Ovulo lì, cartello ulula…
Anni 70/80: mi sposai sui 20 anni, ma scelsi di diventare madre a 30. La nascita di mia figlia fu per me la “cosa” nella mia vita più bella e straordinaria. Oggi per una madre avere il primo figlio a 30 anni è norma. Negli anni 70/80 la donna (potenzialmente madre) di 30 anni, anche se ancora lottando molto più dell’uomo potenzialmente padre, poteva naturalmente armonizzare il suo -se desiderato- bisogno d’essere madre con il suo -se desiderato- bisogno di “carriera” sociale.
Oggi nel primo ventennio dei 2000 le è praticamente impossibile, impedito, vietato. La trentenne di quest’epoca vaga tra le porte bloccate della provvisorietà, si sbatte nei labirinti dell’incertezza, è costretta a inserirsi nel sistema (altrimenti detto cartello) know-how: dunque deve saper fare e saper essere. Sapere?! E il suo essere e basta, per naturale DNA, lo buttiamo nel cesso?!
A 40 anni la donna d’oggi è la trentenne del mio ieri, ma è il suo apparato riproduttivo che sta ancora fermo a quella natura dell’essere più che del sapere. Lui s’è bloccato “ai tempi andati”, ovvero: a 40 anni produce assai meno ovuli che a 30 e da lì a circa 10 anni li finisce proprio (cfr menopausa) E’ perciò naturale (termine che oggi pare esser diventato turpiloquio) che le quarantenni trovino più difficoltà delle 20/30enni a “innestare” il primo figlio.
Stando così le cose mi sento, a differenza dei soloni sociologi che li trattano come Frankenstein Junior new generation, d’abbracciare i padroni Facebooke Apple. ‘Sti qua offrono alle loro dipendenti (mica solo alle femmine top manager, ma proprio a tutte) la possibilità a gratis di congelare i loro ovuli nel fresco della loro potenzialità. (NB: in proprio costerebbe un patrimonio). Per quanto crudo e impattante possa sembrare questo “tecnico supporto” al momento i due planetari signori indiscussi del virtuale sono i soli a dimostrare una qual sensibilità non ipocrita verso tutte le donne che vogliono semplicemente essere madri, ma che sostanzialmente oggi sono costrette a rinunciarvi fin dal concepimento dell’idea. Senza il congelamento degli ovuli potrebbero essere costrette a rinunciarvi del tutto e per sempre.
Se proprio-proprio vogliamo indagar su mostri (junior o senior che siano) non è su questi che dobbiamo lavorare, ma su quelli che li hanno preceduti…
16 ottobre 2014
Eggs Benefit
By
John Darkow, Columbia Daily Tribune, Missouri - 10/17/2014
Ovulo in carriera
MASSIMO GRAMELLINI
La notizia: una donna giovane che, lavorando in Apple o in Facebook, non avesse intenzione di interrompere l’arrampicata professionale con i prodromi e i postumi di una gravidanza potrà congelare gli ovuli a spese dell’azienda. La prima sensazione: ammirata, in linea con l’immagine di progresso che quei marchi sapientemente diffondono. Il consiglio: diffidare della prima sensazione.
Dietro lo specchio per tordi della pubblicità, Apple e Facebook sono imprese con una visione totalitaristica del lavoro. Mi sentirei di escludere che ai loro giovani ma già scafatissimi manager interessi il risvolto umano delle dipendenti, tranne forse delle più brave, ma solo perché temono di vederle passare alla concorrenza. Quella che viene sbandierata come un’opportunità è una forma sottile di condizionamento. Per una lavoratrice sarà ancora più difficile compiere la scelta della maternità, in presenza di un’alternativa offerta dall’azienda e di colleghe che ne usufruiranno allo scopo di sorpassare le altre. Come tante innovazioni spacciate per ampliamento delle libertà, anche questa rischia di ampliare solo la competizione: non quella - benedetta - che si basa sul merito, ma quella fondata sulla compressione dei diritti naturali. Non stupisce che due aziende che dell’insinuarsi nelle vite altrui hanno fatto la loro ragione sociale cerchino di insinuarsi in quella delle loro dipendenti. L’unica magra consolazione è che non riusciranno a farlo con le nostre: in Italia le donne giovani rinunciano a diventare madri non perché hanno troppo lavoro, ma perché non riescono a trovarne uno.