Visualizzazione post con etichetta psicologia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta psicologia. Mostra tutti i post

lunedì 24 aprile 2017

More Alive Than Dead (più vivo che morto) -trailer

More Alive Than Dead
from Tzachi Schiff

trailer del lungometraggio di Tzachi Schiff su Freud,
More Alive Than Dead (più vivo che morto)
tra gli interpreti Horacio Cardo
famoso artista argentino sue le opere qui sotto




Hace cuatro años, dos cineastas israelíes que recorrían sudamérica en sabático, entraron por casualidad en mi exposición "Psicomigraciones", en Recoleta, que los motivó a tal punto como para llamarme aa mi casa en Pinamar. Querían pedirme permiso para filmar la muestra. Nos reunimos en Buenos Aires y luego se trasladaron hasta mi casa, donde filmaron cuadros, dibujos, el sitio y me reportearon extensamente. Decidieron hacer un largometraje utilizando todo ésto, el cual llamaron "More alive than dead" (más vivo que muerdo), el cual se presenta a partir de la semana que viene en el Bafici. Los invito a todos a verlo. Creo que les interesará. Gracias.
Quattro anni fa, due registi israeliani che percorrevano il Sudamerica in riposo sabbatico, sono entrati nella mia esposizione "Psicomigraciones", a Recoleta. Gli è piaciuta a tal punto di chiamarmi a casa mia a Pinamar. Volevano chiedermi il permesso per filmare la mostra. Ci siamo incontrati a Buenos Aires e poi si è trasferiti a casa mia, dove hanno filmato dipinti, disegni, il sito e mi ripresero ampiamente. Hanno deciso di farne un lungometraggio utilizzando tutto questo, che chiamarono "more alive than dead" (più vivo che morto), il quale sarà presentato a partire dalla prossima settimana nel festival di Buonosaires Bafici. Vi invito tutti a vederlo. Credo che vi interesserà. Grazie.
Horacio Cardo
-

More Alive Than Dead Trailer BAFICI 2017 (Spanish) from Tzachi Schiff on Vimeo.
-
Secciones: Pasiones Premiere internacional
¿Fue Sigmund Freud el genio revolucionario que cambió nuestra forma de pensar o un charlatán que les robaba teorías a otros? Reconocidos expertos, animadores, humoristas y músicos reflexionan sobre la influencia del pensamiento freudiano en nuestra cultura.

Ninguna revolución se realiza sin generar una reacción contraria. Obligado por el contexto de su época, Freud trató de anticiparse a sus enemigos exponiendo su pensamiento con una cuidada calidad argumentativa. Varias voces se le opusieron, dentro y fuera del psicoanálisis. A pesar de eso, su teoría se instaló en la cultura occidental. Yo, Ello y Superyó. Asociación libre, inconsciente, actos fallidos. No hay lugar del mundo de las ideas, la salud y las artes que no esté tocado por alguno de sus conceptos. More Alive Than Dead apunta a las certezas y controversias del hombre detrás de las ideas freudianas. En un mundo igual pero diferente, de posverdad y hechos alternativos, donde un buen argumento tiene que combatir contra un eslogan y una teoría contra una chicana, las ideas de Freud aún tienen nafta. Marcos Zurita




Il sito di Horacio Cardo


lunedì 4 gennaio 2016

Ritratto di Luigi Zoja

Su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli

e l'intervista di Antonio Gnoli

a Luigi Zoja


Luigi Zoja: "Siamo vittime di noia e paranoia e non viviamo più di miti universali"
La laurea in economia prima della passione per la psiche. La scoperta di Jung, il rapporto con Hillman: "Lo scopo del mio lavoro è la ricerca del senso"

di ANTONIO GNOLI

In tempi in cui la barra della storia sembra passata dalla psiche individuale a quella collettiva mi viene di pensare a Carl Gustav Jung. Alla sua visione a tratti allarmata e profetica degli effetti che l'inconscio collettivo ha prodotto sull'annegamento della coscienza singola. E se il pensiero mi sfiora lo debbo anche a un prezioso libretto che Luigi Zoja ha dedicato alla psiche (in uscita da Bollati Boringhieri). Di questo junghiano avevo letto in passato un'analisi, sul rapporto tra paranoia e storia, così acuta da invogliarmi a grattare sotto al suo mestiere per capire chi fosse e cosa facesse in realtà questo studioso così attratto dalle grandi questioni sociali più che dalle singole anime. Un motivo per conoscere, dunque, un uomo nato sotto i bombardamenti, a Milano nell'agosto del 1943.

Che cosa ha ricostruito di quei momenti legati alla nascita?
"In quei mesi i bombardamenti distrussero un quarto di Milano. Genitori, zii, nonni si trasferirono insieme sul Lago Maggiore. Mi raccontarono che per via degli incendi, le notti milanesi non erano mai buie. Mia madre guardava gli aerei con sentimenti contraddittori: più bombe arrivavano più presto sarebbe finita, pensava. La guerra  -  con i suoi vinti e vincitori,

sabato 12 luglio 2014

Ritratto di Eugenio Borgna

Il 26 maggio su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Eugenio Borgna 

Eugenio Borgna: "L'anima non guarisce mai del tutto, le resta sempre accanto un'ombra"

Dagli studi universitari all'interesse per quei malati un tempo tenuti ai margini, lo psichiatra racconta come è cambiata la disciplina
di ANTONIO GNOLI

LA PRIMA cosa che viene in mente osservando Eugenio Borgna, mentre è ad attendermi alla stazione di Novara, è il suo spiccato senso di gentilezza. Nelle movenze dinoccolate di quest'uomo alto e asciutto, che flette lieve verso l'altro come un giunco, si coglie la disponibilità rara dell'ascolto. Ci fermiamo, vista l'ora di pranzo, a un ristorante gradevole e semivuoto: "Qui veniva Scalfaro", ricorda Borgna.

E ho l'impressione di un altro tempo. Che è la medesima sensazione che provo nella casa di questo grande psichiatra: vasta, spoglia, ma anche sovraccarica di libri. Come congelata in un altro tempo. Forse più prezioso. Più intimo. Certamente meno duro e perfino più fragile. Proprio al tema della fragilità Borgna ha dedicato un libretto ( La fragilità che è in noi, edito da Einaudi) ricco di considerazioni tenui. Intonate al pastello più che all'acido; alle sfumature più che ai tratti decisi. Ho l'impressione che il pensiero di quest'uomo si svuoti dell'aggressività necessaria in una società votata all'urlo e alla chiacchiera.

Cosa rappresentano le parole per un medico come lei?
"Le parole hanno un immenso potere. Ci sono parole troppo dure e violente. Troppo inumane. Che i medici, non tutti per fortuna, rivolgono al malato. E ci sono parole in grado di aiutare l'altro. Le mie parole sono state anche domande a me stesso e agli altri. Sono i dubbi e le incertezze che ho seminato lungo la mia lunga vita".

Che ha avuto inizio dove?
"A Borgomanero, a una trentina di chilometri da qui. Vi ho trascorso la mia infanzia e poi l'adolescenza. Interrotta bruscamente quando i tedeschi nel 1943 occuparono la nostra casa. Mio padre, avvocato, faceva parte della Resistenza. E noi, sei figli, con mia madre che teneva in braccio l'ultimo nato, ci avviammo a piedi verso la collina dove protetti da un parroco ci nascondemmo".

Quanto durò?
"Sei mesi. Tornammo per constatare che la casa era stata distrutta. A poco a poco la vita riprese. La scuola, poi il liceo, infine l'Università a Torino e la specializzazione a Milano nella prima clinica per le malattie nervose ".

Perché quel tipo di scelta?
"Sulle orme paterne avrei potuto fare l'avvocato. O magari il letterato avendo divorato i libri della biblioteca di mio padre. Ma compresi, grazie anche alla letteratura e alla poesia, che occuparsi delle persone che stavano male poteva dare un senso più autentico alla mia esistenza".

Essere autentici è un dovere?
"Diciamo che avvertivo il desiderio di una verità più grande di quella che di solito osserviamo".

Mi faccia capire.
"Dopo un po' che frequentavo la Prima clinica mi accorsi che esistevano due tipi di pazienti, ben distinti: neurologici e psichiatrici. Questi ultimi erano ignorati".

Perché?
"Si pensava che solo le malattie del cervello meritassero attenzione. Mentre a me interessava relativamente quel tipo di indagine. E fu attraverso quei pochi pazienti psichiatrici, tenuti ai margini, che scoprii un mondo di dolore e di sofferenza che mi parve più autentico di quello biologico e organicistico".

Non le bastava la verità clinica?
"No, desideravo toccare una verità più esistenziale. Non volevo l'oggettività del neurologo. Ero portato ad ascoltare la sofferenza e l'angoscia come aspetti di una soggettività più complessa. Avevo 32 anni e una libera docenza che mi dischiudeva le porte per una grande carriera milanese".

E invece?
"Decisi  -  tra lo sconcerto dei colleghi, dei superiori e degli amici  -  di accettare il posto di direttore del reparto femminile dell'ospedale psichiatrico di Novara. Quando entrai vidi all'esterno degli enormi giardini. Mi accompagnava un silenzio assoluto. E malgrado fosse inverno le finestre dell'ospedale erano spalancate. Con i pazienti che guardavano fuori".

Una scena irreale?
"Sembravano le marionette di un teatro dell'assurdo. Ma era niente rispetto alla situazione che trovai all'interno. Quello che vidi fu raccapricciante: i pazienti legati o rinchiusi in spazi asfissianti. Le urla e i lamenti. Era agghiacciante. Sembrava di essere in un carcere crudele e senza senso. So bene che oggi la situazione è cambiata, ma allora, nei primi anni Sessanta, fu sconvolgente constatare che c'erano esseri umani cui era stata tolta la dignità del vivere".

Come reagì?
"Provai una profonda vergogna. E al tempo stesso capii che avevo fatto la scelta giusta. Provai a cambiare la situazione. Aprii le porte e vietai l'uso dei letti di contenzione. Nessun paziente poteva più essere legato. Chiamai da Milano alcuni assistenti con i quali avevo lavorato e che avevano, come me, combattuto contro certi metodi".

Metodi comunque fondati su una lunga tradizione clinica.
"Certo. In quelle decisioni non c'era malvagità, ma tanto pregiudizio. Meglio: l'incapacità di capire veramente cosa si nasconde nella follia".

Non è facile trovare un varco per la comprensione.
"Non lo è finché ci si rifiuta di pensare alla schizofrenia come a una forma di esistenza. Certo diversa dalla nostra normalità, ammesso che esista, ma pur sempre esistenza vitale".

Lei dice: la schizofrenia è un mondo vitale. Cosa ha trovato in quel mondo?
"La schizofrenia è una delle forme di sofferenza più enigmatiche e strazianti che si conoscano. Si radica, per lo più, nella crisi esistenziale segnata dal passaggio dall'adolescenza alla giovinezza".

Si insinua nel mutamento degli orizzonti di vita?
"Esattamente. E può essere vista come un'anarchica e totale perdita di senso, oppure essere riconosciuta, compresa e utilizzata solo se si riesce a guardarla con un forte atteggiamento interiore".

Intende dire che ci si deve porre alla stessa altezza della malattia?
"Intendo dire che le radici della malattia sono esistenziali e non cliniche. E questa convinzione fa venir meno il rapporto asimmetrico tra medico e paziente".

Ma è pur sempre il medico che decide per l'eguaglianza.
"È vero. Ma con quella decisione è il medico a mettersi in discussione. Negli anni della mia professione ho capito che o si tenta di rivivere le cause del dolore e dell'angoscia degli altri, con tutte le risonanze e i rischi personali, oppure si è destinati al fallimento".

C'è un modo certo per registrare questo fallimento?
"La nostra maschera portata davanti a chi vive immerso in una condizione schizofrenica è immediatamente percepita nella sua insopportabile finzione e lontananza ".

Cos'è per lei la guarigione?
"Parlando di guarigione in psichiatria c'è il rischio di sconfinare in una segreta violenza".

Cioè?
"Intesa in senso dogmatico la guarigione vorrebbe sanare tutto; risolvere ogni problema legato alla malattia ".

E invece?
"La guarigione assoluta, in psichiatria, è solo un gesto totalitario. L'altra faccia, se vuole, del modo in cui la scienza dell'anima si è lungamente accanita sul corpo del malato. Senza pudore né dignità. Personalmente sono convinto che la guarigione avvenga anche quando i sintomi della malattia continuano a manifestarsi. Si può guarire continuando ad avere accanto quest'ombra ".

Non ha mai temuto di essere lei stesso avvolto o sfiorato da quell'ombra?
"Mi sta chiedendo se il peso di ciò che ho sostenuto in questi lunghi anni mi abbia in qualche modo coinvolto più del dovuto?".

Sì. Nel senso che se si fa propria la sofferenza del paziente cade ogni distinzione.
"Viene meno la distanza e con essa ci si apre alla sofferenza dell'altro. Penso anche che la sofferenza sia una condizione necessaria alla via della conoscenza" .

Ma è una domanda più diretta che vorrei farle e che spieghi la sua "posizione scomoda": ha mai sofferto di depressione?
"Sì, è un universo che in alcune fasi della mia vita mi ha inghiottito".

E cosa si prova?
"Nella depressione si vive come sprofondati nel passato. Non si vede più il futuro né la speranza. Si blocca la percezione del cambiamento; si sprofonda nelle cose avvenute che non mutano mai. E poi affiora l'esperienza fiammeggiante della colpa: una delle ragioni del nostro strazio. Ma nei miei quarant'anni di manicomio ho imparato che ci sono tante forme di depressione a seconda dei nostri caratteri e delle nostre emozioni. Teresa di Lisieux vedeva nella malinconia il sentiero per conoscere Dio".

C'è un nesso tra psichiatria e misticismo?
"Ovviamente no se si considera la psichiatria solo una scienza positiva. Ma le esperienze mistiche ci inducono a riflettere sugli abissi dell'anima, sulle sue lacerazioni. E non può immaginare quante volte mi sia trovato davanti alle oscure notti dell'anima".

Si nota quasi un desiderio di ricorrere alla religione.
"Non alla religione in quanto tale. Ma a certe sue pratiche: voler camminare con l'altro, immedesimarsi nell'altro. Si parla tanto di etica. Dove pensa debba stare tra il cuore di ghiaccio e il cuore segnato dal dolore? Dalla sofferenza occorre uscire. Ma guai non averla mai provata in vita".

Crede in Dio?
"Credo in senso pascaliano all'idea del mistero. Non credo a un Dio razionale che ordina il mondo. Oltretutto, visti i risultati, sarebbe stato un pessimo architetto. Ciascuno deve fare bene il proprio lavoro".

E il suo, ora che non ha più l'ospedale?
"Continuo a dedicare parte del mio tempo ai pazienti. Senza di loro mi sarei trasformato in un piccolo funzionario. Decida lei se del bene o del male".

E il resto della giornata che fa?
"Leggo e scrivo i miei libri. È un'altra maniera di raccontare il dolore e le fragilità umane. A volte per mesi non riesco a scrivere. È come se il buio calasse in me. Durò a lungo dopo la scomparsa di mia moglie".

Cosa accadde?
"Soffriva di una malattia autoimmune. Se la trascinò per buona parte della vita. E provai spesso dolore e disperazione. Morì 14 anni fa. Era una psichiatra infantile. Con un carattere molto dolce. Ancora oggi ne avverto il vuoto".

Cos'è la mancanza?
"Qualcosa che ci accompagna per sempre e che cerchiamo disperatamente di mettere tra parentesi. Ma si può ingabbiare ciò che non avremo mai più?".

Le cose passano. Destinate come sono a finire. Soprattutto nell'orizzonte della vecchiaia.
"Muta la luce, non necessariamente la materia".

E la vecchiaia di uno psichiatra?
"Perché dovrebbe essere diversa da quella di un fabbro o di un insegnante di matematica? Conta molto il destino di come è stata la propria vita".

Destino è una parola impalpabile.
"Sono le migliori. Le meno usurate. Il destino non lo intendo come la macchina inesorabile del fato. È sapere ancora una volta leggere dentro di sé. Riconoscersi. Freud lo fece da giovane e da vecchio. Fino a quando le forze lo sorressero continuò a lavorare. L'importante è non farsi divorare dall'homo faber. Solo così si ha più tempo per ascoltare".

Non teme il tempo della clessidra?
"Lo temo oggi come lo temevo da giovane. Ho sempre avuto la percezione acutissima dell'imprevedibile. Il morire era per me una possibilità immanente a trent'anni e adesso".

Citava Freud. Che rapporto ha con la psicoanalisi?
"Nessuno in particolare. È una grande esperienza culturale. Abbastanza inservibile per la schizofrenia".

Perché?
"Gli schizofrenici non possono raccontare i loro sogni perché non sognano. Servono altre strade. Altre parole. Starei per dire altri dolori. Sa una cosa che vorrei?".

Dica.
"Vorrei che non ci fossero più giorni muti e senza parole. Vorrei che anche quando il silenzio avvolgesse le nostre vite esso avesse la forma della dignità e non dell'indifferenza ".

sabato 14 dicembre 2013

Ho un cane nero, il suo nome è depressione



Ho  un cane nero, il suo nome è depressione
I had a black dog, his name was depression




At its worst, depression can be a frightening, debilitating condition. Millions of people around the world live with depression. Many of these individuals and their families are afraid to talk about their struggles, and don't know where to turn for help. However, depression is largely preventable and treatable. Recognizing depression and seeking help is the first and most critical towards recovery.

This video was produced by the World Health Organization to mark World Mental Health Day 2012, writer and illustrator Matthew Johnstone tells the story of overcoming the "black dog of depression".

For more information on World Mental Health Day and the work of the World Health Organization in this area, please visit:
 http://www.who.int/mental_health/en/


Matthew Johnstone, artista australiano, ha disegnato per l'organizzazione mondiale della sanità (WHO) questo bel video contro la depressione nel 2012. Milioni di persone in tutto il mondo soffrono di depressione
La depressione può essere una spaventosa condizione debilitante. Molti di questi individui e le loro famiglie hanno paura di parlare delle loro lotte, e non sanno a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Tuttavia, la depressione è in gran parte prevenibile e curabile.

Riconoscere la depressione e cercare aiuto è il primo passo ed il più critico verso la ripresa.

Per ulteriori informazioni sulla Giornata mondiale della salute mentale e il lavoro dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in questa zona, si prega di visitare il sito:
 http://www.who.int/mental_health/en/




Avevo un Cane Nero. Il Suo Nome era Depressione

mercoledì 25 luglio 2012

Manuale di Psicologia del Fumetto di Marco Minelli

E' in libreria un libro speciale nel suo genere

di Marco Minelli

Manuale di Psicologia del Fumetto

Eroi di Carta e lettori appassionati

Collana: Ricerche e Contributi in Psicologia
Pag. 120, formato cm 15x21 cm., rilegato in brossura
Edizioni Psicoline


25/07/12 - E' da poco uscito in libreria, per i tipi della Edizioni Psiconline, "Manuale di Psicologia del Fumetto. Eroi di carta e lettori appassionati", scritto da Marco Minelli.
L'autore, che nasce a Roma 1967 ed è bambino durante il boom del fumetto degli anni ’70, ha lavorato per vent’anni in strutture psichiatriche ed in servizi sociali rivolti ad adolescenti. Oggi è Psicologo clinico in provincia di Como dove si occupa di consulenza psicologica individuale e della promozione del benessere psicologico nelle scuole e nelle case di riposo.
Marco Minelli nel suo libro (120 pagine, formato 15x21, 12 euro) affronta con perizia e competenza un argomento che è per lui anche fonte di interesse personale e che quindi conosce approfonditamente. Ne emerge un lavoro particolarissimo ed unico nel suo genere che potrà risultare di particolare interesse sia agli esperti del settore sia agli appassionati che potranno, all'interno delle sue pagine, scoprire i meccanismi psichici che ci spingono ad appassionarci particolarmente ad un erore di carta e a seguirlo nella sua "vita" immaginaria.
E’ ormai più di un secolo che i fumetti sono di fatto una delle letture più frequenti di bambini, adolescenti ed anche adulti. In mancanza di una specifica disciplina di “fumettologia”, improbabile anche per il futuro, gli studi sul fumetto sono stati condotti nell’ambito della semiologia, dell’antropologia, della sociologia, della pedagogia e della psicologia.
L’analisi psicologica dei fumetti assume molta importanza quando ci si accorge che essi possono essere considerati come uno specchio della società in un determinato momento storico. Infatti gli eroi di carta riflettono in ogni epoca, i bisogni, le caratteristiche, i valori e le fantasie che rappresentano quel che prevale nelle strutture della personalità delle nuove generazioni.
Ricostruendo la storia del fumetto nel novecento ed individuando le categorie di generi narrativi è possibile comprendere attraverso quali meccanismi psicodinamici i lettori dei singoli generi e gli affezionati ai singoli personaggi strutturano il loro interesse e costruiscono le loro difese per poter continuare a fruire del singolare piacere offerto da questi albi che sintetizzano il linguaggio verbale della letteratura e quello per immagini proprio del cinema.
(fonte)