mercoledì 9 settembre 2015

Messico, Ayotzinapa : i 43 studenti non vennero bruciati. Dove sono finiti?

#Ayotzinapa
Latuff



Esperti indipendenti: «tutte menzogne sui 43»
Una commissione di esperti indipendenti smentisce Peña Nieto: i 43 studenti messicani non sono stati bruciati in una discarica di Cucuta. Secondo la versione ufficiale, la polizia di Iguala ha consegnato gli alunni della scuola Normal Rural di Ayotzinapa (nel Guerrero) ai narcotrafficanti dei Guerreros Unidos, che li avrebbero uccisi e bruciati. La ricostruzione ha preso piede qualche giorno dopo la scomparsa degli studenti, vittime dell’attacco congiunto di polizia e narcotrafficanti, il 26 settembre 2014. Secondo il governo, i fatti sarebbero emersi dalla confessione di alcuni narcotrafficanti, confermata dai poliziotti arrestati.
Una versione subito contestata dagli antropologi forensi argentini, nominati dai famigliari degli scomparsi e dai movimenti, che da allora denunciano nelle piazze di tutto il mondo il “crimine di stato”. Ora, un gruppo di esperti indipendenti designato dalla Commissione interamericana dei diritti umani (Cidu) riprende gli argomenti avanzati dagli specialisti argentini e sostenuti da alcune coraggiose inchieste giornalistiche, e contesta la verità ufficiale. Tre gli elementi principali messi in causa: il presunto incenerimento dei corpi, i motivi dei crimine e il ruolo della polizia militare e federale.
Nel corso di 550 pagine, il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (Giei) afferma che non esiste alcuna evidenza che un numero così elevato di cadaveri abbia potuto essere ridotto in cenere in una discarica senza essere notato nella zona. Per farlo, ci sarebbero volute 30 tonnellate di legna e il fuoco sarebbe divampato per 60 ore e non per circa 12 come hanno sostenuto i presunti pentiti. Le fiamme si sarebbero alzate per almeno sette metri e il fumo sarebbe stato notato nel raggio di 300 metri. E nei pressi della discarica non c’era combustibile sufficiente per bruciare neanche un corpo.
Uno dei sospetti emersi dalle indagini alternative è che i ragazzi siano stati portati in qualche caserma militare, dove si ritiene esistano prigioni sotterranee per le torture e forni crematori. Per questo, nel corso dei mesi i movimenti hanno manifestato davanti alle caserme, scontrandosi con la polizia e chiedendo inutilmente di poterle ispezionare.
Il Giei ricostruisce diversamente anche il motivo dell’aggressione. In quei giorni, gli studenti si erano recati a Iguala per raccogliere fondi e preparare la commemorazione di un massacro avvenuto nel ’68. Secondo una loro modalità di lotta, avevano preso “in prestito” alcuni autobus per recarsi sul posto. Avrebbero così dirottato senza saperlo anche un autobus usato dai narcotrafficanti per il mercato dell’eroina che va verso gli Stati uniti. Un mezzo di proprietà dell’impresa Costa Line.
Esercito e polizia federale — dicono poi gli esperti sulla base di testimonianze dirette — hanno costantemente seguito e controllato gli studenti fin da quando hanno lasciato la scuola. Un gruppo di soldati ha anche interrogato i ragazzi che stavano trasportando in ospedale uno dei loro compagni, ferito durante l’attacco armato. Il Giei ha cercato di interpellare il 27mo battaglione di fanteria, il gruppo militare competente per Iguala e dintorni, ma il governo non lo ha permesso. Sulla base di questi elementi, il rapporto degli esperti indipendenti conclude inviando al governo federale «20 raccomandazioni» e l’invito a riprendere le indagini.
I famigliari degli scomparsi hanno chiesto una riunione urgente con Peña Nieto, e alla presenza della commissione di esperti indipendenti: il Giei — hanno auspicato — dovrebbe rimanere nel paese fino al ritrovamento dei 43. Per il 23 settembre, famigliari e movimenti hanno annunciato uno sciopero della fame e per il 26 hanno indetto una marcia nella capitale. Con unTwitter, Nieto ha ringraziato gli esperti Giei e ha sostenuto di aver esortato gli inquirenti a tener conto delle loro conclusioni.
Intanto, un gruppo di organizzazioni, riunite nel Congresso nazionale cittadino, dal 29 agosto sta raccogliendo le firme per denunciare Nieto e i membri del suo gabinetto per appropriazione illecita di fondi pubblici. I deputati federali di Morena, il partito di Lopez Obrador, presenteranno un progetto di legge perché possa essere processato: come Otto Pérez Molina in Guatemala.
di Geraldina Colotti – Il Manifesto – 07/09/2015 http://ilmanifesto.info/espertiindipendentituttemenzognesui43/
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Conferenza stampa dei genitori dei genitori dei 43:https://www.youtube.com/watch?v=aeGimeraoUc
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Corriere della Sera – 07/09/2015
di Guido Olimpo
Il governo messicano è stato smentito. I 43 studenti scomparsi a Iguala, stato di Guerrero, quasi un anno fa, non sono mai stati bruciati. E ad oggi non si hanno informazioni sicure su dove siano finiti i loro resti. Questa la conclusione dell’indagine condotta dalla Commissione inter-americana per i diritti umani, un organismo chiamato a far luce su una vicenda angosciante e dove le sorprese non sono ancora finite.
I giovani sono spariti il 26 settembre del 2014 nei pressi di Iguala. Erano a bordo di alcuni veicoli bloccati da uomini armati: agenti e criminali della gang Guerreros Unidos. Secondo la versione ufficiale i ragazzi sono stati catturati dai banditi – probabilmente su ordine del sindaco di Iguala – e poi trasferiti vicino ad un torrente dove li hanno assassinati. Successivamente tre narcos – che hanno confessato il crimine – li hanno distrutti con il fuoco. Ma le successive ricerche non hanno permesso di trovare riscontri e le verifiche del DNA hanno dato esito negativo. Solo un corpo è stato riconosciuto come quello di uno dei ragazzi scomparsi.
Falsa la versione del governo
La Commissione ora ha stabilito che la storia raccontata dai «rei confessi» è probabilmente falsa, così come versione fatta circolare all’epoca. Il governo ha sempre parlato di 3 attacchi mentre in realtà sono stati 9 e sempre più violenti. Non solo. Il vero movente dell’assalto ai bus – ipotizzano gli inquirenti internazionali – sarebbe stato un tentativo di recuperare un carico di droga che era su uno dei mezzi. Stupefacenti diretti al mercato statunitense. Nel rapporto ufficiale si è sempre parlato di 4 veicoli mentre quella notte ve ne erano 5. In precedenza le autorità avevano sostenuto che la gang era entrata in azione perché temeva che gli studenti potessero disturbare un comizio organizzato dal sindaco di Iguala insieme alla moglie, donna imparentata con un noto clan locale. Una contestazione fomentata da un clan rivale. Scenario che non appare credibile.
Proteste popolari in Messico
La sparizione dei 43 ha provocato proteste popolari in Messico e all’estero, le autorità sono state più accusate di mentire e di nascondere la verità. Uno scandalo che ha coinvolto anche l’esercito: secondo alcune ricostruzioni – confermate dalla Commissione – unità erano presenti quando i banditi hanno teso l’agguato ai giovani. La vicenda, infine, ha fatto emergere altri massacri. I militari hanno recuperato, sempre nell’area di Iguala, i resti di 120 persone, vittime di regolamenti di conti o omicidi eseguiti da formazioni criminali spesso in combutta con la polizia.

lunedì 7 settembre 2015

Firenze Teatro Puccini: JE SUIS CHARLIE omaggio a Wolinski

lunedì 28 settembre ore 21.00
Comune di Firenze, Institut Français e Teatro Puccini Associazione Culturale presentano

JE SUIS CHARLIE omaggio a Wolinski

a cura di Sergio Staino e Daria Galateria
interviene Maryse Wolinski
Mostra di disegni originali di Wolinski e conferenza spettacolo con Goffredo Fofi, Luca Raffaelli, Claudio Bisio, Milo Manara, Altan, Gianni Coscia e tanti altri.
Ingresso libero

Cari amici,
lunedì 28 settembre alle 21 al Teatro Puccini di Firenze è organizzata una serata in ricordo di Georges Wolinski, il grande disegnatore morto durante l'eccidio di Parigi del 7 gennaio. Saranno presento la vedova Maryse e alcuni dei suoi amici italiani più cari, da Milo Manara ad Altan, al sottoscritto; inoltre Goffredo Fofi, Luca Raffaelli, Daria Galateria. Claudio Bisio reciterà alcuni testi di alcune strisce e Gianni Coscia alla fisarmonica con Cocco Cantini al sax e Michele Staino al basso sottolineeranno i momenti più salienti con la loro musica. Tenetevi liberi per quella data, mi raccomando che vorrei che fossimo in tanti a salutare Georges attraverso Maryse, con affetto e commozione.
In allegato trovate un articolo scritto da Roberto Incerti per Repubblica con una bellissima intervista a Maryse. Cercate di leggerlo perché merita.
Un grande abbraccio
Sergio




Maryse Wolinski: "Mio marito il genio"
Iniziative per il vignettista ucciso con i colleghi di "Charlie Hébdo"

di ROBERTO INCERTI

PARIGI - ALLE pareti tanti post-it con scritto: "Buona notte cara" e "Bentornata, nel frigo trovi caviale e champagne". Poi decine di vignette con quel segno veloce, apparentemente tirato via che ha caratterizzato l'umorismo di uno dei grandi vignettisti del Novecento, Georges Wolinski. Ancora: foto di lui con l'affascinante moglie Maryse e foto di lui giovane, che sembra un attore della Nouvelle Vague. Poi le matite, i sigari, le penne stilografiche. Un pezzo di pavé, di pietra che "ha fatto" il Maggio francese.

INTORNO a noi, fotografie che raccontano l'amore di Wolinski per Cuba, statuette bizzarre e naturalmente disegni, disegni, disegni. Siamo a Parigi, in Boulevard St. Germain, ospiti della scrittrice Maryse Wolinski, moglie del grande vignettista assassinato assieme ad altri colleghi di "Charlie Hebdo" nel tragico attentato terroristico dello scorso gennaio. La satira di Wolinski è conosciuta per i suoi sberleffi erotici. Assieme a Cabu, Siné, Reiser, faceva parte di un gruppo di vignettisti dal segno brut, frettoloso, dall'humour crudele: stiamo parlando di uno che ha fatto scuola, il suo segno ha mandato in pensione la vecchia caricatura. Il Teatro Puccini di Firenze lo ricorderà con una serata voluta da Sergio Staino, in collaborazione con l'Istituto Francese di Firenze e col Comune. Ci sarà una mostra di una quarantina di disegni del maestro. Alla serata ( 28 settembre) interverrà proprio la vedova.

Come è cambiata la sua vita dopo la morte di Georges?
"È stata completamente sconvolta: mi sento una naufraga. Ho vissuto 47 anni con Georges, un percorso molto lungo: di vita e professionale, perché abbiamo lavorato molto insieme. Come pubblicazioni, abbiamo realizzato libri per ragazzi. Ma quello che intendo dire è l'aiuto che ci siamo dati reciprocamente. Avevamo due studi separati. Lui veniva a chiedermi cosa ne pensavo di un disegno ed io gli chiedevo di giudicare ciò che avevo appena scritto".
Litigavate mai? Fra coniugi artisti di solito capita.
"Per fortuna sì. Eravamo due esseri contrari: condividevamo gli stessi valori ma non avevamo sempre le stesse idee. Eravamo l'uno il contrario dell'altra: per questo forse siamo andati avanti così tanto. Due persone che vivono insieme non devono guardare nella stessa direzione: questo per potersi nutrire l'uno dell'altro. Certo che adesso tutto è diverso, non vado quasi più a teatro. Che senso ha vedere uno spettacolo e poi non poterne discutere con Georges? Adesso mi sento sola, lo sguardo che aveva su di me sapeva darmi fiducia. A proposito di teatro: al Théatre Déjazet a due passi da Place de la République sta andando in scena uno spettacolo in suo omaggio, saranno esposti anche dei disegni. Ho poi donato il suo studio al Centro internazionale di Disegno e umorismo di St-Just-le Martell, inaugura il 24 di questo mese".
La cosa più bella che Wolinski le abbia mai detto.
"È qui, scritta su un bigliettino alla
parete: "Sei la donna della mia vita. Peccato che la vita è corta"".
Wolinski era un dandy: aveva una Jaguar; adorava i buoni sigari, era un cultore della bellezza soprattutto femminile. Questo era in contraddizione col suo segno essenziale?
"Nel suo tratto c'è stata un'evoluzione. Da giovane illustrò un Victor Hugo con grandi "fioriture". Poi qualcosa cambiò: durante le riunioni di redazione su un quadernetto faceva schizzi fluidi, di getto. Fu Francois Cavanna (1923 - 2014) a dirgli: ma perché non usi sempre questo stile? E quello stile lo ha caratterizzato su riviste satiriche che hanno fatto epoca: L'Enragé, Hara Kiri, Charlie Hebdo".
Qual era la giornata tipo di Wolinski?
"Lavorava sempre in casa. Aveva molte collaborazioni. Per esempio ogni mercoledì c'era la riunione di redazione di Charlie Hebdo. La mattina andava a comprare i giornali vicino a casa, poi iniziava a leggerli al Café de Flore in St. Germain. Non leggeva tutto, cercava idee. Faceva dei cerchietti intorno ai titoli, agli articoli: per ricordare ciò che gli interessava, che poteva dare spunto alle sue vignette".
Perché quell'attentato a Charlie?
"È la guerra dell'ignoranza contro la cultura. I fratelli Kouachi che hanno compiuto la strage non sapevano cosa fosse Charlie, non sapevano chi era Wolinski. Io adesso ho paura, mi chiudo in casa".
Che tipo di francese era suo marito?
"Lui diceva sempre che i francesi si dividono in due categorie, quelli che amano l'olio e quelli che preferiscono il burro. Georges apparteneva ai primi".
Parliamo del vostro rapporto con Firenze e la Toscana.
"È legato all'amicizia con Sergio Staino, siamo stati molte volte suoi ospiti. Una volta venne da noi anche Milo Manara. Grazie a Sergio abbiamo scoperto la campagna toscana, l'incanto del verde a San Martino alla Palma. Georges poi adorava la pittura di Botticelli. Una volta andammo agli Uffizi, era tardi e il museo era vuoto. Lui osservò "La Primavera" in silenzio, poi si mise a sedere davanti e pianse di commozione".
Parliamo della mostra di Firenze.
"Il titolo potrebbe essere: Wolinski dall'inizio alla fine. Ci sono tavole colorate, in bianco e nero. Diverse fra loro. Illustrazioni di Garcia Lorca, di un "Re Lear" visto ad Avignone, un omaggio a Tati, la fine di Mitterrand, una satira sull'arte contemporanea".
Sta per uscire un suo libro sulla strage di Charlie: come si intitolerà?
"Come l'ultima frase di Georges: Cherie, io vado a Charlie".




Wolinski e Staino a Cuba, in un disegno dell’autore francese

domenica 6 settembre 2015

Natalino Balasso: «La satira non esiste più da millenni»

 6/09/2015
Natalino Balasso: «La satira non esiste più da millenni»
Il comico veneto, lontano dalle scene televisive da più di dieci anni, ha trovato una nuova via grazie al web, ma per vivere continua a fare teatro
Intervista di Andrea Coccia


 
Parole chiave: NATALINO BALASSO / SATIRA / COMICITÀ / CORRADO GUZZANTI / BEPPE GRILLO / DARIO FO / NON STOP / MATTEO RENZI / SILVIO BERLUSCONI
Argomenti: TELEVISIONE
Se gli chiedete cosa ne pensa della satira, Natalino Balasso ha le idee molto chiare: «non esiste da millenni, o se esiste è completamente ininfluente, non cambia una coscienza che sia una». Ormai sono più di dieci anni che il comico veneto non partecipa non frequenta studi televisivi — gli ultimi sono stati quelli di Zelig e di Mai dire gol, all'inizio degli anni Duemila. La sua carriera l'ha fatta in teatro, ed è di quello che vive. Negli ultimi anni però ha provato una strada nuova — più per divertimento, che altro — è la strada del web. Ha aperto un canale YouTube, rigorosamente senza pubblicità, e anima ogni giorno il proprio profilo di Facebook con una cosa che neanche lui chiama satira, ma che forse, in fondo, lo è. «Prendersela con i politici non serve a niente», dice lui, «anche perché non mi sembra che la satira abbia mandato in pensione Berlusconi, anzi, forse è quasi vero il contrario».
Partiamo dalla televisione: Zelig è in declino da anni, la banda Guzzanti non si vede quasi più, così come la Gialappa's e Luttazzi. Soltanto Crozza resiste. È un problema della comicità italiana o della televisione?

Paesi del golfo arabo: 0 rifugiati

In de islam wordt sadaqah (liefdadigheid) zeer hoog gewaardeerd. Zie de Golfstaten.
Joep Bertrams




#Refugees welcomed by:

Saudi... 0
Kuwait... 0
Qatar... 0
Emirates... 0
Bahrain... 0

#refugeeswelcome
#HumanityWashedAshore
#syrianrefugees
fonte

Migrant crisis: Why Syrians do not flee to Gulf states
By Amira Fathalla
As the crisis brews over Syrian refugees trying to enter European countries, questions have been raised over why they are not heading to wealthy Gulf states closer to home.
Although those fleeing the Syrian crisis have for several years been crossing into Lebanon, Jordan and Turkey in huge numbers, entering other Arab states - especially in the Gulf - is far less straightforward.
Officially, Syrians can apply for a tourist visa or work permit in order to enter a Gulf state.
But the process is costly, and there is a widespread perception that many Gulf states have unwritten restrictions in place that make it hard for Syrians to be granted a visa in practice.

Most successful cases are Syrians already in Gulf states extending their stays, or those entering because they have family there.
For those with limited means, there is the added matter of the sheer physical distance between Syria and the Gulf.
Not welcome?
This comes as part of wider obstacles facing Syrians, who are required to obtain rarely granted visas to enter almost all Arab countries.
Without a visa, Syrians are not currently allowed to enter Arab countries except for Algeria, Mauritania, Sudan and Yemen.
The relative wealth and proximity to Syria of the states has led many - in both social and as well as traditional media - to question whether these states have more of a duty than Europe towards Syrians suffering from over four years of conflict and the emergence of jihadist groups in the country.

The Arabic hashtag #Welcoming_Syria's_refugees_is_a_Gulf_duty has been used more than 33,000 times on Twitter in the past week.
Users have posted powerful images to illustrate the plight of Syrian refugees, with photos of people drowned at sea, children being carried over barbed wire, or families sleeping rough.
A Facebook page called The Syrian Community in Denmark has shared a video showing migrants being allowed to enter Austria from Hungary, prompting one user to ask: "How did we flee from the region of our Muslim brethren, which should take more responsibility for us than a country they describe as infidels?"
Another user replied: "I swear to the Almighty God, it's the Arabs who are the infidels."
'Let them in!'
The story has also attracted the attention of regional press and political actors.

Cartoon originally published in Saudi Makkah newspaper, seen here onTwitter



The Saudi daily Makkah Newspaper published a cartoon - widely shared on social media - that showed a man in traditional Gulf clothing looking out of a door with barbed wire around it and pointing at door with the EU flag on it.
"Why don't you let them in, you discourteous people?!" he says.
The commander of the opposition Free Syrian Army (FSA), Riyad al-Asaad, retweeted an image of refugees posted by a former Kuwaiti MP, Faisal al-Muslim, who had added the comment: "Oh countries of the Gulf Cooperation Council, these are innocent people and I swear they are most deserving of billions in aid and donations."
But despite the appeals from social media, Gulf states' position seems unlikely to shift in favour of Syrian refugees.

In terms of employment, the trend in most Gulf states, such as Kuwait, Saudi Arabia, Qatar and the UAE is towards relying on migrant workers from South-East Asia and the Indian subcontinent, particularly for unskilled labour.
While non-Gulf Arabs do occupy positions in skilled mid-ranking jobs, for example in education and health, they are up against a "nationalisation" drive whereby the Saudi and Kuwaiti governments in particular are seeking to prioritise the employment of locals.
Non-native residents may also struggle to create stable lives in these countries as it is near impossible to gain nationality.
In 2012, Kuwait even announced an official strategy to reduce the number of foreign workers in the emirate by a million over 10 years.





Wealthy Arab States refuse refugees
BY PAUL ZANETTI, AUSTRALIA  -  9/11/2015


no quarrel about refugees
BY TOM JANSSEN, THE NETHERLANDS  -  9/10/2015

Che cosa fanno l'Arabia Saudita e gli altri paesi del golfo arabo?
Jan Erik Ander
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venerdì 4 settembre 2015

L'ultima foto di Aylan scuote L'Europa.


The E.U. Reacts to Images of a Drowned Syrian Boy
SEPT. 3, 2015
Chappatte


Drame migratoire : l’image de la honte

Family of Syrian boy washed up on beach were trying to reach Canada in The Guardian.
Elchicotriste


...
Luc Descheemarker



Europe in shock
BY JOEP BERTRAMS, THE NETHERLANDS - 9/4/2015

Così la foto di Aylan sulla spiaggia ha rotto il muro dell’indifferenza
Il suo corpicino ha rimesso il tema dei profughi siriani in cima all’agenda europea
MARIO CALABRESI
La domanda di ieri era se si può pubblicare la foto di un bambino morto sulla prima pagina di un giornale, in apertura di un sito o se immagini così toccanti e intime siano da condividere su Facebook e Twitter. C’è stata grande discussione, a prevalere sono stati i sì, ma subito si è affacciata un’altra domanda, quasi sconsolata: «Ma servirà poi a qualcosa?». Sarà utile a smuovere mesi di immobilismo, opinioni pubbliche e governi che hanno tollerato una guerra che finora ha fatto 240mila morti? A questa seconda domanda la maggioranza delle persone aveva la risposta pronta: «No».

Invece qualcosa sta succedendo: l’immagine di Aylan Shenu immobile sulla spiaggia, con la maglietta rossa e i pantaloni corti, sta rompendo il muro dell’indifferenza. Sta riuscendo a rimettere il tema dei profughi siriani in cima all’agenda europea, è riuscita nel miracolo di smuovere il premier inglese David Cameron, inflessibile fino a ieri di fronte all’ipotesi di una redistribuzione dei profughi.

«È come Sarajevo nel 1995», ha detto ieri sera il generale Martin Dempsey, capo di stato maggiore delle forze armate Usa, secondo cui la foto del bambino sta avendo lo stesso effetto delle immagini dell’attacco con i mortai alla piazza del mercato di Sarajevo dell’agosto del 1995, che spinse all’intervento della Nato. Perché per ognuno di noi valgono le persone non i numeri, perché dire «240mila morti» è come non dire nulla, le cifre sono astratte e difficili da immaginare, e allora una sola vita può fare la differenza. Ma oggi vale la pena di ricordare Aylan insieme a suo fratello Galip da vivi, mentre ridevano spensierati insieme al loro pupazzo.


New World Map Rafat Alkhateeb
An already iconic image of a drowned Syrian boy shows us our humanity.
03 Sep 2015 The Cartoon Movement
http://www.cartoonmovement.com/cartoon/23058
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Schengen Wolf
BY OSMANI SIMANCA, BRAZIL, WWW.CAGLECARTOONS.COM - 9/4/2015
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BrianAdcock- The Indipendent


autore anonimo raffiguraAlyan come Handala, il personaggio creato dall'artista palestinese Naji al-Ali.



Refugee Crisis Tjeerd Royaards
Will the death of Aylan Kurdi change anything?
04 Sep 2015



Ecco come avrebbe dovuto finire il suo viaggio
fonte


Caro Alyan,
                    era da un po’ che volevo scriverti, ma solo dopo aver visto la tua foto, ho capito che dovevo farlo subito e che come sempre ero già troppo in ritardo.
Forse tu non lo sai, ma oggi sei diventato “famoso”, fino a ieri no, oggi invece la tua immagine ha fatto il giro del mondo e migliaia e migliaia di persone parlano di te, sanno chi eri, cosa facevi e perchè eri su quella maledetta spiaggia. Strano destino quello dei miserabili della terra, interessano solo quando non ci sono più. E così anche a te è toccata questa sorte.
Oggi molti dicono sia colpa di Dio se tu sei morto. Che se Dio esistesse queste cose non succederebbero, negandone di fatto l’esistenza. Non lo so. Qualcuno dice che è colpa della guerra, che obbliga persone come il tuo papà a mettersi in moto per non cedere alla rassegnazione. Qualcuno invece dice che la colpa è proprio di chi come tuo papà si mette in movimento. Qualcuno dice che la colpa è di stati egoisti che non permettono a chi scappa come te di trovare riparo, al sicuro. Addirittura un primo ministro di uno stato Europeo dice che dovremmo ringraziarlo perché lui impedendo a quelli come te di entrare sta salvando le radici cristiane dell’Europa. Sai Alyan cosa penso, che forse sia a me che a te, di chi sia la colpa della tua morte, ora che hai chiuso gli occhi supino su quella spiaggia di Bodrum, interessa poco. Credo però, anzi ne son certo, che se Gesù Cristo tornasse davvero a scendere sulla terra, si metterebbe proprio accanto a te, lasciando ad ogni inquisitore lanciare i suoi sassi contro il vento fino ad accorgersi che gli unici che dobbiamo accusare della tua morte siamo noi stessi e non altri.
Ps: quello nell’immagine è Papa Stratis, monaco ortodosso greco che in questi decenni ha accolto presso la sua isola migliaia di profughi in fuga dalla Siria e da altri paesi, anche lui come te è deceduto proprio ieri e credo questa immagine sia meglio di tante altre parole. (immagine di John Antòno)
Alberto Pighini


Benvenuto
Mana Neyestani


Marco Careddu



Il muro
Boligan


Syrianska annegato attaccare l'Europa!
Firuz Kutal





--- Traduzione per i non francofoni ---
A sinistra: "Così vicino alla meta..."
Nel cartello: "2 menù bimbi al prezzo di 1"
di Charlie Hebdo
...al piccolo Aylan e a tutti i bambini inghiottiti dal mare.
Perazzoli

La legge
CeciGian




L'ONU QUESTA SCONOSCIUTA

Ma che fa l'ONU ?
Non vede?
Non sente ?
Non parla ?

(votabile su CARTOONMOVEMENT)
http://humour-ugb.blogspot.it/2015/09/lonu-qesta-sconosciuta.html



QUELLO CHE PENSO DELLA FOTO DI AYLAN
in cinque minuti
Un giorno, è bastato un giorno. Un solo giorno dopo l’apparizione della foto di Aylan, il premier britannico Cameron ha compiuto un’inversione a u cambiando radicalmente la politica del suo governo nei confronti dei rifugiati. Coincidenza? In fondo tutto è cominciato con la pubblicazione della foto sul quotidiano “The Independent”. La pressione dell’opinione pubblica ha contato eccome. Negarlo sarebbe sciocco.
Intanto il governo ungherese, fortemente di destra, si sta meritando la disapprovazione dell’Europa migliore. L’esodo dei profughi siriani, persone come noi che scappano dalla rovina, dalla morte probabile, è un’altra potente icona di questo settembre storico. Abbandonati a piedi su un’autostrada senza nulla, senza protezione civile, senza paramedici, senza niente di niente se non la generosità di isolati cittadini. Non ce lo dimenticheremo, signor Orban.
Il fatto è che certe immagini non sono semplici immagini ma, per un insieme di motivi, sono icone dalla straordinaria forza evocativa. Non capirlo è peccato veniale; esibire la puzzetta sotto il naso e sentenziare che, passata l’emozione di noi “guardoni”, tutto tornerà come prima, è pigrizia dell’intelligenza. Va bene volersi sempre smarcare, ma qualunque studente fuori corso del Dams vi direbbe che la foto di Aylan non è una semplice foto ma molto, molto di più.
E gli innumerevoli bambini rimasti sotto le macerie dei bombardamenti o finiti in fondo al mare? Non li stiamo dimenticando, come rimproverano i sentenziosi con il nasino arricciato, i “so-tutto-io”. All’esatto contrario, Aylan li comprende tutti, Aylan è tutti quei bambini e ogni vittima innocente. Non capirlo, a questo punto, appare come un’altra dimostrazione di scarsa sensibilità da parte di chi rimprovera agli altri di essere insensibile.
Le prossime settimane diranno la verità. Vedremo, vedremo se finalmente chi ci governa si darà una mossa. I segnali ci sono tutti. Mancava Aylan, mancava l’icona irresistibile di fronte alla quale non possiamo restare inerti. Ma adesso l’icona c’è. Per questo è valida l’analogia con la foto della bambina vietnamita che corre disperata coperta di ustioni: agli occhi miopi, l’immagine guardona di una bambina nuda che, dopo la facile emozione guardona, viene dimenticata; di fronte alla storia, un’immagine che ha dato una scossa decisiva all’opinione pubblica americana e occidentale, e non è stata dimenticata mai più. Lo stesso accadrà alla foto di Aylan.
A volte, immagini con questo potere appaiono. Ci sarà – diamogli il tempo – il semiologo che ci spiegherà il misterioso funzionamento di queste immagini, lo straordinario impatto nel nostro cervello e nella nostra anima. Ma intanto sarebbe bene, tutti, riflettere e smetterla di sparar sentenze senza documentarsi, senza ascoltare le ragioni altrui.
Su Facebook, ad esempio, i post che raccolgono più commenti e approvazione, o disapprovazione, sono quelli dove si procede per affermazioni secche, apodittiche, stile tweet, dove “vince” chi urla più forte e il pensiero è assente. Molti dicono la loro, pochi ascoltano e pensano. Ieri ho trascorso un intero pomeriggio a indagare sulle decisioni dei quotidiani di tutto il mondo, cartacei e on-line; sui pareri di chi con i bambini lavora e dei bambini si occupa con competenza e passione. Un lungo lavoro di ricerca. L’ho fatto perché è il mio mestiere e per questo vengo pagato, l’ho fatto per me perché avevo bisogno di confrontarmi, ma soprattutto l’ho fatto per i lettori, convinto che più fatti, notizie e opinioni abbiamo a disposizione, più le nostre idee saranno libere. Ebbene, il mio articolo, pubblicato su Facebook, è stato pressoché ignorato. La cosa non mi turba, anzi era prevedibile.
Chi è arrivato fin qui a leggere ha tutta la mia stima e il mio grazie. Il tempo è prezioso. Sempre.
Umberto Folena


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giovedì 3 settembre 2015

Milano, Palazzo Reale: "Giotto l'Italia"


La mostra, posta sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dal Comune di Milano – Cultura, con il patrocinio della Regione Lombardia, è prodotta e organizzata da Palazzo Reale e dalla casa editrice Electa. Il progetto scientifico è di Pietro Petraroia (Éupolis Lombardia) e Serena Romano (Università di Losanna) che sono anche i curatori dell’esposizione.

La mostra, con allestimento di Mario Bellini, ha un motivo particolare per essere realizzata in Palazzo Reale: esso infatti ancora ingloba strutture del palazzo di Azzone Visconti, ove, negli ultimi anni della sua vita, Giotto venne a realizzare due cicli di dipinti murali, oggi perduti.

Il titolo, "Giotto, l’Italia", intende appunto sottolineare il ruolo rivoluzionario del pittore fiorentino chiamato da cardinali, ordini religiosi, banchieri, dal re di Napoli e dal signore di Milano, in molti luoghi e città d’Italia. Giotto infatti ovunque si sia trovato a lavorare ha avuto la capacità di attrarre fortemente le scuole e gli artisti locali verso il suo stile innovatore, cambiando in modo definitivo i tragitti del linguaggio figurativo italiano.






Polittico Baroncelli si ricongiunge al Dio che rientra da San Diego!
foto Cipolletta Raffaele

La mostra a Palazzo Reale riunisce 14 opere, prevalentemente su tavola, nessuna delle quali prima esposta a Milano: una sequenza di capolavori assoluti mai riuniti tutti insieme in una esposizione. Ognuno di essi ha provenienza accertata e visualizza quindi il tragitto compiuto da Giotto attraverso l’Italia del suo tempo, in circa quarant’anni di straordinaria attività.

Si attraverseranno dapprima le sale dedicate alle opere giovanili: il frammento della Maestà della Vergine da Borgo San Lorenzo e la Madonna da San Giorgio alla Costa documentano il momento in cui il giovane Giotto era attivo tra Firenze e Assisi. Poi il nucleo dalla Badia fiorentina, con il polittico dell’altar maggiore, attorno al quale saranno ricomposti alcuni frammenti della decorazione affrescata che circondava lo stesso altare. La tavola con Dio Padre in trono proviene dalla cappella degli Scrovegni e documenta la fase padovana del maestro. Segue poi lo straordinario gruppo che inizia dal polittico bifronte destinato alla cattedrale fiorentina di Santa Reparata, e che ha il suo punto d’arrivo nel polittico Stefaneschi, il capolavoro dipinto per l’altar maggiore della basilica di San Pietro in Vaticano.
Accanto al polittico è esposto, evento straordinario, il frammento affrescato con due teste di apostoli o Santi, proveniente dalla basilica di San Pietro, opera di Giotto anch’essa commissionata dal Cardinal Stefaneschi.
Il percorso espositivo si completa con i dipinti della fase finale della carriera del maestro, che precedono di poco le sue opere milanesi nel palazzo di Azzone Visconti: il polittico Baroncelli dall’omonima cappella della basilica di Santa Croce a Firenze, che grazie a questa mostra verrà temporaneamente ricongiunto con la sua cuspide, raffigurante il Padre Eterno, conservata nel museo di San Diego in California e il polittico di Bologna, che Giotto dipinse nel contesto del progetto di ritorno in Italia, a Bologna, della corte pontificia allora ad Avignone.
Prestiti così straordinari si devono alla collaborazione lungimirante di istituzioni e proprietari, tra cui un ruolo determinante è stato quello dei Musei Vaticani, e al supporto scientifico e tecnico di molti uffici e istituti del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

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I grandi capolavori di Giotto a Milano, il backstage della mostra

Dal sito del Ministero dei Beni Culturali:
Giotto, l’Italia è il grande evento espositivo che concluderà il semestre di Expo 2015 a Palazzo Reale di Milano.

La mostra propone al pubblico cosmopolita dei visitatori di Expo di incontrare i grandi capolavori dell’artista
fondatore della cultura figurativa italiana, riunendo 13 opere, prevalentemente su tavola, nessuna delle quali
 prima esposta a Milano. 

Una sequenza di capolavori assoluti mai riuniti tutti insieme in una esposizione. Ognuno di essi ha provenienza
 accertata e visualizza quindi il tragitto compiuto da Giotto attraverso l’Italia del suo tempo, in circa quarant’anni
 di straordinaria attività.
Redattore: RENZO DE SIMONE

Informazioni Evento

Data Inizio: 02 settembre 2015
Data Fine: 10 gennaio 2016
Costo del biglietto: 12,00 euro; Riduzioni: 10,00 euro
Prenotazione:Nessuna
Luogo: Milano, Palazzo Reale
Orario: lunedì: 14.30-19.30;
martedì, mercoledì, venerdì e domenica: dalle 9.30 alle 19.30;
 giovedì e sabato: 9.30-22.30
Telefono: 02 92800821
E-mail: info@milanoguida.com
Sito web: http://www.mostragiottoitalia.it/

Dove

Palazzo Reale
Città: Milano
Indirizzo: Piazza del Duomo, 12
Provincia: MI
Regione: Lombardia



Nota sull'allestimento:

La luce di Giotto tra penombra e altari di ferro
di Mario Bellini
Giotto in mostra a Palazzo Reale di Milano? Una bella sfida. Perché richiede di immaginare
una “messa in scena” dinamica della sua vita e delle sue opere.

Teatro. Una sequenza di stanze, spaziose e “palaziali” fin che si vuole, ma intrinsecamente
estranee allo spirito e all’aura degli edifici di culto per cui i capolavori di Giotto furono
concepiti.

Copione. La vita di successi e grandi commesse di un artista che anticipa il Rinascimento
italiano, chiamato a lavorare da Papi, prelati e benefattori in tutta Italia, tra Padova, Firenze,
Assisi, Roma, Napoli.

Protagonisti. Cinque maestosi polittici da altare (di cui due bifacciali) policromi su fondo
oro, due Madonne, Dio Padre in trono, frammenti di affreschi strappati.

Scenografia. Non trattandosi di un vero teatro, il Palazzo Reale è trasformato per divenire
teatro totale, luogo di incontro e scambio tra gli spettatori (noi) e i personaggi (le opere di
Giotto) con la forza di due poderose macchine sceniche: la luce, in tutte le sue manifestazioni
che includono anche penombra, ombra, oscurità e controllo dei riflessi e del colore. La luce,
dunque, e una materia primigenia: il ferro vivo che si ossida durante la laminazione a 1200
gradi, divenendo elemento nobile, unico e solo a fare da sfondo, incastonatura, basamento
solido che allude agli altari e a fare da superficie connettiva di opera in opera, di scena in
scena, di stanza in stanza, lungo i nostri passi, sotto i nostri piedi.
Nessun colore, nessun tessuto, nessun legno, nessuna morbidezza, nessun marchingegno di
supporto.
Silenzio. Parla la pittura di Giotto, ci guida la luce, ci sorregge il ferro.


Architect
Mario Bellini Architects

Design Team
Mario Bellini  with Raffaele Cipolletta

Project Team
Francesco Savoini

Consultants
Graphic Design: Tassinari / Vetta, via Rossini, 16 Trieste 
Curators: Pietro Pietraroia, Serena Romano

Exhibition fit out
Articolarte S.r.l., Via Delle Marmorelle nuova, 502 Laghetto di Monte Compatri (Roma)

Lighting 

Reggiani Illuminazione S.p.a., Viale Monza, 16 Sovico (MB)

The exhibition, sponsored by the Ministry of the Heritage, Cultural Activities and Tourism and the City of Milan–Culture, and devised by Éupolis Lombardia to a scholarly project by Pietro Petraroia and Serena Romano, who are also the curators, it is produced and organized by Palazzo Reale and the publishing house Electa. The exhibition is an outstanding chapter in Expoincittà, the calendar of events part of the city’s cultural life during the Expo semester. Giotto, l’Italia is the major exhibition that will conclude the semester of Expo 2015 at the Palazzo Reale in Milan.
The exhibition offers the cosmopolitan public of visitors to Expo the opportunity to view the great masterpieces of the founder of Italian figurative culture, Dante Alighieri’s alter ego in the field of painting, bringing together 13 works, mostly on panel, none of which have ever been exhibited in Milan before. A sequence of masterpieces never presented in a single exhibition.
The provenance of each is established so that together they document Giotto’s travels through the Italy of his time during some forty years of outstanding achievement.
The exhibition is guided by a prestigious Scholarly Committee comprising the directors of Italian institutions that over the years not only have contributed to the preservation and protection of Giotto’s works, but have also to a very remarkable degree enlarged our knowledge and scholarly and technical understanding of the master’s painting, with internationally significant and advanced studies and contributions.
The Committee consists of the president Antonio Paolucci and Cristina Acidini, Davide Banzato, Giorgio Bonsanti, Caterina Bon Valsassina, Gisella Capponi, Marco Ciatti, Luigi Ficacci, Cecilia Frosinini, Marica Mercalli and Angelo Tartuferi.

The exhibit design is by Mario Bellini.
http://www.bellini.it/exhibitions/Mostra_Giotto.html

Giotto, l'Italia
2.9.2015 – 10.1.2016
Palazzo Reale, Milano