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martedì 10 gennaio 2017

Zygmunt Bauman (1925 - 2017)


Zygmunt Bauman (Poznań, 19 novembre 1925 – Leeds, 9 gennaio 2017) è stato un sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche.
Umberto Rigotti




«Il problema: la prospettiva di agire moralmente in un tipo di mondo che promuove e incoraggia attivamente l’egoismo e non è particolarmente propenso alla condotta morale, alla cura degli altri, sia vicini sia lontani, e resta quindi sordo allo spirito di fratellanza che si basa sull’accettazione della reciproca responsabilità, sulla mutua buona volontà, sulla comprensione, sulla fiducia, sulla solidarietà.
Si potrebbe dire che questo problema costituisca la sfida più tremenda a cui ci troviamo di fronte nei nostri tempi di galoppante globalizzazione».
(Zygmunt Bauman, Homo consumens,
Erickson, 2007



Bauman
Marilena Nardi




BAUMAN
E' morto il filosofo Zigmund Bauman, 91 anni. Da lui lucide analisi e preziosi moniti sulla follia dell'era tecnologica e globalizzata.
Uber


Bauman
Zygmunt Bauman.
Mauro Biani


E che rivoluzione sia...
Je suis l'autre




Zygmunt Bauman
BY OSMANI SIMANCA, A TARDE, BRAZIL - 1/9/2017


Una perdita irreparabauman
Paride Puglia








Liquida
“Una società di consumatori è una società liquida perché tutte le identità possono essere come non essere, tutte le appartenenze ingenerano fedeltà o tradimenti arbitrari”
Paride Puglia


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Modernità liquida
Per capire il nostro mondo, e noi
(L'omaggio a Zygmunt Bauman oggi su Avvenire di Umberto Folena)
Viviamo nell’epoca della modernità liquida, signori. E allora bisogna schierarsi: cedere docili alle lusinghe del “tutto è friabile”, tutto è consumismo frenetico, tutto dev’essere solubile, ma proprio tutto: dai rapporti di lavoro, mai definitivi e sempre temporanei, alle relazioni affettive, perché nulla è per sempre e, nel mercato globale, l’individuo deve poter scegliere e cambiare ogni volta che glien'esalta il ghiribizzo. Schierarsi. O con la liquidità degli individui soli, persi nel consumo frenetico elevato a primo obiettivo della propria vita, infelici e quindi più docili alle lusinghe dell’advertising e delle mode spendaccione; oppure con la solidità, ossia persone che ostinatamente tessono legami, di lavoro, amicizia e amore; persone che credono nell’amore per sempre, nella famiglia, nell’azienda la cui prima ricchezza è il lavoratore, in un’economia dei produttori che mette al centro la terra, l’impresa, la bottega, l’ingegno.

Questo ci insegna Zygmunt Bauman. E non importa che non ci sia più, perché le sue parole risuonano tramite noi e sono destinate a non morire, anzi. “Modernità liquida” (Liquid modernity esce nel 2000) non è lo slogan fortunato di una breve stagione, ma una chiave di lettura acuta, bril-lante, intelligente capace di spiegare perché il nostro mondo è così e non in un altro modo. Spiega come viviamo. Spiega lo sfarinamento della comunità, del partito, del sindacato, della famiglia, anche delle Chiese. Spiega perché sia durissimo compiere scelte definitive, dallo sposarsi al farsi prete, frate o suora: «I corpi solidi per i quali oggi è scoccata l’ora di finire nel crogiolo ed essere liquefatti sono i legami che trasformano le scelte individuali in progetti ed azioni collettive».Bauman – «sono pessimista a breve termine, ottimista a lungo termine» – ci fornisce gli strumenti di analisi e anche le armi per resistere. Ogni volta che creiamo qualcosa di solido, costruiamo una relazione di amicizia e d’amore, realizziamo una piccola o grande impresa, ossia le nostre scelte individuali si incontrano e diventano progetto, ebbene quelle nostre scelte diventato politica, politica alta e autentica, capace di incidere sulla società. Era inevitabile che il sociologo socialista s’incontrasse con papa Francesco. Entrambi incoraggiano la comunità. Elogiano i legami e chi ostinatamente li cura, custodisce, crea e ricrea. «Ogni giorno – dice Bauman a Stefania Falasca nell’ultima intervista al nostro giornale, lo scorso 20 settembre ad Assisi, ospite di Sant’Egidio – Francesco se ne esce con risposte a domande che io sto ancora cercando, e con successo a metà, di articolare ». Ammirazione e alleanza naturale: la liquidità che ci rende soli e infelici, facili prede di un’economia parassitaria, è l’avversario; la solidità è il bene comune da perseguire, ciascuno nel suo ambito.

Bauman combatte, ma le sue “armi” sono la ragione e la mitezza. Mai una parola violenza o aggressiva. Si può essere chiari senza strillare, come quando indica la sfida decisiva dei nostri anni nell’essere persone morali, in senso alto e nobile: «Ecco il problema: la prospettiva di agire moralmente in un tipo di mondo che promuove e incoraggia attivamente l’egoismo e non è particolarmente propenso alla condotta morale, alla cura degli altri, sia vicini sia lontani, e resta quindi sordo allo spirito di fratellanza che si basa sull’accettazione della reciproca responsabilità, sulla mutua buona volontà, sulla comprensione, sulla fiducia, sulla solidarietà. Si potrebbe dire che questo problema costituisca la sfida più tremenda a cui ci troviamo di fronte nei nostri tempi di galoppante globalizzazione» (Homo consumens,2007).Altruismo, fratellanza, comprensione, solidarietà, responsabilità... Ce li ricorda questo splendido grande vecchio, che non muore, no che non muore perché ci pensiamo noi, grati, a farlo restare in vita.

lunedì 12 ottobre 2015

#paroleorrende

La raccolta di #paroleorrende  sui social impegna tantissime persone nella denuncia della deturpazione della lingua italiana.
Bello l'articolo che spiega il fenomeno di Daniela Ranieri per il FQ,  illustrato magnificamente da Marilena Nardi.


Lingua italiana sotto attacco: tutto iniziò con “l’attimino”. Il boom delle parole orribili (da eliminare). Scrivici le tue
Oggi la raccolta di #paroleorrende (l’hashtag sta a significare che la cura non può che essere omeopatica) impegna su Facebook molte persone, che - in una specie di trance agonistica - propongono ciascuna le proprie parole-tabù, le bestie nere, le espressioni-orticaria. Diamo un contributo

di Daniela Ranieri
• Da obbrobri come “un attimino” a locuzioni improbabili del tipo “piuttosto che” usato come congiunzione: la lingua italiana, con le sue regole e la sua sintassi, è sotto l’attacco delle espressioni orribili. Sul Fatto Quotidiano continua la pubblicazione delle liste di proscrizione delle firme del nostro giornale. Qui, nei commenti sotto l’articolo, potete inserire le storpiature che più vi hanno colpito voi. Per una battaglia civile per combattere l’antilingua.

In principio era “un attimino”. Inesorabilmente, come un virus, si diffuse a tutti i piani della società, ci inseguiva in banca, in palestra, in ufficio, a casa, nessuno ne era immune, dal prete allo psichiatra, dalla casalinga al parrucchiere. Poi avanzò violento il “piuttosto che” usato non in senso comparativo o avversativo, ma come congiunzione. “Andrei in Giappone, piuttosto che in Cina, piuttosto che a Cuba…”, dicevano i pierre di moda da Milano a Cefalù, i medici estetici, gli avvocati di Prati, le shampiste della Magliana: piacendosi molto. E intorno tutto un florilegio di “gentilmente”, “una firmetta qui”, “naturale o leggermente”… Che fastidio! La lingua italiana, con le sue regole e la sua sintassi, era sotto attacco.

La comunità web delle #paroleorrende
Ne parlai con Vincenzo Ostuni, editor di Ponte alle Grazie, che convenne: ormai non potevamo più ignorare il crimine, l’attacco efferato, l’invasione di certi obbrobri che ci salivano automaticamente alla bocca, che si impossessavano delle nostre dita. Avremmo dovuto allestire una lista nera, perché, come disse Ostuni in una sorta di manifesto di lotta contro le parole orrende, “la lingua tutta è un campo minato”. Oggi la raccolta di #paroleorrende (l’hashtag sta a significare che la cura non può che essere omeopatica) impegna su Facebook molte persone, che – in una specie di trance agonistica – propongono ciascuna le proprie parole-tabù, le bestie nere, le espressioni-orticaria. Nessuno snobismo, nessuno spirito conservatore: oggi che il Papa parla la lingua del popolo e il latino lo parla solo Claudio Lotito, nessuno vuol tornare all’italiano di Machiavelli. La lingua è un’entità plastica, vulcanica, e l’uso che ne fa la nostra psiche, avvinghiata agli algoritmi della rete, la rimodula incessantemente. Ormai nessun ostacolo può fermare “la pirlolingua degli informatofoni” (Guido Ceronetti). E infatti controllate nelle vostre mail, quelle di lavoro, degli uffici stampa delle case editrici o dei nostri politici. Non ce n’è una in cui non compaia qualche orribile lemma, un trito stilema, un insopportabile tic verbale. Ci sarà un timing, una dead line, una tabella di marcia, un customizzare, un ottimizzare, un funzionare (nel senso di convincere), un top, un performante, un endorsare, un quant’altro.

Nella poltiglia restasoltanto il “Googlish”
Fonemi vuoti, gassosi, che non vogliono dire niente e non hanno un vero e caldo rapporto con la nostra vita, ma evocano tutto un mondo di cultura progredita, sofisticherie aziendali, meeting motivazionali, affettazioni al passo coi tempi. Parole-chiave, hashtag, rapidi input brucia-sinapsi, inglesismi usati per lo più impropriamente (e spesso da chi non sa l’inglese), voci in Googlish, quella lingua diffusa dai motori di ricerca che uniforma i lessici nazionali in una poltiglia globalizzata. Tic linguistici che usiamo per impreziosire il discorso e mostrarci parlanti evoluti, dopo la vittoria dell’antilingua di cui parlava Italo Calvino su Il Giorno nel 1965, quell’italiano paludato che impone di dire “ho effettuato” invece di “ho fatto”, col risultato comico di trovare scritto nei bar: “Non si effettuano panini”.

Oggi è tutto rapido e veloce, la contrazione delle parole è frenetica; negli spasmi del multitasking, non c’è tempo di scegliere. La palude è bassa. Se già nel ‘78 Alberto Arbasino registrava le fissazioni giornalistiche “dello scendere in lizza e dello spezzare una lancia, del lavorare ai fianchi e del battere in ritirata, della levata di scudi, delle frecce all’arco, del sentiero di guerra, della caccia alle streghe, della camicia di forza”, oggi il “giornalismo esploso” dei social diffonde i suoi cliché spompati di “paese reale” e “società civile”, i suoi automatismi dei “gusti del pubblico” e dei “due marò”, i suoi barbarismi da Jobs Act a start-up.

L’antilingua del potere
E non parliamo dei post-politici. Il basic italian da 140 caratteri di Renzi costringe alla ripetizione anche i più avvertiti, con i suoi “la volta buona” e “l’Italia riparte”, “andare a vedere le carte” e “non gettare la palla in tribuna”, “il risultato lo portiamo a casa” e “non cadiamo nel derby ideologico”. Tutta una scialba metafora a condire il vuoto di contenuti; già che un conto è trasformare, usare, muovere la lingua, un conto è fossilizzarla nell’antilingua, assistendo senza resistere all’esaltazione corale del nulla lessicologico. Perché, sempre Calvino: “La motivazione psicologica dell’antilingua è la mancanza d’un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l’odio per se stessi”.

da Il Fatto Quotidiano di giovedì 8 ottobre


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I miei amici su FB
Pablito Morelli E poi: "Assolutamente sì", "assolutamente no", "settimana prossima", eccetera. Povera lingua bistrattata.


Anna Laura Folena ...e quantaltro! (scritto tutto attaccato)


Umberto Folena "NARRAZIONE"...

Michelangelo Lucco ·
E di "piuttosto che" al posto di "o" non ne vogliamo parlare?

venerdì 4 settembre 2015

L'ultima foto di Aylan scuote L'Europa.


The E.U. Reacts to Images of a Drowned Syrian Boy
SEPT. 3, 2015
Chappatte


Drame migratoire : l’image de la honte

Family of Syrian boy washed up on beach were trying to reach Canada in The Guardian.
Elchicotriste


...
Luc Descheemarker



Europe in shock
BY JOEP BERTRAMS, THE NETHERLANDS - 9/4/2015

Così la foto di Aylan sulla spiaggia ha rotto il muro dell’indifferenza
Il suo corpicino ha rimesso il tema dei profughi siriani in cima all’agenda europea
MARIO CALABRESI
La domanda di ieri era se si può pubblicare la foto di un bambino morto sulla prima pagina di un giornale, in apertura di un sito o se immagini così toccanti e intime siano da condividere su Facebook e Twitter. C’è stata grande discussione, a prevalere sono stati i sì, ma subito si è affacciata un’altra domanda, quasi sconsolata: «Ma servirà poi a qualcosa?». Sarà utile a smuovere mesi di immobilismo, opinioni pubbliche e governi che hanno tollerato una guerra che finora ha fatto 240mila morti? A questa seconda domanda la maggioranza delle persone aveva la risposta pronta: «No».

Invece qualcosa sta succedendo: l’immagine di Aylan Shenu immobile sulla spiaggia, con la maglietta rossa e i pantaloni corti, sta rompendo il muro dell’indifferenza. Sta riuscendo a rimettere il tema dei profughi siriani in cima all’agenda europea, è riuscita nel miracolo di smuovere il premier inglese David Cameron, inflessibile fino a ieri di fronte all’ipotesi di una redistribuzione dei profughi.

«È come Sarajevo nel 1995», ha detto ieri sera il generale Martin Dempsey, capo di stato maggiore delle forze armate Usa, secondo cui la foto del bambino sta avendo lo stesso effetto delle immagini dell’attacco con i mortai alla piazza del mercato di Sarajevo dell’agosto del 1995, che spinse all’intervento della Nato. Perché per ognuno di noi valgono le persone non i numeri, perché dire «240mila morti» è come non dire nulla, le cifre sono astratte e difficili da immaginare, e allora una sola vita può fare la differenza. Ma oggi vale la pena di ricordare Aylan insieme a suo fratello Galip da vivi, mentre ridevano spensierati insieme al loro pupazzo.


New World Map Rafat Alkhateeb
An already iconic image of a drowned Syrian boy shows us our humanity.
03 Sep 2015 The Cartoon Movement
http://www.cartoonmovement.com/cartoon/23058
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Schengen Wolf
BY OSMANI SIMANCA, BRAZIL, WWW.CAGLECARTOONS.COM - 9/4/2015
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BrianAdcock- The Indipendent


autore anonimo raffiguraAlyan come Handala, il personaggio creato dall'artista palestinese Naji al-Ali.



Refugee Crisis Tjeerd Royaards
Will the death of Aylan Kurdi change anything?
04 Sep 2015



Ecco come avrebbe dovuto finire il suo viaggio
fonte


Caro Alyan,
                    era da un po’ che volevo scriverti, ma solo dopo aver visto la tua foto, ho capito che dovevo farlo subito e che come sempre ero già troppo in ritardo.
Forse tu non lo sai, ma oggi sei diventato “famoso”, fino a ieri no, oggi invece la tua immagine ha fatto il giro del mondo e migliaia e migliaia di persone parlano di te, sanno chi eri, cosa facevi e perchè eri su quella maledetta spiaggia. Strano destino quello dei miserabili della terra, interessano solo quando non ci sono più. E così anche a te è toccata questa sorte.
Oggi molti dicono sia colpa di Dio se tu sei morto. Che se Dio esistesse queste cose non succederebbero, negandone di fatto l’esistenza. Non lo so. Qualcuno dice che è colpa della guerra, che obbliga persone come il tuo papà a mettersi in moto per non cedere alla rassegnazione. Qualcuno invece dice che la colpa è proprio di chi come tuo papà si mette in movimento. Qualcuno dice che la colpa è di stati egoisti che non permettono a chi scappa come te di trovare riparo, al sicuro. Addirittura un primo ministro di uno stato Europeo dice che dovremmo ringraziarlo perché lui impedendo a quelli come te di entrare sta salvando le radici cristiane dell’Europa. Sai Alyan cosa penso, che forse sia a me che a te, di chi sia la colpa della tua morte, ora che hai chiuso gli occhi supino su quella spiaggia di Bodrum, interessa poco. Credo però, anzi ne son certo, che se Gesù Cristo tornasse davvero a scendere sulla terra, si metterebbe proprio accanto a te, lasciando ad ogni inquisitore lanciare i suoi sassi contro il vento fino ad accorgersi che gli unici che dobbiamo accusare della tua morte siamo noi stessi e non altri.
Ps: quello nell’immagine è Papa Stratis, monaco ortodosso greco che in questi decenni ha accolto presso la sua isola migliaia di profughi in fuga dalla Siria e da altri paesi, anche lui come te è deceduto proprio ieri e credo questa immagine sia meglio di tante altre parole. (immagine di John Antòno)
Alberto Pighini


Benvenuto
Mana Neyestani


Marco Careddu



Il muro
Boligan


Syrianska annegato attaccare l'Europa!
Firuz Kutal





--- Traduzione per i non francofoni ---
A sinistra: "Così vicino alla meta..."
Nel cartello: "2 menù bimbi al prezzo di 1"
di Charlie Hebdo
...al piccolo Aylan e a tutti i bambini inghiottiti dal mare.
Perazzoli

La legge
CeciGian




L'ONU QUESTA SCONOSCIUTA

Ma che fa l'ONU ?
Non vede?
Non sente ?
Non parla ?

(votabile su CARTOONMOVEMENT)
http://humour-ugb.blogspot.it/2015/09/lonu-qesta-sconosciuta.html



QUELLO CHE PENSO DELLA FOTO DI AYLAN
in cinque minuti
Un giorno, è bastato un giorno. Un solo giorno dopo l’apparizione della foto di Aylan, il premier britannico Cameron ha compiuto un’inversione a u cambiando radicalmente la politica del suo governo nei confronti dei rifugiati. Coincidenza? In fondo tutto è cominciato con la pubblicazione della foto sul quotidiano “The Independent”. La pressione dell’opinione pubblica ha contato eccome. Negarlo sarebbe sciocco.
Intanto il governo ungherese, fortemente di destra, si sta meritando la disapprovazione dell’Europa migliore. L’esodo dei profughi siriani, persone come noi che scappano dalla rovina, dalla morte probabile, è un’altra potente icona di questo settembre storico. Abbandonati a piedi su un’autostrada senza nulla, senza protezione civile, senza paramedici, senza niente di niente se non la generosità di isolati cittadini. Non ce lo dimenticheremo, signor Orban.
Il fatto è che certe immagini non sono semplici immagini ma, per un insieme di motivi, sono icone dalla straordinaria forza evocativa. Non capirlo è peccato veniale; esibire la puzzetta sotto il naso e sentenziare che, passata l’emozione di noi “guardoni”, tutto tornerà come prima, è pigrizia dell’intelligenza. Va bene volersi sempre smarcare, ma qualunque studente fuori corso del Dams vi direbbe che la foto di Aylan non è una semplice foto ma molto, molto di più.
E gli innumerevoli bambini rimasti sotto le macerie dei bombardamenti o finiti in fondo al mare? Non li stiamo dimenticando, come rimproverano i sentenziosi con il nasino arricciato, i “so-tutto-io”. All’esatto contrario, Aylan li comprende tutti, Aylan è tutti quei bambini e ogni vittima innocente. Non capirlo, a questo punto, appare come un’altra dimostrazione di scarsa sensibilità da parte di chi rimprovera agli altri di essere insensibile.
Le prossime settimane diranno la verità. Vedremo, vedremo se finalmente chi ci governa si darà una mossa. I segnali ci sono tutti. Mancava Aylan, mancava l’icona irresistibile di fronte alla quale non possiamo restare inerti. Ma adesso l’icona c’è. Per questo è valida l’analogia con la foto della bambina vietnamita che corre disperata coperta di ustioni: agli occhi miopi, l’immagine guardona di una bambina nuda che, dopo la facile emozione guardona, viene dimenticata; di fronte alla storia, un’immagine che ha dato una scossa decisiva all’opinione pubblica americana e occidentale, e non è stata dimenticata mai più. Lo stesso accadrà alla foto di Aylan.
A volte, immagini con questo potere appaiono. Ci sarà – diamogli il tempo – il semiologo che ci spiegherà il misterioso funzionamento di queste immagini, lo straordinario impatto nel nostro cervello e nella nostra anima. Ma intanto sarebbe bene, tutti, riflettere e smetterla di sparar sentenze senza documentarsi, senza ascoltare le ragioni altrui.
Su Facebook, ad esempio, i post che raccolgono più commenti e approvazione, o disapprovazione, sono quelli dove si procede per affermazioni secche, apodittiche, stile tweet, dove “vince” chi urla più forte e il pensiero è assente. Molti dicono la loro, pochi ascoltano e pensano. Ieri ho trascorso un intero pomeriggio a indagare sulle decisioni dei quotidiani di tutto il mondo, cartacei e on-line; sui pareri di chi con i bambini lavora e dei bambini si occupa con competenza e passione. Un lungo lavoro di ricerca. L’ho fatto perché è il mio mestiere e per questo vengo pagato, l’ho fatto per me perché avevo bisogno di confrontarmi, ma soprattutto l’ho fatto per i lettori, convinto che più fatti, notizie e opinioni abbiamo a disposizione, più le nostre idee saranno libere. Ebbene, il mio articolo, pubblicato su Facebook, è stato pressoché ignorato. La cosa non mi turba, anzi era prevedibile.
Chi è arrivato fin qui a leggere ha tutta la mia stima e il mio grazie. Il tempo è prezioso. Sempre.
Umberto Folena


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