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mercoledì 29 marzo 2023

Vignetta: "Il cranio impoverito"

 Dopo l'attacco di quindici giorni fa  alla caricatura di Elly Schlein  questa settimana 

attaccano la vignetta di Riccardo Mannelli sulle dichiarazioni della Mannocchi.


Riccardo Mannelli, rieccoci. L’ultima volta, se ricordo bene, fu per “le cosce” di Maria Elena Boschi. È la stessa storia. La reazione a questa vignetta è la solita, dalle cosce in giù: malafede, pregiudizi e conformismo. ...



Giletti e Mentana hanno aperto la trasmissione "Non è l'arena" su la7 parlando della mia vignetta di oggi sul Fatto, sulla Mannocchi.

Mentana aggredendomi, dicendo che non è satira ma insulto, che è indecente insultare così una giornalista che sta sul campo di battaglia eccetera, come al solito....nessuno dei due mi nomina, come al solito e vanno avanti per più di cinque minuti con lo schifo e l'indecenza per il mio lavoro.La solita vigliaccata, perchè a me nessuno mi interpella, mi sparano solo addosso da lontano, cercando di delegittimarmi...ma il microfono l'hanno solo loro. Insomma, come al solito, continuo ad essere l'artista più chiacchierato e nessuno si azzarda a chiacchierare con me. Buffo, no?

Riccardo Mannelli 26/3/23



 

«ERANO TUTTI “JE SUIS CHARLIE”, OGGI SONO TUTTI IPOCRITI E TIFOSI CHE IGNORANO LA SATIRA»

Riccardo Mannelli, rieccoci. L’ultima volta, se ricordo bene, fu per «le cosce» di Maria Elena Boschi.

«È la stessa storia. La reazione a questa vignetta è la solita, dalle cosce in giù: malafede, pregiudizi e conformismo». 

Stavolta lei ha colpito una giornalista, Francesca Mannocchi.

«Era tutto fuorché un attacco personale a Mannocchi. Il punto è quello che ha detto: scemenze, credo. Anzi, è un eufemismo. Atrocità».

Quali?

«Più d’una, ma è gravissimo soprattutto il discorso sull’uranio impoverito. In Ucraina è quasi un anno e mezzo che si sparano addosso. Anzi molto di più, dal 2014. Queste armi sarebbero devastanti per i russi, ma pure per gli ucraini stessi. Come si fa a minimizzare?».

 Mannocchi non è una potente, in senso stretto. Perché fare satira su un’inviata di guerra?

«Ne hanno fatto un santino. E questo mi dispiace per lei. I suoi servizi vengono sempre presentati come “bellissimi”. Forse sarebbe il caso di smettere di definire così i reportage dalla guerra. Possono essere duri, struggenti, atroci, importanti, ma non “bellissimi”. E poi ci si lamenta dell’assuefazione. Il punto non è Mannocchi, ma ciò che dice: per me sono atrocità». 

Qualcuno l’ha anche accusata di aver deriso una persona con una malattia neurodegenerativa.

«È davvero un’infamia bassissima, delirante. Non so nulla del suo stato di salute. È imbarazzante che si arrivi a questi livelli, dovrei essere un boia per fare una cosa del genere. Quante persone che ho disegnato avranno avuto problemi di salute o situazioni personali? La satira è questione d’arte e basta. Non c’entra nulla con il giornalismo, né con l’informazione, la politica o la militanza, solo incidentalmente si incontra con la cronaca e la storia». 

Tra i tanti, Mentana in diretta tv ha detto che la sua vignetta «fa schifo»  e «non fa ridere».

«E senza nemmeno nominarmi, come un reietto. Mi hanno sparato addosso senza dignità di replica. Per fortuna non coincidono con l’opinione pubblica, loro. Anzi, credo siano agli antipodi».

Loro chi?

«Quella compagnia di giro che da decenni gironzola per le televisioni, sono sempre gli stessi. C’è una cosa che mi fa imbestialire nel merito. Anzi, due. E mi rimangio la parola “imbestialire”, perché a quanto pare la bestia sono io... La prima è l’ignoranza e la cialtroneria di chi dà per scontato che l’arte satirica debba coincidere con l’umorismo o la comicità. La seconda: almeno abbiate la bontà d’animo di dire “non mi fa ridere”. Parlate per voi. La risata è una delle espressioni più intime della persona umana. Anche più della commozione. Ce l’hanno più con lei o con il giornale per cui lavora? Credo entrambi. Mi trattano come un sicario del Fatto Quotidiano, come fossi il braccio armato di Travaglio o Padellaro. Ignorano la mia storia personale, credono di potermi umiliare e sputtanare, ma non mi offendo. Non sanno che sono stato inviato anche io in decine di guerre. E chissà dov’erano quando Scalfari mi cacciò da Repubblica nel 1989».

Perché la mandò via? 

«Quello che davvero non sopportava Scalfari era non poter vedere i miei disegni: con la scusa di essere inviato, i miei lavori li facevo arrivare direttamente la notte in tipografia (ride). L’ultimo reportage per Satyricon di Repubblica fu sul Partito socialista e il congresso dell’Ansaldo, l’apoteosi del craxismo: prevedevo un finale, chiaramente uno sberleffo, in cui si preparavano i ganci come in Piazzale Loreto. Due anni dopo scoppiò Mani Pulite. La satira certe volte ha capacità visionarie».

Dove sono finiti i santini di Charlie Hebdo?

«Si sono rimangiati tutto, ma ci sono abituati. Io peraltro avevo quasi smesso di fare satira all’inizio degli anni 2000, il terreno culturale ormai era questo qui. La satira non è un mestiere, sennò diventa routine e cinismo: la si può fare sempre e solo con una certa dose di pancia. Le testate con cui collaboravo mi utilizzavano solo per le illustrazioni. Ho ricominciato col Fatto Quotidiano. Sono stato antigrillino dall’inizio e tutto il mio antigrillismo l’ho pubblicato sul Fatto, con prese per il culo anche feroci. Ma ormai la storia personale di un autore non conta: ci sono solo i tifosi e gli schieramenti, gli amici e i nemici».

(Tommaso Rodano Riccardo Mannelli, Il Fatto Quotidiano, 28 marzo 2023)



Dal Fatto di oggi.




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Vignetta: “Riforme: lo stato delle cos(c)e”.



martedì 28 febbraio 2023

Primarie PD 2023: vince Elly Schlein

 


Mattia Feltri: "Bonaccini o Schlein? Idem" *


Segretari PD



https://www.ansa.it/.../elly-schlein-prima-donna-a...


New Party, old Party


Primarie PD
Franco Portinari / PORTOS


Elli Ciao

 Elli Schlein ribalta il voto degli iscritti e diventa la prima segretaria donna del PD.

Sia il risultato che la grande partecipazione dimostrano che c'è una grande voglia di cambiamento per una opposizione democratica di sinistra.

Auguri e buon lavoro!

Gianfranco Uber


Primarie PD
Altan

Disparità
Giannelli


Gli effetti delle primarie PD
Giannelli


Non ho vinto?
A sorpresa #EllySchlein vince le #primarie #PD e diventa segretaria del partito.
#StefanoBonaccini #partitodemocratico #primariepd2023
Tartarotti



#Elly #EllySchlein #PD #partitodemocratico #primarie #machine #italia #italy

Marco De Angelis



Allarme rosso

Riccardo Mannelli




Ai gazebo

Durando



Elly

Paolo Lombardi


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* =

I polli di Renzi

Mattia Feltri

La stampa 25 Febbraio 2023

Alla fine di una estenuante e non tonicissima corsa alla segreteria del Pd, si può dire che il cuore del dibattito è stato Matteo Renzi: quanto rimane di renzismo nei candidati, quanto furono compromessi col renzismo, quanto collaborarono col renzismo, quanto renzismo resta da far fuori e così via. Dentro il più autorevole partito della sinistra, il renzismo ha preso il posto del berlusconismo come categoria del male, probabilmente per la tendenza a dire chi non si è, non sapendo dire chi si è. Il problema è che Renzi non è stato un gerarca nazista o un liberista del Britannia, ma il segretario. Il loro segretario. Fu eletto nel dicembre del 2013 dopo essere arrivato primo sia nel voto degli iscritti sia nel voto degli elettori.

Due mesi dopo, febbraio 2014, convocò una direzione per sfiduciare Enrico Letta, presidente del Consiglio, e prendere il suo posto. Votarono a favore della mozione di Renzi in centotrentasei, sedici i contrari, due gli astenuti. Così, a occhio, un partito piuttosto compatto, e compattamente renziano. Nel 2017, dopo aver perso il referendum e lasciato Palazzo Chigi, Renzi si ricandidò alla segreteria, rivinse nel voto degli iscritti, rivinse nel voto degli elettori, e in entrambi i casi col settanta per cento delle preferenze. Di nuovo a occhio, fra chi lo ha votato o sostenuto la prima volta, chi la seconda, chi nella direzione del letticidio, chi ha incassato incarichi di governo, parlamentari, ruoli nel partito, candidature ed eurocandidature, ne saranno rimasti forse due o tre autorizzati a dirsi non renziani. E l’allucinazione collettiva non mi sembra tanto di allora, ma di oggi.

sabato 18 febbraio 2023

Regionali: Rocca e Fontana Stravincono...

Regionali Lazio e Lombardia
 Fontana e Rocca stravincono ma è allarme astensione, in Lombardia è al 41,67%, nel Lazio al 37,2% Il governo Meloni esce rafforzato, bilancio pesante per le opposizioni che non avrebbero vinto nemmeno unite.









3 Polo con Moratti
Franco Portinari




Dalle stelle... Maiorino

Franco Portinari Portos



Erano vignette singole debolucce, e pur di non buttarle via Giannelli ne ha fatto un Polittico politico senese. Accanto a Francesco Rocca ispirato a Primo Levi c’è un Berlusconi ormai con i fanoni; richiamo al mito della balena bianca democristiana, o forse il sorriso mostra delle sbarre, viso che oggi è attesa la sentenza per il Ruby-ter.
La Moratti mette in mostra una Calenda della palpebra, ma la domanda è: chi è a parlare nella finestra di Conte? Di Battista? La base? Majorino stesso dalla finestra accanto? Conte ha un ghost writer anche nelle vignette di Giannelli. Alla fine la somma vettoriale dei calembour è ZERO, sono saldi di fine stagione (politica), Majorino-minorino in una sola vignetta sarebbe stato davvero troppo. [UbiMinorMajorCessat] 
Giannelli



Mannelli



#elezioniregionali2023 #destra #altri #astensionismo #democrazia
Risultati e affluenza. Sintesi.
Mauro Biani



#elezioniregionali2023 #astensionismo
Disillusione.
Mauro Biani



Estragone but not forgotten

Fabio Magnasciutti





Fulvio Fontana




domenica 1 gennaio 2023

I post più popolari del 2022 di Fany-Blog

 E' tempo di statistiche!!!!

 Amici cari grazie di avermi seguita per tutto questo disastroso 2022! 

Dopo gli anni della pandemia tutto ci saremmo aspettati tranne che la guerra in Europa e  la sempre maggiore prevaricazione dei diritti umani specialmente quelli delle donne in tutto il mondo, specialmente quelli islamici. E poi il fenomeno Giorgia.

Ecco gli argomenti che avete preferito!

Un grazie particolare al caro amico Francisco Punàl Suarez per l'aiuto speciale. 


 Totale post editi 222


 Primo in classifica 

Per Mahsa Amini e tutte le donne iraniane

cover di Javad Takjoo

Secondo

Continuano le proteste in Iran, grande solidarietà per le donne iraniane in tutto il mondo.

cover di GIO / Mariagrazia Quaranta

Terzo

Giorgia Meloni (prima parte)

cover Marzio Mariani

Quarto

Auguri al papà di Eritreo Cazzulati

© Enzo Lunari


Quinto

Puoi scherzare su tutto... ma, purtroppo, non con chiunque.

Intervista a Marilena Nardi condotta da Pepe Pelayo


Sesto

Quirinale: Berlusconi si è ritirato

cover di Animazzoli


Settimo



Migranti: Scontro Italia - Francia

cover di Marilena Nardi


Ottavo

Giorgia Meloni (seconda parte)

cover di Ernesto Priego


Nono



Novak Djokovic is out.

cover di Marco D'Agostino


Decimo

La Settimana Enigmistica compie novant'anni

cover di Marco De Angelis



Concorsi



The 4th Libex competition : the 55 semi-finalist cartoonists

The 4th Libex competition : the 10 finalist

cover di Jitet Kustana


Il vignettista cubano Carlos David Fuentes è il vincitore dello European Cartoon Award 2022. Due secondi classificati a pari merito, tra cui la vignettista italiana Marilena Nardi.

cover di Carlos David Fuentes



World Humor Awards 2022: PREMI SPECIALI 2022

cover di Lucio Trojano



Tra i purtroppo...  Tanti Ciao


Per il Presidente David Sassoli

cover di Mauro Biani

L'ultima lezione di Piero Angela

cover di GIO



MIKHAIL GORBACHEV 1931 - 2022

cover di Joep Bertrams


La regina Elisabetta II, 1926-2022

cover di Niels Bo Bojesen


Art flashmob "War in Ukraine"


Di Simiiiara, Ucraina



TWEET


 cover di Egil Nyhus

cover di  Luc Descheemaeker “O-SEKOER”

 

cover di Andrea Arroyo

 

INSTANGRAM

8 marzo 2022 cover di Silvia Ziche

 

Centenario nascita Pasolini cover di Riccardo Mannelli

 

Angela Lansbury 
cover di Mauro Biani

 Nota: 
 cronologia fine 2022 
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Lettori fissi 165 (+4)

giovedì 22 dicembre 2022

Lando Buzzanca "La mia vita da merlo maschio"

Lando Buzzanca, all'anagrafe Gerlando Buzzanca (Palermo, 24 agosto 1935[1] – Roma, 18 dicembre 2022), è stato un attore e cantante italiano.

Quando ho sentito della sua morte mi sono ricordata del bellissimo ritratto che gli aveva fatto Riccardo Mannelli e così ho deciso di farvene partecipi:


LANDO BUZZANCA
su Robinson di Repubblica agosto 2019

Articolo di Antonio Gnoli e ritratto di Riccardo Manelli.

Quando ha accettato di vedermi mi ha chiesto: è sicuro di voler venire? Certo che sono sicuro, gli ho detto. E lui ha detto sarà dura. E io ho chiesto perché dovrebbe essere dura? Perché non mi ricordo quasi più un cazzo, ha detto. Brutalmente. E io ho detto: per essere uno che non ricorda un cazzo mi sembra abbastanza in sé. Beh allora proviamo.

Va bene e ho pensato che “il merlo maschio” aveva ancora tutte le penne. In effetti Lando Buzzanca, 84 anni compiuti oggi, conserva un’invidiabile forma fisica: asciutto, elegante nella sua camicia bianca aperta. Ha sandali ai piedi. È un signore curato che dimostra meno degli anni che ha. La stanza che mi accoglie è piena di libri e di tracce dei suoi film. Ci sono le immancabili foto di scena. Le donne che hanno attraversato la sua carriera. Qualche premio.

Le piace essere ricordato come una delle ultime versioni del maschio latino?

«Non mi piace, anzi no. Non me ne frega niente. Di che stavamo parlando?».

Vorrei fare una prova con lei.

«Che prova?».

Vorrei che lei mi dicesse che cosa prova in questo momento?

«Ho come la sensazione di un muro dentro la testa. Le parole ci sono ma devono arrampicarsi sul muro e scavalcarlo. A volte non ce la fanno a salire e poi a scendere».

Le parole sono importanti?

«Sono la risorsa principale in un uomo. Fino a quando sono rimasto in Sicilia parlavo solo dialetto. Mi uscivano le parole, ma non mi bastava». 

Cosa non le bastava?

«Volevo di più, volevo la lingua italiana».

In quale parte della Sicilia è nato?

«A Palermo. Presi il nome di mio nonno, Gerlando, che era un uomo straordinario. Chissà poi perché tutti i nonni hanno qualcosa di straordinario».

E suo padre?

«Un uomo comune. Non ricordo segni particolari. So che quando smisi il liceo prima della maturità, mi guardò inorridito. Non capiva quel gesto che per me era pura ribellione».

Si ribellava a cosa?

«Ai confini dentro i quali ero destinato a restare. Ero magro, prestante, agile. Non uno sportivo. Ma qualcuno che nei propri sogni si vedeva già attore».

Cosa fece?

«Lasciai Palermo e venni a Roma. Fu la fame a segnare quel periodo. Abitavo in una pensioncina vicino alla stazione. Ma poi finii i soldi e le panchine divennero letti poco accoglienti. Mi aggiravo come un disperato con le piaghe ai piedi. Avevo 17 anni e addosso un odore insopportabile. Però ero bellissimo. Seppi che in un cinema non distante dalla stazione c’erano delle donne un po’ avanti nell’età che ti pagavano».

Si scoprì gigolò.

«Non avevo soldi e non c’era lavoro. Entrai in questo cinemino loschissimo. Si accontentavano di qualche bacio furtivo. Poi una sera una donna di cinquant’anni, lo sguardo lievemente strabico, mi chiese di accompagnarla in albergo. La seguii».

Cosa accadde?

«Lei si spogliò nuda. Mi sorprese perché aveva ancora un corpo bellissimo. Sentii una specie di attrazione. Mi chiese di dormire con lei tutta la notte. Accettai. Poi fui preso da un’ansia fortissima. Pensavo: ma che sto a fare qui? Sono scappato da Palermo per ridurmi a questo? Mi rivestii e feci il gesto di salutarla. Dalla borsetta estrasse una scacciacani e me la puntò addosso. Le dissi: ma che fai? Tu devi restare qui tutta la notte, gridò. Tutta la notte!».

Si spaventò?

«Forse sì, non me lo ricordo. Tentai di calmarla. Inventai che la mattina seguente avevo degli esami all’università. Le parlai a lungo. Si convinse a lasciarmi andare. E quella fu l’ultima volta che feci il gigolò»

Al cinema come arrivò?

«Feci tre anni di scuola di recitazione, una scuola americana che da anni non c’è più. Proprio gli americani stavano preparando il film Ben-Hur riuscii a farmi prendere per una particina. Interpretavo il ruolo di uno schiavo e dovevo chiedere da bere a Charlton Heston. Furono 4 giorni di lavorazione a 15 mila lire a giornata. Mi sembrava di essere diventato ricco».

Lo è diventato quando giunse a recitare ruoli importanti. Chi le offrì la prima occasione?

«Fu Pietro Germi che nel 1961 mi diede una parte secondaria in Divorzio all’italiana. Gli piacque il mio modo un po’ stralunato di recitare. Interpretavo il ruolo del fidanzato e poi marito della sorella del barone Fefè interpretato da Mastroianni. L’anno dopo feci I giorni contati di Elio Petri, ricordo un grandissimo Salvo Randone. Poi nuovamente Germi mi volle per Sedotta e abbandonata e infine mi offrì una parte per Signore e signori. Ma ero impegnato e gli dissi no a malincuore. Il film ebbe un successo straordinario, ottenendo perfino il Grand Prix a Cannes e quella fu la sola volta che mi pentii per un rifiuto».

Com’era Germi sul set?

«Non sprecava molte parole, a volte era duro e curava maniacalmente i dettagli. Mi dispiace che alla sua bravura non sia corrisposta l’attenzione della critica. Fu bollato come un regista di destra. Liquidato come un uomo d’ordine. Non c’era accusa peggiore negli anni sessanta per un artista».

Anche lei è stato considerato un uomo di destra.

«È vero, dicevano che i miei film incoraggiavano il peggiore sessismo. Poi quando, non tanti anni fa, ho interpretato il ruolo di un padre il cui figlio è gay, da destra hanno cominciato a dire che ero diventato di sinistra. La verità è che ho avuto la fortuna di poter scegliere». 

E lei scelse “Il merlo maschio”, 1970.

«Le femministe insorsero senza capire che quel film era la tomba del machismo. Pasquale Festa Campanile aveva preso spunto da un racconto di Luciano Bianciardi. Mica l’ultimo arrivato».

La sua partner era Laura Antonelli.

«Fu scelta all’ultimo momento. Non sapevo nulla di lei. All’inizio ero contrariato, poi si dimostrò una grande professionista. Il merlo maschio ebbe un successo clamoroso in Francia e so che Jean-Paul Belmondo si innamorò di Laura vedendo quel film».

Cosa pensa del suo declino?

Terribile. Vidi le sue ultime foto, imbruttita in una maniera che non si poteva immaginare. Della donna bellissima che aveva avuto un ruolo nel Merlo maschio non c’era più traccia».

Quel film le ha lasciato appiccicata la fama di maschio latino.

«A me le donne sono sempre piaciute e non mi sono quasi mai tirato indietro. Però quando mi proposero la commedia sexy all’italiana ho rifiutato e sono passato a fare televisione e poi teatro».

Perché? In fondo l’erotismo pecoreccio di quegli anni divenne un fenomeno molto popolare. Un genere come gli spaghetti western.

«Ma erano commediole insulse. Le inquadrature di tette e culi superavano di gran lunga quelle del resto del corpo».

Eppure da lì uscirono attori come Lino Banfi.

«Mica parliamo di Lawrence Olivier. E poi Banfi si sarebbe imposto a prescindere».

So di un suo Don Giovanni tanto per restare in tema.

«Feci nel 1967 il film Don Giovanni in Sicilia per la regia di Lattuada. Poi, molto più tardi, portai a teatro la commedia di Molière. Tre anni in giro per l’Italia. Quello fu un momento di grande consapevolezza».

Che intende?

«Non lo so, non mi vengono le parole».

Pensava di essere maturato come artista?

«Esatto».

È diventato un attore completo.

«Mi hanno chiamato anche per ruoli drammatici e credo di non aver mai sfigurato».

Quanti film ha fatto?

«Più di novanta, non ho il conto preciso».

Quante donne ha avuto?

«Ci risiamo. Comunque tante, ma una sola ha contato veramente».

Chi?

«Mia moglie, siamo stati insieme per più di cinquant’anni. Non mi ricordo, scusa, quando è morta. Aspetta, aveva 73 anni. Ha sofferto molto e mi sono sentito un verme per tutti i tradimenti, le bugie, le implorazioni. Veniva da una famiglia ricca. Di gioiellieri. Suo padre le disse che aveva sposato un morto di fame. Forse era vero. Forse non doveva. Ma lei se ne è fregata».

Ho letto che da questa storia ne uscì con un tentativo di suicidio.

«Ma non è vero. Lo hanno scritto, ma non è vero. Stavo male, questo sì. Ma sono tutte minchiate. C’ho pensato. Ma sono tornato indietro. Non mi ricordo la dinamica. Ma sono tornato indietro. Come arretrare e poi uscire da un brutto sogno».

Torna mai in Sicilia?

«Tutto quello che ho dentro mi viene da lì. Ma non ci torno. Mi piace stare a Roma. Nonostante i topi, le buche, la mondezza è ancora la città che amo di più».

Ama anche qualcos’altro?

«Se è alle donne che pensi, ho una relazione con una che ha 40 anni meno di me. Le dico, lascia stare. Non vedi come sono ridotto? Non c’è verso. Si ostina a pensarmi come a una persona fondamentale».

Forse lo è.

«Forse la sposo, si chiama Francesca».

Fa ancora cinema?

«No, non sono in condizioni e poi, dico la verità, mi fanno proposte indecenti. Però c’è una cosa che se ci riesco mi piacerebbe dirti».

Quale cosa?

«Mi presento una mattina da Francesca e lei è davanti a me vestita da sposa. Io le dico: ti ho portato dei fiori. Lei mi guarda e con disappunto nota che sono vestito male. Poi dice: ma lo sai che dobbiamo sposarci e i testimoni sono nell’altra stanza che attendono? Io tiro fuori un foglietto dalla tasca dei pantaloni, lo leggo e le dico: qui non c’è scritto che dovevamo sposarci».

È un sogno?

«Non lo so più. Forse è un sogno, forse è la scena di un film che mi piacerebbe girare e interpretare».

Sogna spesso?

«Non molto, ma quando sogno in genere sono i personaggi che ho interpretato. È come se mi fossero restati attaccati addosso. Io ho una mia teoria sugli attori».

Quale?

«O ti cali nel personaggio fino a diventarlo interamente; oppure reciti una parte e allora sei un semplice attore».

Le viene in mente un esempio?

«Marcello Mastroianni era personaggio. Era come se non recitasse. In Divorzio all’italiana era veramente il barone Fefè. Vittorio Gassman fu più attore, con l’eccezione di due film in cui fu personaggio: Il sorpasso e Profumo di donna. Le piace la mia teoria?».

È stato più attore o personaggio?

«Io spero più personaggio, anche se non spetta a me dirlo».

Com’è una sua giornata?

«Non lo so, non ci penso. Però stamane mi sono alzato con la paura di doverti incontrare. Dal 2017 è come se nel mio cervello avessi innestato la retromarcia o il freno tirato. Non lo so. Mi prescrivono farmaci. Dicono: servono per la memoria. Ma quale memoria? Il futuro non mi spaventa. Il passato sì. Non riesco più a starci bene. È come un abito troppo stretto. Se morissi sarei contento, che cazzo mi significa più questa vita? Francesca è convinta che arriverò a cento anni. Ma a che mi serve, non è più vita è solo una stronzata».




Lando Buzzanca, l'istrione della commedia che non riuscì a farsi amare dalla critica
di Alberto Crespi per Repubblica

L’attore è morto a Roma a 87 anni. L’esordio con i maestri, i film sexy e un’etichetta, culturale e ideologica, che si portò dietro tutta la vita
Sgombriamo il campo da ogni equivoco: Lando Buzzanca, morto a Roma all’età di 87 anni, è stato un ottimo attore. E per alcuni anni – soprattutto per un decennio, gli anni 70 – è stato un divo, capace di raggiungere una popolarità tutt’altro che univoca. Era il divo dei film sexy, grazie a pellicole firmate da registi come Marco Vicario (Homo eroticus) e Pasquale Festa Campanile (Il merlo maschio) delle quali, poi, parleremo. Ma era anche un divo televisivo, quindi per famiglie, capace di tener testa a una vedette assoluta come Delia Scala in una commedia musicale (Signore e signora) che nell’inverno del 1970 fece ascolti pazzeschi sul primo canale della Rai. E la sua immagine di “homo eroticus” era talmente forte che venne intitolato Lando uno di quei fumetti scollacciati che venivano letti praticamente solo nelle caserme.
Anni dopo, Buzzanca aveva un rapporto ambivalente con questo passato così complesso. Era orgoglioso del successo che aveva ottenuto, e al tempo stesso sembrava volersene distaccare accettando ruoli lontanissimi dal proprio cliché, come quello di un anziano omosessuale nel film Chi salverà le rose? di Cesare Furesi, del 2017. Si lamentava spesso e volentieri di un presunto ostracismo esercitato nei suoi confronti “dalla sinistra”, e al tempo stesso parlava quasi con ironia della sua militanza in Alleanza Nazionale (raccontava che quando Gianfranco Fini gli aveva proposto di candidarsi alle elezioni, gli avesse chiesto quanto guadagnasse un deputato e avesse quindi rifiutato ridendo, perché quei soldi “io li guadagno in una settimana”).
E pensare che una delle prime cose importanti, al cinema, l’aveva fatta con Luchino Visconti, noto comunista: nel 1963 (a 28 anni) aveva doppiato il personaggio di Don Ciccio Tumeo, interpretato da Serge Reggiani, ne Il Gattopardo. È assolutamente vero che negli anni 70 i suoi film venivano stroncati “a prescindere”, avrebbe detto Totò, dalla critica di sinistra: da un lato sarà bene dire che molti erano veramente brutti, dall’altro è giusto rimarcare che una critica troppo attenta al cinema autoriale non si sforzò minimamente di capire alcuni dei ruoli che portarono Buzzanca alla popolarità. Proviamo a farlo adesso.
Buzzanca, al cinema, partì bene, con ruoli magari piccoli in film di grandi registi: Pietro Germi, Elio Petri, Antonio Pietrangeli, Luciano Salce, Steno, Dino Risi (appare in un episodio di I mostri). Poi apparve in ruoli “alimentari” in alcune parodie, come Ringo e Gringo contro tutti di Bruno Corbucci e Per qualche dollaro in meno di Mario Mattoli. Paradossalmente fu proprio un film d’autore, Don Giovanni in Sicilia di Alberto Lattuada (1967), a cucirgli addosso lo stereotipo del siciliano sessualmente focoso.
Al grande pubblico piacevano ovviamente gli aspetti più esteriori di quei personaggi; la critica non colse, però, quanto la messinscena del maschio italiota aggressivo nascondesse risvolti oscuri, quasi patologici. Homo eroticus è in sostanza la storia di una malattia: un uomo del Sud che ha successo fra le donne borghesi e insoddisfatte del Nord perché affetto da triorchidismo, ovvero da un numero eccessivo di testicoli. Il merlo maschio racconta di un uomo frustrato che sfrutta l’esibizionismo della moglie per fare carriera. L’uccello migratore di Steno è la storia di un insegnante meridionale completamente spaesato nella Roma della politica e della contestazione. Io e lui (di Luciano Salce, dal famoso romanzo di Moravia) è una storia in cui “lui”, l’organo sessuale maschile, porta il proprio “padrone” alla rovina. E così via. In questi film Buzzanca sarà anche un macho, ma è quasi sempre un disadattato.
L’attore, ovviamente, era tanto bravo e intelligente da saperlo benissimo. Infatti in questi film – e nei tanti film commerciali girati in quegli anni – il registro espressivo più utilizzato da Buzzanca è il grottesco, condito con abbondanti dosi di ironia. Non aveva il “fisico” del comico, ma di fatto lo era. Non lo si può assimilare né ai “colonnelli” della commedia all’italiana, né ai comici delle commedie di serie C (Bombolo, Alvaro Vitali…): di fatto frequentava un genere tutto suo, che ha contribuito ai favolosi incassi del cinema in un’epoca in cui gli italiani riempivano le sale come se non ci fosse un domani.
Successivamente, al cinema e in tv, ha avuto l’occasione di mostrare il proprio talento: ad esempio comparendo in I viceré di Roberto Faenza (2007), ispirato allo stupendo romanzo di Federico De Roberto; o in serie tv di qualità come Il restauratore, andata in onda su Rai 1 dal 2012 al 2014; e come Mio figlio (prodotta da Rai Fiction nel 2005) nella quale interpreta un anziano commissario che fatica ad accettare l’omosessualità del figlio. Ruolo per il quale, per i bizzarri giri della storia, dell’opinione pubblica e del comune senso del pudore, ha ricevuto critiche da parte di diversi esponenti del centrodestra.
Lando Buzzanca sembrava destinato a non accontentare mai nessuno, a cominciare da se stesso. Solo il pubblico non l’ha mai tradito. E in fondo, questa era la sua più grande soddisfazione.