martedì 25 settembre 2018

Vincino



Vincino, pseudonimo di Vincenzo Gallo (Palermo, 30 maggio 1946 – Roma, 21 agosto 2018[1), è stato un vignettista e giornalista italiano.

E' già passato un mese, ma rimane sempre nei ricordi...

Vincino in una scatola di matite, alla sua ultima festa
Abbiamo accompagnato Vincino nel Tempietto egizio del Verano per salutarlo tra i ricordi, i sorrisi e le lacrime




l'ultimo disegno : comunque sarò il prossimo James Bond... (di sicuro...)
©Vincino


Ciao Vincino amico mio!
© Vauro



Ciao Vincino, ora scherza pure coi santi
Luca Sommi

Allampanato, dinoccolato, un elegantissimo, letterato hippie che ti guardava storto da quelle lenti fondo di bottiglia – montate su Persol da sole, modello Steve McQueen – tanto da far diventare gli occhi minuscoli, ma non lo sguardo. Quello era lungo, lunghissimo, anarchico e indipendente, da artista, quale lui era. Vincino, al secolo Vincenzo Gallo, era molto più di un vignettista, di un disegnatore satirico, era un fine antropologo, uno che smascherava i vizi dei potenti (ma anche dei deboli) facendone sintesi in tre schizzi storti, irresistibili e irriverenti. Ieri se ne è andato, dopo una brutta bestia di malattia, a 72 anni, e dopo una carriera meravigliosa, mai al servizio di nessuno. Anzi, a volte sembrava, per vezzo, godere nel disegnare su giornali apparentemente a lui lontani – ergo conservatori, ordinari, filo-tutto purché quel tutto fosse potente. Ma in realtà tutto e tutti erano distanti da lui, che era vasto, contraddittorio e geniale, un artista senza confini né recinti, se non quelli della sua lucida e stralunata fantasia.

Vincino amava i vizi, di forma e di sostanza, i suoi disegni tremolanti non facevano né troppo ridere né troppo riflettere – queste sono cose comuni: le sue istantanee erano un pugno nello stomaco, spesso un anagramma, un’anamorfosi della vignetta. Tracimavano di cultura, erano allucinogene, piccoli trattati colorati che prendevano il senso comune di lato, mai frontalmente. A volte erano incomprensibili – a volte addirittura la didascalia lo era – però arrivavano al centro di dove dovevano arrivare, cuore o cervello che fosse. D’altronde l’arte mica deve illustrare, bensì mostrare ciò che è invisibile agli occhi, e lui in questo era ineffabile.

Nato a Palermo, ma uomo di mondo, si laurea in architettura ma non fa l’architetto, figuriamoci, lui che, come detto, aveva un’idiosincrasia genetica per le righe diritte – il rapporto pavimento-parete deve sempre essere di 90 gradi, ammoniva Le Corbusier: appunto, non roba per uno che volava tra sghiribizzi e lazzi come un uccello fluorescente e indomabile. Nel ’68 è vicino ai movimenti studenteschi e operai, poi arriva Lotta Continua e l’inserto satirico “L’avventurista”. È il primo di una lunga sfilza: “Il clandestino” con L’Espresso, “Tango” con l’Unità, “Boxer” sul Manifesto, poi “Cuore” e tanti altri – ha diretto “Ottovolante”, quotidiano di satira che durò poco più di una settimana, geniale, insieme ad altri giganti come Roland Topor, Andrea Pazienza o Guido Buzzelli – fino alle lunghe collaborazioni con Corriere della Sera prima e Il Foglio poi. Ma il suo capolavoro assoluto fu “Il Male”, fatto, tra gli altri, con il suo inseparabile sodale, fratello di matita, Vauro Senesi. Quella combriccola ne fece di cotte e di crude durante i cinque anni di vita del giornale: la più memorabile e riconoscibile fu la finta prima pagina di Repubblica che titolava “Arrestato Ugo Tognazzi. È il capo delle BR”. Roba impensabile oggi, da fustigazione pubblica. Nel 2011 sempre insieme a Vauro rimanda in edicola “Il Male”, durò poco ma fu bellissimo, basti pensare che la redazione la piazzarono nella sede storica della Democrazia Cristiana in piazza del Gesù – roba da far rivoltare nella bara più di un notabile.

Michele Santoro, uno che di televisione capisce davvero, lo aveva mandato in video, insieme a Vauro, come inviato nell’ultima edizione di “Servizio Pubblico”. Risultato? Due meravigliosi Totò e Peppino surrealisti e d’avanguardia, in moto-sidecar, sfreccianti a raccontare con taglio “cinico e baro” il costume degli italiani di oggi e di domani: capolavoro.

Vincino in gioventù provò anche l’ebbrezza del carcere “esperienza bellissima, che consiglio a tutti”, poi il pornofotoromanzo con Cicciolina fino alle incursioni ai comizi di Craxi, camuffato da Craxi. Il situazionismo era per lui una regola, l’irriverenza il suo dogma. La sua vasta cultura non era mai citazione, mai parafrasi, ma sempre sostanza metabolizzata e poi rivomitata a modo suo, coi suoi disegni, con le sue aspirazioni e i suoi progetti sghembi ma fantastici. Era un illuminista e un surrealista insieme, amava i libri e l’uso fiero della ragione, ma per poi distorcerli, piegarli con un segno eretico. In lui c’era Voltaire e c’era Bunuel, frullati insieme, un ibrido un po’ sornione e unico nel suo genere. Un Candide a spasso per la sua personalissima e moderna Westfalia a sfregiare i vari Pangloss di turno. Però Vincino era più sornione, zero moralista, molto esistenzialista, quasi disincantato e non amava né i santoni né i santini, di qualunque colore fossero. Si arrampicava sugli specchi come nessuno, dissimulava l’evidenza come tutti e sognava di sfondare porte aperte – provaci tu, se sei capace, a sfondare una porta aperta! diceva Carmelo Bene. Perché solo i veri artisti possono ambire a tanto, e non tutti hanno lo spirito per capire certe cose, solo le persone belle. Come Diderot, su quella panchina del Palais Royal, che intima al nipote di Rameau che “uno sciocco sarà più facilmente incline alla malvagità che un uomo di spirito”. Ciao Vincio, lassù non esagerare.




così vincino, così lontano (cit.)
© Mauro Biani

Un situazionista della satira col pennarello sempre in tasca
Vincino. Addio al disegnatore che nelle sue vignette ha raccontato con ironia l’Italia sin dai tempi del «Male»
Mauro Biani
Non ero pronto al coccodrillo per Vincino. Un pazzo immortale. Il pennarello nel taschino della camicia, sempre. I disegni espressività. «Qui c’è un fax?». Pure quando lo avevo invitato a un ennesimo incontro sulla satira (uff) ma era solo il 2011, un’eternità fa. È il destino di chi fa (almeno) una vignetta al giorno: ansia giornaliera da tematica (milioni per chi non è allineante) e ricerca di un fax (lui), gli altri di una connessione. Era connesso e sconnesso. Ok.
Che poi alla fine fu un bell’incontro. Una tavolata di esordienti, più o meno. Flaviano (ora fumettista di punta della Marvel), io, Vincino, Antonella Marrone (giornalista di «Liberazione»), Gianpiero Caldarella (Pizzino ed Emme), Makkox, Giuliano Cangiano, grande illustratore.

La discussione, organizzata da «Mamma!» la rivista inventata da Carlo Gubitosa e da me che come sottotitolo aveva: «Se ci leggi è giornalismo, se ci quereli è satira». Un tentativo sperimentale di libertà totale di satira e giornalismo grafico, in un momento storico in cui inserti e riviste di satira non esistevano praticamente più.
E Vincino ne sapeva più di tutti, dal «Male», per me forse l’unica vera pubblicazione satirica insieme al diversissimo (come diversa era la società degli anni ’90) successivo «Cuore», al siciliano «Pizzino», di venticinque anni dopo.

I vignettisti, e anche lui, sono solitari, gelosi dei propri luoghi di pubblicazione, individualisti. Ma Vincenzo amava anche il gruppo, la pubblicazione indipendente, pure se poi indipendente lo era comunque su qualsivoglia pezzo di carta o di web lo ospitasse.
E quindi si discettava: dove va la satira? E dove andava, e che satira (?). Le satire vanno poi dove vogliono, ed è talmente inutile cercare recinti di «purezza (boh) satirica». Fa quello che vuole e Vincino pure. Unico problema spesso è farsi pagare (ora di più) e su questo ci ha anche insegnato a non svendere (troppo) «l’arte». Poi, se gli chiedevo una vignetta (come è capitato per «il manifesto») la dava anche gratis, comunicandomi comunque l’iban, che non si sa mai.

E, infatti, partecipò anche a «Mamma!» gratis, ché l’unica cosa che poteva fare anche per sostenere chi ci provava, senza editori, senza padroni.
I suoi disegni erano brutti come è brutto Chagall. Lui riderebbe chiedendo se ho fumato. Ma i suoi espressivi omini e donnine e politici, spiegavano svolazzanti, e qua e là, già tutto, anche senza quelle decine di parole che facevano spesso somigliare un suo lavoro a un minifumetto piuttosto che a una vignetta.

Concordo con quello che mi ha scritto a caldo il mio compare su «Mamma!» Carlo Gubitosa: «L’eredità culturale che ci lascia Vincino non è solo quella del vignettista. Lo ricordo con affetto come giornalista politico (il primo a entrare a palazzo con la matita e non con la penna), come sincero e appassionato militante radicale, come situazionista irriducibile fino all’ultimo, quando ha messo lo storico busto in marmo di Andreotti realizzato dal ’Male’ in quella Piazza del Gesù che un tempo era della Dc e poi è stata espugnata dalla redazione del ’Male’ di Vauro e Vincino per una bella stagione di satira, e lo ricordo con affetto come artista, fantasista, ragazzino che guardava la politica divertito senza mai smettere di farle pernacchie ai vestiti finti degli imperatori».

E a proposito di vignette sui quotidiani, una volta mi scrisse una cosuccia impegnativa e gradassa (oltre a individualisti siamo piuttosto gradassi, forse per farci forza e coprire i santi dubbi che ci pigliano prima di realizzare un lavoro che sembra definitivo): «Io credo che l’unico spazio di verità dentro un giornale sia il quadratino della vignetta, cioè su trenta, cinquanta pagine l’unico spazio di verità sia il piccolo quadratino e sia responsabilità nostra quindi ogni volta pensare con la nostra testa e le nostre matite».
E adesso Vincino dove vai? Non era questo a cui si pensava quando dicevamo: «Non c’è ricambio nemmeno nella satira».




46° Premio Satira Politica di Forte dei Marmi: premiazione di Vincino per il libro autobiografico "Mi chiamavano Togliatti....", 7 luglio 2018




© Riccardo Mannelli


Addio al vignettista Vincino, l'omaggio di Ellekappa



Difficile per me spiegare a parole, o anche a disegni, chi fosse per me #Vincino. "Noi abbiamo un compito, raccontare il mondo a disegni", diceva sempre. Era un amico, ha creduto in me, mai bollito, uno dei pochi fuoriclasse della satira in Italia. Ciao maestro.
Dario Campagna


© Altan, Ellekappa, Sergio Staino


© Makkox



Un ricordo di Vincino (Sottovoce)
È morto Vincino, nelle sue vignette mezzo secolo di storia d'Italia


Tutto Vincino - Il Foglio

domenica 23 settembre 2018

Colombia : Nani è stata ingiustamente denunciata di creare odio razziale con le sue vignette.


Marilena Nardi :" Una volta di più si prendono fischi per fiaschi. Massima solidarietà alla mia amica Adriana Mosquera, in arte Nani, autrice delle strisce di Magola."

E' stata denunciata  la vignettista colombiana Nani, Adriana Mosquera, per "istigazione all'odio contro i venezuelani".
Questa è la terza denuncia in Colombia a causa di vignette satiriche quest'anno, si legge in questo articolo di JMora.
A marzo è stato il turno di Matador, anche se la denuncia è stata finalmente respinta, ma pochi giorni dopo Diego Garcia è stato denunciato per calunnia e diffamazione dal sindaco della Florida Hector Mantilla ed ora è la volta di Nani.

La figura dell'azione di tutela in Colombia è simile a quella del reclamo qui e viene eseguita rapidamente, è una procedura purtroppo preferenziale e sommaria. Per la sua risoluzione sono stabiliti 10 giorni lavorativi. La tutela mira a proteggere i diritti costituzionali fondamentali degli individui "quando ritengono che questi siano stati violati dall'azione o dall'omissione di qualsiasi autorità pubblica o di individui nei casi indicati nel presente decreto".


Mi associo a Marilena Nardi nella solidarietà dell'artista colombiana Nani e spero che le autorità si rendano conto dell'assurdità della denuncia.
Ho scritto a Nani , che mi ha mandato la vignetta incriminata e la mail dove spiega l'accaduto.





Estimada amiga
Gracias por tu interés

Actualmente en Colombia sufrimos una gran represión los caricaturistas, se coarta nuestra libertad de expresión y practicamente no se puede opinar.
Pero lo más preocupante es la gran ignorancia que envuelve todo. Por ejemplo se ha interpuesto una demanda judicial en mi contra por la mala interpretación de la tira que te adjunto.

El ciudadano que interpuso la demanda dice que invito a la discriminación, al racismo contra los inmigrantes venezolanos, al odio, y que vulnero los derechos de los desplazados.

Yo soy inmigrante colombiana en España, y comprendo la situación de estas pobres personas que ahora tienen que salir de Venezuela rumbo a Colombia con las manos vacías. Soy incapaz de hacer nada en contra de ellos y en la tira está clarísimo, de hecho el ciudadano que interpuso la acción judicial, realmente defiende los mismos ideales que yo, pero ahora tengo que esperar a que la justicia hable y si es el caso me sancione o no.

El funcionario que recibió la demanda también debería haberse dado cuenta que es simplemente absurdo.

Pero así están las cosas.
un abrazo
Nani


Cara amica

Grazie per il tuo interesse

Attualmente in Colombia subiamo una grande repressione dei vignettisti, la nostra libertà di espressione è limitata e non abbiamo praticamente alcuna voce in capitolo.
Ma la cosa più preoccupante è la grande ignoranza che avvolge il tutto. Ad esempio, è stata intentata una causa contro di me per cattiva interpretazione della striscia allegata.

Il cittadino che ha intentato la causa ha detto che ho invitato alla discriminazione, al razzismo contro gli immigrati venezuelani, all'odio e alla violazione dei diritti degli sfollati.

Sono un colombiana immigrata in Spagna, e capisco la situazione di questa povera gente che ora deve lasciare il Venezuela per la Colombia a mani vuote. Sono incapace di fare qualcosa contro di loro e la striscia è molto chiara, infatti il cittadino che ha intentato l'azione legale, difende davvero gli stessi ideali come me, ma ora devo aspettare che la giustizia parli e se è il caso sarò sanzionato o meno.

Il funzionario che ha ricevuto la denuncia dovrebbe anche aver capito che la situazione è semplicemente assurda.

Ma è così che stanno le cose.
Un abbraccio
Nani

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Adriana Mosquera “Nani” (Bogotá D.C.) es caricaturista, bióloga, diseñadora y escritora hispano-colombiana, autora de Magola, una de las tiras cómicas más conocidas en Iberoamérica,1​ a través de la cual trata temas de humor social y de parejas, de actualidad e igualdad de género. Ha participado en una docena de exposiciones en diversos países y organizado una itinerante titulada Las mujeres creadoras y el arte de la caricatura. Cuenta con una decena de premios, entre los que destacan el Gran Premio Diógenes en Argentina. Es profesora honorífica del humor por la Universidad de Alcalá de Henares. Reside en España desde 1997, miembro de Cartooning for Peace-Francia.

Adriana Mosquera "Nani" (Bogotá D.C.) è una fumettista, biologa, designer e scrittrice spagnola e colombiana, autrice di Magola, una delle strisce comiche più note in America Latina,  attraverso la quale affronta temi di umorismo sociale e coppie, attualità e uguaglianza di genere. Ha partecipato a una dozzina di mostre in vari paesi e ha organizzato una mostra itinerante dal titolo Donne creatrici e l'arte della Caricatura. Ha una dozzina di premi, tra cui il Gran Premio Diogenes in Argentina. È professore onorario di umorismo all'Università di Alcalá de Henares. Risiede in Spagna dal 1997, membro di Cartooning for Peace-France.

giovedì 20 settembre 2018

Venezia: i masegni in trachite... chi se li è rubati?

Venezia.
Cammino, inciampo e penso.
Dove saranno finite le sue “pietre”? I masegni in trachite... chi se li è rubati?
(per i non veneziani: i masegni sono i blocchi scuri che compongono la pavimentazione veneziana. In alternanza a quelli bianchi, in pietra d’Istria).
Anni fa si è iniziato un lodevole ammodernamento dell’impianto fognario della città e di messa in sicurezza contro gli incendi. Contemporaneamente molte delle calli e delle fondamenta sono state ripristinate o rifatte del tutto. Per ovviare alle acque alte, alcune sono anche state rialzate. Fin qui, tutto bene. Ci sarebbe da aggiungere qualcosa sulle pendenze al contrario, che portano l’acqua verso gli ingressi anziché al centro della calle, ma entrerei in un’altra storia.
Torno ai masegni, che sono il mio cruccio ogni volta che vado al lavoro. Ebbene, non sono più quelli originali. Durante le fasi di ripristino, sono stati progressivamente sostituti. Spariti!
Non è solo un problema di conservazione. I veneziani dei tempi andati (e anche gli austriaci) avevano saggiamente impiegato masegni in trachite, una pietra durissima, di origine lavica, antiscivolo, che non si usura al calpestio. Resistente e molto bella, con varianti cromatiche che andavano dal grigio scuro con toni caldi e bruni fino al viola. Dopo ogni pioggia, il suolo veneziano riluceva di tutte queste variazioni.
Nell’ultima decina d’anni, i masegni antichi sono stati sostituiti da una pietra nerastra e porosa che in breve si è usurata e danneggiata in modo differenziato. Risultato: il lastricato è brutto, opaco, spento e butterato. Col sole e con la pioggia. Sempre! E anche passeggiare non è più così agevole, perché si è costretti a guardare ad ogni passo dove si mette il piede, per colpa delle buche e dei diversi livelli che la salsedine ha creato.
Ogni volta che percorro le Zattere, e che inevitabilmente inciampo, mi chiedo che fine abbiano fatto i pietroni, i masegni antichi. Che sarebbero durati altri secoli! Perché per secoli i veneziani hanno riparato fondamenta e calli riutilizzando, anzi rimettendo ogni blocco al proprio posto. Invece, questi “nuovi”, fra pochissimo saranno già da sostituire. E insieme a loro saranno da aggiustare anche centinaia di caviglie e ginocchia sbucciate.
(anche la pietra d’Istria sta sparendo piano piano nello stesso modo. E anche quella non si potrà recuperare tanto facilmente).
Marilena Nardi






martedì 18 settembre 2018

I 100 miglior libri del XXI secolo ... per ora.

Illustrazione di Tim MacDonagh
Un tentativo sicuramente prematuro di stabilire i 100 miglior libri del XXI secolo
ma leggere è molto molto importante e quindi amici del blog vi ho voluto incuriosire e mettervi l'articolo apparso sul sito americano Vulture, rubrica culturale di New York Magazine.


Tra i cento c'è l'italiana Elena Ferrante, con L'Amica geniale, ( The Napoletolitan Novels 2011-2015).

Il miglior libro del secolo (per ora) invece è The Last Samurai , di Helen DeWitt (20 settembre 2000).
Un romanzo sulla natura del genio. È anche, più precisamente, un romanzo sul potenziale umano universale.
 Il brutto film che è stato girato con Tom Cruise ha purtroppo messo in ombra il romanzo. Poi vengono i libri molto attesi come "The Corrections" di Jonathan Franzen , "Let Me Go", di recente premio Nobel Ishiguro , "Il complotto contro l'America" di Philip Roth o "NO" di Zadie Smith .
Non troviamo che  autori anglosassoni a parte l'italiana Elena Ferrante, "2666", dello scrittore cileno Roberto Bolaño, norvegese Karl Ove Knaussgard per "un uomo amorevole" o ancora il tedesco WG Sebald con "Austerlitz". Canto del gallo, ci sono anche tre libri francesi: "Piattaforma" di Michel Houellebecq, "Other Lives Ma la mia" di Emmanuel Carrère e ... "Suite francese" Irene Nemirovsky, scelta sorprendente per una lista che dichiara di incapsulare spirito letterario del XXI secolo.


A Premature Attempt at the 21st Century Canon
 A panel of critics tells us what belongs on a list of the 100 most important books of the 2000s … so far.
By Vulture Editors Illustration by Tim MacDonagh

Why Now?

Okay, assessing a century’s literary legacy after only 18 and a half years is kind of a bizarre thing to do.

Actually, constructing a canon of any kind is a little weird at the moment, when so much of how we measure cultural value is in flux. Born of the ancient battle over which stories belonged in the “canon” of the Bible, the modern literary canon took root in universities and became defined as the static product of consensus — a set of leather-bound volumes you could shoot into space to make a good first impression with the aliens. Its supposed permanence became the subject of more recent battles, back in the 20th century, between those who defended it as the foundation of Western civilization and those who attacked it as exclusive or even racist.

But what if you could start a canon from scratch? We thought it might be fun to speculate (very prematurely) on what a canon of the 21st century might look like right now. A couple of months ago, we reached out to dozens of critics and authors — well-established voices (Michiko Kakutani, Luc Sante), more radical thinkers (Eileen Myles), younger reviewers for outlets like n+1, and some of our best-read contributors, too. We asked each of them to name several books that belong among the most important 100 works of fiction, memoir, poetry, and essays since 2000 and tallied the results. The purpose was not to build a fixed library but to take a blurry selfie of a cultural moment.

Any project like this is arbitrary, and ours is no exception. But the time frame is not quite as random as it may seem. The aughts and teens represent a fairly coherent cultural period, stretching from the eerie decadence of pre-9/11 America to the presidency of Donald Trump. This mini-era packed in the political, social, and cultural shifts of the average century, while following the arc of an epic narrative (perhaps a tragedy, though we pray for a happier sequel). Jonathan Franzen’s The Corrections, one of our panel’s favorite books, came out ten days before the World Trade Center fell; subsequent novels reflected that cataclysm’s destabilizing effects, the waves of hope and despair that accompanied wars, economic collapse, permanent-seeming victories for the once excluded, and the vicious backlash under which we currently shudder. They also reflected the fragmentation of culture brought about by social media. The novels of the Trump era await their shot at the canon of the future; because of the time it takes to write a book, we haven’t really seen them yet.

You never know exactly what you’ll discover when sending out a survey like this, the results of which owe something to chance and a lot to personal predilections. But given the sheer volume of stuff published each year, it is remarkable that a survey like this would yield any kind of consensus—which this one did. Almost 40 books got more than one endorsement, and 13 had between three and seven apiece. We have separately listed the single-most popular book; the dozen “classics” with several votes; the “high canon” of 26 books with two votes each; and the rest of the still-excellent but somewhat more contingent canon-in-utero. (To better reflect that contingency, we’ve included a handful of critics’ “dissents,” arguing for alternate books by the canonized authors.)

Unlike the old canons, ours is roughly half-female, less diverse than it should be but generally preoccupied with difference, and so fully saturated with what we once called “genre fiction” that we hardly even think of Cormac McCarthy’s post-apocalyptic The Road, Colson Whitehead’s zombie comedy Zone One, Helen Oyeyemi’s subversive fairy tales, or even the Harry Potter novels as deserving any other designation than “literature.” And a whole lot of them are, predictably, about instability, the hallmark of the era after the “end of history” that we call now.

At least one distinctive new style has dominated over the past decade. Call it autofiction if you like, but it’s really a collapsing of categories. (Perhaps not coincidentally, such lumping is better suited to “People Who Liked” algorithms than brick-and-mortar shelving systems.) This new style encompasses Elena Ferrante’s Neapolitan novels; Sheila Heti’s self-questing How Should a Person Be?; Karl Ove Knausgaard’s just-completed 3,600-page experiment in radical mundanity; the essay-poems of Claudia Rankine on race and the collage­like reflections of Maggie Nelson on gender. It’s not really a genre at all. It’s a way of examining the self and letting the world in all at once. Whether it changes the world is, as always with books, not really the point. It helps us see more clearly.

Our dozen “classics” do represent some consensus; their genius seems settled-on. Among them are Kazuo Ishiguro’s scary portrait of replicant loneliness in Never Let Me Go; Roberto Bolaño’s epic and powerfully confrontational 2666; Joan Didion’s stark self-dissection of grief in The Year of Magical Thinking. They aren’t too surprising, because they are (arguably as always, but still) great.

And then there’s The Last Samurai, Helen DeWitt’s debut: published at the start of the century, relegated to obscurity (and overshadowed by a bad and unrelated Tom Cruise movie of the same name), and now celebrated by more members of our panel than any other book. That’s still only seven out of 31, which gives you a sense of just how fragile this consensus is. Better not launch this canon into space just yet.

—Boris Kachka

(continua)

I vincitori della prima edizione del Concorso LIBEX-2018

Dopo avere selezionato 55 vignette tra le 635 ricevute da 260 vignettisti di 55 paesi diversi del Concorso LIBEX-2018 sul tema “Immaginatione e potere nell’era digitale”, la Giuria ha scelto le sue 15 vignette preferite e tra queste le tre vincitrici:

Primo premio: Nikola Listes- Croatia.

© Nikola Listes



Secondo premio: Emanuele Del Rosso - Italia
© Emanuele Del Rosso




Terzo premio: Fadi Abou Hassan / FadiToOn - Norway
© Fadi ToOn


Da La repubblica di Bari (16/09/18)
Le vignette raccontano il doppio volto della Rete
di Gennaro Totorizzo
Una vignetta per raccontare le due facce della rete.
Quella potenzialità che consente di lanciare messaggi universali con un semplice clic, e i pericoli che da quel gesto così apparentemente innocuo, possono derivare. Sono tre i lavori premiati nella prima edizione del concorso internazionale di vignette satiriche Libex, indetto il 15 maggio scorso dal centro euro-mediterraneo Librexpression della fondazione Di Vagno, potrebbero essere interpretati da chiunque, in qualunque parte del mondo.
Nonostante gli autori provengano da Paesi diversi, e per questo abbiano differenti necessità d'espressione e parlino diversi linguaggi. Nikola Listes, che ha conquistato il primo posto, ad esempio, è croato. In Nuova odissea ha rivisitato una celebre scena di 2001: Odissea nello spazio, con le schegge di osso lanciate dall'ominide a comporre una "chiocciola".
L'italiano Emanuele Del Rosso, secondo, fa rivivere la protesta di piazza Tienanmen, dove al posto dei carri armati ci sono dei mouse, mentre il rifugiato siriano, ora norvegese, Fadi Toon stende panni nella celebre "f" di Facebook. Tutti sono accomunati dal tema "Immaginazione e potere nell'era digitale", lo stesso della 14esima edizione del festival Lectorinfabula, nel quale oggi, alle 16 nel chiostro San Benedetto di Conversano, saranno premiati e commenteranno le proprie opere. «La maggioranza dei partecipanti, 260 provenienti da 55 Paesi, aveva una visione assai critica dell'uso dei mezzi digitali spiega il presidente della giuria Thierry Vissol - Tutti hanno timore delle grandi società che operano sul web e dell'uso dei big data. Nonostante le sensibilità siano diverse, c'è un'unità di pensiero. E questo ci ha colpito moltissimo». La giuria, composta dai giornalisti Piero Ricci ( Repubblica Bari), anche presidente dell'Ordine dei giornalisti di Puglia, Gian Paolo Accardo (Voxeurop.eu) e Cristiana Castellotti (Rai Radio 3) e dai vignettisti Fabio Magnasciutti e Marco De Angelis, ha selezionato le opere (55 i finalisti) secondo diversi criteri: dalla coerenza con il tema proposto alla condizione di non essere state premiate a livello internazionale, dalla qualità grafica al messaggio trasmesso.
«Abbiamo ricercato qualcosa di originale. Quella di Odissea nello spazio è un'idea utilizzata tantissime volte, ma la maniera in cui è stata riproposta è unica».
Vissol è anche direttore editoriale di Librexpression, giornale di satira presentato proprio in occasione del festival: «La rivista contiene articoli seri, basati su fonti attendibili, e illustrati da vignettisti. Permette di leggere qualcosa di importante e proseguire la riflessione con la vignetta. La satira è fatta proprio per toccare un problema e indurre a pensarci su». Tanti i temi trattati: dalla libertà di espressione in Spagna e in Marocco alla Brexit, per finire agli errori della giustizia italiana.

Tra le quindici migliori vignette:

© Guido Clericetti

© Elena Ospina


© nadia Khiari

Presenti anche famosi vignettisti internazionali

Fadi Aboi Hassan, Fadi ToOn, Doaa Eladl e Marco De Angelis

Ismail Kizil Doğan, Tjeerd Royaards e Fadi ToOn




The ceremony of "Digital Era" International Cartoon Contest 2018 and announcement of results:
First prize: Nikola Listes- Croatia.
Second Prize: Emanuele Del Rosso -Italy.
Third prize: Fadi Abou Hassan | FadiToOn-Norway.

The Jury members:
-Cristina Castellotti-Journalist (Rai 3 channel).
-Gian Paolo Accardo- Journalist ( Voxeurop.eu).
-Pietro Ricci - Journalist ( La Repubblica).
-Marco Marco De Angelis - Journalist & cartoonist.
-Fabio Magnasciutti-cartoonist.
- Prof. Thierry Vissol - Writer & director of LIBREXPRESSION CENTRO.


Maggiori informazioni sono reperibili sul sito e sui canali social del Centro Librexpression:

domenica 16 settembre 2018

#TONSILLE

#TONSILLE
 n.1 sett. 2018

Elettroperiodico d'avanguardia

Rivista di un certo spessore di fumetti, vignette, illustrazioni, scritti, arti figurative e non, di satira e umorismo. "La solita roba, aria fritta che non funzionerà" 

Lo potete sfogliare gratuitamente su ISSUU  QUI


E' uscito il 15 settembre il numero 1.
#TONSILLE! L'elettroperiodico che il mondo aspettava!
La rivista è nata da un'idea di Bruno Olivieri e Lele Corvi ,
 con GianLorenzo Ingrami ,
Marco Gava Gavagnin,
Maurizio Boscarol,
Roberto Bargagna,
Beppe Beppetti,
Roberto Totaro Tot,
Walter Leoni,
Angustina ed il
Cius.

Non c'è nemmeno bisogno di farvelo tenere da parte dal vostro elettroedicolante di fiducia perché basta cliccare nel link che ho messo sopra!



venerdì 14 settembre 2018

La Luna, testo e disegni di Ugo Sajini








LA LUNA
Non so quando Marta ha saputo cos'è la luna o quando l'ha
vista la prima volta.
So però che una sera scendendo dalla macchina allunga un braccio e fa:      

  -Guarda ‘a 'una.-

Io,che come sempre, cerco di capire poco le rispondo:
- Si dice LUNA con la ELLE davanti, non UNA che sembra il femmini-
le di UNO.-
Marta col braccio sempre teso mi fa:
- Si Elle come 'Una, che bella!-

Un'altra sera siamo in bagno, io mi faccio la barba, Marta è ginocchioni  sopra la cesta della biancheria, guarda dalla finestra e grida:

-Vieni! vieni! guarda 'a 'Una -
Marta è fortunata riesce sempre vedere la luna pìena o appena
appena intaccata e   non riesco mai a sapere cosa pensa della mezza luna o della falce di luna.
Qualche volta guardiamo assieme la luna lei continua ripetere:

- Che bella! –
Anche a me vien voglia di dirlo.
Marta è mia figlia.

4 disegni di Athos

La mela paracadutata

La vedova sconsolata.

Mi porti qualcosa di vivo.

Mezzo toast abbrustolito.

Quattro disegni dell'amico Athos Careghi.

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PROFESSIONE CARTOONIST di Athos




martedì 11 settembre 2018

Non dimentichiamo l' 11 settembre 2001







9/11 Remembered
The day the towers fell, 17 years ago.
By Andrea Arroyo and Peter Kuper

Andrea ArroyoAndrea Arroyo is co–art director of Opp-Art. She is an award-winning artist working in fine art, public art, and illustration. Her work is published widely (including in The New Yorker and The New York Times) and exhibited internationally. She is the creator of Unnatural Election: Artists Respond to the US Election.

Peter KuperTWITTERPeter Kuper is co-editor of the political zine World War 3 Illustrated and illustrates “Spy vs. Spy” for Mad every month. More of his work can be seen at www.peterkuper.com.
Da The Nation


what we lost on nine eleven    Guido Kuehn
11 Sep 2018


"September 11"    Antonio Rodríguez
...
11 Sep 2018


The Shadow...9/11    Vasco Gargalo
Twin Towers
10 Sep 2018


911 Anniversary
Marian Kamensky

domenica 9 settembre 2018

Libro: "Eclipses" di Miro Stefanovic

Grazie Francisco per questo articolo:

Libro Eclipses de Miro Stefanovic



“Eclipses”, nuevo libro de Miro Stefanovic
Por Francisco Punal Suarez
Especial para Fany Blog

Tuve el gusto de conocer personalmente al pintor y dibujante serbio Miró Stefanovic, cuando recibió el Gran Premio en el XV PortoCartoon, en el 2013 , por su extraordinaria obra titulada “Naufragio”, con el tema central “Libertad, Igualdad y Fraternidad”.

“Mi dibujo –me comentó Miro en aquella ocasión- refleja el estado de la sociedad actual. El dinero es la nueva deidad que gobierna el mundo. Todo se ha hundido por la avaricia y el dinero".

“El humor y la sátira –añadió-  no pueden cambiar la sociedad, pero ayudan a que la gente piense en las cosas que deben ser cambiadas. Cualquier persona no tiene que ser especialmente educada para entender el mensaje que lleva una caricatura. A veces la sátira puede influir en los lectores, y eso es algo”.

Ahora en su nuevo libro “Eclipses”, editado en el 2017,  Miro ratifica su condición de observador crítico de la realidad, y su orientación política de  anti-globalización, al seguir las causas y consecuencias de las actuaciones de los líderes políticos mundiales,  con una colección de caricaturas realizadas en los últimos años, y que no se habían publicado hasta ahora, con excepción de unas pocas que participaron en certámenes internacionales de humor gráfico.

El libro, de 200 páginas, se compone de seis capítulos, que abarcan los siguientes temas: Unión Europea, Estados Unidos, OTAN, Dinero, Medios de comunicación y ONU.

“Hoy en día –explica Miro- hay muchos “eclipses” en  nuestras vidas que nos impiden una vida normal cada día, nos afectan nuestra psique, el estado de ánimo, y nuestro desarrollo como seres humanos”.

“Hay un eclipse creado –expresa-  por la política de las grandes potencias a nivel global y en el que no podemos influir,  y esa debilidad nos desalienta. El eclipse que nos provoca una gran alianza militar, cuyo papel competitivo a nivel internacional es bien conocido, y cuyas acciones sufren  muchos  países pequeños en el mundo. El eclipse creado por la Unión Europea y sus políticos con sus métodos  hipócritas de dobles estándares crea una sensación de ira e impotencia y una gran confusión en nuestras vidas. El eclipse que nos lleva a desarrollar una carrera impuesta por la riqueza material, por el dinero,  se ha convertido en un punto de referencia de todo,   oscurece la mente, y descuida los valores espirituales del hombre”.

Miro señala cómo los medios de comunicación manipulan y transmiten informaciones falsas, creando confusión y desconfianza en las personas. Y también critica en sus dibujos cómo la ONU no actúa ante violaciones palpables, convirtiéndose en una organización débil, en manos de un grupo de países poderosos.

Al observar el ejemplar de “Eclipses”, uno constata el valor de los dibujos de Miro y su perseverancia para animar a los lectores y  despertarlos, estimular, provocar incluso una especie de reacción, de mirarse en el espejo. Es una obra que permanece como un testimonio gráfico de los acontecimientos del los siglos XX y XXI, de los cuales Miro es un testigo con una mirada propia y valiente.

“Los políticos –reconoce Miro -  se han vuelto  inmunes a la sátira y a la caricatura, lo que dice mucho sobre el deterioro de su moral y su honestidad, y el artista muchas veces pierde la ilusión de poder cambiar el estado de las cosas, pero uno debe persistir”.

Miro no realiza caricaturas para hacer reír. Él no quiere fomentar la hipocresía ni el cinismo Él sabe que es difícil ser satírico y sobrevivir en el campo de la caricatura en su país, donde la mayor parte de  los medios de comunicación propiedad de extranjeros de países de la UE  no le publican sus obras, y donde predomina la edición de caricaturas  de “humor neutro” que realizan los dibujantes para sobrevivir, asociados a tiempo parcial a muchos diarios con un salario regular.


“A la presentación de mi libro “Eclipses” –manifiesta Miro-  en Belgrado en una galería de renombre en el centro de la ciudad, a la que  todos los medios fueron invitados, no asistió ninguno para informar al público sobre la existencia del mismo. A partir de los llamados cambios en Serbia, cuando con la ayuda “generosa” de USA y la Unión Europea fue destituido el presidente  Slobodan Milosevic, y por primera vez el poder pasó a  la llamada oposición, la labor de  los dibujantes satíricos serbios dejó de interesar a los medios impresos”.

“Hoy, a pesar de que la inmoralidad y la codicia compran con dinero la justicia y justifican arbitrariedades y abusos,  la revelación de la verdad que denuncia tales hechos sigue siendo la motivación de mi obra”- finaliza.


Curriculum
Miro Stefanovic es un reconocido pintor y dibujante, que nació en la ciudad de Gorazde, antigua Yugoslavia, y hoy Federación de Bosnia y Herzegovina. Graduado en la Escuela de Bellas Artes, de Belgrado, donde recibió clases de Sergio Jovanovic, desde el principio sintió mucho interés por la pintura y la caricatura.
 Ha realizado exposiciones personales en prestigiosas galerías y ha ganado numerosos premios internacionales en eventos realizados en Portugal,  Japón, Bélgica, Italia, Serbia, Corea del Sur, China,  Irán, Escocia, Holanda, Israel, y otros países, donde ha demostrado la condición artística de la caricatura.
Publicó su libro de caricaturas políticas “Yo pienso” que ganó el segundo premio en el Festival Internacional de Beringen, Bélgica, en 1996.
Miro ha ilustrado el libro de poesía para niños “Cómo dices te quiero”, de  Slobodan Stanisic, y el título de aforismos  "Coma" de  Nikica Banic.
Desde 1995 es miembro de la Association of Visual Arts, Applied Arts Artists and Designers of Serbia (ULUPUDUS).
En el 2017 publica su libro Eclipses.

Censura - Miro Stefanovic.

USA y su politica - Miro Stefanovic.

Dibujo de Miro Stefanovic - Serbia (2)
Ambición - Miro Stefanovic.
A las puertas de la UE- Miro Stefanovic.
ONU - Miro Stefanovic.
Futbol - Miro Stefanovic.
Global Market 
Human Rights - Miro Stefanovic
Guerras - Miro Stefanovic.
Involución - Miro Stefanovic.


 "Eclissi, nuovo libro di Miro Stefanovic
Di Francisco Punal Suarez
Speciale per Fany Blog