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mercoledì 6 luglio 2022

Bologna: Guccini in 80 caricature

 È stata inaugurata a Bologna nella sede dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna la mostra “Non so che viso avesse. Francesco Guccini ritratto da 80 caricaturisti internazionali”. L’esposizione, ad ingresso gratuito, resterà aperta fino al 26 agosto.

Non so che viso avesse

Francesco Guccini ritratto da 80 caricaturisti internazionali

a cura di

Gianandrea Bianchi, Leonardo Cannistrà, Guido De Maria

Leonardo Cannistrà – Francesco Guccini, 2020

@ Leonardo Cannistrà, courtesy of the artist

In collaborazione con

Associazione Lepidus.it APS



Assemblea legislativa

della Regione Emilia-Romagna

Viale Aldo Moro n. 50 – Bologna

dal 5 luglio al 26 agosto 2022

La mostra è visitabile

Lunedì-venerdì dalle ore 9.00 alle ore 18.00

Chiuso sabato e festivi

Ingresso gratuito

Info: gabinettopresidenteal@regione.emilia-romagna.it;

tel. 051 527 5768 - 5826

Accesso consentito alla mostra

secondo le norme vigenti in materia di

contenimento e gestione dell’epidemia da

COVID-19



È stata inaugurata nell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna, alla presenza dello stesso Francesco Guccini, la mostra “Non so che viso avesse. Francesco Guccini ritratto da 80 caricaturisti internazionali”, esposizione curata da Gianandrea Bianchi di World Humor Awards, Guido De Maria, regista, autore televisivo e vignettista, e Leonardo Cannistrà, che ha messo a disposizione il suo importante lavoro grafico, terzo classificato nel 2020 al “World Humor Awards”.

Il progetto espositivo è un’occasione unica per scoprire l’universo creativo di artisti internazionali che hanno rappresentato, con una dimensione personalissima, Francesco Guccini. L’immagine del cantautore appare in tutte le sfaccettature classiche usate dalla caricatura e la mostra rappresenta un’occasione per rinsaldare il filo identitario dell’Emilia-Romagna con i suoi artisti.

Prima dell’inaugurazione, l’associazione culturale Lepidus ha consegnato ufficialmente allo scrittore, poeta e cantautore modenese il premio Giovannino Guareschi nell’ambito dei World Humor Awards 2022 per l’umorismo nella letteratura.

A fare gli onori di casa, Emma Petitti, presidente dell’Assemblea legislativa, che ha sottolineato: “Francesco Guccini ha contribuito a raccontare storie piene di significati, del nostro vivere comune e delle nostre abitudini. Questa mostra rappresenta uno stimolo per contestualizzare e omaggiare Francesco Guccini, il suo mondo artistico e umano, ringraziandolo per essere sempre stato capace con le parole in musica, e con i suoi libri, di insegnarci, anche con ironia, a non arrenderci, a combattere contro le ingiustizie sociali, le diseguaglianze, le violenze, le guerre”.

Francesco Guccini, arrivato in auto da Pavana con la moglie Raffaella e il consigliere Igor Taruffi, ha ricordato i suoi esordi a Bologna: “Sono venuto a vivere a Bologna, da Modena, che avevo vent’anni -ha raccontato- è una citta meravigliosa, bellissima, e che ricordo anche con un po’ di nostalgia. Sulla mostra che abbiamo inaugurato oggi devo poi dire che questi autori, che hanno mandato illustrazioni da tutto il mondo, sono stati davvero bravi. Per me è una grande emozione“.

Un saluto al Maestro è stato tributato anche da Stefano Bonaccini, presidente della Giunta regionale, che lo ha ringraziato per l’impegno artistico e civile profuso nell’arco della sua carriera artistica e per il legame peculiare con i territori dell’Emilia-Romagna.

Folta la rappresentanza dei consiglieri regionali presenti: Igor Taruffi, Marilena Pillati, Francesca Marchetti, Silvia Piccinini, Nadia Rossi, Matteo Daffadà, Massimo Bulbi, Gianni Bessi, Giulia Pigoni, Fabio Rainieri, Matteo Rancan, Massimiliano Pompignoli.

La mostra, aperta fino al 26 agosto, è visitabile dal lunedì al venerdì (esclusi festivi) dalle 9 alle 18 con ingresso gratuito.

Guccini by Harley Liau








* *

venerdì 20 maggio 2022

7 edizione Premio Guareschi a Guccini

by WHA

 


WORLD HUMOR AWARDS
"dal Mondo piccolo al Mondo grande"
7 edizione 
Premio "GIOVANNINO GUARESCHI"
Umorismo nella Letteratura

FRANCESCO GUCCINI

Quest’anno il premio “Giovannino Guareschi”
va allo scrittore, poeta, cantautore modenese Francesco Guccini, di cui ricordiamo il libro di racconti 
Tre cene (l’ultima invero è un pranzo) edito da Giunti.
Nella sua narrativa, oltre alla qualità linguistica e al senso del racconto, c’è sempre un leggero umorismo e una capacità d’introspezione che ne fanno un autore che costringe i critici e gli storici della letteratura, a rivedere le loro categorie su un novecento letterario molto più ricco e complesso rispetto a quello che ci tramandano. 
Guccini è un autore e uno scrittore che va riletto in quella tradizione novecentesca di scrittori che hanno saputo lavorare con la poesia e la letteratura superando i confini tra i generi, creando mondi e immaginari che toccano il cuore delle persone, rinnovando il genius loci 
dei luoghi dove lui ha vissuto, Modena, Bologna, Pavana, un mondo piccolo che diventa un mondo grande. 
Per tutti questi motivi siamo felici di assegnare a Francesco Guccini 
il premio Giovannino Guareschi 2022.



Guido De Maria,
Flaco Biondini
e 80 Caricaturisti
raccontano
Francesco Guccini
Busseto, Roncole Verdi - Museo Guareschi
domenica 22 maggio - ore 11:00













domenica 1 maggio 2022

Museo Guareschi: mostra delle caricature di Francesco Guccini

 


Presso il Museo Guareschi

Roncole Verdi, Busseto

 dal 1 al 22 maggio 

Francesco Guccini visto da 80 caricaturisti 

   

 “Non so che viso avesse…” è il nome della mostra che  vede  Francesco  Guccini  ritratto  da  80  caricaturisti  provenienti  da  tutto  il  mondo  che  inaugurerà domenica 1 maggio presso il museo Guareschi.

L’esposizione,  che  vede  caricature  create  da  artisti  di  tutto  il  mondo,  è  stata  curata  da  Gianandrea  Bianchi,  patron  di  “World  Humor  Awards”,  Guido  De  Maria,  regista,  autore  televisivo  e  vignettista,  e  Leonardo  Cannistrà,  terzo  classificato  nel  2020  al  “World  Humor  Awards” e grande fan di Guccini a cui ha dedicato numerosi disegni tra cui quello scelto come  locandina dell’evento.  

La mostra, che ha ottenuto il patrocinio dei comuni di Busseto, Roccabianca e il contributo della Regione Emilia  Romagna, vede esposte oltre 80 caricature realizzate da artisti provenienti da tutti i continenti  che, su invito del collega Cannistrà, a loro modo hanno raffigurato Guccini. 

Il celebre autore di  canzoni come “Auschwitz” ed “Eskimo”, ora apprezzato scrittore  viene interpretato dalla divertita lente  deformante di tanti caricaturisti italiani e stranieri, che lo rappresentano ognuno con il proprio  stile e la propria personalità.  

“Non so che viso avesse”, è l'incipit della  famosa canzone “La locomotiva” e nome di un libro di  Francesco  Guccini  di  alcuni  anni  fa.

  La mostra  itinerante, già ammirata a Porretta Terme (BO) anticipa la consegna del Premio letterario Guareschi domenica 22 maggio nella sede del Museo Guareschi.

La realizzazione è grazie alla  manifestazione umoristica internazionale “World Humor Awards” che giunge quest’anno alla settima  edizione.  



Associazione Culturale di Promozione Sociale LEPIDUS.IT APS - Fidenza (PR)


http://www.worldhumorawards.org/

http://www.giovanninoguareschi.com/


domenica 31 ottobre 2021

Francesco Guccini visto da 80 caricaturisti

 




Presso la Biblioteca di Porretta Terme

 dal 4 al 26 novembre 

Francesco Guccini visto da 80 caricaturisti 

 Inaugurazione con Guccini giovedì 4 novembre alle 17,30   

Porretta Terme (Bo), 29 ottobre 2021“Non so che viso avesse…” è il nome della mostra che  vede  Francesco  Guccini  ritratto  da  80  caricaturisti  provenienti  da  tutto  il  mondo  che  inaugurerà  giovedì  4  novembre  alle  ore  17,30  alla  presenza  dello  stesso  Guccini,  allestita  presso  la  Biblioteca  Comunale  di  Porretta  Terme  (BO)  dove  rimarrà  fino  al  26  novembre.  

L’esposizione,  che  vede  caricature  create  da  artisti  di  tutto  il  mondo,  è  stata  curata  da  Gianandrea  Bianchi,  patron  di  “World  Humor  Awards”Guido  De  Maria,  regista,  autore  televisivo  e  vignettista,  e  Leonardo  Cannistrà,  terzo  classificato  nel  2020  al  “World  Humor  Awards” e grande fan di Guccini a cui ha dedicato numerosi disegni tra cui quello scelto come  locandina dell’evento.  

La mostra, che ha ottenuto il patrocinio di Alto Reno Terme e il contributo della Regione Emilia  Romagna, vede esposte oltre 80 caricature realizzate da artisti provenienti da tutti i continenti  che, su invito del collega Cannistrà, a loro modo hanno raffigurato Guccini. Il celebre autore di  canzoni come “Auschwitz” ed “Eskimo”, ora apprezzato scrittore che risiede a pochi chilometri  da Porretta, a Pavana, a cavallo tra l’Emilia e la Toscana, viene interpretato dalla divertita lente  deformante di tanti caricaturisti italiani e stranieri, che lo rappresentano ognuno con il proprio  stile e la propria personalità.  

“Non so che viso avesse”, incipit della  famosa canzone “La locomotiva” e nome di un libro di  Francesco  Guccini  di  alcuni  anni  fa,  è  una  delle  mostre  itineranti  realizzate  dalla  manifestazione umoristica internazionale “World Humor Awards” giunta quest’anno alla sesta  edizione.  

Sarà  visitabile  dal  pubblico  dal  5  al  26  novembre  negli  orari  di  apertura  della  Biblioteca di Porretta: martedì, mercoledì e venerdì al pomeriggio dalle ore 14,30 alle 18,30,  mentre  giovedì  e  sabato  al  mattino  dalle  9,00  alle  13,00.  

Accesso  riservato  alle  scuole  il  venerdì mattina dalle ore 9,00 alle 12,30. 


Associazione Culturale di Promozione Sociale LEPIDUS.IT APS - Fidenza (PR)


Francesco Guccini - Ernesto Priego - Spagna

Guccini - Shankar Pamarthy- India


martedì 16 gennaio 2018

Ritratto di Francesco Guccini

Note di vita. Francesco Guccini racconta del padre e del loro rapporto: " Fu un uomo duro. Un montanaro. Scarno di parole e di affetti. Però mi ha sempre lasciato libero di fare quel che volevo.
Domenica 31 Dicembre 2017 ROBINSON
Accettò senza fiatare la mia scelta. Ma non è mai venuto a sentire un mio concerto. Non l'ho mai incoraggiato e lui ha sempre fatto finta di niente. In fondo se ne è sempre fregato del mio successo"
Ritratto di Riccardo Mannelli
Francesco Guccini
© Riccardo Mannelli



Io, la locomotiva e la musica che non viene più
Le osterie porti di mare, i miei amici cantanti E ora, il ritiro a Pavana, il posto (e il cibo) dei nonni
su Robinson
Antonio Gnoli

Gli ultimi fuochi sono quelli che bruciano più lentamente. Ricordo a Francesco Guccini un paio di nostri incontri persi nel passato. Ha l'aria svagata. E bruciori di stomaco che attenua con il carcadè: «Bevanda coloniale», ironizza. Come il chinotto, aggiungo. Siamo in cucina. Nella sua casa. A Pavana. Siamo alla fine di una storia. «Dove ci siamo visti?», chiede. Gli cito le occasioni e i luoghi. «Ah», fa lui e accarezza il gatto con svogliata tenerezza. È cortese, un po' assente: «Sono tre mesi che non fumo e dieci anni che non leggo » , dice trattenendo un'imprecazione. Pavana mi sembra lo sputo di un angelo tra due ali di Appennini.
Perché hai scelto di ritirarti a vivere qui?
«È l'ultimo luogo della mia resistenza: un paese che è stato infanzia e sogno, durezza e forza. Mi sembrava appropriato sceglierlo come il punto di approdo di tutta una vita».
Parli di resistenza, ma in che senso?
«Bisogna resistere: alle tentazioni inutili e dispersive; al degrado; allo svuotamento. Ma non sono qui per espiare, sono qui per testimoniare che è ancora possibile scegliersi una vita a misura».
Il rapporto con il paese com'è?
« Direi buono: nessun assillo, nessuna pretesa di eleggermi a gloria locale. Un tempo, all'inizio del Novecento, qui vivevano settemila persone, ne sono rimaste poco meno di millecinquecento. Il paese si è svuotato. Pochi giovani. Pochi sogni. Poche prospettive. Un tempo qui venivano a villeggiare. Oggi la gente si vergogna di posti così. La cosa più desolante è il fiume qui sotto. Era pieno di vita; ma oggi non ci va più nessuno. Ma lui se ne frega e continua a scorrere lento. C'è solo un airone cinerino che ogni tanto vola a pelo e poi si pianta in mezzo. Impalato nell'acqua, come un assurdo segnale di tristezza».
Sei nato a Pavana?
«No, i miei nonni ci vivevano. Sono nato a Modena. L'estate venivamo qui a villeggiare. A Modena sono rimasto fino a vent'anni. Nel 1960 ci trasferimmo a Bologna. Mio padre che era impiegato alle poste approfittò di un'offerta di lavoro. E portò la famiglia con sé».
Come erano i rapporti con tuo padre?
« Poca roba. Era stato in un campo di concentramento a Ravensbrück vicino ad Amburgo. Non amava parlarne. Seppi in seguito che con lui c'erano stati Giovanni Guareschi e Gian Enrico Tedeschi. Fu un uomo duro. Un montanaro. Scarno di parole e di affetti. Però mi ha sempre lasciato libero di fare quel che volevo».
Anche la vita del cantante?
«Mi ha sorpreso quando accettò senza fiatare la mia scelta. Ma non è mai venuto a sentire un mio concerto. Io non l'ho mai incoraggiato e lui ha sempre fatto finta di niente. In fondo se ne è sempre fregato del mio successo».
Anche tua madre stessa linea di comportamento?
«Meno drastica. Lei una volta venne a sentirmi cantare. Mi esibivo a Porretta Terme, a pochi chilometri da qui. Nessun commento, nessuna emozione».
Quando hai cominciato a cantare?
«Mi pare nel 1964, o giù di lì. Fu il mio primo contratto di centomila lire al mese. Ora mi viene in mente l'unico commento di mio padre: quanto durerà? Sai, era un uomo abituato a dare del voi a mia nonna. La mia musica non era il suo mondo».
Al tuo mondo come arrivasti?
«Non fu un percorso lineare. A Modena mi iscrissi a magistero, feci un solo esame e poi cominciai a lavorare come assistente in un istituto per orfani di dipendenti postali. Il collegio era a Pesaro. Non è che fossi particolarmente entusiasta. Mi licenziarono. Dopodiché divenni cronista alla Gazzetta di Modena. Anni di precariato, addolciti dal fatto che la sera con alcuni amici, un piccolo gruppo di orchestrali, suonavamo nelle balere del parco. Poi venne il militare che ho fatto con il grado di sottotenente. Infine mi iscrissi nuovamente all'università. Questa volta a Bologna. Mi mancava la tesi, che avevo chiesto a Ezio Raimondi. Ma non riuscii a finire. Le canzoni bussavano alla mia porta».
E tu apristi?
«Erano gli anni Sessanta, si formavano i primi gruppi musicali con affaccio nazionale. A Modena venne a suonare l'Equipe 84, sapevano che avevo scritto qualche canzone. Gli proposi Auschwitz e la presero. Contemporaneamente avevo dato ai Nomadi Noi non ci saremo.
Tieni conto che non avevo una lira. Oltretutto non essendo iscritto alla Siae non potevo firmare le mie canzoni».
Finì lì la tua collaborazione?
«No, ricordo che proposi alla Equipe Dio è morto, ma rifiutarono per paura che la canzone facesse troppo casino. Avevo pronta anche Un altro giorno è andato e Maurizio Vandelli, il leader del gruppo, sentenziò che Guccini non aveva più un cazzo da dire. E questo atteggiamento fece sì che si rafforzasse la mia collaborazione con i Nomadi».
Furono loro a cantare per primi "Dio è morto".
« La cosa divertente è che mentre la Rai censurò la canzone, Radio Vaticana la trasmise più volte, fino a farla diventare un grande successo tra i nuovi cattolici».
Dietro quella canzone c'erano le tue fascinazioni americane.
«A che ti riferisci?».
Con ogni evidenza a "Urlo" di Allen Ginsberg.
« Sì, la Beat Generation è stata importante, ma una canzone è pur sempre una canzone: un prodotto autonomo. Ed è inutile appesantirla di significati letterari. Anche se ho un'amica, grande esperta delle tragedie di Alfieri, che sta facendo un lavoro da critica letteraria sulle mie canzoni».
E tu come hai reagito?
« Beh, che devo dirti: mi fa piacere sapere che le mie non sono solo canzonette. La verità è che quando si parla di Guccini alla fine è per una decina di canzoni che ha scritto».
Come giudichi le tue prime?
« Tecnicamente parlando Auschwitz e Dio è morto non sono belle canzoni. Sono testi piuttosto semplici. Ne ho realizzate di più complesse ».
Come è nata "La locomotiva"?
«Per delle strane combinazioni. Lessi le memorie bolognesi di Romolo Bianconi, un lavoratore che raccontando la sua vita scrisse di un ferroviere anarchico, Pietro Rigosi, cui avevano amputato una gamba che decise di impadronirsi di un treno per farlo saltare. Fu una ballata, contro le ingiustizie sociali, che scrissi in mezz'ora. Arrivai alla fine e mi accorsi che mancava l'ultima e la prima strofa: "Non so che viso avesse e neppure come si chiamava...". In quel periodo cominciai a cantarla alla Osteria delle Dame».
È stata una canzone emblema che ti ha identificato con il Sessantotto. Che giudizio dai di quel momento?
« Per me è stato un periodo positivo. Sono cambiate molte cose, a cominciare nei rapporti tra i due sessi. Penso che il '68 ha trasformato la società».
Migliorandola?
«In certe cose sì, in altre no. Se penso alla scuola e all'università vedo i disastri che la morte del merito ha provocato. Non ci siamo ancora ripresi».
Le canzoni fanno la rivoluzione?
«Non scherziamo, al più la accompagnano come nel caso di Bandiera rossa. Un canto tecnicamente brutto, ma messo in un certo contesto può perfino commuovere».
Ti commuove ripensare a una canzone come "Eskimo"?
«Un altro emblema di quel periodo, ma del tutto involontario. Comprai l'indumento nel 1963 al mercatino di Trieste. Avevo finito il militare. Costò diecimila lire e veniva indossato dai soldati americani nella guerra di Corea. Anni dopo mi sono ritrovato in un mondo di eskimo. Ma ti assicuro che il mio era innocente. No, non mi commuove, semmai mi dà emozione una canzone come Incontro ».
"I nostri miti morti ormai..." così scrivevi.
«Era la storia di un'amicizia tra un uomo e una donna».
Ho sempre pensato che fosse una tua storia d'amore.
«Parlava di una ragazza che ora vive negli Stati Uniti e che allora viveva a Modena. C'era molta complicità tra noi. Poi si trasferì a Bologna. Sposò un americano. E sparì per un po' di tempo. Un giorno mi telefonò per dirmi che il matrimonio era andato a pezzi e lei lo aveva lasciato. Lui si uccise. E a me venne in mente di scriverci su una canzone ».
Ti piacciono i ricordi?
« Sono uno che ricorda spesso. La memoria è un bel motore che mi ha consentito anche di scrivere diversi libri. Tre romanzi che hanno al centro rispettivamente Pavana, Modena e Bologna. Ricordo meglio il passato remoto e non è male che certe cose rimangono e altre spariscono».
Perché hai lasciato Bologna?
«Era un'altra vita. Qui a Pavana vado a letto alle undici di sera. A Bologna rincasavo alle cinque del mattino».
Musica, cibo e vino.
«Anche donne e carte. Giocavamo in osteria fino a notte fonda. Senza mai mettere in palio nulla: neppure un caffè».
Hai pubblicato da poco la raccolta delle canzoni che cantavi all'Osteria delle Dame.
« Sono tre cd che racchiudono una manciata di anni. Quando pochi mesi fa sono tornato alle "Dame" mi sono commosso. Ma è stato come vedere un altro Guccini».
Un altro in che senso?
«Ho smesso di scrivere canzoni. Da anni non tocco più la chitarra. Tira tu le conclusioni».
Hai smesso con quale giustificazione?
« Mi sono accorto che le canzoni non uscivano più con la stessa voglia e intensità. Facevo sempre più fatica a riempire un album. E ho capito una cosa semplice: non ho più niente da dire. Almeno su quel versante là».
Come hai vissuto questa rinuncia?
«All'inizio male, poi mi sono abituato. Ho perfino tentato di riprendere. Ho scritto una nuova canzone per i Nomadi. Ma preferisco scrivere libri. Con Loriano Macchiavelli siamo all'ottavo giallo. E poi ci sono i miei romanzi».
Scusa se insisto, ma chiudere una porta così importante come la musica non ti dà dolore?
«No, mi dà dolore o angoscia non avere più l'età che avevo. E guarda non avevo neanche la paura di fallire. Se le canzoni venivano, bene sennò pazienza».
Quindi ti sei ritirato qui a Pavana.
«Un posto che amo. Anche Bologna è stata molto importante».
Chi vedevi a Bologna, di chi eri amico?
« Le osterie erano porti di mare. Ti arrivavano attutite queste onde umane».
Frequentavi Augusto Daolio, il leader storico dei Nomadi?
« Non molto, ero più legato a Beppe Carletti. Frequentavo Claudio Lolli. Sono amico di Zucchero e di Ligabue, molto diversi ma con una base contadina in comune. Poi c'era Lucio Dalla che veniva qualche volta a mangiare da Vito. Odiava la campagna. Mi diceva: ma cosa vai a fare a Pavana? Niente che ti piaccia, gli rispondevo».
A Bologna ne hanno fatto un mito.
«Sai quando uno muore è facile che diventi un mito o un aspirante mito. Lucio era uno strano personaggio. Eravamo molto diversi, due mentalità diverse. E credo che non abbiamo mai legato veramente. Aveva una capacità polimorfica; però alla fine anche lui faceva una certa fatica a scrivere canzoni. Era dotato di una voce secondo me bellissima».
Ti dà fastidio rievocare certe cose?
«No, anzi. Mi dà fastidio la richiesta di foto, i selfie che non sopporto. Ma cerco di essere gentile».
Che cos'è la sopportazione?
« È l'arte di non incazzarsi. E poi, dopo una certa età, si sopportano molte più cose».
Alludi alla tua vecchiaia?
« Se ne va poco per volta la prestanza fisica, arrivano gli acciacchi. Oggi faccio fatica a camminare e non ci vedo quasi più. Non riesco a leggere e ho bisogno di qualcuno che lo faccia per me».
Siamo a conversare nella tua cucina. Che rapporto hai con il cibo?
«Non sono quel che si dice un raffinato gourmet. Mi piace la cucina dei miei nonni. Non se ne può più di questi chef, che se uno perde una " stella" scoppia una tragedia. Sono un uomo semplice di gusti semplici».
Hai scritto una bellissima canzone sui vecchi.
«Adesso sarebbe pura autobiografia».
Quanto ti piaci?
« Poco. Non ho orgoglio di me né autostima. Deve essere stata l'educazione repressiva di mio padre. Solo verso la fine della sua vita ci siamo incontrati veramente. Un giorno mi disse: avrei tanto voluto che tu facessi lo storico. E invece sono uno che ha scritto canzoni. Ma lui, intendo mio padre, avrebbe voluto fare il maestro. Finì in un ufficio postale. Non sempre le vite corrispondono ai nostri desideri».


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Nota:

Scrive Michele Serra il 2/01/18

Tra i buoni propositi per il nuovo anno ce n'è uno vecchio, eppure sempre disatteso. Lo chiamerei "passo indietro", e per definirlo meglio incrocio due delle letture di fine anno che mi hanno più colpito. Una è l'elogio della continenza fatto da Marco Belpoliti: nel quale continenza — parola desueta — è alla fin fine sinonimo di pudore. Antidoto al narcisismo, argine al dilagare dell'ego. L'altra è la bellissima intervista di Antonio Gnoli a Francesco Guccini, dove il grande vecchio di Pavana dichiara di non scrivere più canzoni perché «non ha più niente da dire». Esempio quasi inimitabile di continenza per via naturale, di rispetto profondo (Guccini è un contadino) per i cicli del tempo.
Uno che scrive tutti i giorni — eccomi — non è il meglio indicato per predicare continenza e passi indietro.
Eppure, mano a mano che salgono tono e volume del dibattito pubblico, viene spontaneo guardarsi attorno alla ricerca di voci meno aggressive — che non significa inconsistenti, e anzi. Si cerca autorevolezza nello sguardo sereno dei pochi che possono permetterselo, nelle poche parole dei pochi che le rispettano. Il silenzio di Guccini, per paradosso, ha un'eloquenza emozionante, tacere per appagamento, perché è esaurito il bisogno di dire, o perché nuovi pensieri (più interni) occupano la scena.

Sentire attorno a noi anche silenzio aiuta a restituire peso alle parole. Chiudere la bocca, aprire le orecchie, ecco il passo indietro che ci aiuterebbe tutti quanti.

giovedì 28 gennaio 2010

Giornata della memoria 2010


cliccare sull'immagine( attenzione agli animi sensibili)
max / [fra parentesi]

Per non dimenticare ...passano gli anni ma non dobbiamo scordare
ciò di cui è capace l' uomo
« La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.[1] »




GIORNATA DELLA MEMORIA
Occorre vigilare contro ogni rimozione delle verità storiche ed il rischio del loro lento offuscamento quando non della loro lenta trasformazione
uber /Humour uber

Per non dimenticare
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi



Amnesìa

Il giorno della Memoria. Come tradizione “memorabile”di questo luogo, riporto link utili e riflessioni a beneficio mio e dei gentili passanti e ripassanti. La legge che ha istituito la giornata della memoria. Un intervento di Moni Ovadia. E ancora, tra gli "altri" olocausti, quello degli zingari (500.000 morti, sapevate?) il "Porrajmos", che ho già ricordato nel blog tutti i 27 di gennaio. "Durante la seconda guerra mondiale vennero uccisi oltre 500.000 zingari, vittime del nazionalsocialismo e dei suoi folli progetti di dominazione razziale. La storia dello sterminio degli zingari è una storia dimenticata e offesa dalla mancanza di attenzione di storici e studiosi: ancora oggi la documentazione risulta frammentaria e la relazione dei fatti lacunosa. Eppure l'argomento dovrebbe suscitare interesse anche solo per il fatto che la persecuzione degli zingari in epoca nazista risulta essere l'unica, ovviamente con quella ebraica, dettata da motivazioni esclusivamente razziali (...)" continua qui
Mauro Biani

ignant /INSERTO SATIRICO

Paride Puglia /INSERTO SATIRICO

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. »
(Elie Wiesel, La notte)



Pillinini/INSERTO SATIRICO
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Da Tagebuch di Liana Millu, ebrea pisano genovese, numero A5384 di Birkenau

... Fa', o Signore,
che io non divenga fumo,
che si disperde, fumo
in questo cielo straniero
ma riposare io possa laggiù
nel mio piccolo cimitero
sotto la terra della mia terra,
dove il sole mi scalderà,
il mare mi cullerà,
il vento mi porterà
i profumi delle riviere
e sarà la pace




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Giannelli/Corriere della Sera

Auschwitz
Francesco Guccini

Son morto ch'ero bambino
son morto con altri cento
passato per un camino
e ora sono nel vento
Ad Auschwitz c'era la neve
il fumo saliva lento
nei campi tante persone
che ora sono nel vento
Nei campi tante persone
ma un solo grande silenzio
che strano, non ho imparato
a sorridere qui nel vento.
Io chiedo come puo` un uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.
Ancora tuona il cannone
ancora non e` contenta
di sangue la bestia umana
e ancora ci porta il vento.
Io chiedo quando sara`
che un uomo potra` imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si posera`.

*


*


Maus, romanzo a fumetti di Art Spiegelman (Pulitzer nel '92)
*

*

Poesia di Bertolt Brecht

Generale, il tuo carro armato


Generale, il tuo carro armato è una macchina potente
Spiana un bosco e sfracella cento uomini
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.

Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido di una tempesta e porta più di un elefante
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.

Generale, l’uomo fa di tutto.
L’uomo può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.

Bertolt Brecht grande drammaturgo tedesco costretto all'esilio durante il regime di Hitler, usa il sarcasmo per sottolineare la follia della guerra, che per lui contrasta con
la personalità dell'uomo vista la capacità di pensare.


Vadelfio/VADELFIO


LA MEMORIA
Giancarlo Tramutoli/L'Asino


LA MEMORIA
Giulio Laurenzi/L'Asino


OGGI, LA SHOAH
Rocco Grieco/Coriandoli.It