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venerdì 24 luglio 2015

Ritratto di Ilaria Occhini

Su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli

e l'intervista di Antonio Gnoli

a Ilaria Occhini



Ilaria Occhini: "Non sarò mai pacificata, ancora balbetto la prima battuta"
L'attrice fiorentina diretta da Visconti, Risi, Ronconi, Patroni Griffi: "Luchino Visconti aveva un'estetica esibita e classica, minacciata a volte dal suo lato isterico. Quando si invaghì di Delon c'era solo lui. E Alain sentiva di essere il prescelto"

di ANTONIO GNOLI

FORSE ha perfettamente ragione Raffaele La Capria quando, rivolgendosi all'amore di quasi tutta la vita, le dice: "Ho l'impressione cara che dovrei allontanarmi. Non ascoltare quel che dici. A un estraneo si raccontano cose che è giusto non sentire". E lei, Ilaria Occhini, lo guarda con tenerezza e imbarazzo. E gli dice di restare perché le sue parole non tradiranno. È una scena di una bellezza senza rimorsi. Come tra due amanti che ritrovino la ragione profonda dello stare assieme. Sorridono. Raffaele con una leggera irrequietezza. Ilaria mostrando la tensione di un esordio: "Non mi abituerò mai a pronunciare la prima battuta. La sento tra la lingua e il palato. Come una sorsata di buon vino. La voce ne sciacqua il timbro. Cerco di modulare, ritmare, impostare. Ma ogni volta è morire". Pronuncia "morire" stringendosi le mani.

Sa una cosa?
"Cosa?".

È sorprendente questa dichiarazione di insicurezza.
"Perché?".

Da una donna bella, ammirata, fotografata, descritta, ci si aspetterebbe una presenza piena e sicura.
"Se a volte posso essere determinata, la determinazione non è il mio tratto distintivo. Non amo la prepotenza, però mi piacciono le figure forti. Di solito c'è in loro una chiarezza maggiore. Ho spesso pensato che il teatro, diversamente dal cinema, si nutre di una forza interiore, primitiva. Elementare. Di una chiarezza esistenziale che il cinema non ha. Anche se col cinema ho iniziato la mia carriera".

In che maniera?
"Cercavano una liceale per un film di Luciano Emmer. Fui segnalata al regista. Il suo aiuto, Francesco Rosi, venne appositamente a Firenze dove vivevo. Sulla terrazza di casa ci fu il provino. Andò bene. Interpretai la parte di una studentessa. Un ruolo corale in un film che descriveva bene i turbamenti e i problemi di una gioventù dopo la guerra. Era il 1953. Ricordo anche la fotografia diretta da Mario Bava, che sarebbe diventato in seguito un regista cult".

Che ricordo ha di Emmer?
"Ho spesso pensato a lui come a un grande artigiano del cinema. Sul set era un uomo spiritoso. Ma devo dire che dopo quella esperienza non pensai minimamente di dedicarmi al cinema. Però accadde un episodio che mi riportò dentro quel mondo".

Quale?
"Durante un grande ballo a Firenze, Henry Clarke mi dedicò una serie di scatti. Una mia foto finì sulla rivista Vogue con la didascalia: "La bella italiana". Robert Bresson le vide e mi fece contattare. Cercava il ruolo di protagonista per La Princesse de Clèves. Andai a trovarlo a Parigi. Emozionata di trovarmi davanti a un grande regista. Mi disse che ero adatta ma che dovevo migliorare il mio francese. Sei mesi dopo avevo un accento perfetto. Ma il film non si fece. Una questione di diritti bloccò la produzione. E Bresson rinunciò a girare il film".

Immagino la sua delusione.
"Provai dolore. Credevo in quel ruolo. Credevo nelle mie possibilità. In quei mesi, di studio, sentivo crescere progetti e certezze. Tutto andò in fumo. Che fare? Pensai che la cosa più naturale fosse di iscrivermi all'Accademia d'Arte Drammatica. Feci il provino con gli occhi chiusi tanta era forte la tensione. Ottenni l'ammissione. E così nacque la mia storia con il teatro".

Chi frequentava allora?
"Divenni amica di due persone più grandi di me: Mario Missiroli che sarebbe diventato un eccellente regista teatrale. La prima volta che lo vidi gli chiesi se conosceva i Casini. La mia famiglia era molto amica dell'editore Gherardo Casini che aveva frequentato mio nonno, Giovanni Papini. Mario mi guardò con ironia: ma certo che conosco i casini, sono un autorità in materia. E poi scoppiò in una risata. L'altro grande amico fu Luca Ronconi".

Un talento anaffettivo, si è detto di lui.
"Lo era nel senso che sapeva avere un distacco dalle cose. Ma credo che gli costasse. A un certo punto della sua vita Luca avvertì una specie di crisi creativa. Non riusciva più a scrivere. Per questo andò in analisi".

Perché le viene in mente questo episodio?
"Penso che le persone non sono mai una sola cosa. Luca, a un certo punto, cominciò a liquefarsi. Provavo pena ma anche sollievo per un amico che aveva perso sicurezza. Pensavo che fosse un'occasione per rinascere. Come del resto è poi accaduto. Ci rendiamo conto degli amici quando abbiamo la sensazione di perderli. E poi è bellissimo ritrovarli".

Si perdono per i motivi più diversi.
"È vero, anche per stanchezza. L'amicizia richiede uno sforzo, un esercizio continuo con l'altro non indifferente".

Anche in amore è così?
"In amore c'è la sopportazione del quotidiano. Qualcosa talvolta di eroico e di misterioso. Ma anche di terribile. Le piccole viltà. Il bisogno del quieto vivere. L'amore è una scuola di resistenza".

Anche una scuola di recitazione?
"In certi casi sì. In certi casi si recita a soggetto".

Come è stato il suo esordio teatrale?
"Grandioso e catastrofico allo stesso tempo".

Cioè?
"Era la fine degli anni Cinquanta e, grazie agli sceneggiati, stavo riscuotendo un successo notevole in televisione. Ero diventata famosa. Volevo fare teatro e pensai di avvicinare Visconti, che non conoscevo. Sapevo però che cercava un ruolo per un suo Goldoni. Telefonai a Paolo Stoppa che era il tramite con Luchino. Paolo era un uomo greve e cinico. Ai suoi occhi ero solo un pezzo di carne. Doveva solo stabilire se pregiata o no. Alla fine chiamò Visconti il quale, dopo avermi vista, mi scritturò. Debutto, qualche mese dopo, alla Fenice di Venezia".

Cosa accadde?
"Preparai la mia parte con grandissimo impegno. Mi sentivo perfetta. La sera della prima Luchino mi disse: sarà un esordio indimenticabile. E tale fu. Quando vidi la platea, un mare di smoking bianchi, fui presa dal panico. La voce cominciò ad andare per conto proprio. Non la controllavo. Non controllavo il respiro. Ero nel pallone. Questo fu il debutto: un disastro. Visconti restò sconcertato. Deluso".

Lei cosa provò?
"Mi sarei scavata una fossa per nascondermi. Mi sentivo ridicola, inadeguata, cretina. Ma soprattutto avvertivo un senso di vergogna per aver tradito le aspettative di chi credeva in me. Visconti fu straordinario e mi sostenne comunque. Quanto a me, per anni mi sono portata dentro questo fallimento. E ancora oggi sento come uno stordimento ogni qualvolta inizio qualcosa di teatrale".

È diverso dal cinema?
"Nel cinema c'è una meccanicità che il teatro non conosce. Il teatro è un viaggio sentimentale. Pieno di insidie e tormenti. Ronconi lo vedeva come una discesa nelle parti meno note dell'anima. Visconti come una specie di risalita. Il gioco è tutto qui: perdersi e ritrovarsi; oppure trovarsi e poi perdersi".

Chi era più bravo in questo gioco?
"Forse Visconti. Aveva un'estetica più esibita, più classica. Minacciata a volte dal suo lato isterico".

Isterico?
"Sono sensazioni. Ricordo quando Luchino si invaghì di Alain Delon. Non c'era che lui. E Delon, in qualche modo, sentiva di essere il prescelto. Un giorno, a casa di Visconti, sentii le urla di Delon contro un cameriere che aveva sbagliato nel portargli una certa cosa. Istericamente Luchino si accodò a quelle urla, rincarò l'episodio maltrattando il povero cameriere. Le ingiustizie dei grandi".

So che ha lavorato con Delon.
"In un film di produzione francese. C'era anche Jean Gabin. Non parlavano che di donne o di cibo. Ascoltarli fuori dal set faceva precipitare velocemente il loro fascino. Comunque regalai a Gabin un bel pezzo di parmigiano. Non lo so. Mi pareva che le due cose si somigliassero".

Non capisco se lei sia una donna più adirata o più sorpresa dalla vita.
"Adirata no. Sorpresa direi di sì. Per esempio ho avvertito con stupore e disapprovazione un profondo mutamento di giudizio nei riguardi di mio nonno Giovanni Papini".

Cosa intende?
"Sono stata, come nipote, la persona che negli ultimi anni gli fu più vicino. Ma ricordo perfettamente il periodo fiorentino e le persone che venivano a omaggiare il nonno. Una rincorsa. Poi finita la guerra le stesse persone cominciarono a insultarne la figura, a dire che Papini era stato un mascalzone. Come era possibile che lo stesso uomo, prima venerato, fosse stato ridotto alla stregua di un mostro? Questo non fece che alimentare le mie incertezze giovanili".

Una spiegazione era possibile.
"E quale, che il nonno era stato fascista? Tutti, tranne qualche eccezione, lo furono".

Lo si accusò di aver firmato il "manifesto della razza".
"Ma questa è una balla! Non risulta, per quello che ne so, da nessuna parte un'adesione del genere. Oltretutto nel 1939, cioè un anno dopo quel famigerato documento, il nonno scrisse un articolo sulla rivista Frontespizio contro i teorici della razza. Perché avrebbe dovuto firmare?".

Forse perché proprio quell'anno era stato eletto accademico d'Italia. Non si occupava quel posto senza una fedeltà dichiarata al fascismo.
"Intanto anche Luigi Pirandello, Guglielmo Marconi, Marinetti furono nominati accademici. Erano fascisti? Sì, lo erano. Come lo fu il nonno, ma senza nefandezze".

Anche suo padre, Barna Occhini, fu un esponente culturale del fascismo. Come furono i rapporti tra voi?
"Nonostante tutto molto affettuosi. Capivo la sua irruenza. Il suo orgoglio. Mio padre era un critico d'arte e un letterato. Aveva una propria concezione dell'onore. C'è una sua lunga lettera, che in parte lo storico Renzo De Felice pubblicò, nella quale mio padre se la prendeva con Mussolini. È una lettera del 1944. Un atto di accusa non contro il fascismo ma contro la viltà del duce. Lo accusa di essersi ritirato e di non far nulla per combattere i tedeschi che ci depredano. "Non ha niente da dire?", scrive. "Voi restate nascosto e inaccessibile in un misterioso angolino d'Italia". Questo era mio padre. E quando è morto, Antonello Trombadori che gli fu amico, nonostante fossero politicamente agli antipodi, mi disse: "Ilaria ho stimato molto tuo padre e gli ho voluto bene"".

Si parlava poc'anzi dell'amore. Una grande storia è stata quella di lei con La Capria, che è qui presente.
"Mi fa piacere che ci sia. Lui dice che la verità quando si è vecchi diventa più importante della poesia".

Cosa vuol dire?
"Che in fondo non vale la pena dipingersi migliori di quello che si è. Io, ad esempio, sono stata si dice bellissima. Non credo di esserlo più. Mi dico, cosa penserà la gente quando esco in strada dopo ore di trucco? Non è ridicolo tutto questo affannarsi?".

Com'è il vostro rapporto?
"Dudù dice che siamo come questa foto: due vecchietti che sorridono. Lui si sente pacificato. Ha buoni rapporti con le persone e il mondo".

E lei?
"Meno. Molto meno. Dudù dice che sono una "scassacazzi". Non la classica moglie adorante. Dice che non mi piace mai niente di quello che scrive. Non è vero. Gli fa comodo pensarlo. Ma non è vero. Ma dopotutto io sono un'aristocratica e lui un borghese".

C'è un racconto di suo marito molto bello e molto crudo in cui mette un po' a nudo il vostro rapporto che iniziò nel 1961.
"Fu l'anno in cui vinse lo Strega. Ci innamorammo perdutamente e perdutamente siamo stati insieme".

In questo racconto parla anche di tradimenti.
"Ognuno ha il diritto di dire quello che vuole. Di confessarsi pubblicamente. È stato un rapporto lunghissimo. Capisco le rivendicazioni. I momenti alti e bassi. Ci siamo conosciuti. Ci siamo fatti del bene e del male. E questo è tutto".

Proprio tutto?
"Non ci sono più terre selvagge da sognare. O da conquistare. Magari a questo punto uno ricorre al viatico divino. Mi colpì molto mio nonno che dopo essere stato un fervente mangiapreti si convertì profondamente. È morto facendosi leggere i Vangeli. Come uomo passò gli ultimi anni della vita afflitto da una devastante sclerosi. Il male progrediva. Fino a quando perse tutto. Gli restò solo il movimento di un dito e con quello, per comunicare, indicava le lettere dell'alfabeto. Ecco cos'è un intellettuale eroico. Non quegli stronzi che ne fecero una macchietta".

Finiamo in gloria?
"Ma no, finiamo come abbiamo cominciato. Io che prendo la parola e balbetto. Mi emoziono. Rido e piango. Ilaria, mi dico, il guaio non è essere vecchi, ma sentirsi giovani ".

martedì 30 giugno 2015

In "Notte stellata" di Van Gogh c'è arte e matematica.

Guarderò le stelle
Com'erano la notte ad Arles,
Appese sopra il tuo boulevard;
Io sono dentro agli occhi tuoi,
Víncent.[...]



Uno degli aspetti più straordinari del cervello umano è la capacità di riconoscere dei modelli e descriverli.

Tra i modelli più difficili da comprendere c’è il concetto di flusso turbolento nella dinamica dei fluidi. Il fisico tedesco Werner Heisenberg disse: “Quando incontrerò Dio, gli farò due domande: “Perché la relatività?” e “Perché la turbolenza?”. Di sicuro mi risponderà alla prima.”

Per quanto la turbolenza sia difficile da capire matematicamente, possiamo usare l’arte per rappresentarla.

Nel giugno 1889, Vincent Van Gogh dipinse la vista poco prima dell’alba dalla finestra della sua stanza del manicomio Saint-Paul-de Mausole a Saint-Rémy-de-Provence, dove si era ricoverato dopo essersi tagliato un orecchio durante un episodio psicotico. In “Notte stellata” le pennellate circolari creano un cielo notturno pieno di vortici di nubi e di mulinelli stellari.

Van Gogh e altri impressionisti rappresentavano la luce in modo diverso dai predecessori, sembravano catturarne il movimento, ad esempio, su acque screziate dal sole, o qui nella luce delle stelle che scintilla e si scioglie attraverso onde lattiginose del cielo blu della notte. L’effetto è causato dalla luminanza, l’intensità della luce nei colori sulla tela.

La parte più primaria della nostra corteccia visiva, che vede i contrasti e i movimenti della luce, ma non il colore, mescola due aree di colori diversi se hanno la stessa luminanza. Ma la suddivisione cerebrale primaria vedrà i colori in contrasto senza mescolarli. Con entrambe le interpretazioni in contemporanea, la luce in molte opere impressioniste pare pulsare, baluginare e irradiarsi in modo strano.

Ecco come questa e altre opere impressioniste usano rapide pennellate marcate per catturare qualcosa di considerevolmente reale sul modo di muoversi della luce.

60 anni dopo, il matematico russo Andrey Kolmogorov incoraggiò la nostra comprensione matematica della turbolenza ipotizzando che l’energia in un fluido turbolento a lunghezza R varia in proporzione di cinque terzi della potenza di R. Misurazioni sperimentali mostrano come Kolmogorov fosse straordinariamente vicino al modo in cui funzionano i flussi turbolenti, sebbene una descrizione completa delle turbolenze rimanga una delle questioni irrisolte della fisica.

Un fluido turbolento è sempre simile a se stesso se c’è una cascata di energia: i mulinelli grandi trasferiscono energia a quelli più piccoli, che fanno lo stesso in scala. Esempi ne sono la macchia rossa di Giove, la formazione delle nubi e le particelle di polvere interstellare.

Nel 2004, con il telescopio di Hubble, degli scienziati osservarono i mulinelli di una nube di polvere intorno a una stella, e si ricordarono della “Notte stellata” di Van Gogh. Questo spinse scienziati di Messico, Spagna e Inghilterra a studiare in dettaglio la luminanza nei dipinti di Van Gogh. Scoprirono che c’è un preciso modello di strutture fluide turbolente, vicine all’equazione di Kolmogorov, nascosto in molti dipinti di Van Gogh. I ricercatori hanno digitalizzato i quadri e misurato come la luminosità vari ogni due pixel. Dalle curve misurate per la separazione in pixel, hanno concluso che i dipinti di Van Gogh del periodo di agitazione psicotica si comportano in modo straordinariamente simile alla turbolenza fluida. L’autoritratto con la pipa, di un periodo più calmo della vita di Van Gogh, non ha mostrato alcuna corrispondenza. E neanche opere di altri artisti che a prima vista sembrano ugualmente turbolente, come “L’urlo” di Munch.

Mentre sarebbe troppo facile dire che il genio turbolento di Van Gogh gli ha consentito di raffigurare la turbolenza, è anche fin troppo difficile esprimere accuratamente la bellezza esaltante del fatto che in un periodo di profonda sofferenza, Van Gogh sia stato capace di percepire e rappresentare uno dei concetti più difficili in assoluto che la natura abbia mai offerto all’uomo, e di unire la sua singolare immaginazione ai misteri più profondi dei movimenti, dei fluidi e della luce.
Natalya St. Clair
fonte traduzione


The unexpected math behind Van Gogh's "Starry Night" - Natalya St. Clair
Video animato di Avi Ofer


Qui potete ammirare il dipinto Notte stellata in ogni suo dettaglio.

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Prima di dare del pazzo a Van Gogh,

sappi che lui è terrazzo, tu ground floor. 
Prima di dire che era fuori di senno,
fammi un disegno con fogli di carta e crayon. 
Van Gogh, mica quel tizio là, 
ma uno che alla tua età libri di Emile Zola, 
Shakespeare nelle corde, Dickens nelle corde;
tu leggi manuali di DVD Recorder,
Lui, trecento lettere letteratura fine, 
Tu, centosessanta caratteri due faccine, fine.
Lui, London, Paris, Anverse, 
Tu, megastore, iper, multiplex.
Lui, distante ma sa tutto del fratello Teo,
Tu, convivi e non sai nulla del fratello tuo.
Lui, a piedi per i campi, lo stimola, 
Tu, rinchiuso con i crampi sul tapis roulant
Beh, da una prima stima mio caro ragazzo, 
dovresti convenire che...
Tu sei pazzo, mica Van Gogh
Tu sei pazzo, mica Van Gogh
Van Gogh, 
a sedici anni girò tra collezioni d'arte, 
Tu sedici anni Yu-Gi-Oh, collezioni carte,
A vent'anni nel salon del Louvre 
e tu nell'autosalon nel SUV rimani in mutande, 
Lui oli su tela, e creò dipinti,
Tu oli su muscoli, gare di bodybuilding ,
Lui, paesane, modelle, prostitute, 
Tu passi le notti nel letto con il computer, 
Lui ha talento e lo sai
che è un po' che non l'hai, 
lui scommette su di se, 
tu poker online, 
lui esaltato per aver incontrato Gauguin, 
tu esaltato per avere pippato cocaine, 
lui assenzio e poesia, 
tu senza poesia,
lui ha fede, 
tu ti senti il messia. 
Van Gogh, una lama e si taglia l'orecchio, 
io ti sento parlare, sto per fare lo stesso.
Ho il rasoio tra le dita
ma non ti ammazzo,
avrò pieta di te perché...
Tu sei pazzo, mica Van Gogh
Tu sei pazzo, mica Van Gogh.
Spacchi tutto quando fan goal
Fai la coda per lo smartphone, 
Tu sei pazzo, mica Van Gogh,
Tu sei pazzo, mica Van Gogh.
Ok Van Gogh, mangiava tubi di colore ed altre cose assurde, 
probabilmente meno tossiche del tuo cheeseburger, 
lui llucinazioni che alterano la vista, 
tu ti fai di funghi ad Amsterdam ma ciò non fa di te un artista.
Tu, in fissa con i cellulari
lui coi girasoli. 
girare con te è un po' come quando si gira soli. 
Colpo di mano, cambia il vento, come a rubamazzo, 
C'è una novità ragazzo,
tu non sei più sano...
Tu sei pazzo, mica Van Gogh

Caparezza

domenica 14 giugno 2015

Ritratto di Giovanna Marini

Su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli

e l'intervista di Antonio Gnoli

a Giovanna Marini



Giovanna Marini: "Il mio canto libero in un mondo che non crede più alla resistenza"
La musicista, cantautrice e ricercatrice etnomusicale: "Una sera venne ospite il grande folksinger americano Peter Seeger, amato anche da Bob Dylan. Dovevo fare da traduttore ma non sapevo lo slang. Fu surreale"

di ANTONIO GNOLI

PENSO che Giovanna Marini appartenga ad una certa sinistra scomparsa. Lei è ancora qui, ma gli ideali di giustizia e uguaglianza sono volati via da un pezzo. Non si sente, per questo, una sopravvissuta. Per curiosità vado ad una sua lezione dedicata al canto contadino.

giovedì 7 maggio 2015

Orson Welles 100 anni dalla nascita

6 maggio 1915 nasceva Orson Welles
che sarebbe diventato un regista, un genio, un mito.

Welles realizzò, nel 1941, il suo primo film, il suo capolavoro - Citizen Kane-Quarto potere - il suo film più discusso, il più commentato e il più studiato nell'intera vita del cinema. "Ancora oggi, dopo settant'anni dalla sua apparizione, per convergenza quasi unanime degli storici, divide quel secolo abbondante attraverso cui si è stratificata fino ad oggi la vicenda cronologica dei film, in un prima e in un dopo", spiegano Nuccio Lodato e Francesca Brignoli. Sono gli autori di "Orson Welles. Quarto Potere", un libro pubblicato da Lindau interamente dedicato al suo capolavoro d'esordio che viene analizzato alla luce di materiali nuovi e delle critiche più recenti, corredato da splendide fotografie in bianco e nero di alcune delle sequenze più significative. [...]


Orson
David Rowe



Welles 100
Tomas Serrano




Cento di questi anni Orson!
Massimo Jatosti


Orson Welles in "La ricotta" di Pier Paolo Pasolini (1962)


Da Il terzo Uomo: Harry Lime (Orson Welles) a Joseph Cotten
"Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent'anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù."


Qualche foto:





Orson Welles at 100: BFI pays tribute to Hollywood legend

giovedì 9 aprile 2015

Ritratto di Dacia Maraini

Il 15 marzo su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli

e l'intervista di Antonio Gnoli

a Dacia Maraini




Dacia Maraini: "Ho vissuto di amori e successi, ora fuggo dal vortice delle passioni"

A tre anni era in un campo di concentramento. Per mantenersi a Roma fece la hostess. Poi scoprì la letteratura. Dall'infanzia a oggi, la scrittrice si racconta. E rivela: "L'unica strada è aiutare gli altri"


di ANTONIO GNOLI

UNA leggera quiete avvolge l'immagine di Dacia Maraini. È una donna che mi fa pensare a mille altre donne che nel tempo hanno consolidato l'idea che esistono legami, sorellanze, generosità da cui sovente il mondo maschile è escluso. Sorride. Composta. Nell'intimità di una parola attenta ma non studiata. Non esibita. Non ricercata. "Lei pensa davvero che le donne siano migliori dell'uomo? Io non lo credo. Sono state solo più bistrattate, umiliate, incarcerate in quella deriva mentale fatta di paura e sudditanza. Ma non hanno per questo prodotto nessuna vera differenza".

Ah, la differance. Mi chiedo se la nostra conversazione possa avere inizio

martedì 24 marzo 2015

Ritratto di Piero Gelli

Il 9 marzo su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli

e l'intervista di Antonio Gnoli

a Piero Gelli


Piero Gelli: "Quando Livio Garzanti zittì Pasolini capii che il divorzio era consumato"

Il direttore editoriale: "Fu una specie di chiarimento. Tutto ebbe origine da un telegramma nel quale l'intellettuale chiedeva spiegazioni su uno scrittore che la casa editrice aveva deciso di pubblicare. Il tono sembrava ultimativo: mi dica se è vero che ha preso un autore a me inviso"
Antonio Gnoli

CREDO che Piero Gelli fosse rimasto il solo, al di fuori della famiglia, a vedere ancora in vita Livio Garzanti: "Capitava che mi affacciassi. Vede questo galletto nel piatto? Si era ridotto così. Ristretto. Stranamente mitopoietico nel suo modo di volgersi al passato. Sospettavo che fosse perfino diventato buono. L'ultima volta che lo incontrai con la voce ormai spenta disse: ma lei perché ha tanti amici e io nessuno? E ho ripensato alla sua vita. Al suo carattere sgradevole, asociale, dissonante. Mi veniva in mente André Gide, un uomo animato da pulsioni contrarie".

Nel ristorante romano dove sediamo le voci e i rumori creano un sottofondo di distrazione. Gelli socchiude gli occhi e la voce, intimamente fiorentina, lancia qualche amo nel passato: "Non distante da qui c'era un tempo l'Augustea. Un giorno con Garzanti vi incontrammo Pasolini. Nessuno poteva immaginare che di lì a poco sarebbe morto".

Perché vi vedeste?

venerdì 20 marzo 2015

Ritratto di Bernardo Valli

Il 1 marzo su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli

e l'intervista di Antonio Gnoli

a Bernardo Valli






Bernardo Valli
“Niente letteratura, niente storia sono e resto un giornalista inquieto”

ANTONIO GNOLI

DOPO una conversazione durata quasi tre ore e che ci inoltra nel pieno di una sera parigina, Bernardo Valli mi invita in un ristorante non lontano da casa. Vive nel nono arrondissement. «Un tempo fu il regno dei letterati e degli artisti. La chiamavano la Nouvelle Athènes. Ci stavano stabilmente Baudelaire e Zola; ci venivano George Sand e Turgenev. Non distante c’è il liceo Condorcet dove Proust studiava. Qui offrì a una compagna un mazzolino di fiori prima di scoprire la sua omosessualità ». Valli ha buone letture. E straordinari ricordi. Non mi sorprende. I suoi articoli (una parte è uscita qualche mese fa da Mondadori) aprono a mondi narrativi costruiti con la precisione del grande meccanico. Usciamo dal ristorante che è quasi mezzanotte. Fa freddo. Un tratto di strada a piedi. Poi improvvisamente Pigalle: uno schiaffo di luci rosse. «In quarant’anni che vivo a Parigi non sono mai stato al Moulin Rouge», confessa. Penso che l’ombelico del turismo famelico non gli interessi. Non gli susciti alcuna emozione. Che “animale” ho di fronte? Sfuggente, certo. Ma anche abile nella caccia. Mansueto e duro. Capace di coprire grandi distanze ma anche di starsene tranquillo nella tana.
Non hai mai pensato di tornare in Italia?
«A volte. Alla fine la pigrizia ha avuto la meglio».
Non sembri un uomo pigro.
«La pigrizia scherma le mie esigenze. I miei rituali. Il mio lavoro che organizzo. Le mie partenze, a volte repentine. Sono appena tornato da Vilnius. Un tempo era la Gerusalemme d’Europa. Ne hanno ammazzati tanti di ebrei, allora. Circa duecentomila. Sai chi era di Vilnius?».
Un sacco di gente è di Vilnius.
«No, no. Guarda pensavo a uno scrittore. Romain Gary. L’ho conosciuto bene. Siamo stati anche amici. Come ebreo lituano era sentimentale e dotato di grande fantasia. Pensavo a lui quando ero a Vilnius. Il fantasma che mi accompagnava».
È morto suicida.
«Si tirò un colpo di pistola alla testa. Era il 1980».
L’anno prima si era suicidata la sua ex moglie Jean Seberg.
«Ho conosciuto bene anche lei. Ma non mi va di parlarne. È raro che ci si uccida per mancanza di talento. Per eccesso, forse sì».
Come Tommaso Besozzi, l’inviato speciale e grande cronista de L’Europeo.
«Tu scavi nel passato. Morì nel 1964. Gli ero stato amico. Vedevo in lui crescere l’angoscia. Farsi smisurata. Si lasciò esplodere con una bomba».
Tu hai scritto che a un certo punto della vita non riuscì più ad adeguare le parole ai fatti.
«È così. Le esigenze dello scrittore presero il sopravvento sulla realtà. Poteva rimanere per ore davanti al foglio bianco senza scrivere una parola».
A te è mai accaduto?
«Raramente, non sono un letterato».
Lo ritieni quasi un insulto.
«È il destino, nel bene e nel male, del giornalismo italiano ».
Il bello scrivere?
«Scrittura impressionista che più che guardare all’Inghilterra, come credeva Albertini, si ispirava alla Francia. Giornalismo pamphlettario. Molta denuncia e pochi dati».
Qual è la tua idea di giornalismo?
«È prima di tutto un servizio. Una cosa pratica. Informa: dagli orari delle farmacie a quello che accade in una guerra. È un lavoro artigianale. Non letterario».
È come se tu volessi allontanare una tentazione.
«Non ho mai avuto queste tentazioni. Certo, oggi è diverso. Un tempo, quando ero in Africa o in Asia, un articolo lo dettavo al telefono, se lo trovavo; o lo trasmettevo per telex. Capitava che arrivassi in un posto alle sei del pomeriggio e alle dieci di sera dettassi il pezzo. Cosa mi spingeva a fare tutto questo? La curiosità, prima di tutto. E poi, l’incoscienza. Che è una risposta all’ignoranza ».
Sembra tutto molto eccitante.
«È un’immagine sbagliata. Ho vissuto in un’epoca in cui i tempi erano maledettamente lunghi. Estenuanti. Viaggiavo spesso in solitudine. La sola cosa che alla fine facevo era leggere».
Che tipo di lettore sei?
«Calvino diceva che ci sono letture intellettuali, colte; e letture che puntano al godimento immediato. Sono un lettore che legge per piacere. Anche se a volte non mi sono tirato indietro davanti a costruzioni impegnative. In Medioriente tentai di leggere l’ Ulisse di Joyce. In Thailandia lessi tutto L’uomo senza qualità di Musil ».
Cosa ti spingeva a leggere Musil in quel mondo così remoto?
«Pensavo che il regno di Kakania non fosse poi così diverso da quello thailandese. Leggere è un modo per staccare. Riprendere fiato. Durante l’assedio di Phnom Penh, in una biblioteca abbandonata, ho riletto buona parte di Dumas. Era un modo per liberare la testa».
Forse anche di riempirla con qualcosa che sarebbe riecheggiata nei tuoi articoli.
«Qualcosa resta. Il ritmo. Certe parole. Ma, al tempo stesso, so che non c’entro niente con Stevenson o Conrad o, magari, Graham Greene. Ho sempre letto. Fin da giovane. Sono stato un cattivo studente. Ma spesso leggevo i libri che al liceo Attilio Bertolucci consigliava a mio fratello maggiore».
Hai una classifica di buoni libri?
«Ho letto spesso in maniera disordinata. Negli anni in cui ho abitato a Singapore lessi tutto Balzac e Zola. E a proposito di francesi, a Saigon feci leggere a Terzani – che amava soprattutto i libri di storia e di viaggio – Un cuore semplice di Flaubert. Venne da me con le lacrime agli occhi. Non prenderlo come un vezzo. Le letture più belle sono state per me quelle più occasionali».
Di Terzani sei stato molto amico.
«Oggi ne hanno fatto una specie di guru. È un’immagine che mi infastidisce. Quello che ho conosciuto e del quale sono stato amico era una persona dolcissima che non aveva nulla del santone. Alla fine evitavamo di parlare di ciò che ci divideva».
Cosa esattamente?
«Io restavo un cronista. Lui inseguiva le idee. Una delle ultime volte che ci vedemmo fu a Kabul nel 2001. Ebbi netta la sensazione di un uomo incalzato dalla morte e alla ricerca della verità. Sembrava spoglio, come un albero d’inverno. Dormiva a terra. Quando partii gli lasciai il mio sacco a pelo».
Della verità che idea ti sei fatto?
«Ho dato come titolo alla raccolta dei miei articoli: La verità del momento . Per un cronista non c’è altro».
È duro da accettare.
«Sì, lo è. Ho passato buona parte della vita a correggere quello che ho scritto. Le situazioni cambiano. Il mondo cambia. Ne ho dovuto prendere atto».
La “verità del momento” è una forma di ateismo.Non trovi?
«Dio c’entra poco con le verità relative».
Che ricordo hai della Fallaci che certo non si nutriva di verità relative?
«È stata un gran personaggio. Era uno spettacolo vederla nella stanza di un albergo lottare con la macchia scrivere. Intensità. Passione. A volte passava ore davanti al foglio. Cercava i fatti. Ma poi i fatti sotto il suo sguardo diventavano un’altra cosa. Per quello che ricordo, Oriana non ha mai usato il condizionale».
E tu?
"E' una pratica salutare per un cronista"
Oltre che cronista sei un viaggiatore
«Mai per il solo gusto di viaggiare. Sono stato complessivamente sette anni in Asia; diversi altri in Africa e poi l’America, l’Europa. Che dire? Sono il risultato di una carta geografica».
Cosa ti è restato?
«Tutto. Ti confesso che ho amato particolarmente l’Asia. L’ho vista distruggersi, modificarsi, cambiare volto. Macao è sparita ed è diventata una Las Vegas. La Cina che vidi la prima volta che vi entrai nel 1970 non c’è più. Il Giappone che mi affascinava per la fierezza ha vissuto il dramma di un legame sempre più incerto con la tradizione. L’India ha cambiato radicalmente i propri connotati. E nonostante ciò l’Asia continua ad affascinarmi. È difficile da capire».
Perché? Dopotutto lì c’è un pezzo della tua vita.
«La mia vita è quella di un provinciale. Un tempo la provincia era importante. Sarà per stupido sentimentalismo, mi è restata attaccata come una seconda pelle ».
Sei nato a Parma.
«Da una famiglia borghese. Mio padre era medico. Non volevo avere niente a che fare con quelle radici borghesi ».
La chiameresti inquietudine?
«Non lo so. Andai via di casa molto giovane. Ma non perché ce l’avessi con la famiglia. Eppure sono scappato. E, forse, ancora continuo a scappare».
Si può dire che la prima fuga sia stata quella più importante?
«A cosa ti riferisci?».
Ai tuoi anni giovanili trascorsi nella Legione Straniera.
«Quella fu una fase che non ha aggiunto niente alla mia vita successiva».
Non hai mai voluto parlare di quel periodo. E non credo che tu lo faccia per qualche forma di vergogna o di pudore. Né di snobismo. Del resto molta gente importante
è finita lì.
«Vuoi che non lo sappia? Anche Ernst Jünger e Curzio Malaparte. Ma cosa significa?».
Ci si andava per i più diversi motivi.
«Allora ti dico che ero un ragazzo quando scelsi la Legione. Forse perché avevo la testa piena di certe letture. Forse perché cercavo un punto estremo dove posarmi. Ci sono rimasto cinque anni. Ho disertato. Fui ripreso. Ho fatto anche una certa carriera. Ma è stata una parentesi, capisci? Non ha avuto nessun riflesso sugli eventi successivi».
Permettimi di dubitare.
«In effetti qualcosa ha lasciato. Mi ha insegnato a marciare. Ancora oggi, malgrado l’età, ho gambe forti. Mi ha dato il senso della disciplina. E un’altra cosa. L’ultima: mi ha lasciato come un senso di indignazione. Un bisogno di andare dalla parte opposta. In fondo, se sono diventato terzomondista, contrario al colonialismo, è stata una reazione a quella scelta che feci da giovane».
Quell’esperienza fu anch’essa una “verità del momento”. Ma vorrei domandarti qualcosa in merito alla caduta di Dien Bien Phu. Cioè di come i francesi persero l’Indocina. In un lungo articolo tu racconti quella battaglia e l’assedio che durò circa due mesi.I francesi avevano schierato in prima linea la Legione Straniera. Tu dove eri esattamente?
«Non c’ero».
Mi risulta il contrario.
«Perché dovrei mentirti?».
Sei come il pescatore di perle che ingoia o nasconde la perla più grossa.
«Non sono stato in quella battaglia. L’ho raccontata, è vero. Ma perché conoscevo gli ufficiali. Conoscevo quel mondo. Il luogo, la porta per il Laos. Dopo che Dien Bien Phu cadde nelle mani del comandante Giap ci fu a Sidi Bel Abbes, la cittadella dei legionari, una grande cerimonia alla quale assistetti».
Cosa vedesti?
«Vidi una grande parata in omaggio all’eroismo o meglio al coraggio con cui avevano combattuto a Dien Bien Phu. La Legione aveva resistito. Era tutta schierata davanti al Maresciallo di Francia Juin. Vidi un mondo che stava finendo, almeno per come lo avevo immaginato. Vidi i mutilati schierati in bella vista. Segno delle ferite e del sacrificio. Del prezzo che era stato pagato. Percepii il gusto per il macabro che la Legione Straniera aveva spesso esibito. E alla fine pensai che lì, in quel piccolo mondo, dove un ladro di polli poteva trasformarsi in soldato vero, si fabbricava qualche eroe e molti mitomani. Quell’anno, era il 1954, lasciai la Legione».
Sei stato definito (da Franco Contorbia che ha curato, scelto e raccolto i tuoi scritti) un “avventuriero disciplinato”. Ti riconosci?
«Come ossimoro non mi dispiace. Mi fa pensare, visto che ne abbiamo parlato, alla Legione Straniera come a un collegio di correzione. Anche se oggi è un’altra cosa».
Correzione, educazione, disciplina. Cosa ti affascina? Non sembri così succube di queste pratiche.
«Non lo sono, è vero. Mi piace pensare l’umanità divisa tra chi ha una mentalità militare e chi non ce l’ha. La prima è fatta di cose semplici: la mattina rifarsi la branda, marciare, obbedire a certe regole. Ecco, il lavoro del giornalista contempla anche questo che può sembrare il lato meno creativo».
È l’altra faccia della luna.
«I miei occhi hanno visto molto. Sono stato testimone della rivoluzione algerina nel 1958. Ho raccontato il Vietnam, Cuba, la Guerra dei sei Giorni e la rivoluzione khomeinista. Sono stato ovunque: dal Congo al Sudafrica. Ho visto facce che sembravano eroi trasformarsi in spietati dittatori. Ho vissuto pericoli e rischiato la vita, come quando nella città di Takeo fui circondato dai khmer rossi. E ogni volta era come la prima volta. Come ricominciare da capo. Perché la cronaca è un lampo. Uno squarcio che si richiude. E tu sei lì, insignificante, a chiederti se stai facendo la storia. Ma la storia è un’altra cosa».

http://it.wikipedia.org/wiki/Bernardo_Valli

giovedì 19 marzo 2015

E' morto Terry Pratchett, il creatore del Mondo Disco.

Today I am reflecting on the sad news of Terry's passing. His creativity bought so much inspiration and joy to so many of us. It was an honour and privilege to work with him and I owe him a great debt of gratitude. May he rest in peace.
Paul Doldby (illustratore di Mondo Disco)


Lo scrittore britannico Terry Pratchett è morto oggi a 66 anni. Otto anni fa gli era stato diagnosticato il morbo di Alzheimer. Terry Pratchett era nato in Inghilterra nel 1948 ed era particolarmente noto per i suoi libri fantasy della serie del Mondo Disco. Negli anni, era diventato uno degli scrittori più famosi del genere: nel corso della sua carriera ha scritto più di 70 libri e venduto complessivamente più di 75 milioni di copie in tutto il mondo. In Italia, è pubblicato da TEA e da Salani. La sua morte è stata confermata dall’account Twitter di sua figlia Rhianna, che ha twittato una frase in maiuscolo: nei libri di Pratchett, era il segno grafico che distingueva le frasi pronunciate da una personificazione della morte, Morty.

L’ultima cosa scritta da Pratchett è stata la sua stessa morte, riportata per sua volontà su Twitter, dalla figlia:

‘INFINE, SER TERRY, DOBBIAMO CAMMINARE INSIEME.’
Terry prese il braccio di Morte e lo seguì attraverso le porte e nel deserto nero sotto la notte infinita.

FINE.






Check Mort
Description
Acrylic on board
Image size 740 x 510mm
Date completed 2011
Painted for the cover of 'Homage to Sir Terry'
Author
Paul Kidby



"You can't ask a fantasy writer not to want a knighthood. You know, for two pins I'd get myself a horse and a sword."Terry Pratchett with a typically gracious response to being tapped on the shoulder by the Queen.











http://it.wikipedia.org/wiki/Mondo_Disco
 Mondo Disco è così chiamato perché invece di essere una sfera, come la Terra, è un disco che poggia su quattro giganteschi elefanti, a loro volta posizionati sopra il guscio di un enorme tartaruga, chiamata A’Tuin, che nuota nell’universo.




fonte


Certo che i libri per ragazzi devono contenere temi adulti: perché tu vuoi crescere il tuo bambino in modo da renderlo un adulto, non un bambino cresciuto.
Eccentrico e geniale, Pratchett non era il classico autore fantasy carico di toni epici ed eventi drammatici, al contrario, i suoi romanzi erano un modo per fare satira sulla nostra realtà, distorcendola con la lente della comicità e della parodia ed un grande scrittore per bambini.

Una figura fondamentale nel pantheon di ogni geek che si rispetti, fu uno dei primi autori a usare un computer per scrivere e comunicare con i fan (che spesso non gli credevano e lo accusavano di essere un impostore).





Terry Pratchett and Neil Gaiman illustration by John Cuneo

E’ morto a 66 anni lo scrittore britannico Terry Pratchett, uno dei più prolifici autori di libri fantasy. Nel 2007, gli era stata diagnosticata una rara forma di Alzheimer, che non gli aveva però impedito di continuare a scrivere. Da allora, si era impegnato in una battaglia a favore del suicidio assistito.
L'autore Fantasy acclamato, che ha venduto più di 70 milioni di libri, è meglio conosciuto per la sua serie Discworld, il primo, The Colour of Magic è stato rilasciato nel 1983.
"Non si può chiedere a uno scrittore di fantasia di non volere un cavaliere. Sai, per due perni che avrei avuto io un cavallo e la spada ", Pratchett è stato citato come dicendo sulla ricezione suo cavaliere nel 2009. Egli ha anche detto che i bonus dei banchieri dovrebbero essere spesi per il trattamento di pazienti affetti da demenza.
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Morporkier
Hommage a Terry Pratchett
"J'ai découvert ses livres quand j'avais environ 20 ans, et je l'ai lu tout le temps depuis. J'ai deux étagères pleines à craquer et j'ai eu 10 ans la carte d'Ankh-Morpork au mur de ma chambre. J'ai appris l'anglais en lisant ses Discworld en version originale, et ma première BD, Raghnarok, était énormément inspirée de son univers. Sir Terry Pratchett nous a quitté aujourd'hui à l'âge de 66 ans."
 Boulet


Una piccola parte di Mondo Disco si trova anche nel mondo reale, in Inghilterra. A Wincanton, nel Somerset, nel quartiere di Kingwell Rise. La cittadina, infatti, dal 2002 è «gemellata» con la capitale del Discworld, Ankh-Morpork, e nel 2009 le stradine del quartiere sono state ribattezzate con i nomi legati ai posti del mondo immaginario.



Terry Pratchett
XKCD
*




le foto
http://it.wikiquote.org/wiki/Terry_Pratchett
il sito: http://www.pjsmprints.com/
http://www.theguardian.com/books/terrypratchett
Terry Pratchett(bibliografia)
In morte di Terry Pratchett
RIP Sir Terry Pratchett, Author of The Discworld Series
Illustrating Terry Pratchett
Why We Need Terry Pratchett’s Brand of Moral Outrage
The Science Behind Discworld's Flat Earth on the Back of a Turtle
Terry Pratchett was a true great, the equal of Swift
È morto Terry Pratchett, il creatore del Mondo Disco

venerdì 27 febbraio 2015

Omaggio a Luca Ronconi

[...]Fac­cio parte di que­gli ado­le­scenti, di classi diverse e di regioni diverse, che nel 1974 erano rima­sti inter­detti per cin­que dome­ni­che nel vedere alla tele­vi­sione di Stato, l’unica che c’era allora, in prima serata l’Orlando Furioso, tra­smesso in bianco e nero: la rein­ven­zione fil­mata dello spet­ta­colo del 1968, calato – gra­zie alla fan­ta­sia di Pier Luigi Pizzi – in una ridda di loca­lità, tra cui Santa Maria in Cosme­din a Roma, ele­vata a corte di Carlo Magno, e le sale far­ne­siane di Capra­rola. Tra gli affre­schi di Tad­deo Zuc­cari Ange­lica era inse­guita da pala­dini su cavalli gio­cat­tolo, men­tre i versi di Ario­sto erano risi­ste­mati da Edoardo San­gui­neti. E l’ippogrifo vol­teg­giava tra le carte geo­gra­fi­che dipinte dal miste­rioso Gio­vanni Anto­nio da Varese. Non c’era alcuna con­gruenza tra la civiltà delle corti padane del primo Cin­que­cento, da cui era uscito il pro­di­gio del Furioso, e il fasto rin­ser­rato e un po’ greve della reg­gia laziale: eppure il risul­tato era magico. Gli inter­preti erano una spe­cie di nazio­nale di cal­cio dei gio­vani attori ita­liani, ma non man­cava Peter Cha­tel tra un Daniel Sch­mid e un Fas­sbin­der, di cui non sup­po­nevo allora nean­che l’esistenza. E sì che Peter Cha­tel era il pro­ta­go­ni­sta, pro­prio nel 1974, del Diritto del più forte. Ogni pun­tata ter­mi­nava con dei titoli di coda in cui si mostra­vano i risvolti tec­nici, pra­tici della mes­sin­scena: come faceva a volare l’ippogrifo, come cor­re­vano i cavalli sui binari, come ince­deva l’orca… Si spie­ga­vano cioè le regole dell’illusione; si for­niva la sca­tola di mon­tag­gio: quanto ho riflet­tuto su quelle sigle di chiu­sura. La mat­tina del lunedì, a scuola, dell’Orlando si par­lava con i com­pa­gni: chi infa­sti­dito e chi stre­gato da quell’esperienza fin lì senza para­gone alcuno, così distante dalla rou­tine nar­ra­tiva dei romanzi sce­neg­giati, così aperta a mille ana­cro­ni­sti­che pro­spet­tive.[...]
Giovanni Agosti
Si, io faccio parte di quei compagni che erano stregati e tanto ne parlavamo in classe con l'insegnante di Storia dell'arte di Luca Ronconi, del suo teatro e delle sue strabilianti macchine sceniche.

« Des cavaliers fous chevauchant licornes et hippogriffes fendant la foule, des chariots roulés à bras d'hommes installant trois, six aires de jeu simultanées avant d'entraîner le public dans un labyrinthe grillagé, tel était Orlando Furioso d'après l'Arioste, première apparition de Luca Ronconi en France. » (Encyclopaedia Universalis, article Luca Ronconi).

OBERON MILANO TEATRO ALLA SCALA 1989 ALLESTIMENTO LUCA RONCONI



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Riporto l'articolo del  24 marzo 2013 su la Repubblica col ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Luca Ronconi



Vorrei dare un senso alla tristezza ma ho visto troppi film per crederci
di Antonio Gnoli   Pdf
Non mi viene in mente niente di più tenero e vulnerabile delle parole di Luca Ronconi. Mentre lo guardo, incorniciato da una leggera barba, penso che vivere una vita non sia come accendersi una sigaretta, bere un whisky o fare una passeggiata. Anche una vita passabile, o fortunata, è fatta di frenate improvvise davanti al precipizio; di frammenti arenati e sparsi sulla spiaggia degli anni. E Ronconi di anni ne ha compiuti ottanta. Lo hanno celebrato e messo sul podio, lui se ne è ritratto. Lo hanno illuminato con esultanza, ma la luce comincia a pesare. Ci vediamo al Piccolo di Milano di cui ha la direzione artistica. Lo trovo dimagrito. Ricordo un nostro lontano incontro nella sua casa vicino Gubbio: disponibilità amabile, chiarezza mentale, sorriso dolce. La sua voce stantuffa, a volte sale, a volte si ritrae, è come se inseguisse le parole o le abbandonasse ai pensieri più nascosti.
Per i suoi ottant' anni l' hanno molto festeggiata. Come si sente ora che tutto si è concluso?
«Mi hanno riempito di onorificenze e non sapevo se essere più grato o

martedì 24 febbraio 2015

Ritratto di Paolo Prodi.

Il 9 febbraio su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli

e l'intervista di Antonio Gnoli

a Paolo Prodi





Paolo Prodi: "C'era troppa violenza nella politica, per questo ho scelto di fare lo storico"
Intervista al docente universitario, fratello maggiore del più noto Romano. Nato a Scandiano il 3 ottobre 1932, è stato tra i fondatori del Mulino, ha insegnato nelle università di Trento, Roma e Bologna, ed è stato presidente della Giunta Storica Nazionale e dell'Accademia Nazionale dei Lincei

di ANTONIO GNOLI
DI PAOLO Prodi (fratello maggiore del più noto Romano) colpiscono due cose: l'ossessione con cui ha inseguito e studiato le relazioni tra il potere e il sacro e il fatto che sia rimasto, malgrado ciò, un uomo felice. Una felicità leggera, contagiosa, che

martedì 10 febbraio 2015

Il canto della civetta di Anna Laura Folena



Nell’ultima pagina del Canto della civetta  si legge che «Due occhi non bastano per vedere tutto il mondo» e che bisogna «osservarlo con tanti sguardi diversi, attraverso gli altri e le loro emozioni».  Proprio da  questo desiderio di considerare diversi punti di vista nasce il libro di Anna Laura Folena, giornalista e appassionata di ludo-linguistica, che a ciascuno di questi punti di vista ha dato una voce. 
A parlare in prima persona, infatti, è un narratore diverso per ogni racconto.
Che si tratti di animali, come la civetta, il delfino, la farfalla, o di luoghi, come il ponte, la piazza, la spiaggia, o di personaggi, come il marinaio, il pittore, il direttore d’orchestra, o d’altro ancora, il lettore ha la possibilità di conoscere i loro pensieri e le loro storie, specchiandosi nelle loro vite e nei loro sentimenti fra sogno e realtà.

In anteprima due racconti 

Pagine vive
Ogni sera ti siedi davanti a me e mi guardi con sgomento. Solo per un istante. Poi per te divento una sfida. 
Sono la pagina bianca, vuota, senza parole. E tu vuoi riempirmi. Ce la farai anche oggi, ma fino all’ultimo non sai come. Mi osservi, ti pare impossibile avere la meglio su di me. 
Mi affronti. 
Cominci a scrivere una frase con un bel suono, qualcosa che rievochi immagini vissute o desiderate o sognate o temute. E vai avanti. 
Creato il primo pensiero, la scrittura fluisce da sola, come se vivesse di vita propria, e tu respiri con lei.
Ad esempio, scrivi “Ogni sera ti siedi davanti a me e mi guardi con sgomento”. Potresti proseguire descrivendo un uomo e una donna, l’uno di fronte all’altra, senza fiato, sopraffatti da un desiderio che li spaventa. Oppure raccontare di un nipote che si specchia nel volto del nonno e vede se stesso, ma segnato da un tempo non ha ancora vissuto. 
Invece, scegli di parlare di me, e così facendo mi riempi. E ora non narri più di una pagina bianca, vuota, senza parole, perché ce se sono già duecento, e non ti fermi. 
Stendi la storia di una pagina piena, colma del tuo desiderio di scrivere nonostante lo sgomento. E non è più la mia storia, ma la tua: la storia di una scrittrice che ha bisogno ogni sera di essere se stessa, dipanandosi in frasi armoniose, una dopo l’altra.  
Ed ora ti senti viva. Ora che hai affollato di vita il mio spazio.
La Pagina
Il canto della civetta

I miei occhi fanno paura. E chi prova sgomento nel vederli non ha coscienza del perché. Pensa di averne timore perché sono grandi o perché sono gialli. Non è così. I miei occhi incutono paura perché li tengo fissi dentro a quelli di chi mi osserva.
Anche gli umani s’inquietano quando li guardo dritti in faccia, restando immobile.
Quasi tutti.
Qualcuno, però, si ferma e sostiene il mio esame con rispetto, come fosse una creatura alata della notte. Allora so di potermi fidare. Chi ha il coraggio e la lealtà di ricambiare il mio sguardo probabilmente sa anche volare nelle tenebre, come me.
Per merito dei miei occhi vedo nell’oscurità e mi dirigo senza errore verso la meta. Mentre quei pochi umani, grazie all’amore per la magia della notte, scoprono universi interi con la fantasia e li esplorano volando di sogno in sogno. E quando tornano sulla Terra sanno scrutare dentro se stessi con quella franchezza con la quale ricambiano il mio sguardo. E impavidi affrontano il giorno.
Con il capo sotto l’ala riposo, mentre loro popolano di vita le ore che li separano dalla libertà di essere se stessi nel semplice gesto di alzare il volto verso le stelle e pensare “Tutto mio… tutto mio”, sentendolo cantare dalla mia voce.
La Civetta



Il Libro è edito da youcanprint.it
http://www.youcanprint.it/youcanprint-libreria/narrativa/il-canto-della-civetta.html



Anna Laura Folena, giornalista di origini toscvenete, è laureata in Lettere Moderne con il massimo dei voti e la lode all'Università di Padova, con una tesi in stilistica e metrica italiana, dalla quale è nato il saggio Simmetria e circolarità nella metrica  del secondo Saba, pubblicato in "Studi novecenteschi" (Giardini editori e stampatori in Pisa, XVIII, numero 41, giugno 1991). Per anni è stata free-lance, dividendosi tra carta stampata, conduzioni televisive e radiofoniche. Attualmente si occupa prevalentemente di relazioni esterne e uffici stampa. Appassionata di ludo-linguistica ( nickname= Il Gabbiano, ALF), usa le parole per lavorare, per giocare e per scrivere libri , come la raccolta di raccolti ironici, Ma quando arrivano gli elefanti? (2007, Giacomuzzi Editore).
Il canto della civetta è la conferma che anche la prosa può essere poesia.


lunedì 9 febbraio 2015

Ritratto di Rossana Rossanda

Il 1 febbraio su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli

e l'intervista di Antonio Gnoli

a Rossana Rossanda



Rossana Rossanda: "È stata la bellezza del mondo a salvarmi dal fallimento politico"
Nella sua casa a Parigi la fondatrice del "Manifesto" ricorda incontri e incomprensioni, amici e avversari, delusioni e grandi sogni vissuti con il partito comunista


SOMMERSI come siamo dai luoghi comuni sulla vecchiaia non riusciamo più a distinguere una carrozzella da un tapis roulant. Lo stereotipo della vecchiaia sorridente che corre e fa ginnastica ha finito con l'avere il sopravvento sull'immagine ben più mesta di una decadenza che provoca dolore e tristezza. Guardo Rossana Rossanda, il suo inconfondibile neo. La guardo mentre i polsi esili sfiorano i braccioli della sedia con le ruote. La guardo immersa nella grande stanza al piano terra di un bel palazzo sul lungo Senna. La guardo in quel concentrato di passato importante e di presente incerto che rappresenta la sua vita. Da qualche parte Philip Roth ha scritto che la vecchiaia non è una battaglia, ma un massacro.

La guardo con la tenerezza con cui si amano le cose fragili che si perdono. La guardo pensando che sia una figura importante della nostra storia comune. Legata al partito comunista, fu radiata

venerdì 2 gennaio 2015

Ritratto di Tomás Maldonado


 Il 9 novembre  su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Tomás Maldonado





Tomás Maldonado: "Quanti scontri con Fontana e Borges, noi astrattisti eravamo inflessibili"

L'ideatore dello spazialismo? "Non lo capivo". Lo scrittore? "Establishment letterario". Il designer e critico di origine argentina ricorda gli esordi, gli incontri, le avanguardie e le esperienze accademiche


di ANTONIO GNOLI

TOMÁS Maldonado è nato a Buenos Aires. Ha girato il mondo. Negli anni Settanta ha preso la nazionalità italiana. È un signore elegante: alto (supera il metro e novanta); agile (non dimostra i suoi 93 anni); autorevole (anche nel modo in cui la lingua italiana  -  ne conosce cinque  -  riverbera echi sudamericani). Parliamo a lungo nella sua casa milanese. Noto la sicurezza dei gesti. L'assenza di fatica. La curiosità razionalista che lo invade ogni qualvolta deve fornire o chiedere una spiegazione. 

Alla fine mi fa vedere una foto. Si tratta di un ricevimento nell'allora nascente università di Ulm. Con Maldonado trentenne c'è un ometto di spalle in abito da sera: Martin Heidegger.

giovedì 4 dicembre 2014

Ritratto di Clara Gallini

 Il 3 novembre  su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Clara Gallini




Clara Gallini: "Pensiamo che i miracoli siano arcaici ma li abbiamo inventati noi moderni"

Parla l'antropologa e etnologa italiana, nata a Crema nel 1931, professore emerito di antropologia culturale all'Università di Roma La Sapienza e presidente onorario dell'Associazione Internazionale Ernesto De Martino: "Che cos'era Lourdes se non un immenso ricettacolo di emotività fuori controllo e di tragici inganni?"
di ANTONIO GNOLI

CLARA Gallini è stata una delle prime antropologhe italiane. In un mestiere prevalentemente per maschi ha affrontato

domenica 23 novembre 2014

Ritratto di Manlio Cancogni

Il 26 ottobre  su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
Manlio Cancogni




Manlio Cancogni: "Non ho mai capito fino in fondo che razza di scrittore sono"
Odiava la guerra, Roma, il lavoro al Ministero, i genitori. Amava la letteratura. Finì per dividersi tra il giornalismo e la narrativa. Ma cosa è il successo? Nulla" dice oggi a 98 anni 
di ANTONIO GNOLI

 INVIDIABILE . Davvero invidiabile l'esistenza di Manlio Cancogni. Novantotto anni compiuti: "A questo punto vorrei fare l'en plein. Arrivare ai cento", dice tra lo scherzoso e il serio. Vado a trovarlo a Fiumetto, non distante da Viareggio. Mi accompagna Simone Caltabellota: scrittore innamorato dello scrittore Cancogni. Sta pubblicando per Elliot quasi tutti i suoi libri. Romanzi, soprattutto. Segnati dall'amicizia, o dal bisogno di ripercorrere personaggi famosi.

Rileggerli alla luce della loro e della nostra inquietudine.

mercoledì 19 novembre 2014

Ritratto di Anna Maria Guarnieri

Il 20 ottobre  su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Anna Maria Guarnieri






Anna Maria Guarnieri: "Il pubblico mente: ti applaude e poi fuori dal teatro ti critica"

La grande attrice: "Non mi aspettavo che mia sorella morisse. Era stata curata per un tumore. Sembrava dovesse farcela. Poi, nel giro di due giorni, tutto è precipitato. E non so ancora il perché. Nel frattempo compio 80 anni"
di ANTONIO GNOLI

SONO ormai trascorsi alcuni mesi da quando ha compiuto ottant'anni e, nello stesso periodo, è morta la sorella. Due eventi che Anna Maria Guarnieri ha vissuto con dolore, stupore e impreparazione. Svolge i suoi teoremi esistenziali con eleganza mentale, senza fronzoli.