene offrono in continuazione. Se fosse stato effettivamente il segretario del Pdl, quando il proprietario del partito gli fece ringoiare la promessa delle primarie avrebbe dovuto dimettersi. Ma lui non è il segretario del Pdl, lui non è il ministro dell’Interno, lui probabilmente non è neanche Alfano, ma un cortese indossatore di cariche per conto terzi. Tra le tante squisitezze che ha pronunciato l’altro giorno al Senato vi è l’affermazione perentoria che al cognato della signora kazaka (o kazakistana, per citare quell’acrobata del vocabolario di La Russa) i poliziotti non abbiano torto un capello. E pazienza se nell’intervista al nostro Molinari il cognato racconta di essere stato preso a pugni e ceffoni, come conferma il verbale del pronto soccorso pubblicato dall’«Espresso». Alfano era e rimane all’oscuro di tutto: pugni, ceffoni, cognati, forse anche che esista una polizia e che sia alle sue dipendenze.
Rimane la speranza che certi giudizi come questo lo offendano a morte e che in un soprassalto di dignità il ministro ombra di se stesso si dimetta, preferendo passare per responsabile che per inutile. Ma la nostra è, appunto, solo una speranza.
Non esiste
Napolitano: “Se cade il governo contraccolpi irrecuperabili per Paese”. Senato, Pd voterà no alla sfiducia.
E via, avanti avanti.
Mauro Biani
Claudio Cadei
Sfiducia
Paolo Lombardi
Vukic
SERGIO STAINO
SERGIO STAINO
I tagli della politica
Romaniello
Paride Puglia
20 luglio
Spunta il cablo kazakistano
Cablo da Astana: "Deportate la Shalabayeva"
L'ordine dal Kazakhstan che inchioda Alfano
Il blitz avviato da un messaggio del 28 maggio: "Anche lei è un obiettivo". E così si rivela che l'operazione aveva come scopo finale il trasferimento fuori dall'Italia dell'intera famiglia Ablyazov. E la nostra polizia è stata messa a disposizione di un governo straniero
di CARLO BONINI e FABIO TONACCI
CI HANNO raccontato per cinquanta giorni - dal ministro Angelino Alfano, al suo capo di gabinetto, all'intero Dipartimento di Pubblica Sicurezza - che la notte del 28 maggio la nostra Polizia, teleguidata dalla diplomazia kazaka accampata al Viminale, cercava solo Mukhtar Ablyazov, "un pericoloso latitante". E che quando la caccia si rivelò infruttuosa la storia fini lì. Che di Alma Shalabayeva e della sua bimba Alua di 6 anni nessuno sapeva, né poté sapere, se non a cose fatte. Che la loro espulsione fu un "danno collaterale".
Per "un blocco cognitivo". Per un cortocircuito dei "flussi informativi ascendenti e discendenti". Ebbene, è un falso. Ora documentabile.
Negli atti allegati alla relazione del Capo della Polizia Alessandro Pansa e depositati all’attenzione dei senatori che ieri hanno rinnovato la fiducia al ministro, una nota Interpol proveniente da Astana la mattina del 28 maggio chiede alla nostra Polizia, alla vigilia del blitz, di identificare, fermare e “deportare” la donna che i kazaki ritengono viva con Ablyazov e che con lui dovrebbe trovarsi all’interno della villa di via di Casal Palocco 3. Alma Shalabayeva, nata il 15 agosto 1966. Anche questo, un “dettaglio” cruciale espunto dalla sintesi della relazione finale del Capo della Polizia letta in Senato venerdì scorso da Alfano. Per ragioni evidenti. Dissimulare una verità che giorno dopo giorno si conferma tuttavia incoercibile. Che, sin dall’incipit, l’operazione orchestrata tra Astana e Roma aveva un unicoobiettivo. L’intera famiglia Ablyazov. E che a quell’operazione tout-court il ministro dell’Interno Alfano diede impulso mettendo a disposizione dei kazaki la nostra Polizia.
Vediamo.
IL PRIMO CABLO DA ASTANA
La mattina del 28 maggio, alle 10,15, sui terminali di “Arianna”, il sistema informatico della nostra Direzione Centrale della Polizia Criminale, lampeggia l’alert che indica l’arrivo di una nota Interpol. Il cablo è in lingua inglese, porta il numero 22/3-1614 e proviene dall’ufficio collegato di Astana, Kazakistan. È la nota — ne abbiamo dato conto nei giorni scorsi — che di fatto resuscita un polveroso inserimento di un ordine di cattura internazionale nei confronti del cittadino kazako Mukhtar Ablyazov inserito nel sistema Interpol nel marzo del 2009, ma da allora rimasto in sonno.
Sappiamo già che, nel sapiente canovaccio predisposto dai kazaki, la nota è cruciale. Deve cioè attivare l’ufficio Interpol italiano obbligandolo ad aggiornare la banca dati delle nostre polizie. Un passaggio cruciale necessario a eccitare, di lì a poche ore, il capo della squadra Mobile di Ro-ma e a convincerlo che le richieste che si sentirà fare dall’ambasciatore Yelemessov (la visita in Questura è delle 15.30) hanno una patente di legittimità.
Alle 12.26, il cablo kazako comincia dunque ad essere lavorato e tradotto dai nostri uffici Interpol i quali, sulla base delle informazioni che hanno ricevuto, attestano che “Ablyazov Mukhtar” è un ricercato, utilizza false identità, e — si legge testualmente — «vive a Roma, in una villa in affitto in via di Casal Palocco 3 di proprietà di una cittadina tedesca, utilizza una macchina modello Volvo XC90 targata EP241FJ e unLancia Voyager con targa olandese».Ancora: «È spesso accompagnato da un maschio asiatico che guida una Nissan Qashqai targata EM089MZ e potrebbe essere scortato da bodyguard armate in grado di reagire al suo arresto». Nello stesso cablo, i kazaki chiedono alla nostra Polizia di verificare queste informazioni e procedere all’arresto del lati-tante, «verificando l’identità di altri eventuali uomini presenti nella villa». Quindi, una chiosa. Già in qualche misura cruciale. «Non è escluso — si legge — che, nella stessa villa in affitto, viva con Ablyazov sua moglie, una cittadina kazaka di nome Alma Shalabayeva Boranbaevna, nata il 15 agosto 1966».
LA PRIMA MENZOGNA
Tradotto in italiano, il cablo 22/3-1614 — come documentano gli atti dell’inchiesta interna del Capo della Polizia — viene trasmesso alla Questura di Roma alle 16.57. E dunque, è possibile sostenere, senza ombra di dubbio, che, il pomeriggio del 28, la nostra Polizia, il capo di gabinetto del ministro dell’Interno, Alfano stesso,appunto.abbiano le informazioni necessarie per sapere che, nell’operazione di “cattura del pericoloso latitante”, balli anche il nome della moglie che con lui vive. La Shalabayeva, Chi ha sostenuto il contrario, non dice il vero. E chi “non ricorda” di aver «mai sentito parlare di una donna» — e sono in molti, diciamo pure tutti i protagonisti dell’af-faire all’interno del Viminale — o ricorda molto male o tace la verità.
Ma c’è di più.
“DEPORTATELA”
Sempre quel 28 maggio, qualche ora dopo il primo cablo e mentre a Roma l’ambasciatore kazako fa flanella nell’ufficio di Procaccini in attesa di verificare con i propri occhi che all’operazione venga dato semaforo verde dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza (il blitz scatterà alla mezzanotte), Astana decide di inviare una nuova nota Interpol a Roma. È il cablo 22/3-1625.
Leggiamo: «In aggiunta al nostro precedente messaggio concernente l’arresto del ricercato Ablyazov Mukhtar vi informiamo che con lui potrebbe vivere sua moglie Alma Shalabayeva. Vi confermiamo che è una cittadina kazaka, che ha un passaporto kazako NO816235 rilasciato il 3 agosto 2012 e un secondo passaporto N5347890 rilasciato il 23 aprile 2007. La Shalabayeva potrebbe inoltre utilizzare un falso passaporto di un altro Paese, presumibilmente della Repubblica Centro Africana, con numero 06FB04081, rilasciato a nome Ayan Alma l’1 Aprile 2010. A tal riguardo, vi chiediamo dunque di identificare tutte le donne che vivono nella villa di Casal Palocco (…) e, qualora fosse provato che Alma Shalabyeva è in Italia illegalmente (con uso di documenti falsi), chiediamo alle rispettabili autorità italiane di “deportarla” in Kazakistan. Vi preghiamo di fornirci le informazioni sui soggetti in questione e di informarci anche in caso di esito negativo delle ricerche».
LA PROVA REGINA
Eccola, dunque, la prova regina del macroscopico insabbiamento della verità che in questi 50 giorni ha negato prima la logica, quindi l’evidenza dei fatti, aggiustando versioni di comodo in corsa. Eccola l’«inoppugnabilità» dei documenti, per parafrasare il premier Enrico Letta nella sua accorata difesa di Alfano. Che però, come si vede, non assolve il ministro, ma lo affossa con l’intero apparato. Non ci fu “un prima” e un “dopo” nell’Operazione Ablyazov. Alla vigilia del blitz, i kazaki avvertirono l’autorità politica e gli apparati della sicurezza italiani che nella caccia grossa a Casal Palocco le prede erano due. Mukhtar Ablyazov e Alma Shalabayeva, di cui veniva segnalato in anticipo persino il falso passaporto centro africano che avrebbe poi effettivamente mostrato al momento del fermo. Con una differenza. Per Mukhtar, esisteva un titolo almeno formale che ne giustificava la cattura. Alma aveva la sola colpa di essere la sua compagna, madre di una bimba di 6 anni. «Vi chiediamo di deportarla». 28 maggio 2013. Tutti sapevano. Nessuno ha detto la verità. Che, per giunta, ieri in Senato, era sotto gli occhi di tutti. Soltanto a volerla vedere.
(La Repubblica)
Le vignette di ElleKappa - Repubblica.it
Altan
QUESTIONE DI VOCABOLARIO
Non sappiamo neanche come si chiamino di preciso,
ma ubbidiamo a loro come schiavi.
Come se non bastassero le dittature interne
e quelle storiche degli "alleati",
ora anche il Kazakistan ci impartisce ordini.
E noi
- poveri idioti -
calpestiamo i diritti civili in loro vece.
Un gran bel governo, non c'è che dire !!
Roberto Mangosi
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19 luglio
Senato si vota la sfiducia al ministro degli Interni Angelino Alfano per l'estradizione della signora Alma Shalabayeva e di sua figlia
Letta ha difeso il suo vice: "I fatti descritti ci lasciano attoniti e non sono tollerabili nell'Italia 2013. Specie nei confronti di una donna e di una bambina", ma è "inoppugnabile l'estraneità di Alfano".
Voti:
226 no, 55 sì, 13 astenuti.
Etichette: Alfano, Kazakistan, postcards, Shalabayeva
Etichette: Angelino Alfano, berlusconi, E' una storia vera, Enrico Letta, Governo Letta
Informing Alfano
Natangelo
Test
Una farfalla, evidente.
Mauro Biani
18/07/2013
Il ministro ombra
massimo gramellini
È possibile che travestire una palestra da prima casa sia colpa infinitamente più grave che consegnare moglie e figlia di un dissidente al satrapo di un Paese fornitore di petrolio. Quindi non le dimissioni della perfida Idem si pretendono dal timido Alfano, ma semmai un’immissione sulla poltrona di ministro dell’Interno, che per sua stessa ammissione è attualmente disabitata. Alfano ha un vero talento nel non abitare le poltrone che occupa. Sarà per questo che gliene offrono in continuazione. Se fosse stato effettivamente il segretario del Pdl, quando il proprietario del partito gli fece ringoiare la promessa delle primarie avrebbe dovuto dimettersi. Ma lui non è il segretario del Pdl, lui non è il ministro dell’Interno, lui probabilmente non è neanche Alfano, ma un cortese indossatore di cariche per conto terzi. Tra le tante squisitezze che ha pronunciato l’altro giorno al Senato vi è l’affermazione perentoria che al cognato della signora kazaka (o kazakistana, per citare quell’acrobata del vocabolario di La Russa) i poliziotti non abbiano torto un capello. E pazienza se nell’intervista al nostro Molinari il cognato racconta di essere stato preso a pugni e ceffoni, come conferma il verbale del pronto soccorso pubblicato dall’«Espresso». Alfano era e rimane all’oscuro di tutto: pugni, ceffoni, cognati, forse anche che esista una polizia e che sia alle sue dipendenze.
Rimane la speranza che certi giudizi come questo lo offendano a morte e che in un soprassalto di dignità il ministro ombra di se stesso si dimetta, preferendo passare per responsabile che per inutile. Ma la nostra è, appunto, solo una speranza.
Non esiste
Napolitano: “Se cade il governo contraccolpi irrecuperabili per Paese”. Senato, Pd voterà no alla sfiducia.
E via, avanti avanti.
Mauro Biani
Claudio Cadei
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SERGIO STAINO
SERGIO STAINO
L’AMACA del 20 luglio 2013 (Michele Serra)
20 luglio 2013
Non credo che il Pd abbia salvato Alfano (e il governo Letta) “per le poltrone”, come si sente dire in rete. C’è una malattia forse peggiore del potere, dentro la sinistra italiana, ed è la paura. Quella forma specifica di paura che è la paura di non essere all’altezza, di essere inadeguati, di sbagliare la mossa, di rischiare a viso aperto. Mai una volta che si provi a fare o a dire la cosa giusta senza chiedersi, trepidanti, quali saranno le conseguenze, chi ti sgriderà (per esempio il Colle, che nella nostra democrazia ha il ruolo del Padre), chi sarà scontento di te e te lo farà osservare, mettendoti in crisi. È tipica del non-adulto, questa esitazione imbronciata, come se le spalle non fossero mai abbastanza larghe da sopportare il peso delle conseguenze. Ma le conseguenze ci sono poi lo stesso. Anche le conseguenze del non fare, del non dire, del non scegliere. Si perde piano piano fiducia, si perde sicurezza, stima di sé.
Nella scena finale dell’Attimo fuggente di Peter Weir gli alunni di una classe si trovano costretti a scegliere, in pochi decisivi istanti, se salire in piedi sul banco, e ribellandosi diventare grandi, o rimanere seduti a capo chino, come bambini impauriti. È solo un film. Ma è un bellissimo film.
(La Repubblica)
20 luglio 2013
Non credo che il Pd abbia salvato Alfano (e il governo Letta) “per le poltrone”, come si sente dire in rete. C’è una malattia forse peggiore del potere, dentro la sinistra italiana, ed è la paura. Quella forma specifica di paura che è la paura di non essere all’altezza, di essere inadeguati, di sbagliare la mossa, di rischiare a viso aperto. Mai una volta che si provi a fare o a dire la cosa giusta senza chiedersi, trepidanti, quali saranno le conseguenze, chi ti sgriderà (per esempio il Colle, che nella nostra democrazia ha il ruolo del Padre), chi sarà scontento di te e te lo farà osservare, mettendoti in crisi. È tipica del non-adulto, questa esitazione imbronciata, come se le spalle non fossero mai abbastanza larghe da sopportare il peso delle conseguenze. Ma le conseguenze ci sono poi lo stesso. Anche le conseguenze del non fare, del non dire, del non scegliere. Si perde piano piano fiducia, si perde sicurezza, stima di sé.
Nella scena finale dell’Attimo fuggente di Peter Weir gli alunni di una classe si trovano costretti a scegliere, in pochi decisivi istanti, se salire in piedi sul banco, e ribellandosi diventare grandi, o rimanere seduti a capo chino, come bambini impauriti. È solo un film. Ma è un bellissimo film.
(La Repubblica)
I tagli della politica
Romaniello
Paride Puglia
20 luglio
Spunta il cablo kazakistano
Cablo da Astana: "Deportate la Shalabayeva"
L'ordine dal Kazakhstan che inchioda Alfano
Il blitz avviato da un messaggio del 28 maggio: "Anche lei è un obiettivo". E così si rivela che l'operazione aveva come scopo finale il trasferimento fuori dall'Italia dell'intera famiglia Ablyazov. E la nostra polizia è stata messa a disposizione di un governo straniero
di CARLO BONINI e FABIO TONACCI
CI HANNO raccontato per cinquanta giorni - dal ministro Angelino Alfano, al suo capo di gabinetto, all'intero Dipartimento di Pubblica Sicurezza - che la notte del 28 maggio la nostra Polizia, teleguidata dalla diplomazia kazaka accampata al Viminale, cercava solo Mukhtar Ablyazov, "un pericoloso latitante". E che quando la caccia si rivelò infruttuosa la storia fini lì. Che di Alma Shalabayeva e della sua bimba Alua di 6 anni nessuno sapeva, né poté sapere, se non a cose fatte. Che la loro espulsione fu un "danno collaterale".
Per "un blocco cognitivo". Per un cortocircuito dei "flussi informativi ascendenti e discendenti". Ebbene, è un falso. Ora documentabile.
Negli atti allegati alla relazione del Capo della Polizia Alessandro Pansa e depositati all’attenzione dei senatori che ieri hanno rinnovato la fiducia al ministro, una nota Interpol proveniente da Astana la mattina del 28 maggio chiede alla nostra Polizia, alla vigilia del blitz, di identificare, fermare e “deportare” la donna che i kazaki ritengono viva con Ablyazov e che con lui dovrebbe trovarsi all’interno della villa di via di Casal Palocco 3. Alma Shalabayeva, nata il 15 agosto 1966. Anche questo, un “dettaglio” cruciale espunto dalla sintesi della relazione finale del Capo della Polizia letta in Senato venerdì scorso da Alfano. Per ragioni evidenti. Dissimulare una verità che giorno dopo giorno si conferma tuttavia incoercibile. Che, sin dall’incipit, l’operazione orchestrata tra Astana e Roma aveva un unicoobiettivo. L’intera famiglia Ablyazov. E che a quell’operazione tout-court il ministro dell’Interno Alfano diede impulso mettendo a disposizione dei kazaki la nostra Polizia.
Vediamo.
IL PRIMO CABLO DA ASTANA
La mattina del 28 maggio, alle 10,15, sui terminali di “Arianna”, il sistema informatico della nostra Direzione Centrale della Polizia Criminale, lampeggia l’alert che indica l’arrivo di una nota Interpol. Il cablo è in lingua inglese, porta il numero 22/3-1614 e proviene dall’ufficio collegato di Astana, Kazakistan. È la nota — ne abbiamo dato conto nei giorni scorsi — che di fatto resuscita un polveroso inserimento di un ordine di cattura internazionale nei confronti del cittadino kazako Mukhtar Ablyazov inserito nel sistema Interpol nel marzo del 2009, ma da allora rimasto in sonno.
Sappiamo già che, nel sapiente canovaccio predisposto dai kazaki, la nota è cruciale. Deve cioè attivare l’ufficio Interpol italiano obbligandolo ad aggiornare la banca dati delle nostre polizie. Un passaggio cruciale necessario a eccitare, di lì a poche ore, il capo della squadra Mobile di Ro-ma e a convincerlo che le richieste che si sentirà fare dall’ambasciatore Yelemessov (la visita in Questura è delle 15.30) hanno una patente di legittimità.
Alle 12.26, il cablo kazako comincia dunque ad essere lavorato e tradotto dai nostri uffici Interpol i quali, sulla base delle informazioni che hanno ricevuto, attestano che “Ablyazov Mukhtar” è un ricercato, utilizza false identità, e — si legge testualmente — «vive a Roma, in una villa in affitto in via di Casal Palocco 3 di proprietà di una cittadina tedesca, utilizza una macchina modello Volvo XC90 targata EP241FJ e unLancia Voyager con targa olandese».Ancora: «È spesso accompagnato da un maschio asiatico che guida una Nissan Qashqai targata EM089MZ e potrebbe essere scortato da bodyguard armate in grado di reagire al suo arresto». Nello stesso cablo, i kazaki chiedono alla nostra Polizia di verificare queste informazioni e procedere all’arresto del lati-tante, «verificando l’identità di altri eventuali uomini presenti nella villa». Quindi, una chiosa. Già in qualche misura cruciale. «Non è escluso — si legge — che, nella stessa villa in affitto, viva con Ablyazov sua moglie, una cittadina kazaka di nome Alma Shalabayeva Boranbaevna, nata il 15 agosto 1966».
LA PRIMA MENZOGNA
Tradotto in italiano, il cablo 22/3-1614 — come documentano gli atti dell’inchiesta interna del Capo della Polizia — viene trasmesso alla Questura di Roma alle 16.57. E dunque, è possibile sostenere, senza ombra di dubbio, che, il pomeriggio del 28, la nostra Polizia, il capo di gabinetto del ministro dell’Interno, Alfano stesso,appunto.abbiano le informazioni necessarie per sapere che, nell’operazione di “cattura del pericoloso latitante”, balli anche il nome della moglie che con lui vive. La Shalabayeva, Chi ha sostenuto il contrario, non dice il vero. E chi “non ricorda” di aver «mai sentito parlare di una donna» — e sono in molti, diciamo pure tutti i protagonisti dell’af-faire all’interno del Viminale — o ricorda molto male o tace la verità.
Ma c’è di più.
“DEPORTATELA”
Sempre quel 28 maggio, qualche ora dopo il primo cablo e mentre a Roma l’ambasciatore kazako fa flanella nell’ufficio di Procaccini in attesa di verificare con i propri occhi che all’operazione venga dato semaforo verde dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza (il blitz scatterà alla mezzanotte), Astana decide di inviare una nuova nota Interpol a Roma. È il cablo 22/3-1625.
Leggiamo: «In aggiunta al nostro precedente messaggio concernente l’arresto del ricercato Ablyazov Mukhtar vi informiamo che con lui potrebbe vivere sua moglie Alma Shalabayeva. Vi confermiamo che è una cittadina kazaka, che ha un passaporto kazako NO816235 rilasciato il 3 agosto 2012 e un secondo passaporto N5347890 rilasciato il 23 aprile 2007. La Shalabayeva potrebbe inoltre utilizzare un falso passaporto di un altro Paese, presumibilmente della Repubblica Centro Africana, con numero 06FB04081, rilasciato a nome Ayan Alma l’1 Aprile 2010. A tal riguardo, vi chiediamo dunque di identificare tutte le donne che vivono nella villa di Casal Palocco (…) e, qualora fosse provato che Alma Shalabyeva è in Italia illegalmente (con uso di documenti falsi), chiediamo alle rispettabili autorità italiane di “deportarla” in Kazakistan. Vi preghiamo di fornirci le informazioni sui soggetti in questione e di informarci anche in caso di esito negativo delle ricerche».
LA PROVA REGINA
Eccola, dunque, la prova regina del macroscopico insabbiamento della verità che in questi 50 giorni ha negato prima la logica, quindi l’evidenza dei fatti, aggiustando versioni di comodo in corsa. Eccola l’«inoppugnabilità» dei documenti, per parafrasare il premier Enrico Letta nella sua accorata difesa di Alfano. Che però, come si vede, non assolve il ministro, ma lo affossa con l’intero apparato. Non ci fu “un prima” e un “dopo” nell’Operazione Ablyazov. Alla vigilia del blitz, i kazaki avvertirono l’autorità politica e gli apparati della sicurezza italiani che nella caccia grossa a Casal Palocco le prede erano due. Mukhtar Ablyazov e Alma Shalabayeva, di cui veniva segnalato in anticipo persino il falso passaporto centro africano che avrebbe poi effettivamente mostrato al momento del fermo. Con una differenza. Per Mukhtar, esisteva un titolo almeno formale che ne giustificava la cattura. Alma aveva la sola colpa di essere la sua compagna, madre di una bimba di 6 anni. «Vi chiediamo di deportarla». 28 maggio 2013. Tutti sapevano. Nessuno ha detto la verità. Che, per giunta, ieri in Senato, era sotto gli occhi di tutti. Soltanto a volerla vedere.
(La Repubblica)
Le vignette di ElleKappa - Repubblica.it
Altan
QUESTIONE DI VOCABOLARIO
Non sappiamo neanche come si chiamino di preciso,
ma ubbidiamo a loro come schiavi.
Come se non bastassero le dittature interne
e quelle storiche degli "alleati",
ora anche il Kazakistan ci impartisce ordini.
E noi
- poveri idioti -
calpestiamo i diritti civili in loro vece.
Un gran bel governo, non c'è che dire !!
Roberto Mangosi
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- Caso Shalabayeva, si dimette Procaccini.
- Alfano dia risposte precise
- Espulsione ingiusta e fretta immotivata
- http://www.repubblica.it/politica/2013/07/20/new/quel_cablo_da_astana_deportate_la_shalabayeva_
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domenica 19 maggio 2013
Argentina: Jorge Rafael Videla (1925-2013)
“Sono tranquilla: un essere disprezzabile ha lasciato questo mondo”.
Estela Carlotto, presidente delle Abuelas, le Nonne di Plaza de Mayo.
L’ex dittatore argentino Jorge Rafael Videla è morto venerdì 17 maggio. Aveva 87 anni.
Secondo alcune delle sue vittime, come le madri dei desparecidos, invece, Jorge Videla era morto da tempo. Come essere umano.
Si è spento nel carcere di Marcos Paz, vicino a Buenos Aires: era detenuto per le atrocità commesse durante il suo regime.
Condenado por crímenes de lesa humanidad
Era stato condannato a due ergastoli e ad oltre 50 anni di carcere, per la repressione dei dissidenti durante il suo mandato, dal 1976 al 1981. Con il ripristino della democrazia in Argentina, nel 1983, arrivarono i processi e le condanne.
Videla sospese le libertà sindacali e civili ed ammise di essere responsabile della morte di almeno 7.000 persone. I due ergastoli arrivarono da diversi processi, i rimanenti 50 anni da un dramma parallelo a quello dei desaparecidos: il rapimento dei loro figli. Decine di bambini nati durante la prigionia e la tortura delle donne, poi dati in adozione a famiglie di militari.
(fonte)
Argentina
L’ex dittatore argentino Jorge Rafael Videla, condannato all’ergastolo per la sanguinosa repressione avvenuta durante i cinque anni del suo regime, è morto in un carcere di Buenos Aires per cause naturali a 87 anni.
Quissù la mia tavola regalata alle Madres de Mayo in visita a genova a marzo. Qui un’altra vigna sulla morte del sanguinario.
Mauro Biani
Videla
Jan-Erik Ander
Videla di Valerio Marini
viavà
fabiomagnasciutti
Milko
by Enzo Apicella
Jorge Videla
Elihu Duayer
Desaparecido, at last! 18 May 2013
Videla
CeciGian
Vileda, il boia è desaparecido
Roberto Mangosi
Vileda (fraintendimenti)
Vukic
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LINKS
Note: video sui voli della morte
volo finale
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Estela Carlotto, presidente delle Abuelas, le Nonne di Plaza de Mayo.
Videla disegno di Martirena fonte |
L’ex dittatore argentino Jorge Rafael Videla è morto venerdì 17 maggio. Aveva 87 anni.
Secondo alcune delle sue vittime, come le madri dei desparecidos, invece, Jorge Videla era morto da tempo. Come essere umano.
Si è spento nel carcere di Marcos Paz, vicino a Buenos Aires: era detenuto per le atrocità commesse durante il suo regime.
Condenado por crímenes de lesa humanidad
Era stato condannato a due ergastoli e ad oltre 50 anni di carcere, per la repressione dei dissidenti durante il suo mandato, dal 1976 al 1981. Con il ripristino della democrazia in Argentina, nel 1983, arrivarono i processi e le condanne.
Videla sospese le libertà sindacali e civili ed ammise di essere responsabile della morte di almeno 7.000 persone. I due ergastoli arrivarono da diversi processi, i rimanenti 50 anni da un dramma parallelo a quello dei desaparecidos: il rapimento dei loro figli. Decine di bambini nati durante la prigionia e la tortura delle donne, poi dati in adozione a famiglie di militari.
(fonte)
Argentina
L’ex dittatore argentino Jorge Rafael Videla, condannato all’ergastolo per la sanguinosa repressione avvenuta durante i cinque anni del suo regime, è morto in un carcere di Buenos Aires per cause naturali a 87 anni.
Quissù la mia tavola regalata alle Madres de Mayo in visita a genova a marzo. Qui un’altra vigna sulla morte del sanguinario.
Mauro Biani
Il parco della memoria a Buenos Aires. (Giancarlo Ceraudo) |
Videla
Jan-Erik Ander
Videla di Valerio Marini
viavà
fabiomagnasciutti
Milko
by Enzo Apicella
Jorge Videla
Elihu Duayer
Desaparecido, at last! 18 May 2013
Videla
CeciGian
Vileda, il boia è desaparecido
Roberto Mangosi
Vileda (fraintendimenti)
Vukic
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LINKS
- La voz del represor que confirma sus crímenes
- Murió Jorge Rafael Videla, símbolo de la dictadura militar- La Nacion
- Il gerarca che non si è mai pentito- La Stampa
- La mano sinistra di Dio -Internazionale
- Berlusconi scherza sui desaparecidosL'Argentina convoca l'ambasciatore
- I voli della morte
- È morto il dittatore Videla
- Jorge Rafaél Videla dies in jail aged 87 The Guardian
Note: video sui voli della morte
volo finale
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martedì 7 maggio 2013
Giulio Andreotti (Prima parte)
Andreotti, la niùs del giorno.
Marilena Nardi
Tiziano Riverso
Andreotti död
Jan-Erik Ander (Svezia)
IL BACIO
E' morto Giulio Andreotti, protagonista indiscusso della storia italiana dal dopoguerra ad oggi.
Con lui nella tomba molti dei segreti che lo hanno accompagnato nella sua vita politica.
Gianfranco Uber
Davide Caviglia
È morto Andreotti
Vincino
SERGIO STAINO
Lutto
Andreotti.
Mauro Biani
Testimone diretto
Ancora.
Mauro Biani
Omissis estMauro Biani
Le vignette di ElleKappa - Repubblica.it
Andreotti
Mario Natangelo
Andreotti
Giulio Laurenzi
AFFINITA' ELETTIVERoberto Mangosi
La stanza per Andreotti
Vukic
KHAMARD
Olimpia De Angelis
Gianni Fioretti
Gava - Meno
Nico Pillinini
Pierpaolo Perazzoli
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Il coccodrillo come fa
Morto Giulio Andreotti. Proprio stasera che ricomincia Carosello.
(Dopo Jannacci e Califano, se ne va uno che non ha mai cantato)
La notizia della morte di Andreotti è stata data dalla famiglia. Ma allora non è vero che non lo vedevano dal 1980.
I parenti: «È rimasto lucido fino alla fine». Grazie alla saliva di Sgarbi.
La Bongiorno piange. Perché, hanno già rubato la salma?
Andreotti era in politica da più tempo della regina Elisabetta. E se voleva poteva indossare due cappelli.
La figura di Andreotti ispirò anche un film di Sorrentino. Le conseguenze dell'amore.
Schifani: «Con Andreotti scompare il simbolo della nostra democrazia». Quindi ora via alla dittatura.[Ma come, solo nove battute? Provate a ricaricare la pagina cliccando sull'immagine e avrete una sorpresa]
CONTINUA >>
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Ei fu... Giulio Andreotti
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