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martedì 25 settembre 2018

Vincino



Vincino, pseudonimo di Vincenzo Gallo (Palermo, 30 maggio 1946 – Roma, 21 agosto 2018[1), è stato un vignettista e giornalista italiano.

E' già passato un mese, ma rimane sempre nei ricordi...

Vincino in una scatola di matite, alla sua ultima festa
Abbiamo accompagnato Vincino nel Tempietto egizio del Verano per salutarlo tra i ricordi, i sorrisi e le lacrime




l'ultimo disegno : comunque sarò il prossimo James Bond... (di sicuro...)
©Vincino


Ciao Vincino amico mio!
© Vauro



Ciao Vincino, ora scherza pure coi santi
Luca Sommi

Allampanato, dinoccolato, un elegantissimo, letterato hippie che ti guardava storto da quelle lenti fondo di bottiglia – montate su Persol da sole, modello Steve McQueen – tanto da far diventare gli occhi minuscoli, ma non lo sguardo. Quello era lungo, lunghissimo, anarchico e indipendente, da artista, quale lui era. Vincino, al secolo Vincenzo Gallo, era molto più di un vignettista, di un disegnatore satirico, era un fine antropologo, uno che smascherava i vizi dei potenti (ma anche dei deboli) facendone sintesi in tre schizzi storti, irresistibili e irriverenti. Ieri se ne è andato, dopo una brutta bestia di malattia, a 72 anni, e dopo una carriera meravigliosa, mai al servizio di nessuno. Anzi, a volte sembrava, per vezzo, godere nel disegnare su giornali apparentemente a lui lontani – ergo conservatori, ordinari, filo-tutto purché quel tutto fosse potente. Ma in realtà tutto e tutti erano distanti da lui, che era vasto, contraddittorio e geniale, un artista senza confini né recinti, se non quelli della sua lucida e stralunata fantasia.

Vincino amava i vizi, di forma e di sostanza, i suoi disegni tremolanti non facevano né troppo ridere né troppo riflettere – queste sono cose comuni: le sue istantanee erano un pugno nello stomaco, spesso un anagramma, un’anamorfosi della vignetta. Tracimavano di cultura, erano allucinogene, piccoli trattati colorati che prendevano il senso comune di lato, mai frontalmente. A volte erano incomprensibili – a volte addirittura la didascalia lo era – però arrivavano al centro di dove dovevano arrivare, cuore o cervello che fosse. D’altronde l’arte mica deve illustrare, bensì mostrare ciò che è invisibile agli occhi, e lui in questo era ineffabile.

Nato a Palermo, ma uomo di mondo, si laurea in architettura ma non fa l’architetto, figuriamoci, lui che, come detto, aveva un’idiosincrasia genetica per le righe diritte – il rapporto pavimento-parete deve sempre essere di 90 gradi, ammoniva Le Corbusier: appunto, non roba per uno che volava tra sghiribizzi e lazzi come un uccello fluorescente e indomabile. Nel ’68 è vicino ai movimenti studenteschi e operai, poi arriva Lotta Continua e l’inserto satirico “L’avventurista”. È il primo di una lunga sfilza: “Il clandestino” con L’Espresso, “Tango” con l’Unità, “Boxer” sul Manifesto, poi “Cuore” e tanti altri – ha diretto “Ottovolante”, quotidiano di satira che durò poco più di una settimana, geniale, insieme ad altri giganti come Roland Topor, Andrea Pazienza o Guido Buzzelli – fino alle lunghe collaborazioni con Corriere della Sera prima e Il Foglio poi. Ma il suo capolavoro assoluto fu “Il Male”, fatto, tra gli altri, con il suo inseparabile sodale, fratello di matita, Vauro Senesi. Quella combriccola ne fece di cotte e di crude durante i cinque anni di vita del giornale: la più memorabile e riconoscibile fu la finta prima pagina di Repubblica che titolava “Arrestato Ugo Tognazzi. È il capo delle BR”. Roba impensabile oggi, da fustigazione pubblica. Nel 2011 sempre insieme a Vauro rimanda in edicola “Il Male”, durò poco ma fu bellissimo, basti pensare che la redazione la piazzarono nella sede storica della Democrazia Cristiana in piazza del Gesù – roba da far rivoltare nella bara più di un notabile.

Michele Santoro, uno che di televisione capisce davvero, lo aveva mandato in video, insieme a Vauro, come inviato nell’ultima edizione di “Servizio Pubblico”. Risultato? Due meravigliosi Totò e Peppino surrealisti e d’avanguardia, in moto-sidecar, sfreccianti a raccontare con taglio “cinico e baro” il costume degli italiani di oggi e di domani: capolavoro.

Vincino in gioventù provò anche l’ebbrezza del carcere “esperienza bellissima, che consiglio a tutti”, poi il pornofotoromanzo con Cicciolina fino alle incursioni ai comizi di Craxi, camuffato da Craxi. Il situazionismo era per lui una regola, l’irriverenza il suo dogma. La sua vasta cultura non era mai citazione, mai parafrasi, ma sempre sostanza metabolizzata e poi rivomitata a modo suo, coi suoi disegni, con le sue aspirazioni e i suoi progetti sghembi ma fantastici. Era un illuminista e un surrealista insieme, amava i libri e l’uso fiero della ragione, ma per poi distorcerli, piegarli con un segno eretico. In lui c’era Voltaire e c’era Bunuel, frullati insieme, un ibrido un po’ sornione e unico nel suo genere. Un Candide a spasso per la sua personalissima e moderna Westfalia a sfregiare i vari Pangloss di turno. Però Vincino era più sornione, zero moralista, molto esistenzialista, quasi disincantato e non amava né i santoni né i santini, di qualunque colore fossero. Si arrampicava sugli specchi come nessuno, dissimulava l’evidenza come tutti e sognava di sfondare porte aperte – provaci tu, se sei capace, a sfondare una porta aperta! diceva Carmelo Bene. Perché solo i veri artisti possono ambire a tanto, e non tutti hanno lo spirito per capire certe cose, solo le persone belle. Come Diderot, su quella panchina del Palais Royal, che intima al nipote di Rameau che “uno sciocco sarà più facilmente incline alla malvagità che un uomo di spirito”. Ciao Vincio, lassù non esagerare.




così vincino, così lontano (cit.)
© Mauro Biani

Un situazionista della satira col pennarello sempre in tasca
Vincino. Addio al disegnatore che nelle sue vignette ha raccontato con ironia l’Italia sin dai tempi del «Male»
Mauro Biani
Non ero pronto al coccodrillo per Vincino. Un pazzo immortale. Il pennarello nel taschino della camicia, sempre. I disegni espressività. «Qui c’è un fax?». Pure quando lo avevo invitato a un ennesimo incontro sulla satira (uff) ma era solo il 2011, un’eternità fa. È il destino di chi fa (almeno) una vignetta al giorno: ansia giornaliera da tematica (milioni per chi non è allineante) e ricerca di un fax (lui), gli altri di una connessione. Era connesso e sconnesso. Ok.
Che poi alla fine fu un bell’incontro. Una tavolata di esordienti, più o meno. Flaviano (ora fumettista di punta della Marvel), io, Vincino, Antonella Marrone (giornalista di «Liberazione»), Gianpiero Caldarella (Pizzino ed Emme), Makkox, Giuliano Cangiano, grande illustratore.

La discussione, organizzata da «Mamma!» la rivista inventata da Carlo Gubitosa e da me che come sottotitolo aveva: «Se ci leggi è giornalismo, se ci quereli è satira». Un tentativo sperimentale di libertà totale di satira e giornalismo grafico, in un momento storico in cui inserti e riviste di satira non esistevano praticamente più.
E Vincino ne sapeva più di tutti, dal «Male», per me forse l’unica vera pubblicazione satirica insieme al diversissimo (come diversa era la società degli anni ’90) successivo «Cuore», al siciliano «Pizzino», di venticinque anni dopo.

I vignettisti, e anche lui, sono solitari, gelosi dei propri luoghi di pubblicazione, individualisti. Ma Vincenzo amava anche il gruppo, la pubblicazione indipendente, pure se poi indipendente lo era comunque su qualsivoglia pezzo di carta o di web lo ospitasse.
E quindi si discettava: dove va la satira? E dove andava, e che satira (?). Le satire vanno poi dove vogliono, ed è talmente inutile cercare recinti di «purezza (boh) satirica». Fa quello che vuole e Vincino pure. Unico problema spesso è farsi pagare (ora di più) e su questo ci ha anche insegnato a non svendere (troppo) «l’arte». Poi, se gli chiedevo una vignetta (come è capitato per «il manifesto») la dava anche gratis, comunicandomi comunque l’iban, che non si sa mai.

E, infatti, partecipò anche a «Mamma!» gratis, ché l’unica cosa che poteva fare anche per sostenere chi ci provava, senza editori, senza padroni.
I suoi disegni erano brutti come è brutto Chagall. Lui riderebbe chiedendo se ho fumato. Ma i suoi espressivi omini e donnine e politici, spiegavano svolazzanti, e qua e là, già tutto, anche senza quelle decine di parole che facevano spesso somigliare un suo lavoro a un minifumetto piuttosto che a una vignetta.

Concordo con quello che mi ha scritto a caldo il mio compare su «Mamma!» Carlo Gubitosa: «L’eredità culturale che ci lascia Vincino non è solo quella del vignettista. Lo ricordo con affetto come giornalista politico (il primo a entrare a palazzo con la matita e non con la penna), come sincero e appassionato militante radicale, come situazionista irriducibile fino all’ultimo, quando ha messo lo storico busto in marmo di Andreotti realizzato dal ’Male’ in quella Piazza del Gesù che un tempo era della Dc e poi è stata espugnata dalla redazione del ’Male’ di Vauro e Vincino per una bella stagione di satira, e lo ricordo con affetto come artista, fantasista, ragazzino che guardava la politica divertito senza mai smettere di farle pernacchie ai vestiti finti degli imperatori».

E a proposito di vignette sui quotidiani, una volta mi scrisse una cosuccia impegnativa e gradassa (oltre a individualisti siamo piuttosto gradassi, forse per farci forza e coprire i santi dubbi che ci pigliano prima di realizzare un lavoro che sembra definitivo): «Io credo che l’unico spazio di verità dentro un giornale sia il quadratino della vignetta, cioè su trenta, cinquanta pagine l’unico spazio di verità sia il piccolo quadratino e sia responsabilità nostra quindi ogni volta pensare con la nostra testa e le nostre matite».
E adesso Vincino dove vai? Non era questo a cui si pensava quando dicevamo: «Non c’è ricambio nemmeno nella satira».




46° Premio Satira Politica di Forte dei Marmi: premiazione di Vincino per il libro autobiografico "Mi chiamavano Togliatti....", 7 luglio 2018




© Riccardo Mannelli


Addio al vignettista Vincino, l'omaggio di Ellekappa



Difficile per me spiegare a parole, o anche a disegni, chi fosse per me #Vincino. "Noi abbiamo un compito, raccontare il mondo a disegni", diceva sempre. Era un amico, ha creduto in me, mai bollito, uno dei pochi fuoriclasse della satira in Italia. Ciao maestro.
Dario Campagna


© Altan, Ellekappa, Sergio Staino


© Makkox



Un ricordo di Vincino (Sottovoce)
È morto Vincino, nelle sue vignette mezzo secolo di storia d'Italia


Tutto Vincino - Il Foglio

domenica 4 marzo 2018

Maratona vignette elettorali

Il disegno di domenica 4 marzo
Riber 



Buon voto a tutti
Dario Campagna







"TESTA A TESTA" o "TESTA O CROCE" ?
Finita questa estenuante campagna elettorale ora ci siamo.
Mai come questa volta decisivi gli indecisi.
Non portatevi in gabina il cellulare ma ricordatevi la monetina.
Buon voto
Gianfranco Uber




La domenica di voto
Airaghi


LE DUE RISPOSTE.........
"Se votare facesse qualche differenza non ce lo lascerebbero fare".
Mark Twain.
Vanessi / PV

The Cavaliere with his new hair color... Trump Style...
Ramses



E DOPO UNA CONCITATA GIORNATA
E dopo una concitata giornata #Elezioni4Marzo2018 #elezioni2018 #ElezioniPolitiche2018 #M5S #pd #Femen #berlusconi #MaratonaMentana #natangelo
Natangelo

venerdì 12 agosto 2016

Vignetta: “Riforme: lo stato delle cos(c)e”.

La vignetta di Riccardo Mannelli   “Riforme: lo stato delle cos(c)e”
ha suscitato un vespaio. Si tratta di un semplice  gioco enigmistico una zeppa,  cose cosce, su un ritratto della ministra delle riforme Boschi, in minigonna.
Vignetta sessista? sicuramente battuta infelice!






L'opinione di Gabriele Balestrazzi:

La riforma che serve davvero
di Gabriele Balestrazzi 10/08/2016

La vignetta è qui, come ormai su tutto il web: firmata da Mannelli, pubblicata dal Fatto quotidiano, intitolata “Riforme: lo stato delle cosce”.

Ora, quando ci sono di mezzo vignette e satira il mio impulso sarebbe quello di astenermi, ascoltare e leggere i commenti, ma sostanzialmente di difendere il diritto di ironizzare e dissacrare su tutti e su tutto (tragedie comprese), che della satira è il sale e la ragione di esistere.

Inoltre, viviamo proprio in questi giorni giuste e scandalizzate reazioni per alcuni titoli olimpici ma non certamente da…medaglia (“Il trio delle cicciottelle”, “I lati B disegnati col compasso”…). Ma abbiamo anche visto nei commenti chi, e parlo di chi affronta la questione in buona fede e senza sessismi di sorta, pone il dubbio se qualche volta non si ecceda nel “politicamente corretto”. Ovvero: è diverso esaltare i lati B delle beachvolleyste dall’esaltare le spalle o gli addominali di nuotatori o altri atleti maschi?

Tutto vero, o almeno tutto opinabile. Il problema è che anche le battute e le vignette irrompono in un mondo obiettivamente sbilanciato: il mondo delle miss, delle veline, delle “Brava Giovanna Brava!”… Il mondo in cui la donna è concretamente e culturalmente penalizzata (senza neppure arrivare all’estremo e tragico tema dei femminicidi). Ecco perché, nel già invasivo dibattito sulle riforme, aggrapparsi – seppur metaforicamente – alle cosce del ministro Boschi è sinceramente squallidino, e non molto distante (anche se la testata di Travaglio lo è) dalla infelice battuta del leghista Salvini sulla “bambola gonfiabile Boldrini”. Anche perché, se proprio la si vuole attaccare, credo che la ministra abbia punti politici ben più deboli della cellulite vera o presunta o della coscia forte.

E a proposito di punti deboli, fra cicciottelle e cosce governative, forse noi giornalisti dovremmo iniziare a riflettere se il calo delle vendite dei quotidiani sia più colpa del web o delle nostre mediocrità…




Dopo la polemica boschi-mannelli, una vignetta riparatoria - da il fatto quotidiano - www.natangelo.it ‪#‎boschi‬ ‪#‎cosce‬ ‪#‎mannelli‬ ‪#‎travaglio‬ ‪#‎sessismo‬
Natangelo


L'opinione di Stefano Feltri dal Fatto

Boschi, cosce e altre ragioni per indignarsi
[...] Una vignetta sessista? Forse, ma se la mia interpretazione è corretta – ovviamente ognuno può dare la sua – il tema non sono tanto le cosce della Boschi quanto le reazioni degli spettatori ai suoi comizi. Ma poco importa. [...]


di Portos 




L'opinione di Tommaso Ederoclite dall'Huffington Post:

Quel sessismo sulla Boschi del Fatto Quotidiano, altro che cicciottelle
Stamattina però quando sono arrivato alla lettura del Fatto Quotidiano ho subito notato la vignetta di Mannelli in prima, e come reazione ho avuto una sorta di fastidio. La riguardo con attenzione dicendomi "forse non l'ho capita", e riprendo ad osservarla con più attenzione. Ebbene la mia conclusione è stata netta e lapidaria: vignetta inutile, non fa ridere, non fa pensare, colpisce Boschi in quanto donna e non nel suo operato. [...]



Portos


L'opinione di Lia Celi per lettera 43:

La chiamano satira, ma è barzelletta da bar
 Vignette sulla Boschi. Sketch contro la Madia. Slogan che offendono le donne. Quando l'attaccamento alla causa sfocia in maschilismo.
di Lia Celi | 11 Agosto 2016
Le caserme stanno tornando di moda come luogo di stoccaggio per gli immigrati. Speriamo che rimanga qualche camerata (nel senso di dormitorio) per ospitare quanti, ahimé, soprattutto da sinistra, stanno riportando in auge a fini politici, e in particolare contro Maria Elena Boschi, l'umorismo casermicolo a base di tette e cosce, provocando i legittimi sogghigni della destra che di quel tipo di humour era sempre stata la tradizionale depositaria.
Personalmente trovo che l'ultimo caso, la vignetta di Mannelli sullo «stato delle cosce» apparsa sul Fatto Quotidiano, non sia così intollerabile.


UNA VIGNETTA DA MANNELLI. Forse perché ci sono abituata: le carni iperrealistiche, immancabilmente nude e flaccide, sia maschili che femminili, sono da sempre la cifra stilistica del disegnatore toscano, espressione grafica (e pregevolissima) del suo sdegnoso e corrucciato sguardo sull'umanità, fin dai tempi di Cuore. Se anziché la Boschi su quella sedia a parlare di riforme ci fosse stato Graziano Delrio in bermuda, Mannelli ne avrebbe dato un ritratto altrettanto disgustoso, restituendo in realtà aumentata ogni pelo, ogni neo, ogni piega della pelle.
Quel che ci avrebbe risparmiato è il calembour da ginnasiale, perfino più trito che sessista, fra «cose» e «cosce», che può sembrare fresco e originale solo ai coetanei di chi trova «affettuoso» l'aggettivo «cicciottelle», e perdonato solo da chi a Mannelli perdona tutto, perché è impossibile essere maledettamente bravi sia a disegnare che a fare battute.

NON BASTA DIRE CHE CI SONO COSE PIÙ GRAVI. Spero che al Fatto perdonino pure me perché sto per criticarli malgrado scriva, e ne sia fiera, per quel giornale, ma non mi convince la difesa d'ufficio di Stefano Feltri, e cioè che su quella prima pagina c'era ben altro per cui indignarsi, altro che le cosce della Boschi: articoli sulla cacciata di Luca Mercalli da RaiTre, sui genitori che dopano i figli 12enni prima delle gare di ciclismo, sull'inferno di Aleppo. E cacchio, se mi tiri in ballo Aleppo scompare tutto, compresi Mercalli e i baby-Pantani.
Ma è come quando da piccolo non volevi mangiare il minestrone e ti dicevano «pensa ai bambini africani che muoiono di fame». Okay, se mangio il minestrone ne salvo qualcuno? E se non mi arrabbio per una vignetta dal titolo sessista oltre che banale, quanti bambini di Aleppo staranno meglio? E c'è tanta differenza con Salvini quando dice «io offendere la Boldrini? È lei che offende me con quel che dice»?
Vauro ha fatto di peggio
Ma sia pure. C'è ben altro, è vero. E sempre contro Boschi. Anzi, c'è stato, perché mi riferisco a una vignetta dello scorso aprile, stavolta firmata Vauro, dove il ministro, popputo e chiapputo come le segretarie nelle vecchie vignette di Playboy, si alza la gonna e «piscia in piedi» uno schizzo di petrolio.
Impazzava lo scandalo delle trivelle, con la Boschi «trivellata dai magistrati», scriveva Marco Travaglio. Metafora all'epoca resa molto meno innocente dall'elegante campagna «Trivella tua sorella», con una donnina stilizzata a quattro zampe, altro manifesto del nuovo movimento «Pecorecci per un'Italia migliore».
È come se l'impegno per la propria causa sdoganasse qualunque tipo di volgarità, compresa quella sessista, in nome di un bene superiore - o l'eliminazione di un male, che sia Renzi, i migranti, o le trivelle.
LA GIUSTA CAUSA DIVENTA UN ALIBI. Al tempo stesso, il bene superiore diventa un alibi per tornare impunemente in camerata col giornalino delle barzellette zozze. Solo che le protagoniste non sono più le prof culone, le segretarie ninfomani e le infermiere vogliose, ma l'avvenente ministro delle Ri(forme) o la presidente della Camera, l'equivalente di Boschi per la destra e la Lega: in quell'acredine sessista c'è molto più testosterone in esubero che ragionamento politico.
Qui sta la differenza fra le battute contro Boschi e Boldrini e il «pegno alla bellezza» di cui Michele Serra parla su Repubblica, a suo dire pagato anche da politici maschi attraenti come Pierferdinando Casini.
Ma ce ne corre fra l'irresistibile cameo del Pierferdy seduttore interpretato da Neri Marcorè 20 anni fa (non a caso in uno spettacolo coordinato da una donna, Serena Dandini), e le Boschi-Madia servette deficienti e sculettanti che apparivano negli sketch di Crozza.
ESSER BELLE È UN DOPPIO INGOMBRO. Se è vero che, come dice Serra, in Italia essere belli è «di evidente ingombro quando si è sul palcoscenico del potere», essere belle, e pure donne, è un doppio ingombro inammissibile, che scatena, sia a destra che a sinistra, tutti i «sognatori abbastanza privi di fantasia» che da ragazzi trovavano la «principale stimolazione dalla televisione e dalle barzellette sporche».

La definizione viene da La scuola cattolica di Albinati, fondamentale affresco sulla formazione dei giovani maschi italiani (non solo gli aguzzini del Circeo, che l'autore ha conosciuto da ragazzo). Libro indispensabile per capire lo stato delle cose. E delle cosce.




L'opinione di Staino per Repubblica

Staino e la vignetta su Boschi: "Impubblicabile, ma gli attacchi se li cercano"
Cosa pensa di quello "Stato delle cos(c)e" che tante critiche ha suscitato?
"Mi intristisce. Perché Mannelli è un grandissimo disegnatore, lo adoro, fa un lavoro bellissimo, ma come satirico non mi convince. Quella vignetta mi sembra inutile. È proprio brutta. Ci fosse un collegamento tra le cosce e le riforme, ma non c'è. E poi questo è un momento delicatissimo per le donne, per questo dico: "Ti ci metti anche te Mannelli?". Chiedi scusa e andamo avanti".



Su Twitter


la piantate di darci consigli ?,noi autori di satira siamo capacissimi di sbagliare da soli baci a tutti,un abbraccio particolare a Mannelli
Vincino









Su Ansa

"Adesso anche la satira politica scade nel sessismo? Eravamo abituati ad una funzione importante, utile ed irrinunciabile della satira politica, anche di quella più graffiante e 'cattiva'. Ora, non abbiamo nessuna intenzione di abituarci al suo scadere in un becero sessismo e, di conseguenza, alla sua inutilità". Così la Vice Presidente del Senato Valeria Fedeli commenta la vignetta di Mannelli pubblicata oggi sul Fatto quotidiano che ritrae la ministra Boschi. La vignette che ha per titolo "Riforme: Lo stato delle cos(c)e" raffigura la ministra mentre interviene munita di microfono, seduta su una sedia con un abito succinto che lascia abbondantemente scoperte le gambe accavallate. "Quando si cede al sessismo o alla volgarità - conclude Fedeli - la satira diventa qualcosa di diverso. E' una presunta satira che non fa ridere, è greve e persino imbarazzante".

Boldrini, uomini basta sessismo,siamo in 2016 - "Uomini basta sessismo, siamo nel 2016. Rinnovatevi anche nella satira. Solidarietà alla ministra Boschi". Lo scrive la presidente della Camera Laura Boldrini su twitter.

"La Venere di Mannelli"
Approvata dal Garante della Satira e dal MeBac.
Marco Tonus

giovedì 31 dicembre 2015

I posts più popolari del 2015

Amici cari grazie di avermi seguita anche quest'anno!
Il 2015 è stato un anno molto travagliato.

I posts più popolari del 2015
di Fany-Blog
Amici cari grazie di avermi seguita anche quest'anno!
Il 2015 è stato un anno molto travagliato.
Comunque abbiamo 242 posts editi.
Primo in classifica è L'EXPO di Dario Campagna
con un numero di visualizzazioni da grandi eventi
eccezionale 40.922 visualizzazioni


Primo in classifica è L'EXPO




Secondo: in ricordo di un disegnatore torturato ed ucciso





Terzo: il grande Banksy ed il suo Dismaland






Quarto: la crisi colpisce anche i cartoons

622

Quinto: in memoria degli amici di Charlie Hebdo






Sesto: Erdogan 




Settimo: il terremoto del Nepal





Ottavo: Tsipras e la Grecia





Nono: liberiamo Atena Farghadani




Decimo: cose turche













Undicesimo: siamo tutti Charlie







Dodicesimo: elezione di Mattarella






Tra i Concorsi 







Tra i Ciao










martedì 25 agosto 2015

Roma: Funerale Casamonica

Cenerentola non esiste
Funerali a Roma.
Mauro Biani



LO SCHIAFFO IN CARROZZA
Indubbiamente l'esagerazione dei funerali del boss Casamonica è stato un modo per far vedere chi comanda ancora  in quel quartiere romano. E magari fosse solo nel quartiere!
Uber

giovedì 20 agosto 2015

www.tvsvizzera.it : sCAMPAGNAta all'EXPO (1 puntata)


Dopo la mia avventura all'Expo, mi sono chiesta ma nessun cartoonista avrà documentato l'esposizione ? ... dopo un po' di ricerche ho trovato in esclusiva per la TVSVIZZERA il reportage di Dario Campagna.
Che dire, molto veritiero, ottimo!