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| Feggo, Vista del 4 luglio dal confine meridionale |
La mannaia di Trump sulla cultura americana, oltre la censura
Ne fa le spese anche Felipe Galindo, conosciuto come Feggo, artista messicano nazionalizzato americano
scritto da Thierry Vissol 19 Settembre 2025
Il desiderio di riscrivere la storia (o di scriverla) per valorizzare i poteri o le ideologie dominanti, imporre la propria visione della morale e l’adeguatezza dei comportamenti degli individui che vivono sotto il loro dominio, è antico quanto le società urbane organizzate attorno alla triade dei poteri politico-militari, economici, e religiosi.
È probabile che esistesse già da molto tempo nelle società senza scrittura che le hanno precedute, così come nelle società cosiddette primitive (intese come non occidentalizzate) studiate da oltre due secoli dagli etnologi attraverso i miti e le norme comportamentali. In Europa, il Calvinismo e la sua applicazione moralizzante nella Repubblica di Ginevra hanno introdotto nel Seicento una nuova forma dittatoriale di controllo sociale, da cui derivano prima il puritanesimo anglosassone e poi, a partire dagli anni Venti del secolo scorso negli Stati Uniti, i preludi del movimento woke, con vere e proprie guerre culturali volte a imporre il dominio di un politicamente corretto cioè di un ethos culturale e morale corrispondente a una visione puritana del mondo.
La guerra culturale american (e non solo): woke versus MAGA
Dalla sfera della cultura, i temi nel tempo si sono allargati all’aborto, all’omosessualità, ai diritti dei transgender, alla pornografia, al multiculturalismo, ai punti di vista razziali e ad altri conflitti basati su valori, moralità e stili di vita. Assumerà una dimensione mondiale con i movimenti identitari e le campagne come #metoo e #blacklivesmatter. Diffusa grazie alla cassa di risonanza degli social network, si è quindi creato, prima negli USA per decenni, poi anche nel resto del mondo occidentale democratico, una Doxa vittimistica nella quale la diversità è ridotta al colore della pelle, al genere, alla religione o all’orientamento sessuale.
Nessuno può mettere in dubbio la legittimità delle battaglie contro le discriminazioni, contro il sessismo e la misoginia, il razzismo, le disuguaglianze, né l’importanza politico-sociale di permettere alle minoranze di esprimere i loro disaggi e le loro rivendicazioni che non vengono prese in considerazione dai politici e dai media mainstream. Tuttavia, è incomprensibile il conflitto che si è creato tra wokisti e antiwokisti.
Non si può fare finta che la Cancel culture non sia l’espressione della rabbia di una popolazione emarginata che non ha altra possibilità di fare sentire se non con internet. Una popolazione stufa della passività delle istituzioni e delle autorità di fronte al razzismo, all’ingiustizia sociale, al sessismo, all’omofobia, alla transfobia. Una rabbia esacerbata da coloro che esprimono il loro disaccordo, disgusto o addirittura il loro odio nei confronti di queste minoranze.
Di fatto questi eccessi sono contrastati da eccessi inversi, condanne e repressioni. Ognuna delle parti in causa si considera come quella buona e gli altri sono sempre e solo i cattivi, pervertiti sociali o malati di mente, a seconda di chi si esprime. Questo mette in luce la contraddizione esistente tra la volontà di sembrare culturalmente corretto, in linea con i messaggi delle minoranze razziali o di orientamento sessuale, promossi dai movimenti woke e la realtà vissuta da una grande parte della società che si sente tradita e abbandonata dall’esagerata attenzione data a questi movimenti al discapito delle sue difficoltà nella sua vita quotidiana (povertà, disoccupazione, mancanza di servizi pubblici, sicurezza sul lavoro, educazione, paura della concorrenza degli immigranti, terrorismo islamico…).
Questa riduzione del mondo in buoni (autocertificati) e cattivi (da rieducare) ha spinto a destra molti liberali americani e sta contribuendo al successo politico e culturale di Donald Trump e dei MAGA. Il rischio è che cominci ad avere gli stessi effetti nel resto dell’Occidente.
Dall’inizio del suo secondo mandato, il presidente Trump vuol mettere a tacere ogni opposizione politica e riscrivere la storia americana in chiave patriottica, ovvero sradicare la diffusione dell’ideologia woke e l’ideologia di sinistra dei democratici al quale l’ha associata perché ha promosso questa ideologia corrosiva. Lo afferma chiaramente in un Ordine Esecutivo del 27 marzo 2025, intitolato Ripristinare la verità e la saggezza nella storia americana.
«Suo obbiettivo è chiaramente definito. Negli ultimi dieci anni, gli americani hanno assistito a uno sforzo concertato e diffuso per riscrivere la storia della nostra nazione, sostituendo fatti oggettivi con una narrazione distorta guidata dall’ideologia piuttosto che dalla verità. Questo movimento revisionista cerca di minare i notevoli risultati raggiunti dagli Stati Uniti mettendo in cattiva luce i suoi principi fondanti e le sue pietre miliari storiche. In base a questa revisione storica, l’eredità senza pari della nostra nazione in termini di promozione della libertà, dei diritti individuali e della felicità umana viene ricostruita come intrinsecamente razzista, sessista, oppressiva o comunque irrimediabilmente imperfetta. Anziché promuovere l’unità e una comprensione più profonda del nostro passato comune, lo sforzo diffuso di riscrivere la storia approfondisce le divisioni sociali e alimenta un senso di vergogna nazionale, ignorando i progressi compiuti dall’America e gli ideali che continuano a ispirare milioni di persone in tutto il mondo».
Questo ordine esecutivo fa seguito ad altri tre, con lo stesso orientamento ideologico antiwoke, firmati da Trump il giorno del suo secondo insediamento come presidente degli Stati Uniti, il 20 gennaio 2025: l’ordine esecutivo 14151, intitolato Porre fine ai programmi radicali e dispendiosi del governo DEIA (Diversità, Equità, Inclusione e Accessibilità) e alle preferenze; l’ordine esecutivo 14168, intitolato Difendere le donne dall’estremismo dell’ideologia di genere e ripristinare la verità biologica nel governo federale, e l’ordine esecutivo 14172, intitolato Ripristinare i nomi che onorano la grandezza americana.
A questi ordini hanno fatto seguito azioni concrete come la nomina del vicepresidente J.D. Vance al Consiglio di amministrazione della Smithsonian Institution, poi con il suo ordine di missione: esaminare i contenuti della Smithsonian alla ricerca di ideologie «improprie, divisive o antiamericane». Di fatto, per Trump: «Un tempo ampiamente rispettata come simbolo dell’eccellenza americana e icona globale dei risultati culturali, la Smithsonian Institution è stata, negli ultimi anni, influenzata da un’ideologia divisiva e incentrata sulla razza. Questo cambiamento ha promosso narrazioni che descrivono i valori americani e occidentali come intrinsecamente dannosi e oppressivi».
Perché tanto accanimento contro l’istituzione culturale più prestigiosa degli Stati Uniti?
Fu creata grazie alla donazione del suo patrimonio agli Stati Uniti da parte di un ricchissimo scienziato britannico, John Smithsonian, per fondare «a Washington, con il nome di Smithsonian Institution, un istituto per l’incremento e la diffusione della conoscenza». La donazione fu approvata dal Congresso nel 1836 e, il Senato degli Stati Uniti approvò la legge che istituiva la Smithsonian Institution, firmata dal presidente James K. Polk nel 1846. Da allora, è diventata la più grande struttura di cultura e di ricerca storica degli USA, con ventuno musei o gallerie direttamente collegati all’istituzione, e diversi centri di ricerca. Organizza mostre temporanee, conferenze e altri eventi occasionali. Infine, condivide i suoi tesori con oltre 90 altri musei in ventitré Stati diversi. Uno dei problemi principali di Trump è che l’Istituzione sia un covo di democratici: al 4 agosto 2025, il suo consiglio di amministrazione era composto da 10 membri democratici, 5 repubblicani (tra cui il vicepresidente Vance) e 2 indipendenti.
Tra i musei, quattro sono considerati da Trump come i più pericolosi perché i loro contenuti potreberro presentare «narrazioni divisive, escludendo i ricchi, bianchi e maschi». Se quasi tutti i musei sono sotto critica, quattro di loro sono considerati come i più pericolosi. Tra questi ci sono: il California African American Museum (CAAM) di Los Angeles, inaugurato nel 1984 e dedicato alla storia e al contributo culturale degli afroamericani nell’America occidentale; il National Museum of the American Indian, fondato nel 2004, dedicato alla storia, alla cultura e alle arti degli indiani nordamericani; il National Museum of African American History and Culture o NMAAHC fondato nel 2003.
Tuttavia, per Trump, il più pericoloso sarebbe il futuro National Museum of the American Latino, la cui la creazione è stata decisa dal Congresso nel 2020. Questo museo intende dimostrare che la storia dei latinoamericani fa parte della storia americana, tanto più che essi, 63,7 milioni, rappresentano il 19% della popolazione. Numerose istituzioni hanno reso il bilinguismo inglese-spagnolo una norma sui loro siti web ufficiali, come il governo, l’FBI, Medicare o la Biblioteca Nazionale di Medicina. In attesa della sua inaugurazione, è stata aperta nel giugno 2022 una galleria temporanea, la Molina Family Latino Gallery, in un altro museo dello Smithsonian, il National Museum of American History, con una mostra intitolata ¡Presente! A Latino History of the United States che doveva durare fino a novembre 2025.
A seguito della missione affidata al vicepresidente Vance, Trump ha firmato un nuovo ordine esecutivo il 21 agosto 2025 intitolato Il presidente Trump ha ragione riguardo allo Smithsonian, un promemoria in 26 punti che mira a correggere i contenuti delle mostre e di altri programmi. Il suo bersaglio sono le opere d’arte e le mostre volte a educare il pubblico su «una società che privilegia i bianchi e la bianchezza», perché definiscono la cosiddetta «cultura dominante bianca» come «il modo in cui i bianchi, le loro tradizioni, i loro atteggiamenti e il loro stile di vita sono stati normalizzati nel corso del tempo» e descrivono «la famiglia nucleare», «l’etica del lavoro» e «l’intelletto» come qualità bianche radicate nel razzismo. In sintesi, Trump sta compiendo il primo passo per cancellare la teoria critica della razza, le storie LGBTQ+ e altre narrazioni che ritiene antipatriottiche.
L’ordine esecutivo elenca una serie di mostre e opere d’arte (con riproduzioni fotografiche) che devono essere chiuse o rimosse dall’esposizione che sia nella National Portrait Gallery, nell’American History Museum, nel National Museum of African Art, nel National Museum of the American Latino, Museum of American Art.
È così, la mostra Sulla storia latina degli Stati Uniti, prima citata, è stata smantellata a fine agosto, tanto più che era illustrata dal quadro in coda a questo articolo, realizzato dal nostro amico Felipe Galindo, conosciuto come Feggo, artista messicano nazionalizzato americano. Raffigura dei migranti che guardano i fuochi d’artificio del Giorno dell’Indipendenza «attraverso un’apertura nel muro di confine tra Stati Uniti e Messico».
Secondo l’ordine esecutivo è divisiva perché afferma che i fondatori dell’America «temevano l’immigrazione non bianca». Una realtà storica, pure, per i WASP (White Anglo-Saxon Protestant) di tutti i tempi, ma una realtà storica che i MAGA non vogliono accetare. Il testo che commenta questo dipinto, in una sezione della mostra intitolata Paura e pregiudizio, non fa altro che riconoscere questa lunga e documentata storia: «Molti politici statunitensi, a partire da Benjamin Franklin, hanno temuto l’immigrazione non bianca. Anziché essere riconosciuti come costruttori di comunità, gli immigrati latinoamericani sono talvolta descritti come invasori. Molti hanno rischiato la vita per immigrare perché credono negli ideali statunitensi quali la democrazia, l’uguaglianza e le opportunità».
Feggo ha creato questa immagine nel 1999, da allora è stata esposta e riprodotta ampiamente. Faceva parte della sua serie Manhatitlan: Mexican and American Cultures Intertwined (Manhatitlan: culture messicana e americana intrecciate), un progetto con opere su carta, animazioni e un libro e che ha ricevuto numerosi premi ed è presente in molte collezioni private e pubbliche, tra cui la Biblioteca del Congresso.
L’elenco delle «opere d’arte discutibili» presentato in questo decreto esecutivo – e successivamente ritirate dalle sale espositive di diversi musei – ricorda gli anni bui e difficili in cui Adolf Hitler decise di eliminare dai musei tedeschi quelle opere d’arte che definiva «arte degenerata».
Siamo molto lontani dalla missione del Museo Nazionale di Storia Americana descritta sul suo sito web: «La nostra missione è quella di consentire alle persone di creare un futuro giusto e compassionevole attraverso l’esplorazione, la conservazione e la condivisione della complessità del nostro passato».

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