martedì 10 settembre 2013

5-6 sett 2013 - G20 summit a San Pietroburgo

"Someone should intervene..."
"Qualcuno dovrebbe intervenire"
by Bob  07-09-13 The Telegraph


Spettatore d'eccezione del Summit G20  di San Pietroburgo Assad, in diretta TV.
Il vertice del G20 si è concluso con aspre divisioni riguardo un possibile intervento militare in Siria.  Vladimir Putin ha ribadito la sua opposizione a qualsiasi offensiva, dicendo che sarebbe destabilizzare la regione. Ma il presidente Barack Obama ha ribadito che l'azione è necessaria a seguito di un attacco di veleno-gas presunta che ha ucciso più di 1.400 nei sobborghi di Damasco, il 21 agosto. Guarda il video qui.
La vignetta
La vignetta di Bob dal The Telegraph mostra il presidente siriano Bashar al-Assada guardare il vertice del G20 in diretta TV. I leader mondiali stanno combattendo. Obama è frugando Putin negli occhi, e il leader russo strozza David Cameron . Il presidente francese François Hollande guarda le fiamme salire dietro di lui.  Assad commenta: "Qualcuno dovrebbe intervenire ...". L'ironia dovrebbe essere ovvia.

domenica 8 settembre 2013

Digiuni

Roma 7 settembre 2013
Alle 19 in Piazza San Pietro 100.000 persone con il Papa, in veglia per la pace in Siria, la preghiera abbinata al digiuno.
Il digiuno, sia nella tradizione cristiana che in quella musulmana, è sentito come un grande valore ed è quindi qualcosa che ci accomuna.



di Antonio Gallo


Digiuni
PORTOS / Franco Portinari
Etichette: Attacco dimostrativo, Digiuno, Hollande, Obama, Papa Francesco, Siria

giovedì 5 settembre 2013

Guida al linguaggio perbene (ma ipocrita)

Politicamente corretto

Guida al linguaggio perbene (ma ipocrita)
di Daniela Ranieri

tavola di Marilena Nardi
Le parole, si sa, non sono entità neutre, particelle nebulizzate al pino silvestre per i cessi dell’Autogrill; sono pietre frutto dei secoli, a disposizione tanto di chi le usa per costruire castelli o rovesciare il trono e l’altare, quanto di quelli che le tirano dal cavalcavia.
Il politically correct è quel carabiniere-netturbino che si occupa di levigarle e renderle meno contundenti per tutti gli usi sopra elencati; di neutralizzare la loro potenza e di cancellare ogni loro sottigliezza; raggelandone le sfumature, di irrigidirle e amalgamarle in un piatto grigio ritentivo, in un noiosissimo tantra-mantra che le abrade e le livella alla patina ipocrita del non far male a nessuno, fosse pure a scapito della verità.
Eunuchi del linguaggio, chierichetti dell’intelletto, i fautori e propagatori del politicamente corretto truccano il veleno col latte, lasciando nel mondo parole sbiadite, buone a nulla e cattive a nulla, distorte e mendaci ma prive del coraggio sfrontato della volontà di maschera.
Non sentono sibilare nelle orecchie quell’avverbio a guardia, quella clausola ambigua? Perché essere corretti – regola aurea fondata sull’«impegno morale del linguaggio» (J. R. Wilcock) - ha bisogno di una stampella? Non vedono che come tutte le stampelle imposte ai sani, lungi dal rafforzarli, ne storce l’andatura, la corrompe e rovina?Politicamente corretto, ovvero: giusto finché e come conviene al potere incarnato nel politico, fosse pure “da sinistra”; esatto nei termini concessi dal sistema; vero, ma. La verità passata e resa digeribile al dominio, per un motivo che non c’entra già più nulla col non offendere il prossimo (basterebbe “corretto”, come detto) ma riguarda l’ortodossia, la censura, la parrocchia, l’avemaria. Sposa del luogo comune, cognata dell’ipocrisia, la parola corretta dal politico delira, in preda alla febbre di un lessico ossessivo e addomesticato. Queste le sue fissazioni.
Bambini – i diritti dei bambini; dalla parte dei bambini; le domeniche dei bambini; la ZTL per i bambini; le App per i bambini; circolo dei lettori bambini; piccoli chef; bambini soldato. Sono sacri: da proteggere contro gli elargitori di caramelle al parco, che peraltro funge da location per ritrarli in pose sexy per réclames di life provider da ricchi, in tenuta da cavallerizzi imbronciati, in stivaletti da cowboy/cowgirl che sognano il fango, seduti su staccionate che ne evidenziano l’arbitrio, su altalene bianche tra glicine e organza Versace. A cavallo tra la condizione di embrioni e quella di ninfette/efebi, siamo indecisi se covarli al fresco di una chiesa o mangiarli sulla base della Modesta proposta di Swift. Nei ristoranti, sulle spiagge, bisogna assecondare ogni loro desiderio, compreso l’omicidio e la riduzione in pazzia degli avventori. «Ostentare una tenerezza lirica verso di loro quando c’è gente» (Flaubert). Un alieno appena atterrato che vedesse i pargoli circondati da tanto rispetto e considerazione non ci crederebbe che esiste una legge contro chi ci fa sesso abusando del suo potere. Pare, pare, che adesso manco ci guardino più.
Biologico – costoso feticcio di un ex popolo di poveri agricoltori.
Canzoni italiane degli anni ’60 – utilizzate come colonna sonora da registi ricchi sovvenzionati dalla famiglia e dallo Stato italiano, che negli anni ’60 disprezzavano i genitori per il fatto che le ascoltavano; singhiozzare discretamente nell’udire le loro note languide, spensierate o struggenti attesta robuste letture, coscienza storica e animo sensibile.
Condividere idee, progetti, contenuti - il non sapere che è diventato opinione.
Culo – prua che lasciava una scia catodica dove la poppa bucava lo schermo, ha vissuto la parabola da glorioso totem del Totocalcio a primo requisito della presentabilità politica, da lato B del lato A a lato A del lato B della faccia. Uguale in maschi e femmine, la società fallocentrica trascura il maschile e santifica il femminile, stando attenta a non confessare che reputa quello dei trans il culo perfetto. La sinistra lo ignora - ultimo baluardo di resistenza ideologica - preferendogli la vagina monologante. Sorpasso definitivo del culo: «Sembra in leggera ripresa», avvertiva Enzo Biagi nel ’93; «io sono il culo» concreta nel 2012, intercettata, Ruby Rubacuori, insieme silloge e sineddoche di un’epoca.

mercoledì 4 settembre 2013

Che dite? Ingoieranno anche questo boccone...?

Che dite?
Ingoieranno anche questo boccone...?

Marilena Nardi




Punto e non a capo
massimo gramellini

Se anche gli avvocati lo convincessero a seguire la strategia adottata dal soldato-talpa Manning - chiedere la grazia dopo un cambio di sesso - o se una fata Toghina particolarmente misericordiosa facesse sparire condanna e pene accessorie con un colpo di bacchetta magica, il nodo scorsoio a cui si è impiccata la vita pubblica italiana non si scioglierebbe comunque. Una cucciolata di processi schiumanti aspettano al varco, dalle cene eleganti alla compravendita dei parlamentari.

Qualsiasi partito al mondo, persino nelle nazioni dove di partito ce n’è uno solo, riunirebbe i propri vertici per costringere il leader a farsi da parte. Capitò nella Dc di Forlani e nel Psi di Craxi, di cui Forza Italia si considera erede, ma succederebbe anche nella Dc tedesca e fra i conservatori inglesi, francesi, svedesi, neozelandesi. Qui invece no, perché il leader non è un capo ma un proprietario e i dirigenti sono in realtà dei dipendenti. Manca un Dino Grandi in grado di dirgli la banale verità: che il suo tempo in politica è finito. Che ha perso la partita e a batterlo non è stata la magistratura e tantomeno quei molluschi litigiosi del vecchio Pd, ma il fallimento delle sue promesse di panna montata: l’incapacità di fare riforme liberali, di ridurre le tasse, di tagliare la spesa, di snellire la giustizia contro cui si è limitato a inveire per tornaconto personale. In vent’anni l’uomo del popolo ha dimezzato i consensi elettorali. Ecco un’ottima ragione, in un partito normale, per indurlo a uscire di scena, salvando il centrodestra, il governo e anche l’Italia, che non ne può più.

martedì 3 settembre 2013

Giuseppe Rotunno

Antonio Gnoli intervista Giuseppe Rotunno.
 Il direttore della fotografia racconta la sua vita con i grandi del cinema.
“Per me la luce sul set è quella di Dio così ho capito la vita e la morte”





GIUSEPPE ROTUNNO
ANTONIO GNOLI

Sono più di cento i film che Giuseppe Rotunno ha realizzato nell' arco di sessant' anni. Ha lavorato con i più grandi registi, predisposto e inventato le luci per "raccontare" i volti di attrici e attori famosi, diretto e misurato le profondità di campo, creato quella magia luminosa senza la quale l' arte cinematografica resterebbe un' esperienza piatta e incolore. Eppure, incontrandolo, non si ha l' impressione di un uomo troppo compreso nel proprio ruolo. È come se la sua storia - che ha contribuito a realizzare una parte fondamentale del cinema italiano - si esprima nell' immediatezza delle cose e nella semplicità delle parole. Da pochi mesi ha compiuto 90 anni. Non dimostra un' età che di solito disorienta chi ne porta il peso. Egli è un' ombra felice e tranquilla. Un' umile proiezione di una vita lunga vissuta senza accaparramenti né brame. Una vita solida che continua nell' impegno al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove insegna agli allievi a diventare direttori della fotografia. Mi accoglie nella sua casa romana con un filo di apprensione. Dice che a volte la sua memoria gira a vuoto. Ma è spiritoso quando aggiunge che se dovesse davvero ricordarsi tutto, dimenticherebbe cosa fare. Ha accanto la moglie. Più giovane di una decina di anni e ancora bella. Si conobbero sul set di Pane, amore e... regia di Dino Risi, era il 1955. Ma poi al cinema Graziolina preferì la pittura. I suoi quadri, di una leggerezza infantile, adornano una parete del salotto. Mentre su un' altra spiccano anche un paio di dipinti di Ligabue.
«Conobbi Ligabue quando con Michele Gandin giravamo un documentario sul Po. Ci incuriosì quell' uomo schivo che vagava per i paesi spingendo una carrozzina per bambini. Teneva lì le sue cose e si percepiva la sofferenza e il disagio», ricorda Rotunno.
È diverso il disagio di un artista da quello di una persona normale?
«Non saprei cosa rispondere. Di lui non sapevamo nulla. Per me era un uomo che usciva dall' umidità e dalle nebbie di quei giorni. Privo di qualunque baldanza. Solo in seguito appresi che nei suoi occhi signoreggiavano animali esotici e il mondo contadino».
E nei suoi?
«Intende i miei?».
Sì, cosa vedono gli occhi di un grande direttore della fotografia? 

lunedì 2 settembre 2013

Premio Letterario Città di Cantù “Suor Rita Borghi”



L'Amministrazione Comunale di Cantù, in collaborazione con ASPEm - Associazione Solidarietà Paesi Emergenti; Coor-dinamento Comasco per la Pace e Combonifem Rivista delle Suore missionarie Comboniane, al fine di sviluppare la cultura della conoscenza e incoraggiare la pluralità di espressione in tutti coloro che affrontano la scrittura come libera scelta e come
passione, indìce la prima edizione del Premio Letterario Città di Cantù “Suor Rita Borghi” per opere inedite, scritte in lingua italiana, da scrittori/scrittrici di origine africana, asiatica e sudamericana residenti in Italia.

Prima edizione del Premio Letterario
Città di Cantù "Suor Rita Borghi"


La scelta di dedicare il Premio letterario Città di Cantù a Suor Rita
Borghi, missionaria comboniana originaria di Cantù, nasce dalla convin-
zione che Suor Rita debba essere ricordata per le attività a cui ha dedica-
to la propria vita, ovvero l’insegnamento e la trasmissione della cultura.

lunedì 26 agosto 2013

BIGLIETTI DI SOLA ANDATA DA TEHERAN (mostra)

BIGLIETTI DI SOLA ANDATA DA TEHERAN
Echi di rivolta, voci dall’esilio
Fotografie di Pietro Masturzo
Vignette di Mana Neyestani e Kianoush Ramezani
Documenti video di Martina Castigliani e Francesco Alesi

Villa Soragna – Parco Nevicati, Collecchio (PR) 23 agosto- 7 settembre 2013
Inaugurazione venerdì 23 agosto, ore 19.00

CON IL PATROCINIO E CONTRIBUTO: Regione Emilia Romagna - Provincia di Parma - Comune di Collecchio
IDEAZIONE E ALLESTIMENTO: Bomba di Riso
IN COLLABORAZIONE CON: Mandeep photography - Coconino Press
MAIN SPONSOR: Campus





LA MOSTRA
UN BIGLIETTO DI SOLA ANDATA
C’è una forma estrema di viaggio, che per sua natura non prevede il ritorno ma che, per sua natura, si nutre del desiderio di ritornare. L’esilio è un viaggio che si compie una sola volta e in un’unica direzione ma che non smette mai di tornare con il pensiero, l’immaginazione, la parola, la rabbia sui propri passi.
L’Iran è tra i paesi che più di tutti hanno spinto la propria migliore gioventù a intraprendere questo viaggio: è successo la prima volta nel 1979, quando la Rivoluzione iraniana ha divorato molti dei suoi stessi figli, costringendoli all’esilio; accade nuovamente oggi con gli esponenti del Movimento Verde e con tutti coloro che si battono per una svolta democratica del regime degli Ayatollah. Il Collecchio Video Film Festival, che nel suo decennale si interroga sul senso del viaggio, dedica l’evento speciale ai volti, alle voci e alle opere di alcuni di coloro che hanno compiuto questo viaggio di sola andata.
ECHI DI RIVOLTA: GLI SCATTI DI PIETRO MASTURZO

domenica 25 agosto 2013

Syria: attacco chimico con sarin.

"...Cento, duecento, mille caduti.

Il collega degli Esteri riportava l’incerta contabilità senza suscitare reazioni particolari: atrofizzata in una statistica, la morte di massa non fa scalpore. Poi sono arrivate le foto e il clima è cambiato. I numeri sono diventati volti. E corpi, serrati dentro i lenzuoli. L’assenza di ferite d’arma da fuoco, quindi di sangue, rendeva i cadaveri quasi metafisici: sembravano angeli, specie i bambini.

Il governo siriano nega l’uso dei gas, che le immagini parrebbero invece suggerire...."

(l'articolo completo di Gramellini in fondo al post)






 Assad
Dalcio 

Beirut, 21 ago. (Adnkronos/Aki) - Le forze governative siriane avrebbero utilizzato armi chimiche, gas nervino, in un attacco contro le forze dell'opposizione a Ghouta, sobborgo a est di Damasco. Lo hanno denunciato gli attivisti del Consiglio del comando rivoluzionario siriano, secondo i quali almeno 500 persone avrebbero perso la vita nell'attacco con armi chimiche. L'episodio fa subito tornare alla mente l'esplosione di cinque anni fa in una base militare nei pressi di Aleppo che provoco' decine di vittime con la fuoriuscita, stando a Jane's Defence, di gas sarin e iprite.
La Siria ha iniziato a sviluppare armi chimiche alla fine degli anni Settanta, all'epoca del presidente Hafiz al-Assad, padre di Bashar, anche grazie alla tecnologia ottenuta dai russi. Secondo la Cia, Damasco e' in possesso di grandi quantita' di testate cariche di sarin. E per gli esperti la Siria ha probabilmente l'arsenale chimico piu' vasto al mondo, composto da decine di tonnellate di agenti chimici letali.
Il sarin e' il terribile gas nervino usato dai terroristi giapponesi nel 1995 nella metropolitana di Tokyo, ma nella storia recente ci sono anche altri precedenti. L'ultimo risale all'agosto 2011, quando a Madrid viene fermato uno studente messicano di chimica, un volontario della Giornata Mondiale per la gioventu', con l'accusa di voler compiere un attentato alla manifestazione di protesta laica per la visita del Papa.

Syria
David Rowe

venerdì 23 agosto 2013

Salvate il soldato ... Manning.


Bradley Manning
Jan-Erik Ander


Il soldato Chelsea Manning, nato Bradley, accusato di aver passato a Wikileaks 250 mila cablo diplomatici e oltre mezzo milione di rapporti militari segretissimi, relativi soprattutto alle guerre in Iraq e Afghanistan è stato condannato a 35 anni di detenzione ed all'"espulsione dall'esercito con disonore".
Arrestato nel 2010 ha subito da allora trattamenti di una violenza inaudita.
Ammnesty International chiede di
 commutare la pena di Bradley Manning e indagare sugli abusi da lui rivelati
(Il presidente Obama dovrebbe commutare la condanna di Bradley Manning e indagare sulle violazioni dei diritti umani che il soldato ha contribuito a svelare)

mercoledì 21 agosto 2013

Concorso "Humour a Gallarate 2013"

Grand Prix 'Marco Biassoni'2012
Ivailo Tsvetkov (Bulgaria)
(George Bernard Shaw)

Humour a Gallarate / Intl Cartoon Contest
XIX edizione 2013
Iscrizioni aperte per la 19a edizione della Rassegna Umoristica che avrà luogo dal 1 dicembre al 6 gennaio 2014. La manifestazione è organizzata dalla Pro Loco a scopi culturali, per testimoniare i notevoli contenuti creativi del pensiero e della grafica umoristica, che contribuiscono non poco allo sviluppo della socialità. La tematica di quest’edizione sarà “Il diavolo” in tutti i suoi aspetti: da “Inferno, diavolerie e dintorni; tra peccati e cattiverie grafiche” a “I diavoli nel mondo della politica e della commedia umana”.

Sopra l'opera vincitrice il concorso 2012, a seguire le modalità per la partecipazione per il concorso 2013, in fondo l'elenco di tutti i premiati e menzionati 2012.

martedì 20 agosto 2013

Domande al Papa di un non credente.


Casting the First Stone
Angelo Lopez
A cartoon on LGBT rights, the Philippines Roman Catholic Church and Pope Francis's recent comments about respecting and not judging gay people. Published in the August 14, 2013 edition of the Philippines Today 17 Aug 2013 Cartoon Movement


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In questo post trovate la bella riflessione di Eugenio Scalfari su Papa Francesco 
insieme ad una selezione di vignette 
di famosi artisti internazionali, con  diversi significativi temi.
 Per lui non esistono tabù, o frontiere invalicabili. A Rio, difatti, ha detto "sogno una Chiesa senza frontiere". Esiste il Vangelo, non esistono limiti.E non esistono situazioni esistenziali che impediscano al Vangelo di entrare»
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Le domande di un non credente
al papa gesuita chiamato Francesco
Il pontefice argentino è lo scandalo benefico della Chiesa di Roma. Ma cosa risponderebbe agli interrogativi di un illuminista?
di EUGENIO SCALFARI

PAPA Francesco è stato eletto al soglio petrino da pochissimi mesi ma continua a dare scandalo ogni giorno. Per come veste, per dove abita, per quello che dice, per quello che decide. Scandalo, ma benefico, tonificante, innovativo.

lunedì 19 agosto 2013

Ritratto di Renato Barilli

Ieri su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a

Renato Barilli, critico d'arte e di letteratura italiana ed artista

“Condannato al silenzio, vivo con la paura che alla fine nessuno si ricorderà di me”. L’arte, la letteratura, il Gruppo 63 memorie di un “critico inesistente”. Non invidio Eco, sono solo un piccolo intellettuale petulante
Renato Barilli Ciò che più temo è che nessuno si ricordi di me''




18 agosto 2013
Renato Barilli Ciò che più temo è che nessuno si ricordi di me ANTONIO GNOLI

«Il fatto che lei sia qui a Bologna, in questo giorno di implacabile afa, davanti a me, mi pare un miracolo. Una visione. Forse un' allucinazione».
Non so se Renato Barilli stia scherzando, in un pomeriggio di agosto in cui anche i grilli aspirerebbero a mettersi sotto il ventilatore, o sia serio e compunto. Propenderei per la prima ipotesi se non fosse per un curioso vittimismo che lo anima. Gli chiedo se soffre della sindrome di accerchiamento. Mi risponde con spiritosa prontezza che per accerchiare si richiederebbe la presenza concreta di un soggetto e lui da tempoè sparito dai radar. Puro ectoplasma, che però ha fatto in tempo a darci un libretto sul postmoderno (edito da Guaraldi):
«Non è l' ennesima tirata filosofica sul debolismo»,
dice con vaga e sorniona cattiveria. E il pensiero corre a Gianni Vattimo. Se Barilli, critico d' arte, quasi ottantenne, tra gli alfieri del Gruppo 63, fosse il nome di una strada, faremmo una certa fatica a trovarla. Ma una volta intercettata si vedrebbe un gran via vai di persone, un traffico di gente e cose che hanno sostato o l' hanno semplicemente attraversata. Del resto, un paio d' anni fa, uscì un suo ponderoso autoritratto (edito da Lupetti), ricco di episodi e di nomi e soprattutto attraversato da una certa paura di essere dimenticato. La chiamerei sindrome di abbandono. Davvero teme che nessuno la ricordi più, per quel che ha fatto e detto nel corso della sua vita?
«La paura c' è ed è reale. Le faccio un esempio: sono tra coloro che hanno dato vita al Gruppo 63, ricorrono i cinquant' anni della sua fondazione, non c' è nessuno, dico nessuno, che ricordi che a quell' avventura partecipai anch' io. Mi sento come un paria. È la triste realtà».
La fa soffrire?
«Sì, e trovo sia un' ingiustizia. Una forma di esclusione».
Si è dato una spiegazione?
«Ho provato. Pensai: sono antipatico? Vabbè, ma non più degli altri. Ho compiuto azioni riprovevoli? Non credo e comunque non tali da giustificare questo accanimento. Ho dato fastidio? Non mi sembra».
E allora?
«Un sospetto ce l' ho. Credo che questo stato di cose dipenda molto dalla mia doppia natura. Da un lato esperto di arti visive, dall' altro critico letterario. Sa cosa mi dicevano gli amici? Quelli che si occupavano d' arte dicevano: Renato concentrati sulla letteratura che lì sei bravissimo; e i letterati invece mi invitavano a occuparmi d' arte, sperticandosi in lodi».
Lei è un equivoco vivente.
«Non scherzi, la cosa mi fa soffrire».
Condannato all' inesistenza.
«Non l' auguro a nessuno. Fin da bambino agognavo la socievolezza».
Cosa ricorda dell' infanzia?
«Pochissimo del fascismo, sono stato appena figlio della lupa e poi tutto si è dissolto. Invece ho ancora nella testa i rumori della guerra. Sperimentai tutti i tipi di bombardamento. Sento ancora il cupo ronzio delle fortezze volanti. Luccicavano in alto come enormi sardine d' argento, emanando un suono simile ai quintali di ghiaia scaricati di colpo. Mi distraevo e proteggevo, leggendo».
Cosa?
«Salgari, innanzitutto. Le sue avventure erano più forti dell' orrore della guerra. E poi, più grande, scoprii, Pascoli. Uno dei miei primi amori. Ma già eravamo negli anni Cinquanta».
Com' era la vita a Bologna in quel periodo?
«Intensa, varia, prolifica. Mi iscrissi a ingegneria. Facoltà virile, maschia, impegnativa. Inadatta a un temperamento curioso e polivalente, come il mio. Mi venne in soccorso una meningite virale che fiaccò le mie difese intellettuali. Finii così a Lettere. E lì ho avuto la possibilità di conoscere e frequentare Luciano Anceschi».
Lo studioso di estetica?
«Proprio lui, allievo di Antonio Banfi, mentalmente più agile del suo maestro. La cosa importante che ho appreso è che una teoria più che imporre dogmi deve liberare da quelli esistenti. Fu splendido, anche se sfibrato dalla beghe accademiche. Peccato che soffrì di un invecchiamento precoce. A lui, in parte devo, le distanze che presi dal cosiddetto marxismo letterario».
Dalle posizioni espresse da Lukács?
«Che erano poi quelle difese dagli intellettuali comunisti. Posso vantarmi di aver sentito fin da subito un' avversione per l' "impegno". È stato naturale in seguito dar vita al Gruppo 63. Lukács era la nostra bestia nera: il richiamo all' ordine e l' esaltazione delle classi popolari. Chi da noi se ne fece interprete stucchevole fu Vasco Pratolini».
Ma il vostro successo da cosa dipese?
«Dal bisogno di svecchiamento. Non se ne poteva più del bello stile toscaneggiante. Come neoavanguardia non abbiamo inventato nulla. Abbiamo solo esteso e democratizzato le invenzioni delle avanguardie storiche. Umberto Eco lo ha detto benissimo: siamo stati la "generazione di Nettuno". Lavoravamo sott' acqua, mentre i nostri padri nobili furono tellurici, esplosivi, dirompenti».
Chi sono stati i più talentuosi del gruppo?
«Avrei difficoltà a distinguere i più bravi. Sanguineti fu straordinario con il suo Capriccio italiano; Balestrini ha mostrato nel tempo una magnifica tenuta; i "Nuovissimi", con la loro poesia, furono la punta di attacco; Eco è stato una specie di fratello maggiore. Fu il primo ad avvicinarsi all' industria culturale a capirne i meccanismi e trovo determinante il contributo che diede con Opera aperta. Peccato che sia finito a scrivere romanzi».
Peccato perché?
«Li trovo dei divertissement. E quello che poteva anche essere una piacevole vacanza è diventata la sua occupazione principale». Non è un po' invidioso?
«No, sono solo un piccolo intellettuale, petulante e intransigente».
Piccolo ma agguerrito e col tempo anche potente.
«Ho spesso rischiato il fallimento. Potevo restare il professorino di lettere di un istituto privato; potevo deprimermi dopo la figura miseranda che feci per un colloquio in vista di una borsa di studio per gli Stati Uniti; potrei dirle quanto ho sospirato prima di entrare stabilmente all' Università. E solo dopo tutto questo che la fortuna ha cominciato a girare. Agli inizi degli anni Settanta, con l' aiuto di Argan, fui messo in cattedra e subito dopo, morto Francesco Arcangeli, mi ritrovai alla testa dell' Istituto bolognese di Storia dell' Arte e, pur con fasi alterne, per un quarto di secolo vi ho svolto un ruolo intenso».
 Quell' istituto era il coagulo dell' esperienza longhiana.
«Direi il luogo più sacro all' eredità di Longhi. Di fronte al quale mi sentivo un miscredente. Voglio dire che ero, come quasi tutti, pronto a riconoscere in lui le qualità stilistiche dello scrittore, ma a deprecare il suo inveterato naturalismo che lo portava a disprezzare tutte, o quasi, le esperienze novecentesche».
Cosa pensa delle due grandi esperienze pittoriche del Novecento, almeno della prima metà, cioè De Chirico e Guttuso?
«Con Guttuso sono stato forse fin troppo duro nella condanna. Sebbene sia stato il capofila del rigurgito di naturalismo che si ammantava di falso progressismo, gli riconosco a posteriori un indubbio talento. Il caso di De Chirico è del tutto singolare. Pensavo, come tutti, che finiti gli anni Venti, non avesse più nulla da dire e che la sua occupazione fosse ormai quella di stendere dipinti orribili e di pessimo gusto».
E invece?
«Mi accorsi, negli anni Settanta, che quel suo ricopiare, o rifare, in modi volutamente eccessivi e caricaturali le sue opere famose del periodo metafisico, ma utilizzando colori caramellosi, insomma quel suo imperterrito "citare", lo inseriva a pieno titolo nel postmoderno. De Chirico è stato l' espressione di una "neg-avanguardia", di un' avanguardia con il segno meno che capovolge i valori progressisti, come succede in algebra. Ma nessuno si sognerebbe di condannare come reazionari i numeri negativi».
Ma quando un critico dà un giudizio e sente, col tempo, di averlo sbagliato che fa?
«Non lo so. Molti fan finta di niente. Io non ho paura di ricredermi».
Le è accaduto?
«Agli inizi degli anni Sessanta, quando andavo a Milano, frequentavo di tanto in tanto il Bar Giamaica e mi vedevo spesso con Piero Manzoni. A me non piacevano le cose che faceva. In quel momento stava consumando una fase non eccezionale, quella dei "monocromi bianchi". Poi partii per Parigi dove stetti per più di un anno. Non ero accanto a lui quando ha fatto le sue opere davvero rivoluzionarie: la merda in scatola, il filo lungo all' infinito e altro. Mi rammarico, ma ho rimediato sostenendo i suoi eredi: De Dominicis e Cattelan».
Accennava al suo periodo francese.
«Sono stato decisamente un francofono. Amico di Jean Dubuffet e di Alain Robbe-Grillet. Le sue teorie sul "Nouveau roman" furono una svolta. Non ho amato Roland Barthes, perso dietro il sogno allora alla moda della semiotica. E l' arrivo di Michel Foucault e compagni mi ha turbato, non li ho capiti, trovandoli inutilmente ambiziosi. Ho considerato migliori i loro padri: Sartre e Merlau-Ponty».
Ma è vero che in Francia la chiamavano "Renet Barillet"?
«In realtà, questo sfottò è venuto dalla bocca di Giuseppe Guglielmi, fratello di Angelo, noto per le sue battute. I francesi non si sono troppo accorti del mio amore per loro, quello è l' unico paese in cui non sono mai stato tradotto».
Riecco il tono lamentoso, la sindrome di accerchiamento.
«Magari mi accerchiassero, invece sento solo il silenzio attorno a me. Che è l' arma più subdola. Non mi stroncano neppure, mi ignorano».
Non è che le fanno scontare le sue contaminazioni con il potere politico?
«Se allude a Craxi, ebbene vidi in lui un leader e una speranza per il Paese. Mi sbagliavo. Politicamente sono sempre stato un socialdemocratico. E per questo gli amici del Gruppo 63 mi sottoposero, già allora, a una specie di processo, dal quale uscii indenne. Sono stato per il Psi responsabile nazionale per le arti. Ho tentato di fare qualcosa in quella direzione anche se, lo devo ammettere, talvolta ne ho approfittato per proporre le mie mostre».
È anche pittore?
«Certo. Ho perfino frequentato da giovane l' Accademia delle Belle Arti».
Non capisco se sia più egocentrico, masochista o equanime nel raccontarsi.
«Tenderei a essere equanime, talvolta ci riesco anche per una indubbia pulsione masochistica, tanto da riuscire a infliggermi le qualifiche più odiose. Ritengo di essere l' autore che, nonostante una produzione di ormai sessant' anni, viene più di frequente omesso. Con un pizzico di divertimento mi definisco ormai come un calviniano "critico inesistente". Ma in fondo, lo ammetto, in tutto questo ci può anche essere una punta di vanità e di egocentrismo. Conosco bene l' arte di giocare a rovescio, di capovolgere il tavolo. L' ho appresa da Robbe-Grillet, del quale rimasi amico fino a quando non stroncai il suo cinema. Faceva film duri, legnosi, prefabbricati. Mi tolse il saluto. E fui cancellato dalle sue volontà testamentarie. Credo di aver rivestito un ruolo importante per lui. Ma nelle sue memorie non c' è nessuna menzione, neppure marginale o di sfuggita. Nessuna traccia di me».
ANTONIO GNOLI


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domenica 18 agosto 2013

Gibilterra riaccese antiche tensioni.


NEWS: 
18 Agosto
Gibraltar reef protest flotilla repelled by Royal Navy and police vessels
Spanish fishermen retreat after two-hour standoff near artificial reef at centre of row between Madrid and London


E' ormai una decina di giorni che si alzano i toni tra Spagna e Inghilterra.
Ripercussioni della Spagna alla costruzione di una  specie di barriera con blocchi di cemento nella baia davanti alla rocca di Gibilterra, controlli doganali severissimi e l'imposizione di una tassa per venire incontro al mancato introito dei pescatori spagnoli. L'arrivo nello stretto di nove navi da guerra inglesi  ed oggi la manifestazione dei pescatori ...
La notizia

LE VIGNETTE:


"Hms tintinnar di sciabole"
Sulle bandiere: "L'Inghilterra si aspetta che ogni uomo sia distratto"
di Dave Brown -The Indipendent 


PORTOS / Franco Portinari
Etichette: Cameron, Gibilterra, Londra, Madrid, postcards, Rajoi


by Peridis -El Paìs

 by Peridis ElPais





by Peridis ElPaìs







TENSION IN GIBRALTAR
Ricard Soler
The Spanish goverment tries to hide their corruptions problems 14 Aug 201







Gibraltension
Rodrigo de Matos
The UK government is considering legal action against Spain over the imposition of additional border checks in Gibraltar. 14 Aug 2013
https://www.toonpool.com/cartoons/Gibraltension_206128#img9


Morten Morland - The Times

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le foto
Gibraltar: Spanish fishermen stage at-sea protest against reef - video