mercoledì 18 marzo 2020

Macaluso "Sono i giorni peggiori della mia vita Spaventoso il cinismo contro noi anziani" - intervista su la Repubblica

Post modificato 19/01/21
EMANUELE MACALUSO
su Robinson di Repubblica di Riccardo Mannelli


Cari amici,
vi mando l'intervista del sempre lucido Emanuele Macaluso uscita oggi su La Repubblica. Di seguito la mia striscia uscita ieri su La Stampa.
Un abbraccio
Sergio 
Ringrazio Sergio Staino per avermi mandato l'intervista e la vignetta che troverete in fondo al post, e ve ne faccio partecipi, allegandovi il ritratto di Macaluso fatto da Riccardo Mannelli l'anno scorso sempre per Repubblica.
Purtroppo uno dei messaggi subliminali che si sono veicolati, soprattutto nella prima fase della crisi del “coronavirus”, in diversi modi per cercare di calmare la popolazione quando il virus non era ancora molto diffuso è: non preoccupatevi, questo coronavirus uccide quasi esclusivamente persone anziane!
Ma è proprio questo “esclusivamente” che fa male nell’anima. Fa male a chi ha degli anziani accanto a sé e a quelli che hanno un minimo di sensibilità. Perché la grandezza di una società si misura dal modo in cui tratta i suoi anziani. E una società che trasforma i suoi anziani in pezzi sacrificabili ha perso tutti i suoi punti cardinali.


Emanuele Macaluso, sabato lei compie 96 anni. Come aveva pensato di festeggiarli?
«A pranzo con cinquanta amici e compagni in un ristorante vicino al Senato. Invece sono chiuso in casa, come tutti. Ogni tanto mi affaccio dalla finestra del mio appartamento a Testaccio e butto lo sguardo su Piazza Santa Maria Liberatrice privata di voci e rumori. Non ci sono più i bambini che giocano, né gli anziani che passeggiano. Regna un silenzio assoluto. Stento a crederci, ma è così».
Cosa prova?
«Una forma di angoscia. Ho avuto una lunghissima vita, piena di grandi gioie e di grandi dolori, ma
queste settimane mi sembrano tra le più terribili. Siamo dentro una vicenda che non ha precedenti. Il fatto inedito è che questo virus ci ha incarcerati, serrati nelle nostre case, senza nemmeno poter uscire per prendere un caffé, vedere un amico, chiusi dentro una vita che non è la nostra».
Lei cosa fa?
«Leggo continuamente. Ora sto rileggendo il carteggio tra i fratelli Sereni, Enzo, il sionista che poi morì a Dachau, ed Emilio, il dirigente comunista. Sono lettere molto profonde, che ci riportano a un tempo durissimo. Ho sentito il bisogno di riprenderlo dalla mia libreria. Poi leggo sei quotidiani e guardo la tv. Ricevo tante telefonate. Oggi mi ha chiamato Giuliano Ferrara».
Cosa la colpisce?
«Quando vedo le persone che girano con la mascherina non posso non pensare a quando mi ammalai di tubercolosi, nel 1941.
Avevo sedici anni. All’epoca era una malattia da cui difficilmente si guariva. Mi misero in un sanatorio, dove praticavano il pneumotorace, iniettando l’aria nei polmoni. Si trovava sulla strada che da Caltanissetta conduce a San Cataldo, in una posizione interna, e seppur fossimo a distanza di sicurezza, dalla finestra potevo vedere le persone che si coprivano la bocca con il fazzoletto per paura di contagiarsi con il bacillo di Koch. Proprio come adesso».
Lei ha vissuto la guerra.
«La guerra è la guerra. Ricordo i bombardamenti degli alleati dopo lo sbarco in Sicilia. Nella mia città, Caltanissetta, morirono centinaia di persone. Perciò mi commuovo quando vedo le immagini dei profughi siriani in fuga dal conflitto».
Come giudica l’azione del governo?
«Sto rivalutando Conte, un uomo privo di storia politica, ma che sta reggendo con molta dignità. È lucido. Non ha mai perso il controllo. Sta guidando il Paese nel mezzo di una tragedia collettiva. La stoffa del dirigente politico si vede nelle difficoltà».
E gli italiani?
«Noto con piacere che c’è disciplina. Certo, è una disciplina indotta dalla paura, ma i cittadini stanno affrontando l’emergenza con senso di responsabilità. Questo non sempre è stato così, nel passato».
Molti si ritrovano sui balconi a cantare.
«È una reazione bellissima. Un modo per farsi coraggio, e applaudire i tantissimi medici e infermieri in trincea. È come se gli italiani dicessero al coronavirus: non ci puoi cancellare del tutto, perché noi continuiamo a vivere».
Lei sarebbe favorevole al voto a distanza in Parlamento?
«Voterebbero col computer?».
È un’ipotesi.
«Vivo senza computer, e quindi non sono propriamente un esperto. Però, se si crea una possibilità, si faccia, per proteggere così le persone nell’emergenza. Certo non si può chiudere il Parlamento. Le istituzioni non possono andare in quarantena».
Quali saranno le conseguenze, una volta che questa storia sarà finita?
«Molto pesanti. Nessuno parla delle conseguenze che avrà sul sistema nervoso delle persone, sui tanti che forse perderanno il lavoro».
Cosa pensa dei molti meridionali che dalla Lombardia sono tornati al Sud?
«Li biasimo. Si muovono in un misto di paura, viltà, irresponsabilità, rischiando di portare il contagio nel Meridione. Oggi ho sentito Gianni Cervetti, il vecchio dirigente del Pci milanese. "Sei andato nella tua dacia in montagna?", gli ho chiesto. "Sono sempre rimasto a Milano", mi ha risposto. Così bisogna fare».
Il premier inglese Johnson non intende salvare i più deboli, i vecchi.
«Johnson è un bullo e il suo è un cinismo spaventoso. Come quelli che dicono "è morto, ma era vecchio". Capisco che tutti abbiamo il nostro turno, ma qui muoiono persone che avevano vitalità, affetti, relazioni. Uomini e donne che avevano ancora qualcosa da dire».
Lei teme la morte?
«Mi spaventa la malattia. So che alla mia età ormai tutto è possibile».
Cosa potremo imparare da questa esperienza?
«L’umanità è esposta a tutto, anche all’imprevisto. La calamità può rivelarsi, alla fine, un momento di formazione. Tocca a ricchi e poveri. Tutti devono difendersi allo stesso modo, stando in casa. Ciò affratella, nel senso che in questo momento le categorie dell’avversario, del nemico, sono sospese. Lascerà qualche segno nella società, spero».
Come sarà alla fine il suo compleanno?
«Con mia moglie Enza, e la mia collaboratrice, Jolanda, ci mangeremo una tortina».

Concetto Vecchio, la Repubblica, 16 marzo 2020




Staino per La Stampa, 15 marzo 2020


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PS: dalla pagina FB di Emnuele Macaluso




È morto, a 96 anni, Emanuele Macaluso
Ex dirigente moderato del Pci (dell’ala «migliorista» cui apparteneva anche Giorgio Napolitano), fu direttore dell’Unità. Così lo ricorda Antonio Polito, all’epoca in cui era un giovane redattore dell’organo ufficiale del partito comunista, in un’intervista rilasciata a Claudio Sabelli Fioretti.
«All’ora di pranzo, Macaluso si chiudeva nella stanza, apriva il fazzoletto sul tavolo e con il coltellino da contadino tagliava un pezzo di pane a fette e ci spalmava la pasta di olive. Finito il pasto, scriveva editoriali sanguigni».
(Sette, 19 settembre 2002) 
La vecchissima guardia in panchina. Emanuele Macaluso (a sinistra) con Giorgio Napolitano.

© Umberto Rigotti


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