Politicamente corretto
Guida al linguaggio perbene (ma ipocrita)
di Daniela Ranieri
Le parole, si sa, non sono entità neutre, particelle nebulizzate al pino silvestre per i cessi dell’Autogrill; sono pietre frutto dei secoli, a disposizione tanto di chi le usa per costruire castelli o rovesciare il trono e l’altare, quanto di quelli che le tirano dal cavalcavia.
Il politically correct è quel carabiniere-netturbino che si occupa di levigarle e renderle meno contundenti per tutti gli usi sopra elencati; di neutralizzare la loro potenza e di cancellare ogni loro sottigliezza; raggelandone le sfumature, di irrigidirle e amalgamarle in un piatto grigio ritentivo, in un noiosissimo tantra-mantra che le abrade e le livella alla patina ipocrita del non far male a nessuno, fosse pure a scapito della verità.
Eunuchi del linguaggio, chierichetti dell’intelletto, i fautori e propagatori del politicamente corretto truccano il veleno col latte, lasciando nel mondo parole sbiadite, buone a nulla e cattive a nulla, distorte e mendaci ma prive del coraggio sfrontato della volontà di maschera.
Non sentono sibilare nelle orecchie quell’avverbio a guardia, quella clausola ambigua? Perché essere corretti – regola aurea fondata sull’«impegno morale del linguaggio» (J. R. Wilcock) - ha bisogno di una stampella? Non vedono che come tutte le stampelle imposte ai sani, lungi dal rafforzarli, ne storce l’andatura, la corrompe e rovina?Politicamente corretto, ovvero: giusto finché e come conviene al potere incarnato nel politico, fosse pure “da sinistra”; esatto nei termini concessi dal sistema; vero, ma. La verità passata e resa digeribile al dominio, per un motivo che non c’entra già più nulla col non offendere il prossimo (basterebbe “corretto”, come detto) ma riguarda l’ortodossia, la censura, la parrocchia, l’avemaria. Sposa del luogo comune, cognata dell’ipocrisia, la parola corretta dal politico delira, in preda alla febbre di un lessico ossessivo e addomesticato. Queste le sue fissazioni.
Bambini – i diritti dei bambini; dalla parte dei bambini; le domeniche dei bambini; la ZTL per i bambini; le App per i bambini; circolo dei lettori bambini; piccoli chef; bambini soldato. Sono sacri: da proteggere contro gli elargitori di caramelle al parco, che peraltro funge da location per ritrarli in pose sexy per réclames di life provider da ricchi, in tenuta da cavallerizzi imbronciati, in stivaletti da cowboy/cowgirl che sognano il fango, seduti su staccionate che ne evidenziano l’arbitrio, su altalene bianche tra glicine e organza Versace. A cavallo tra la condizione di embrioni e quella di ninfette/efebi, siamo indecisi se covarli al fresco di una chiesa o mangiarli sulla base della Modesta proposta di Swift. Nei ristoranti, sulle spiagge, bisogna assecondare ogni loro desiderio, compreso l’omicidio e la riduzione in pazzia degli avventori. «Ostentare una tenerezza lirica verso di loro quando c’è gente» (Flaubert). Un alieno appena atterrato che vedesse i pargoli circondati da tanto rispetto e considerazione non ci crederebbe che esiste una legge contro chi ci fa sesso abusando del suo potere. Pare, pare, che adesso manco ci guardino più.
Biologico – costoso feticcio di un ex popolo di poveri agricoltori.
Canzoni italiane degli anni ’60 – utilizzate come colonna sonora da registi ricchi sovvenzionati dalla famiglia e dallo Stato italiano, che negli anni ’60 disprezzavano i genitori per il fatto che le ascoltavano; singhiozzare discretamente nell’udire le loro note languide, spensierate o struggenti attesta robuste letture, coscienza storica e animo sensibile.
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Culo – prua che lasciava una scia catodica dove la poppa bucava lo schermo, ha vissuto la parabola da glorioso totem del Totocalcio a primo requisito della presentabilità politica, da lato B del lato A a lato A del lato B della faccia. Uguale in maschi e femmine, la società fallocentrica trascura il maschile e santifica il femminile, stando attenta a non confessare che reputa quello dei trans il culo perfetto. La sinistra lo ignora - ultimo baluardo di resistenza ideologica - preferendogli la vagina monologante. Sorpasso definitivo del culo: «Sembra in leggera ripresa», avvertiva Enzo Biagi nel ’93; «io sono il culo» concreta nel 2012, intercettata, Ruby Rubacuori, insieme silloge e sineddoche di un’epoca.