Intervista esclusiva a Fadi Abu Hassan, «Fermare i discorsi di odio che portano alla divisione del mondo in due campi è molto semplice: significa fermare il colonialismo e le guerre in tutto il mondo»
martedì 26 dicembre 2023
Intervista esclusiva a Michel Kichka.
BY PAGINA 21
Intervista esclusiva a Michel Kichka. «L’Israele in cui siamo emigrati era un Paese che apparteneva all’Internazionale Socialista»
La mancanza di riconoscimento reciproco tra israeliani e palestinesi, l’incapacità dei leader di raggiungere un accordo e accettare una soluzione di compromesso, l’aumento della violenza terroristica palestinese e la pesante repressione israeliana hanno contribuito a radicalizzare le posizioni di entrambe le parti.
Provieni da una famiglia di ebrei ashkenaziti (anche se non ti piace questo tipo di classificazione, ti consideri ebreo, punto e basta) che sono fuggiti dalla Polonia per rifugiarsi in Belgio prima della Prima guerra mondiale. Durante la Seconda guerra mondiale, la famiglia di tua madre sfuggì ai nazisti rifugiandosi in Svizzera. La famiglia di tuo padre fu deportata ad Auschwitz-Buchenwald nel 1942 e tuo padre fu l’unico sopravvissuto. Quando tornò in Belgio, riuscì a mettere su famiglia, quattro figli, tu sei il secondo. Nel tuo libro, La seconda generazione, quello che non ho detto a mio padre (Rizzoli Lizard, 2016), parli di quanto i traumi, i fantasmi e le parole non dette di tuo padre abbiano lasciato un’impronta profonda nella tua infanzia.
Questa memoria tragica e a lungo repressa di tuo padre è ancora presente in te (sindrome della seconda generazione)? Come ha plasmato la tua personalità e le tue idee?
«La mia consapevolezza di appartenere alla “seconda generazione” si è sviluppata solo a 35 anni. Non sono sicuro di poter definirla sindrome. Quello che è certo è che la ferita aperta nella nostra storia familiare mi ha portato a intraprendere un lungo processo di introspezione, culminato nella creazione del mio primo romanzo grafico all’età di 55 anni. Alcuni dicono che ho fatto dell’autoterapia. È possibile. La scrittura e il disegno mi hanno permesso di andare oltre il dolore e di superarlo».
All’età di 19 anni hai deciso di lasciare il Belgio e di crearti una vita in Israele. Appassionato di disegno come tuo padre, sei diventato insegnante all’Accademia di Belle Arti di Gerusalemme (Bezavel) e uno dei più importanti vignettisti della stampa israeliana, con una reputazione mondiale. Pur avendo frequentato corsi di religione e fatto il Bar Mitzvah, non eri un ebreo praticante e partecipavi al movimento giovanile Young Guard, una forma di scoutismo ebraico socialista. Tuo padre non credeva in Dio – per lui “Se Dio fosse esistito, i campi non sarebbero mai esistiti!” – e tuo padre era un socialista militante e laico.
martedì 31 gennaio 2023
Sergio Staino, come la satira interpreta la storia
Sergio Staino, come la satira interpreta la storia
By Enzo Brogi -2 Gennaio 2023
“I politici la preferiscono al silenzio”
La satira informa, deforma?
Direi interpreta. Generalmente si lavora su notizie già ampiamente conosciute e funziona quando l’interpretazione della notizia è inaspettata, ma sempre credibile.
La satira può portare al cinismo?
Ci sono diversi modi per affrontare in modo satirico un evento o una notizia. Se l’autore satirico è una persona che soffre per le ingiustizie del mondo attua una satira appassionata e solidale con i sofferenti e, in questo caso, non c’è mai cinismo. Se invece costruisci una battuta satirica osservando dall’alto le idiozie degli altri, in questo caso, più che satira, fai sarcasmo e il sarcasmo prevede una quantità più o meno grande di cinismo. Ad esempio posso dire che una battuta di Benigni è satirica ma pur sempre affettuosa. Una scena satirica di Monicelli è, in genere, più feroce e sarcastica.
Che rapporto hai avuto con Berlinguer?
Un rapporto fantastico. Quando si lasciò prendere in braccio da Benigni durante una festa dell’Unità, diede una prova di intelligenza e di qualità umana sublime. Forse Gramsci avrebbe potuto accettare di fare una scena simile a quella. Ma tutti gli altri, da Togliatti a Mao Tze Tung, non ce li vedo proprio. Tra l’altro io sono l’unico disegnatore satirico al mondo che ha fatto una vignetta satirica sul segretario del partito, pubblicata in prima pagina dell’organo ufficiale dello stesso partito. Incredibile, no? La vignetta la feci per un congresso che si svolgeva a Reggio Emilia che aveva come riferimento culturale Ludovico Ariosto, il tema politico era invece la sognata “Terza via”. Io disegnai un Berlinguer in viaggio verso la luna a cavallo dell’ippogrifo di Astolfo, Bobo da terra lo salutava dicendo: “Vai e portaci la terza via!”.
Ti hanno mai censurato?
No. Ci sono stati tentativi pesanti di farlo ma mi sono sempre rifiutato. Lo scontro più forte fu su un numero di Tango dedicato alla morte di Guttuso. La sua scomparsa avvenne in un coacervo di polemiche legato alla sua eredità mentre, in contemporanea, uscì la notizia (vera) della sua conversione in punto di morte alla religione cattolica. Il titolo del giornale era: “Dio c’è e vuole la sua parte di eredità”. Alla redazione dell’Unità si arrabbiarono in molti e il direttore, Gerardo Chiaromonte, tentò disperatamente di farmi cambiare idea. Alla fine vinse il suo animo tollerante e illuminista e, come Voltaire, mi disse: “non sono d’accordo con te, ma difendo il tuo diritto di espressione”. La vignetta uscì regolarmente sulla pagina prevista mentre, in contemporanea, sulla prima, un piccolo trafiletto del direttore esprimeva il suo disaccordo. Grande Chiaromonte e grandi tutti i “miglioristi” del PCI.
Hai scritto un libro bello e sincero, Storia sentimentale del PCI. Quasi autoanalisi?
Sicuramente. Non avevo un piano preordinato su come svolgere il tema. L’ho scritto su richiesta della casa editrice e l’ho raccontato giorno per giorno ad un loro redattore. Solo alla fine mi sono accorto che aveva un filo rosso che correva per il libro, portandomi a una conclusione
pesante e inaspettata: tutti i nostri guai nascevano dalla scissione del ‘21. Non avrei mai avuto il coraggio di ammetterlo, ragionando a freddo. Con questo sistema del racconto a puntate, la dura e inconscia verità ha preso il sopravvento.
I politici di oggi si meritano la satira o il silenzio?
La satira in genere la cercano per farsi pubblicità. Il silenzio invece lo giudicano un brutto affare.
Sergio Staino
Toscano, nato a Piancastagnano nel 1940. Ha iniziato con la politica a Firenze nei marxisti leninisti. E’ quindi passato al fumetto e alla satira con Linus, inventando il suo alter ego, Bobo, pubblicato per la prima volta nel 1979 sulla rivista diretta da Oreste del Buono. Dopo collaborazioni con L’Unità e il Messaggero, nel 1986 fonda e dirige Tango, settimanale satirico. Diventa anche autore televisivo (“Cielito lindo”, un varietà satirico con Claudio Bisio e Athina Cenci), sceneggiatore e regista (nel 1989 “Cavalli si nasce” e nel 1992 “Non chiamarmi Omar”). Dal 2016 al 2017 è Direttore de L’Unità. Attiva quindi collaborazioni con La Stampa, Avvenire, Tiscali Notizie e Il Riformista.
***
Nota : l'intervista è stata fatta per Inedita Magazine #4 – Inverno 2022 poco prima della grave malattia di Sergio Staino.
Staino è stato portato in ospedale lunedì 31 ottobre. Fany gli augura una pronta guarigione.
Ottantadue anni, vignettista ed ex direttore dell'Unità, Staino da anni è afflitto da una malattia agli occhi che lo ha reso quasi cieco ma non gli ha impedito di continuare il suo lavoro. Attualmente è collaboratore della Stampa e di Avvenire.
Laureato in architettura all’Università di Siena. Staino ha insegnato educazione tecnica in alcuni licei fiorentini. Poi la grande avventura del fumetto a Linus diretto da Oreste del Buono e la nascita di Bobo, personaggio diventato un'icona della satira politica, ispirato come aspetto a Umberto Eco ma in realtà rappresentazione grafica e alter ego di se stesso.
A questo link potete sfogliare la rivista online https://www.agenziainedita.it/2022/12/20/inedita-magazine-4-inverno-2022/
martedì 6 settembre 2022
Puoi scherzare su tutto... ma, purtroppo, non con chiunque.
Puoi scherzare su tutto... ma, purtroppo, non con chiunque.
Intervista a Marilena Nardi condotta da Pepe Pelayo e pubblicata il 1° settembre 2022 su www.humorsapiens.com
Ora nella versione italiana, con il permesso dell'Autore.
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Puoi scherzare su tutto... ma, purtroppo, non con chiunque.
In questa occasione ho deciso di "dialocare" con qualcuno che stimo molto. Ho avuto l'onore di intervistarla nel 2017 per questo stesso sito, perché era già una figura di spicco dell'umorismo grafico mondiale. Nel 2018 ha vinto il Gran Premio del World Press Cartoon e il suo lavoro ha avuto ancora più ripercussioni e ancora oggi non smette di collezionare premi internazionali.
L'anno scorso ha accettato di partecipare alla mia serie di video-documentari sulla teoria dell'umorismo, "El bufón ilustrado", contribuendovi con le sue esperienze, opinioni e conoscenze.
Ora, ancora una volta, la gentilissima Marilena Nardi ha accettato di conversare con questa pagina.
Stavo per iniziare a presentarla ricordando che è nata nel 1966, a Chiampo, vicino a Vicenza in Italia e parlando, come consuetudine, dei suoi primi passi nell'arte, ecc., ma credo che la cosa migliore sia che si presenti da sola.
PP: Cara amica, non per affibbiarti il mio lavoro o per farti soffrire, perché so che non è facile parlare di sé stessi, ma potresti presentare da te, Marilena Nardi, agli humornauti del nostro sito?
MN: sono nata in Italia, da una famiglia di origini semplici. A mio padre antifascista e partigiano devo un po’ dello spirito ribelle e sognatore, a mia madre quello più pragmatico che mi ha permesso di rendermi presto indipendente. A entrambi devo la capacità di sorridere e di godere delle cose più autentiche della vita.
Mi hanno permesso di lavorare e di pagarmi gli studi artistici, scelta per niente ovvia, visti i tempi e i nostri mezzi.
Oggi, in estrema sintesi, sono una disegnatrice che collabora con diversi giornali alternando umorismo grafico, illustrazione e satira. E sono anche un’insegnante. Le due professioni sono state per molto tempo due percorsi paralleli, ma dal 2003 ho avviato un corso di illustrazione all’Accademia di belle arti di Venezia (vi insegno dal lontano 1992) e i “due vasi” hanno cominciato a comunicare fra loro. Nel 2018 ho adottato mio figlio, che oggi ha 12 anni, e questa scelta, come si può intuire, ha rimescolato le carte delle nostre vite.
PP: Non ho dubbi che tu sia un'ottima madre, per la sensibilità, la tenerezza e la forza che emanano dal tuo lavoro. Mi congratulo ancora con te. E per continuare a conoscerti, ti chiedo: il tuo modo di fare umorismo è cambiato, si è evoluto, dagli inizi fino ad oggi?
MN: Sì, per fortuna. Sotto ogni aspetto. Ho compiuto studi artistici, è vero, ma l’umorismo grafico non è materia di scuola e se guardo ai miei disegni iniziali, mi vedo molto ingenua, sia per i contenuti sia per l’aspetto grafico. Ero brava a disegnare, ma non certo un Mozart della grafica, per dirla con una battuta. Ho avuto e ho ancora bisogno e desiderio di evolvere.
PP: Ebbene, io apprezzo allo stesso modo l'opera buffa Don Giovanni, per esempio, che i tuoi disegni. Però vorrei sapere qual è stato, finora, il momento migliore e quello peggiore della tua carriera nell'umorismo?
MN: un momento oggettivamente negativo è stato quando nel 2010 sono stata denunciata per due disegni. Il giornale per cui lavoravo mi ha sostenuta legalmente e tutto si è risolto bene (…5 anni dopo). Il momento migliore non saprei. Ci sono stati diversi momenti professionalmente importanti, come il Premio Satira politica di Forte dei Marmi o il Grand Prix al World Press Cartoon, ma ciò che ricordo con più piacere è il tempo condiviso, le risate e le caricature fra colleghi e amici conosciuti proprio grazie a questa professione.
Marilena Nardi riceve il Premio Satira politica di Forte dei Marmi 2013 |
Marilena Nardi riceve il Grand Prix al World Press Cartoon, Portogallo - 2018 |
PP: Condivido questa opinione con te, la nostra professione è molto gratificante, è il massimo.
A proposito di umoristi, pensi che ci siano dei colleghi, viventi o storici, che ti abbiano chiaramente influenzato?
MN: so che devo molto ai miei maestri ideali, Quino e Steinberg fra tutti. Sono curiosa e guardo a diversi autori contemporanei e del passato, anche di ambiti lontani. Tra i contemporanei ho molti amori: Mattotti, Altan, Holland, Bozzetto… Li amo moltissimo, per ragioni diverse ma che non si escludono. Sicuramente ho attinto anche da loro in modo più o meno consapevole.
PP: Potresti raccontarmi un aneddoto, divertente, ingegnoso o curioso, che hai vissuto nel corso della tua carriera?
MN: c’è un aneddoto che ho raccontato altre volte. Agli inizi della mia carriera, avevo spedito il mio c.v. ad un giornale. Scritto a macchina e, per pigrizia, firmato solo “M. Nardi”. Avevo allegato alcune fotocopie dei miei disegni e poi ottenuto appuntamento telefonico tramite la segretaria di redazione. Non esisteva internet e non c’era modo di informarsi prima sulle persone. Quando mi sono presentata all’incontro, con la mia cartella di disegni sotto il braccio, il signore che doveva valutare il mio lavoro mi disse che non aveva tempo da perdere con me, che aspettava già “un certo Nardi”. L’ha detto guardandomi dall’alto in basso, con grande fastidio, quasi disprezzo. Quando gli ho risposto che il Nardi in questione ero io e che lui aveva un appuntamento con me, è rimasto di sale. Ha sgranato gli occhi e esclamato: “ma tu sei una donna?!” Probabilmente non mi avrebbe mai concesso un appuntamento se lo avesse saputo fin dall’inizio. Poi si è giustificato dicendo che il mio segno gli era piaciuto perché era “molto maschile”. Per la sua mentalità, l’aggettivo “maschile” definiva una qualità, in questo caso anche grafica. Ho fatto tesoro dell’accaduto e, da quel giorno in poi, ho firmato sempre e solo con il mio cognome.
PP: Bell’aneddoto, signor Nardi, ah ah…
E ritornando seri: l'umorismo è un'arte, amica mia? Mi riferisco soprattutto alla sua caratteristica di “parassita”, poiché compare solo all'interno di un'arte (grafica, musicale, scenica, ecc.).
MN: non ho mai pensato all’umorismo come una forma d’arte parassitaria. Non vorrei immaginarlo così, come qualcosa che vive solo grazie o a discapito di altro. Voglio pensare piuttosto che sia una forma d’arte che trova espressione “fisica” all’interno di altre arti. Ci sono territori che hanno confini sfumati. L’umorismo è uno di questi: si nutre di storia, di cronaca, di letteratura, di poesia, di pittura e disegno, della vita e della sensibilità di chi lo esprime e ciò che ne risulta è di nuovo a disposizione di altri, in un circuito sociale, continuo e vitale. Più che parassitismo, direi simbiosi. E’ senz’altro un’arte.
PP: Non sono molto convinto dal punto di vista teorico, ma senza dubbio possiede un suo linguaggio e, come tu dici, si nutre di molte cose e rende questo circuito vitale. E ho detto “parassita”, non perché esista o si nutra di qualcos'altro, ma perché quando appare lo fa attraverso una manifestazione artistica (arte visiva, musicale, scenica, audiovisiva, ecc.). Ma procediamo per punti. Credi che la caricatura personale, il disegno editoriale, la cosiddetta vignetta umoristica o vignetta in generale, la striscia comica, il fumetto, la fotografia umoristica (con le diverse specificità), ecc., siano tutte espressioni che rientrano nell’ "umorismo grafico"? O qualcosa o tutto non rientra in questo concetto?
MN: ci sono ambiti definiti, altri più sfumati e altri decisamente mescolati. Dipende molto dagli autori e dalle loro intenzioni. Sono più propensa a fare distinzioni tra umorismo grafico e satira, perché le finalità sono diverse, anche se gli strumenti utilizzati sono gli stessi. Che sia un disegno, una foto, una caricatura, una striscia o un disegno editoriale, è il fine che cambia la sostanza. Se l’intento è far divertire, o anche sorridere e insieme riflettere forse saremo più nell’ambito dell’umorismo grafico. Se invece prevale l’aspetto della denuncia, se per così dire, l’autore con il suo disegno/foto/striscia/caricatura “mette il dito nella piaga” allora il contesto sarà quello della satira e del disegno editoriale.
PP: I teorici non si trovano mai d'accordo su questo punto, come ben sai. La tua opinione vale quanto quella di qualsiasi altro creatore o studioso. Ecco perché volevo conoscerla.
Per questo motivo, gli umoristi grafici realizzano caricature, disegni editoriali o vignette di costume, ecc., perché il loro intento è quello di far ridere o sorridere, anche se alcuni - come te – ricercano la riflessione, ma senza smettere di provocare il sorriso, per quanto possa essere concettuale l'idea, perché altrimenti non sarebbero "umoristi grafici". Sei d'accordo con questo?
MN: Sono d’accordo con il senso della definizione e riconosco che i miei disegni non sempre si accompagnano con il sorriso e con la volontà di provocarlo. Pago volentieri il prezzo di non essere una disegnatrice umoristica “pura”: ho bisogno di sentirmi libera di disegnare con dei registri diversi, a volte umoristici, altre volte malinconici.
PP: Sei fortunata e per questo ti invidio, perché puoi esprimerti con diversi registri. Io invece posso solo creare in forma umoristica, quando ho provato a realizzare qualcosa di "serio", non mi è piaciuto per niente. E approfondendo ancora di più questi argomenti, sappiamo che il risultato ideale per un umorista grafico è quello che combina una fattura perfetta con un contenuto che ci fa sorridere e riflettere insieme. Ma spesso vediamo un'idea magnifica espressa con una cattiva esecuzione o, viceversa, un'opera impeccabile nella forma ma con un'idea debole. Quale fra queste due varianti accetti di più? O nessuna di loro? E perché?
MN: “Un disegno è un’idea con una linea intorno”. La definizione non è mia ma esprime bene come le due cose, idea ed esecuzione, debbano andare di pari passo.
Un’idea bella ha bisogno di un sostegno adeguato, altrimenti si vanifica, si spreca. Forse, un bel disegno anche senza una grande idea, almeno esprime la bellezza, la buona esecuzione di cui è fatto. Perciò, se mi trovo per esempio a far parte di una giuria e a valutare i disegni altrui, se sono obbligata a scegliere, tra le due possibilità scelgo un disegno ben fatto, anche se l’idea è minima.
Se invece riguarda il mio lavoro, sono molto più severa: le due cose devono andare insieme e ci lavoro finché non sono soddisfatta.
PP: Completamente d'accordo! Le due cose devono avere la stessa qualità ed elaborazione. Ma se dovessi scegliere, nel mondo dell'arte e in questo caso della grafica umoristica, senza dubbio una forma senza un'idea è più accettabile di un'idea senza forma. Ora lasciamo la teoria, per favore, e affrontiamo la parte "pratica". Ad esempio, riguardo alla pubblicazione di opere di umorismo grafico: ci sono abbastanza spazi? Vedi molta differenza tra i disegni creati per i concorsi e il resto? C'è un pubblico? Ci sono consumatori?
MN: Gli spazi intesi come giornali sono pochi. Ciò è dovuto alla crisi della stampa che coinvolge tutte le sue componenti. Esistono pochi giornali di settore, si è ridotto lo spazio in quelli tradizionali. Alcuni paesi sono più fortunati, la Francia per esempio, il pubblico è più attento e disposto ad acquistare e leggere giornali e riviste di carattere umoristico, libri d’autore, raccolte, cataloghi.
In Italia, ho l’impressione che vivere di questa professione sia più difficile ora rispetto a una ventina di anni fa. Ma è vero anche che internet ha aperto nuove opportunità. Molti giornali resistono in versione digitale. Vanno cercati nuovi modi oltre a quello tradizionale della pubblicazione su carta. Alcuni amici e colleghi lavorano per i programmi televisivi, realizzano piccoli video animati di carattere umoristico e satirico. Quella potrebbe essere un’ulteriore strada.
Riguardo le differenze nella produzione per la stampa e per i concorsi. Sì, ne vedo moltissime, in termini di qualità. Ma ne vedo molte anche fra concorso e concorso. Sono stata invitata a far parte di molte giurie e posso dirlo con cognizione di causa: ogni concorso e le relative scelte degli organizzatori e delle giurie hanno specificità diverse. Una grande differenza la fanno le regole di ammissione al concorso e le finalità dello stesso.
Riguardo il pubblico, ho l’impressione che sia cambiato e, per lo meno in Italia, sia diminuito. C’è molta attenzione verso i fumetti e verso l’illustrazione. In questo senso fioriscono le scuole, le mostre e i festival dedicati a questi due settori. Vedo meno interesse verso la satira e l’umorismo grafico. Soprattutto tra i giovani, lo riscontro con i miei studenti, non sanno bene cosa sia e manca la conoscenza di autori anche storici o molto popolari. Temo sia perché si informano prevalentemente dal web e poco dai giornali (che a loro volta pubblicano meno disegni).
PP: Sono d'accordo con te. Anche in America Latina succede qualcosa di simile.
E ora tocchiamo un punto che non possiamo evitare. Al giorno d’oggi, c'è molta censura nei media, nei governi e nei settori della società, nel pubblico? Troppa autocensura? E per utilizzare una domanda alla moda: quali sono i limiti dell'umorismo?
MN: il giornalismo serio è scomodo. Il vignettista, il disegnatore editoriale, non è esattamente un giornalista (salvo casi specifici) ma piuttosto un commentatore e con i suoi disegni può dare molto fastidio, dunque correre dei rischi.
La censura è sempre esistita: varia secondo le leggi, i costumi e la democraticità di uno stato. Se lo stato è poco democratico, il lavoro di un disegnatore va proprio nella direzione di guadagnare un maggiore spazio di libertà che varrà per lui come per tutti. Sappiamo di paesi autoritari dove i giornalisti vengono costretti al silenzio, incarcerati o uccisi. Lo stesso accade ai disegnatori.
In Italia soffriamo di un fenomeno di censura diversa: non è lo stato che limita l’espressione individuale ma alcune forme di potere (politici, imprenditori, gruppi economici, a volte la chiesa, anche se agisce in modo diverso) che abusano dell’arma della denuncia. Spesso i giornalisti seri che svolgono inchieste si vedono bloccati o rallentati da denunce dalle quali si devono difendere, spendendo energie, tempo e denaro. I processi durano anni. Più che di autocensura, direi che chi scrive e chi disegna è tenuto ad essere molto attento e chiaro (e il più corazzato possibile).
C’è anche un altro aspetto di cui vorrei parlare.
Viviamo un’epoca dove prevalgono le immagini, ma le persone spesso non sanno leggerle e interpretarle.
A complicare tutto ciò c’è anche la facilità con cui le vignette viaggiano nel web, uscendo dal contesto per cui erano state pensate e finendo sotto gli occhi di persone che non condividono lo stesso linguaggio, non possiedono strumenti culturali condivisi che consentano loro di decifrarle. Vengono viste, ma non capite.
Umberto Eco diceva: "I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l'invasione degli imbecilli."*
Tra imbecilli o ignoranti il risultato non cambia. Le conseguenze possono essere una pressione fortissima sui giornali (con relativo licenziamento dei vignettisti o il caso del NYT che per evitare problemi ha scelto la via dell’autocensura: mai più immagini satiriche e caricature per non ricevere denunce e subire danni economici) o peggio ancora la strage di Charlie Hebdo.
Per rispondere alla tua domanda, i limiti dell’umorismo dipendono dai limiti dell’intelligenza e della sensibilità di ognuno. Si potrebbe scherzare di tutto… ma, purtroppo, non con chiunque.
PP: Sono totalmente d'accordo con te e con Eco, ma parliamo un po' dell'umorismo grafico editoriale, in particolare dell'umorismo politico. Quindi ti chiedo, politicamente parlando, l'umorismo viene da sinistra, da destra, da entrambi o nessuno dei due?
MN: è opinione comune che l’umorismo sia soprattutto di sinistra. E forse a sinistra si è data prova di maggiore libertà espressiva. Tuttavia penso sia soprattutto una questione di intelligenza e di onestà intellettuale. Soprattutto per chi fa satira: va mantenuta una giusta distinzione fra la critica, anche aspra, e la propaganda politica, che da una parte o dall’altra è sempre asservita.
PP: Impossibile dirlo meglio. Stiamo per concludere l'intervista. Da qui la domanda classica: come vedi il futuro dell'umorismo grafico? Internet è la soluzione?
MN: sono un’insegnante e non posso che essere ottimista e avere fiducia nelle nuove generazioni. L’umorismo grafico è in sofferenza, ma non credo morirà. Credo che si inventeranno altri modi e altri spazi/contenitori. Qualcosa si intravede già: c’è una produzione più di nicchia, con edizioni curate, destinate a un pubblico di cultori e appassionati della materia. E parallelamente si intravede un altro filone, più popolare, più sociale che ha varie modalità espressive e viaggia fra internet e l’autoproduzione.
PP: Mi piace vedere colleghi ottimisti. Grazie per questo. E infine, c'è una domanda che non ti ho fatto e che avresti voluto che ti facessi? Se si, puoi rispondere ora?
MN: no, nessun’altra domanda. Vorrei solo aggiungere che mi ha fatto piacere riflettere sui quesiti che hai posto e ti ringrazio. È stato un tempo speso bene.
Auguro buon lavoro a te e buona lettura a chi ci legge.
Torno a raccontare di me attraverso il disegno, quello senza parole e con il “segno molto maschile”
2022_new_far_west. |
anime_gemelle |
filo_chances. |
trionfo_fosca |
vanità |
endometriosi |
corridoi_umanitari |
2022_aborto_USA. |
2022_giornalisti_fronte. |
*Parole pronunciate a Torino da Umberto Eco durante la cerimonia di consegna della laurea honoris causa in "Comunicazione e Cultura dei media".
https://www.huffingtonpost.it/2015/06/11/umberto-eco-internet-parola-agli-imbecilli_n_7559082.html
Foto di Francisco Punal Suarez e disegni di Marilena Nardi
lunedì 11 luglio 2022
Marilena Nardi vince il Secondo Premio al Concorso Internazionale Norvegese 2022: “Rifiuta di tacere”
Marilena Nardi vince il Secondo Premio al Concorso Internazionale Norvegese 2022:“Rifiuta di tacere”
“Gridando per fermare la violenza contro le donne in tutto il mondo”
Intervista di Francisco Punal Suarez
Speciale per Fany Blog
La traiettoria della fumettista italiana Marilena Nardi è inarrestabile.
I suoi disegni sono sempre inquietanti, critici, intelligenti.
Prof di illustrazione all’Accademia di Belle Arti di Venezia, ha disegnato per molti periodici quali Diario, Corriere della Sera, L’Antitempo e Il Fatto Quotidiano. Collaborazioni recenti sono quelle per SinéMadame, il settimanale Left, le riviste francesi Espoir, Zélium, Domani e, online, con CartoonMovement, e altri.
Molti i premi internazionali ricevuti per la sua attività grafica ed editoriale.
Fra questi: il Primo Premio al World Press Freedom Cartoon, Ottawa, 2011, e il Premio Forte dei Marmi per la Satira politica per il Disegno Satirico, 2013.
Nel 2018, ha ricevuto la più alta distinzione al World Press Cartoon, Caldas da Raínha, Portogallo: il Grand Prix e nel contempo il Primo Premio per la categoria Disegno Editoriale. Era la prima volta di una donna durante le 13 edizioni del festival. Quest'anno, Menzione d'Onore nel World Press Cartoon.
Fa parte di Cartooning for Peace, United Sketches, France Cartoon e Cartoon Movement.
Ora ha vinto il Secondo Premio, al Concorso Internazionale Contro l'abuso delle donne, in Norvegia, organizzato dal Cartoon Home Network International, diretto da Fadi Abou Hassan. Il primo premio è andato all'illustratrice polacca Izabela Kowalska - Wieczorez, e il terzo è andato all'ucraino Oleksiy Kutovsky (Kusto).
La mostra di questo concorso aprirà il 26 novembre 2022 presso la Norwegian Cartoonist Gallery, nella città di Drøbak, a 36 km da Oslo.
Marilena ha risposto alle nostre domande.
Perché nel tuo lavoro gráfico tieni sempre a mente i problemi che le donne devono affrontare nella vita quotidiana?
Le donne esistono: sono persone e come tali sono importanti. È importante raccontare della loro vita, dei ruoli spesso imposti, indotti, e non scelti, di cose che accadono soprattutto ai margini. Se si danno i nomi alle cose, queste escono dal buio in cui sono confinate ed iniziano ad esistere. Nel mio caso, non uso le parole ma le immagini: dò una forma grafica e racconto visivamente delle donne e di che cosa accade nella loro e nella mia vita. Senza racconto, non c’è esistenza.
Nel mio lavoro metto l’attenzione su diversi problemi ed è vero che spesso mi concentro, più di altri colleghi, su temi che mi sono cari. Per esempio, capita che la violenza sulle donne sia pensata dagli uomini come un problema “delle donne”. E di conseguenza come un argomento minoritario, di serie B, di cui si parla mal volentieri o con un certo fastidio. Preferiscono disegnare di politica, di economia, di guerre, ecc. di cose importanti, vivaddio! (…lo dico con ironia, ovviamente!)
Per molti, la violenza contro le donne è considerata un argomento marginale, un problema inesistente quando in realtà, non conoscendolo, sottostimano la portata del fenomeno.
Ecco che io mi impegno a raccontarlo, sperando di correggere, di riequilibrare questa disparità.
Come ti è venuta l'idea per questo disegno?
Cercavo un’immagine sintetica e ho ragionato su diversi piani simbolici. Volevo che il messaggio arrivasse al lettore senza troppe deviazioni. Il concorso puntava sull’aumento della violenza ai danni delle donne, durante il periodo di confinamento da Covid. Quindi serviva fare capire che la violenza era agita da un uomo (la cravatta è un indumento prettamente maschile) e durante il Covid (da cui il pattern). La violenza si accompagna spesso al silenzio di chi subisce e all’indifferenza/immobilità di chi gli vive accanto.
Perciò la cravatta doveva coprire solo parzialmente i lividi ma chiudere completamente la bocca, spegnere la voce.
Però non volevo che la mia protagonista fosse ancora una vittima. Per questo la figura sta in piedi, è carica della sua sofferenza (gli arti segnati) ma non si piega e ci guarda. Guarda tutti noi per dirci che serve agire, oltre che resistere: se non agiamo collettivamente contro la violenza saremo complici anche noi.
In Italia quante donne sono state uccise dai loro partner l'anno scorso? e quest'anno?
Nel 2021, solo in Italia, sono stati commessi 116 femminicidi, senza contare che, a volte, vengono uccisi anche i (propri) figli per punire la madre.
(Attenzione, non si tratta di una percezione personale. Sono dati offerti dalla Polizia Criminale: https://www.agi.it/cronaca/news/2021-12-27/femminicidi-116-donne-uccise-nell-anno-15040810/)
Quest’anno, dal report della Polizia, alla data del 3 luglio 2022, si parla di “61 vittime donne, di cui 53 uccise in ambito familiare/affettivo”. (https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2022-07/settimanale_omicidi_4_luglio_2022.pdf)
Le fumettiste donne hanno le stesse opportunità degli uomini?
Purtroppo no. Le opportunità variano molto da paese a paese. Da quanto uno stato e la società che lo abita siano realmente democratici e inclusivi.
Cosa succede in molti paesi del mondo dove la violenza contro le donne è in aumento?
Che le donne vivono una vita indegna di questo nome, soffrono, e infine muoiono. Non solo in senso figurato, ma proprio in senso fisico.
Come evitare che ciò accada? Con più istruzione e pari condizioni per le donne?
Sarebbe auspicabile, sì. Pari condizioni e rispetto fin dall’infanzia. Una migliore istruzione per le donne ma – dovrei dire - per tutti, perché tutti i generi siano rispettati e perché gli uomini (maschi) si rendano conto che c’è una ricchezza diversa in ognuno di noi e solo nell’autentico rispetto reciproco possiamo godere di una convivenza civile e umana.
Cosa ne pensi dell'attività di Cartoon Home Network International, di dare voce a chi non ha voce?
Trovo che abbiano fatto uno sforzo immenso ed encomiabile. Un’attività meritevole, oltre che necessaria. Ringrazio Fadi Abou Hassan che è il responsabile di Cartoon Home Network International ed è l’ideatore di questo concorso. Ringrazio la giuria che l’ha aiutato nella scelta e, per quanto mi concerne, per l’assegnazione di questo secondo premio. Ma soprattutto lo ringrazio per la sua sensibilità e per il suo impegno personale nel fare luce su questi temi.
E ringrazio anche te Francisco per mantenere un’attenzione costante su queste tematiche che, ripeto, non sono “delle donne” ma riguardano la società tutta.
Grazie mille, Marilena, per la tua attenzione e il tuo eccellente lavoro.
domenica 18 luglio 2021
World Press Cartoon: Grand Prix a GIO
Autoritratto ©GIO |
Fellini ©GIO |
Black Liberty. ©GIO |
sabato 10 luglio 2021
Intervista a Trax.
Foto di Trax da https://fr.wikipedia.org/wiki/Trax_(dessinatrice_de_presse) |
Trax, de son vrai nom Christine Traxeler, est une dessinatrice de presse, caricaturiste et militante française.
Trax, Christine Traxeler è una vignettista, caricaturista e attivista francese.
Trax ha iniziato la sua carriera come avvocato, ma ora è una cartoonist molto impegnata. Pubblica sul quotidiano satirico Le Ravi e anche su La Décroissance , Zélium , et l' Espoir . È membro di Cartooning for Peace , United Sketches, France-Cartoons (associazione dei fumettisti francofoni) per fornire supporto ai suoi colleghi detenuti.
Conduce anche laboratori per il pubblico scolastico e carcerato. Partecipa regolarmente a festival di caricatura e nel 2019, Trax ha ricevuto il premio della giuria al festival internazionale del fumetto della stampa Estaque 3 e nel 2020 il premio di eccellenza ai World humor Awards 2020, il cui tema era "L'acqua come fonte di salute".
Trax è venuta a Salsomaggiore Terme per la premiazione dove ho avuto il grande piacere di conoscerla.
Ora insieme a GIO / Mariagrazia Quaranta le abbiamo fatto 8 domande a cui molto gentilmente ha risposto per presentarvi cari amici di Fany-blog qualcuno dei suoi cartoon.
1) Come mai da avvocato sei diventata una disegnatrice?
Ho disegnato fin dall'infanzia perché ammiravo mio padre e lui disegnava sempre profili d’uomo sulla carta dei tavoli dei ristoranti. Bisognerebbe risalire abbastanza indietro nella storia familiare (che rallegrerebbe uno psicoanalista) per spiegare perché, sognando di diventare attrice, sono diventata dapprima avvocato. Vi risparmierò questa storia esilarante e andrò subito alla legge. Mi sono davvero piaciuti gli studi di legge e la professione di avvocato. Stavo per «difendere la vedova e l'orfano» e seguire le orme di mio padre. E disegnavo alle udienze, dove l'attesa era lunga, magistrati e magistrati, imputati ed imputati, consorelle e confratelli, poliziotti (non poliziotti all'epoca) ... Ho esercitato quattro anni a Parigi poi tre in provincia; là, girando tra gli stessi magistrati, mi sono subito resa conto che ero una goccia d'olio e non un granello di sabbia in un sistema che non vomito integralmente ma che mi dà forti nausee. Avendo così perso la fede, mi sono svestita dei panni d’avvocato, poi ho concepito e cresciuto la metà circa del figlio più affascinante che ci sia; ed organizzato con molti amici un festival di musica classica, poi un festival di musica pop, rock, elettronica, ecc. Nel corso di quest'ultimo ho invitato Michel Gairaud, il redattore del mensile satirico marsigliese senza pubblicità, «Le Ravi», che ha amato i miei scarabocchi (avevo fatto una serie su Chirac incarnato in camaleonte). Poi ho deciso di «ri»lavorare («ri» se si può dire perché organizzare i festival è un grosso lavoro) e seguito una formazione di pittore di decorazioni. Poi ho avuto la grande fortuna di fare dei bellissimi cantieri in Giordania, in Qatar, a Monaco, ecc.
È ritornando a Parigi nel 2010 che ho incontrato, alla BNF, Nol, che organizza, a Jonzac, il festival di disegno della stampa «Humour et vigne», poi Gibo, notevole caricaturista, e che, grazie a loro, sono entrata nel mondo del disegno della stampa.
Comment se fait-il que de avocate tu es devenue dessinatrice?
J'ai dessiné dès l'enfance parce que j'admirais mon père et qu'il dessinait toujours des profils d'homme sur les tables en papier des restaurants. Il faudrait remonter assez loin dans l'histoire familiale (qui réjouirait un psychanalyste) pour expliquer pourquoi, rêvant de devenir comédienne, je suis devenue d'abord avocate. Je vais vous épargner ce récit hilarant et en venir tout de suite au droit. J'ai véritablement aimé les études de droit et le métier d'avocate. J'allais « défendre la veuve et l'orphelin » et suivre les traces de mon père. Et je dessinais aux audiences, où l'attente était longue, magistrats et magistrates, prévenus et prévenues, consœurs et confrères, policiers (pas de policières à l'époque) ... J'ai exercé quatre ans à Paris puis trois en province ; là, tournant entre les mêmes magistrats, je me suis vite rendu compte que j'étais une goutte d'huile et non un grain de sable dans un système que je ne vomis pas intégralement mais qui me donne de fortes nausées. Ayant donc perdu la foi, je me suis défroquée, puis ai conçu et élevé environ la moitié du plus charmant fils qui soit ; et organisé, avec beaucoup d'amis un festival de musique classique, puis un festival de musiques pop, rock, électro, etc. C'est au cours de ce dernier que j'ai invité Michel Gairaud, le rédacteur du mensuel satirique marseillais sans publicité, « Le Ravi », qui a aimé mes gribouillis (j'avais fait une série sur Chirac incarné en caméléon). Puis j'ai décidé de « re »travailler (« re » si on peut dire car organiser des festivals est un gros travail) et suivi une formation de peintre en décors. J'ai ensuite eu la grande chance de faire de très beaux chantiers en Jordanie, au Qatar, à Monaco, etc.
C'est en revenant à Paris en 2010 que j'ai rencontré, à la BNF, Nol, qui organise, à Jonzac, le festival de dessin de presse « Humour et vigne », puis Gibo, remarquable caricaturiste, et que, grâce à eux, je suis entrée dans le monde du dessin de presse.
2) Che tipo di artista ti definisci? Quanto ti ha influenzato Saul Steinberg?
Mi piace molto Saul Steinberg, ma mi ha influenzato meno di Sempé, Ronald Searle e Ralph Steadman. Mi piace l'umanesimo tenero e lucido, la filosofia di Sempé. Amo l'umanesimo tenero e lucido, la filosofia di Sempé. Di lui cito spesso due disegni. Un disegno che rappresenta uno di questi piccoli omini molto, molto ordinari e tuttavia convinto di essere un genio indispensabile all'Umanità; è solo di fronte a un'onda gigantesca e tendente un dito imperioso, dice «A cuccia! ». E due disegni successivi, il primo raffigura degli operai che banchettano e si contorcono dalle risa sul bordo di una sontuosa piscina in costruzione ; e il secondo rappresenta, ai bordi della stessa piscina ma terminata, miliardari scomposti e sinistri che si annoiano a morte.
Di Searle, amo la grafica, l'umorismo e i riferimenti culturali, e molto più ancora di Steadman, che metto in cima alle cime, amo la grafica scatenata, l'immaginazione inesauribile e la crudeltà molto lucida e amara. La crudeltà mi sembra il risultato di un idealismo troppo grande e di una delusione troppo forte. Credo profondamente che «l'umorismo è la cortesia della disperazione» (definizione che sarebbe di Chris Marker).
Quanto a me, non sono mai stata più lusingata di quando mi si dice che faccio pensare a Ralph Steadman (uh... come la brutta crisalide fa pensare alla farfalla Imperatore?) né più entusiasta di quando si considerano i miei disegni duri. Il massimo della mia estasi è raggiunto quando la gente si stupisce di scoprire che «TRAX» è una donna. Ciò li obbliga a riflettere sui loro valori di «genere».
Quel genre d’artiste tu te définis? A quel point Saul Steinberg t’a-t-il influencé ?
J'aime beaucoup Saul Steinberg mais il m'a moins influencée que Sempé, Ronald Searle et Ralph Steadman. J'aime l'humanisme tendre et lucide, la philosophie de Sempé. Je cite souvent de lui deux dessins. Un dessin qui représente un de ces tous petits bonshommes très, très ordinaires et néanmoins convaincu d'être un génie indispensable à l'Humanité ; il est seul face à une vague gigantesque et tendant un doigt impérieux, il dit « Couché ! ». Et deux dessins successifs, le premier représente des ouvriers qui festoient et se tordent de rire au bord d'une piscine somptueuse en construction ; et le second représente, au bord de la même piscine mais achevée, des milliardaires avachis et sinistres qui s'ennuient à mourir.
De Searle, j'aime le graphisme, l'humour et les références culturelles, et beaucoup plus encore de Steadman, que je place au sommet des sommets, j'aime le graphisme déchaîné, l'imagination inépuisable et la cruauté très lucide et très amère. La cruauté me paraît le résultat d'un trop grand idéalisme et d'une trop forte déception. Je crois profondément que « l'humour est la politesse du désespoir » (définition qui serait de Chris Marker).
Quant à moi, je ne suis jamais plus flattée que quand on me dit que je fais penser à Ralph Steadman (euh ... comme la moche chrysalide fait penser au papillon Empereur ?) ni plus ravie que si l'on trouve mes dessins durs. Le summum de mon ravissement est atteint quand les gens s'étonnent de découvrir que « TRAX » est une femme. Cela les oblige à réfléchir sur leurs valeurs de « genre ».
3) Per te l'arte ha il dovere di rappresentare le tematiche sociali?
No. L'arte non deve avere un compito. Matisse, Hockney, che mi piace molto, Soulages non mi sembra di sentire un «dovere» di dipingere o trattare questioni sociali. Basquiat sentiva sicuramente una grande urgenza, ma non un dovere, dipingere e trattare questioni sociali. Ernest-Pignon-Ernest, un altro dei miei guru, evidentemente si è dato un dovere di disegnare, (che si aggiunge evidentemente ad una semplice felicità di farlo) e si occupa, prodigiosamente, di questioni sociali. Prodigiosamente perché intelligibilmente: quello che dice è compreso da tutti. Inoltre il suo disegno, molto classico, è ricco di una cultura elitaria ma diventata popolare alla quale aggiunge una novità molto contemporanea.
Se parliamo di disegni di stampa, preferisco di gran lunga i disegni militanti ai disegni semplicemente umoristici. Un altro disegnatore del mio Pantheon è Boligan. Che non fa ridere, è il minimo che si possa dire. Sempé fa ridere, ma il suo discorso ha sempre una portata filosofica, idealista, umanista e politica. Come avvocato, ho spesso tentato e spesso invano di invertire lo sguardo dei giudici (e le loro sanzioni) ad esempio sui colletti blu ed i colletti bianchi. Sempè lo fà, con il disegno. E così, colpisce un numero di persone molto più importante di quello che si fa alla sbarra di un tribunale. È per questo che non mi sono mai pentita di aver lasciato il mestiere di avvocato (né di averlo esercitato): ora mi sento davvero un granello di sabbia, minuscolo ma comunque un granello di sabbia. Ho smesso di oliare la macchina. Per le mie competenze giuridiche che servono ai miei compagni di militanza attiva (nelle nostre azioni anti-pubblicitarie in particolare), teatro di strada attivista, o ai miei amici ed amiche, nella loro vita quotidiana, e i miei disegni, mi sento gioiosamente efficace.
Tu crois que l’art a le devoir de représenter les questions sociales?
Non. L'art n'a pas forcément un devoir. Matisse, Hockney, que j'aime beaucoup, Soulages ne me paraissent pas se sentir un « devoir » de peindre ni traiter de questions sociales. Basquiat, ressentait sûrement une très grande urgence, mais non un devoir, de peindre et de traiter de questions sociales. Ernest-Pignon-Ernest, un autre de mes gourous, évidemment s'est donné un devoir de dessiner, (qui s'ajoute manifestement à un simple bonheur de le faire) et traite, prodigieusement, de questions sociales. Prodigieusement parce que intelligiblement : ce qu'il dit est compris par tous. En outre son dessin, très classique, est riche d'une culture élitiste mais devenue populaire à laquelle il ajoute une nouveauté très contemporaine.
Si on parle de dessin de presse, je préfère de loin les dessins militants aux dessins simplement humoristiques. Autre dessinateur de mon Panthéon : Boligan. Qui ne fait pas rire, c'est le moins qu'on puisse dire. Sempé fait rire mais son propos a toujours une portée philosophique, à la fois idéaliste, humaniste et politique. Comme avocate, j'ai souvent tenté et souvent en vain, d'inverser le regard des juges (et leurs sanctions) par exemple sur les cols bleus et les cols blancs. Sempé le fait, en dessin. Et ainsi, il touche un nombre de gens beaucoup plus important qu'on ne le fait à la barre d'un tribunal. C'est pour cela que je n'ai jamais regretté d'avoir quitté le métier d'avocate (ni de l'avoir exercé) : je me sens maintenant vraiment un grain de sable, minuscule mais grain de sable quand même. J'ai arrêté de huiler la machine. Entre mes compétences juridiques qui servent à mes camarades de militantisme actif (dans nos actions anti-pub en particulier), de théâtre de rue activiste, ou à mes amis et amies, dans leur quotidien, et mes dessins, je me sens joyeusement efficace.
4) L'umorismo riesce a denunciare la discriminazione delle donne? Hai avuto difficoltà nel tuo lavoro in quanto donna?
Come per ogni argomento, un certo umorismo, anche pieno di buone intenzioni, al cosiddetto «secondo grado», mantiene la discriminazione, un altro la denuncia utilmente. Quanto a me, amo, su questo argomento, fare disegni politicamente scorretti: quando la campagna contro il «man Spreading» (l’ostentazione degli uomini del loro sesso con la posizione a gambe divaricate) è arrivata dagli USA in Francia, ho trovato la campagna grottesca e ho disegnato una donna oltraggiosamente truccata, vestita con un mezzo fazzoletto di stoffa, con i tacchi vertiginosi, seduta in metropolitana, e dichiarando, l'aria disgustata, Man Spreading? Disgusting! ». Ho inviato il disegno all'associazione che aveva trasmesso questa campagna in Francia. Non ne abbiamo più sentito parlare, ma non so se è a causa di quel disegno!
Ma ho anche fatto notare a un vignettista che, quando disegnava dei consigli dei ministri, ci metteva solo uomini. Il femminismo comincia qui: ha smesso da quando ho fatto la mia osservazione! Faccio attenzione a disegnare banchiere e non banchieri, ministre, capi donne d'azienda, datrici di lavoro tiranne, infermieri uomini e dottoresse, eccetera. Ma sono cattiva con loro tanto quanto se disegnassi uomini. L'idea che il mondo sarebbe migliore se fosse governato da donne mi sembra totalmente assurda e contribuisce solo a perpetuare il sessismo.
Quanto a me, né come avvocato, né come pittrice decorativa, né come disegnatrice, ho avuto difficoltà. Quando sono diventata avvocato, il lavoro comprendeva già un buon numero di donne, non ho dovuto lottare. Inoltre si conosce innanzitutto «l'avversario» attraverso i suoi argomenti scritti, non come donna o uomo. Quindi se difendete bene il vostro caso, la strada è fatta. E se vi difendevate bene, (cosa che non si fa quasi più), vi facevate una buona reputazione, non di genere, semplicemente temibile!
Come disegnatrice, credo di essere stata rapidamente accettata perché non ho paura né di ascoltare né di fare battute sessuali. Il sesso è l'energia vitale; è la consolazione, effimera ma suprema, di tutto. Non parlo certo di oscenità, ma contro queste, la parola mi è sempre bastata a difendermi.
Ma questa mancanza di esperienza personale del sessismo o delle violenze sessuali da un lato e dall'altro questa esperienza giudiziaria delle devastazioni della calunnia e della delazione, e della relatività e talvolta della disonestà delle testimonianze, mi costringono ad uno sforzo per ammettere l'esistenza, la legittimità e l'utilità del Me too.
Credo nei mezzi per combattere a testa alta e con la pratica più che con discorsi segregazionisti. E senza questi pregiudizi, questa generalizzazione abusiva: tutti gli uomini sono così e le donne cosà. Al carnevale di Dunkerque, dove gli uomini si travestono da donne e poco il contrario, sono andata travestita da uomo e a volte mettevo la mano sul sedere degli uomini. Che si giravano scioccati e si ritrovavano molto sorpresi di vedere una donna; credo che questo gesto facesse capire più rapidamente di ogni teoria e nel buon umore che cosa c'è di sgradevole in una mano alle natiche. Ma ovviamente, di fronte alle molestie violente, questa è una risposta irrisoria.
Constato anche che le persone non si informano abbastanza, che le condanne sono preferite alla comprensione. Informatevi sui dettagli dei casi, non condannerete né Polanski, né Woody Allen... né Jerry Lee Lewis o Charlie Chaplin ai quali il Tempo ha reso giustizia. Ma al tempo di scrittura inclusiva, chi prende ancora o che società lascia ancora il tempo prezioso?
L’humour réussit à dénoncer la discrimination des femmes? Tu as eu des difficultés dans ton travail en tant que femme?
Comme pour tout sujet, un certain humour, même plein de bonnes intentions, au soi-disant « second degré », entretient la discrimination, un autre la dénonce utilement. Quant à moi, j'aime, sur ce sujet, faire des dessins politiquement incorrects : quand la campagne contre le « man spreading » (étalage par les hommes de leur sexe par une position avachie jambes écartées) est arrivée des E.U. en France, j'ai trouvé la campagne grotesque et dessiné une femme outrageusement fardée, botoxée, vêtue d'un demi-mouchoir de tissu, en talons vertigineux, assise dans le métro, et déclarant, l'air écœuré, « Man spreading ? Disgusting ! ». J'ai adressé le dessin à l'asso qui avait relayé cette campagne en France. On n'en a plus entendu parler mais je ne sais pas si c'est à cause de ce dessin !
Mais j'ai aussi fait remarquer à un dessinateur que, quand il dessinait des conseils des ministres, il n'y mettait que des hommes. Le féminisme commence là : il s'est amendé depuis ma remarque ! Je fais attention à dessiner des banquières et pas des banquiers, des femmes ministres, des cheffes d'entreprise, des employeuses tyranniques, des hommes infirmiers et des femmes docteures, etc. Mais je suis aussi méchante avec elles que si je dessinais des hommes. L'idée que le monde irait mieux s'il était dirigé par des femmes me paraît totalement absurde et ne contribue qu'à perpétuer le sexisme.
Quant à moi, ni comme avocate, ni comme peintre en décors, ni comme dessinatrice, je n'ai eu de difficultés. Quand je suis devenue avocate, le métier comprenait déjà un bon nombre de femmes, je n'ai pas eu à lutter. De plus on connaît d'abord « l'adversaire » à travers ses arguments écrits, pas comme femme ou homme. Donc si vous défendez bien votre dossier, le chemin est fait. Et si vous plaidiez bien, (plaider ne se fait quasiment plus), vous vous faisiez une bonne réputation, non genrée, simplement redoutable !
Comme dessinatrice, je crois que j'ai été vite acceptée parce que je n'ai peur ni d'entendre ni de faire des plaisanteries sexuelles. Le sexe, c'est l'énergie vitale ; c'est la consolation, éphémère mais suprême, de tout. Je ne parle pas des obscénités, bien sûr, mais contre celles-là, la parole m'a toujours suffi à me défendre.
Mais cette absence d'expérience personnelle du sexisme ou des violences sexuelles d'un côté et de l'autre cette expérience judiciaire des ravages de la calomnie et de la délation, et de la relativité et parfois de la malhonnêteté des témoignages, m'obligent à un effort pour admettre l'existence, la légitimité et l'utilité de Me too.
Je crois aux moyens de combattre la tête haute et par la pratique plus que par des discours ségrégationnistes. Et sans ces préjugés, cette généralisation abusive : tous les hommes sont comme ci et les femmes comme ça. Au carnaval de Dunkerque où les hommes se déguisent en femmes et peu l'inverse, je suis allée déguisée en homme et je mettais quelquefois la main aux fesses des hommes. Qui se retournaient choqués et se retrouvaient très surpris de voir une femme ; je crois que ce geste faisait comprendre plus vite que toute théorie et dans la bonne humeur ce qu'il y a de désagréable dans une main aux fesses. Mais évidemment, face aux harcèlements violents, ceci est une réponse dérisoire.
Je constate aussi que les gens ne s'informent pas assez, que les condamnations sont préférées à la compréhension. Informez-vous des détails des affaires, vous ne condamnerez ni Polanski, ni Woody Allen ... pas plus que Jerry Lee Lewis ou Charlie Chaplin auxquels le Temps a rendu justice. Mais au temps de l'écriture inclusive, qui prend encore ou quelle société laisse encore le précieux temps ?
Excellence Trophy to Christine Traxeler - Trax (France) agli World Humor Awards 2020 |