Puoi scherzare su tutto... ma, purtroppo, non con chiunque.
Intervista a Marilena Nardi condotta da Pepe Pelayo e pubblicata il 1° settembre 2022 su www.humorsapiens.com
Ora nella versione italiana, con il permesso dell'Autore.
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Puoi scherzare su tutto... ma, purtroppo, non con chiunque.
In questa occasione ho deciso di "dialocare" con qualcuno che stimo molto. Ho avuto l'onore di intervistarla nel 2017 per questo stesso sito, perché era già una figura di spicco dell'umorismo grafico mondiale. Nel 2018 ha vinto il Gran Premio del World Press Cartoon e il suo lavoro ha avuto ancora più ripercussioni e ancora oggi non smette di collezionare premi internazionali.
L'anno scorso ha accettato di partecipare alla mia serie di video-documentari sulla teoria dell'umorismo, "El bufón ilustrado", contribuendovi con le sue esperienze, opinioni e conoscenze.
Ora, ancora una volta, la gentilissima Marilena Nardi ha accettato di conversare con questa pagina.
Stavo per iniziare a presentarla ricordando che è nata nel 1966, a Chiampo, vicino a Vicenza in Italia e parlando, come consuetudine, dei suoi primi passi nell'arte, ecc., ma credo che la cosa migliore sia che si presenti da sola.
PP: Cara amica, non per affibbiarti il mio lavoro o per farti soffrire, perché so che non è facile parlare di sé stessi, ma potresti presentare da te, Marilena Nardi, agli humornauti del nostro sito?
MN: sono nata in Italia, da una famiglia di origini semplici. A mio padre antifascista e partigiano devo un po’ dello spirito ribelle e sognatore, a mia madre quello più pragmatico che mi ha permesso di rendermi presto indipendente. A entrambi devo la capacità di sorridere e di godere delle cose più autentiche della vita.
Mi hanno permesso di lavorare e di pagarmi gli studi artistici, scelta per niente ovvia, visti i tempi e i nostri mezzi.
Oggi, in estrema sintesi, sono una disegnatrice che collabora con diversi giornali alternando umorismo grafico, illustrazione e satira. E sono anche un’insegnante. Le due professioni sono state per molto tempo due percorsi paralleli, ma dal 2003 ho avviato un corso di illustrazione all’Accademia di belle arti di Venezia (vi insegno dal lontano 1992) e i “due vasi” hanno cominciato a comunicare fra loro. Nel 2018 ho adottato mio figlio, che oggi ha 12 anni, e questa scelta, come si può intuire, ha rimescolato le carte delle nostre vite.
PP: Non ho dubbi che tu sia un'ottima madre, per la sensibilità, la tenerezza e la forza che emanano dal tuo lavoro. Mi congratulo ancora con te. E per continuare a conoscerti, ti chiedo: il tuo modo di fare umorismo è cambiato, si è evoluto, dagli inizi fino ad oggi?
MN: Sì, per fortuna. Sotto ogni aspetto. Ho compiuto studi artistici, è vero, ma l’umorismo grafico non è materia di scuola e se guardo ai miei disegni iniziali, mi vedo molto ingenua, sia per i contenuti sia per l’aspetto grafico. Ero brava a disegnare, ma non certo un Mozart della grafica, per dirla con una battuta. Ho avuto e ho ancora bisogno e desiderio di evolvere.
PP: Ebbene, io apprezzo allo stesso modo l'opera buffa Don Giovanni, per esempio, che i tuoi disegni. Però vorrei sapere qual è stato, finora, il momento migliore e quello peggiore della tua carriera nell'umorismo?
MN: un momento oggettivamente negativo è stato quando nel 2010 sono stata denunciata per due disegni. Il giornale per cui lavoravo mi ha sostenuta legalmente e tutto si è risolto bene (…5 anni dopo). Il momento migliore non saprei. Ci sono stati diversi momenti professionalmente importanti, come il Premio Satira politica di Forte dei Marmi o il Grand Prix al World Press Cartoon, ma ciò che ricordo con più piacere è il tempo condiviso, le risate e le caricature fra colleghi e amici conosciuti proprio grazie a questa professione.
Marilena Nardi riceve il Premio Satira politica di Forte dei Marmi 2013 |
Marilena Nardi riceve il Grand Prix al World Press Cartoon, Portogallo - 2018 |
PP: Condivido questa opinione con te, la nostra professione è molto gratificante, è il massimo.
A proposito di umoristi, pensi che ci siano dei colleghi, viventi o storici, che ti abbiano chiaramente influenzato?
MN: so che devo molto ai miei maestri ideali, Quino e Steinberg fra tutti. Sono curiosa e guardo a diversi autori contemporanei e del passato, anche di ambiti lontani. Tra i contemporanei ho molti amori: Mattotti, Altan, Holland, Bozzetto… Li amo moltissimo, per ragioni diverse ma che non si escludono. Sicuramente ho attinto anche da loro in modo più o meno consapevole.
PP: Potresti raccontarmi un aneddoto, divertente, ingegnoso o curioso, che hai vissuto nel corso della tua carriera?
MN: c’è un aneddoto che ho raccontato altre volte. Agli inizi della mia carriera, avevo spedito il mio c.v. ad un giornale. Scritto a macchina e, per pigrizia, firmato solo “M. Nardi”. Avevo allegato alcune fotocopie dei miei disegni e poi ottenuto appuntamento telefonico tramite la segretaria di redazione. Non esisteva internet e non c’era modo di informarsi prima sulle persone. Quando mi sono presentata all’incontro, con la mia cartella di disegni sotto il braccio, il signore che doveva valutare il mio lavoro mi disse che non aveva tempo da perdere con me, che aspettava già “un certo Nardi”. L’ha detto guardandomi dall’alto in basso, con grande fastidio, quasi disprezzo. Quando gli ho risposto che il Nardi in questione ero io e che lui aveva un appuntamento con me, è rimasto di sale. Ha sgranato gli occhi e esclamato: “ma tu sei una donna?!” Probabilmente non mi avrebbe mai concesso un appuntamento se lo avesse saputo fin dall’inizio. Poi si è giustificato dicendo che il mio segno gli era piaciuto perché era “molto maschile”. Per la sua mentalità, l’aggettivo “maschile” definiva una qualità, in questo caso anche grafica. Ho fatto tesoro dell’accaduto e, da quel giorno in poi, ho firmato sempre e solo con il mio cognome.
PP: Bell’aneddoto, signor Nardi, ah ah…
E ritornando seri: l'umorismo è un'arte, amica mia? Mi riferisco soprattutto alla sua caratteristica di “parassita”, poiché compare solo all'interno di un'arte (grafica, musicale, scenica, ecc.).
MN: non ho mai pensato all’umorismo come una forma d’arte parassitaria. Non vorrei immaginarlo così, come qualcosa che vive solo grazie o a discapito di altro. Voglio pensare piuttosto che sia una forma d’arte che trova espressione “fisica” all’interno di altre arti. Ci sono territori che hanno confini sfumati. L’umorismo è uno di questi: si nutre di storia, di cronaca, di letteratura, di poesia, di pittura e disegno, della vita e della sensibilità di chi lo esprime e ciò che ne risulta è di nuovo a disposizione di altri, in un circuito sociale, continuo e vitale. Più che parassitismo, direi simbiosi. E’ senz’altro un’arte.
PP: Non sono molto convinto dal punto di vista teorico, ma senza dubbio possiede un suo linguaggio e, come tu dici, si nutre di molte cose e rende questo circuito vitale. E ho detto “parassita”, non perché esista o si nutra di qualcos'altro, ma perché quando appare lo fa attraverso una manifestazione artistica (arte visiva, musicale, scenica, audiovisiva, ecc.). Ma procediamo per punti. Credi che la caricatura personale, il disegno editoriale, la cosiddetta vignetta umoristica o vignetta in generale, la striscia comica, il fumetto, la fotografia umoristica (con le diverse specificità), ecc., siano tutte espressioni che rientrano nell’ "umorismo grafico"? O qualcosa o tutto non rientra in questo concetto?
MN: ci sono ambiti definiti, altri più sfumati e altri decisamente mescolati. Dipende molto dagli autori e dalle loro intenzioni. Sono più propensa a fare distinzioni tra umorismo grafico e satira, perché le finalità sono diverse, anche se gli strumenti utilizzati sono gli stessi. Che sia un disegno, una foto, una caricatura, una striscia o un disegno editoriale, è il fine che cambia la sostanza. Se l’intento è far divertire, o anche sorridere e insieme riflettere forse saremo più nell’ambito dell’umorismo grafico. Se invece prevale l’aspetto della denuncia, se per così dire, l’autore con il suo disegno/foto/striscia/caricatura “mette il dito nella piaga” allora il contesto sarà quello della satira e del disegno editoriale.
PP: I teorici non si trovano mai d'accordo su questo punto, come ben sai. La tua opinione vale quanto quella di qualsiasi altro creatore o studioso. Ecco perché volevo conoscerla.
Per questo motivo, gli umoristi grafici realizzano caricature, disegni editoriali o vignette di costume, ecc., perché il loro intento è quello di far ridere o sorridere, anche se alcuni - come te – ricercano la riflessione, ma senza smettere di provocare il sorriso, per quanto possa essere concettuale l'idea, perché altrimenti non sarebbero "umoristi grafici". Sei d'accordo con questo?
MN: Sono d’accordo con il senso della definizione e riconosco che i miei disegni non sempre si accompagnano con il sorriso e con la volontà di provocarlo. Pago volentieri il prezzo di non essere una disegnatrice umoristica “pura”: ho bisogno di sentirmi libera di disegnare con dei registri diversi, a volte umoristici, altre volte malinconici.
PP: Sei fortunata e per questo ti invidio, perché puoi esprimerti con diversi registri. Io invece posso solo creare in forma umoristica, quando ho provato a realizzare qualcosa di "serio", non mi è piaciuto per niente. E approfondendo ancora di più questi argomenti, sappiamo che il risultato ideale per un umorista grafico è quello che combina una fattura perfetta con un contenuto che ci fa sorridere e riflettere insieme. Ma spesso vediamo un'idea magnifica espressa con una cattiva esecuzione o, viceversa, un'opera impeccabile nella forma ma con un'idea debole. Quale fra queste due varianti accetti di più? O nessuna di loro? E perché?
MN: “Un disegno è un’idea con una linea intorno”. La definizione non è mia ma esprime bene come le due cose, idea ed esecuzione, debbano andare di pari passo.
Un’idea bella ha bisogno di un sostegno adeguato, altrimenti si vanifica, si spreca. Forse, un bel disegno anche senza una grande idea, almeno esprime la bellezza, la buona esecuzione di cui è fatto. Perciò, se mi trovo per esempio a far parte di una giuria e a valutare i disegni altrui, se sono obbligata a scegliere, tra le due possibilità scelgo un disegno ben fatto, anche se l’idea è minima.
Se invece riguarda il mio lavoro, sono molto più severa: le due cose devono andare insieme e ci lavoro finché non sono soddisfatta.
PP: Completamente d'accordo! Le due cose devono avere la stessa qualità ed elaborazione. Ma se dovessi scegliere, nel mondo dell'arte e in questo caso della grafica umoristica, senza dubbio una forma senza un'idea è più accettabile di un'idea senza forma. Ora lasciamo la teoria, per favore, e affrontiamo la parte "pratica". Ad esempio, riguardo alla pubblicazione di opere di umorismo grafico: ci sono abbastanza spazi? Vedi molta differenza tra i disegni creati per i concorsi e il resto? C'è un pubblico? Ci sono consumatori?
MN: Gli spazi intesi come giornali sono pochi. Ciò è dovuto alla crisi della stampa che coinvolge tutte le sue componenti. Esistono pochi giornali di settore, si è ridotto lo spazio in quelli tradizionali. Alcuni paesi sono più fortunati, la Francia per esempio, il pubblico è più attento e disposto ad acquistare e leggere giornali e riviste di carattere umoristico, libri d’autore, raccolte, cataloghi.
In Italia, ho l’impressione che vivere di questa professione sia più difficile ora rispetto a una ventina di anni fa. Ma è vero anche che internet ha aperto nuove opportunità. Molti giornali resistono in versione digitale. Vanno cercati nuovi modi oltre a quello tradizionale della pubblicazione su carta. Alcuni amici e colleghi lavorano per i programmi televisivi, realizzano piccoli video animati di carattere umoristico e satirico. Quella potrebbe essere un’ulteriore strada.
Riguardo le differenze nella produzione per la stampa e per i concorsi. Sì, ne vedo moltissime, in termini di qualità. Ma ne vedo molte anche fra concorso e concorso. Sono stata invitata a far parte di molte giurie e posso dirlo con cognizione di causa: ogni concorso e le relative scelte degli organizzatori e delle giurie hanno specificità diverse. Una grande differenza la fanno le regole di ammissione al concorso e le finalità dello stesso.
Riguardo il pubblico, ho l’impressione che sia cambiato e, per lo meno in Italia, sia diminuito. C’è molta attenzione verso i fumetti e verso l’illustrazione. In questo senso fioriscono le scuole, le mostre e i festival dedicati a questi due settori. Vedo meno interesse verso la satira e l’umorismo grafico. Soprattutto tra i giovani, lo riscontro con i miei studenti, non sanno bene cosa sia e manca la conoscenza di autori anche storici o molto popolari. Temo sia perché si informano prevalentemente dal web e poco dai giornali (che a loro volta pubblicano meno disegni).
PP: Sono d'accordo con te. Anche in America Latina succede qualcosa di simile.
E ora tocchiamo un punto che non possiamo evitare. Al giorno d’oggi, c'è molta censura nei media, nei governi e nei settori della società, nel pubblico? Troppa autocensura? E per utilizzare una domanda alla moda: quali sono i limiti dell'umorismo?
MN: il giornalismo serio è scomodo. Il vignettista, il disegnatore editoriale, non è esattamente un giornalista (salvo casi specifici) ma piuttosto un commentatore e con i suoi disegni può dare molto fastidio, dunque correre dei rischi.
La censura è sempre esistita: varia secondo le leggi, i costumi e la democraticità di uno stato. Se lo stato è poco democratico, il lavoro di un disegnatore va proprio nella direzione di guadagnare un maggiore spazio di libertà che varrà per lui come per tutti. Sappiamo di paesi autoritari dove i giornalisti vengono costretti al silenzio, incarcerati o uccisi. Lo stesso accade ai disegnatori.
In Italia soffriamo di un fenomeno di censura diversa: non è lo stato che limita l’espressione individuale ma alcune forme di potere (politici, imprenditori, gruppi economici, a volte la chiesa, anche se agisce in modo diverso) che abusano dell’arma della denuncia. Spesso i giornalisti seri che svolgono inchieste si vedono bloccati o rallentati da denunce dalle quali si devono difendere, spendendo energie, tempo e denaro. I processi durano anni. Più che di autocensura, direi che chi scrive e chi disegna è tenuto ad essere molto attento e chiaro (e il più corazzato possibile).
C’è anche un altro aspetto di cui vorrei parlare.
Viviamo un’epoca dove prevalgono le immagini, ma le persone spesso non sanno leggerle e interpretarle.
A complicare tutto ciò c’è anche la facilità con cui le vignette viaggiano nel web, uscendo dal contesto per cui erano state pensate e finendo sotto gli occhi di persone che non condividono lo stesso linguaggio, non possiedono strumenti culturali condivisi che consentano loro di decifrarle. Vengono viste, ma non capite.
Umberto Eco diceva: "I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l'invasione degli imbecilli."*
Tra imbecilli o ignoranti il risultato non cambia. Le conseguenze possono essere una pressione fortissima sui giornali (con relativo licenziamento dei vignettisti o il caso del NYT che per evitare problemi ha scelto la via dell’autocensura: mai più immagini satiriche e caricature per non ricevere denunce e subire danni economici) o peggio ancora la strage di Charlie Hebdo.
Per rispondere alla tua domanda, i limiti dell’umorismo dipendono dai limiti dell’intelligenza e della sensibilità di ognuno. Si potrebbe scherzare di tutto… ma, purtroppo, non con chiunque.
PP: Sono totalmente d'accordo con te e con Eco, ma parliamo un po' dell'umorismo grafico editoriale, in particolare dell'umorismo politico. Quindi ti chiedo, politicamente parlando, l'umorismo viene da sinistra, da destra, da entrambi o nessuno dei due?
MN: è opinione comune che l’umorismo sia soprattutto di sinistra. E forse a sinistra si è data prova di maggiore libertà espressiva. Tuttavia penso sia soprattutto una questione di intelligenza e di onestà intellettuale. Soprattutto per chi fa satira: va mantenuta una giusta distinzione fra la critica, anche aspra, e la propaganda politica, che da una parte o dall’altra è sempre asservita.
PP: Impossibile dirlo meglio. Stiamo per concludere l'intervista. Da qui la domanda classica: come vedi il futuro dell'umorismo grafico? Internet è la soluzione?
MN: sono un’insegnante e non posso che essere ottimista e avere fiducia nelle nuove generazioni. L’umorismo grafico è in sofferenza, ma non credo morirà. Credo che si inventeranno altri modi e altri spazi/contenitori. Qualcosa si intravede già: c’è una produzione più di nicchia, con edizioni curate, destinate a un pubblico di cultori e appassionati della materia. E parallelamente si intravede un altro filone, più popolare, più sociale che ha varie modalità espressive e viaggia fra internet e l’autoproduzione.
PP: Mi piace vedere colleghi ottimisti. Grazie per questo. E infine, c'è una domanda che non ti ho fatto e che avresti voluto che ti facessi? Se si, puoi rispondere ora?
MN: no, nessun’altra domanda. Vorrei solo aggiungere che mi ha fatto piacere riflettere sui quesiti che hai posto e ti ringrazio. È stato un tempo speso bene.
Auguro buon lavoro a te e buona lettura a chi ci legge.
Torno a raccontare di me attraverso il disegno, quello senza parole e con il “segno molto maschile”
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*Parole pronunciate a Torino da Umberto Eco durante la cerimonia di consegna della laurea honoris causa in "Comunicazione e Cultura dei media".
https://www.huffingtonpost.it/2015/06/11/umberto-eco-internet-parola-agli-imbecilli_n_7559082.html
Foto di Francisco Punal Suarez e disegni di Marilena Nardi