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domenica 23 marzo 2014

L'EGO di Renzi e la similitudine con Silvio


L'EGO
di fabiomagnasciutti




La sinistra diventa pop
13/03/2014
Anche ieri la mia parte snob ha provato a resistere al dolce stil novo del monello di Firenze. Ha sorriso schifiltosa alla vista dei cartelloni, una via di mezzo tra una pubblicità Esselunga e il catalogo Postalmarket, con cui la giovane marmotta di Palazzo Chigi andava annunciando le offerte speciali del governo.

Ha scosso imbarazzata la testa davanti ai suoi giochi di parole - la svolta buona, usiamo i fondi per non toccare il fondo - che costringeranno l’imitazione di Crozza a ritirarsi per concorrenza sleale. Si è addirittura ribaltata sulla scrivania ascoltando il premier del suo Paese arringare i cronisti con un tono che ricordava le televendite col risucchio di Roberto «Baffo» da Crema, ma più che altro gli interventi del Comitato nei giochi a premi di Magalli.

Le auto blu all’asta, la foto di un carrello della spesa al posto dei diagrammi soporiferi di Monti e la strepitosa, surreale lista dei provvedimenti di cui «non» avrebbe parlato. Stentava a credere, la mia parte snob, che l’autore di quello show del mercoledì sera fosse l’ultimo erede della tradizione socialista: da Matteotti a Matteo, titolerebbe lui.

Al confronto, il contratto con gli italiani di Berlusconi mi è volteggiato nella memoria come una scrivania piena di polvere risalente all’età di De Gasperi.

Ma, al pari di tutti, anch’io custodisco una parte più semplice, che dopo tanti sospiri e lacrime desidera illudersi che questa sia davvero la volta, pardon, la svolta buona. Ed è a questa parte semplice che si rivolgeva ieri quel diavolaccio di un fiorentino. A differenza dei suoi recenti predecessori, se ne infischiava dei politici, dei mercati e dei giornalisti. Parlava direttamente agli elettori. E con un linguaggio smaccatamente di destra diceva cose abbastanza di sinistra. Anzi, le cose più di sinistra che abbia mai detto in Italia un premier di sinistra: più soldi in busta paga ai poveri, più tasse sulle rendite finanziarie. E le diceva mettendo nella voce un ardore così diverso dall’umore medio dell’italiano medio che di questi tempi, quando non urla, riesce soltanto a mugugnare.

Renzi vendeva sogni come Berlusconi, eppure persino la mia parte snob deve riconoscere che non era Berlusconi. Altrettanto furbo, ma molto più politico. Se l’antico Silvio si lamentava che il presidente del Consiglio non potesse decidere nulla, l’imberbe Matteo emanava bullismo rassicurante da tutti i nei. E i suoi sogni, dopo lungo peregrinare, atterravano finalmente su una realtà fatta di cifre e di date. A tarda sera le due parti di me stesso hanno trovato l’accordo su un punto inequivocabile: dopo vent’anni di politica al servizio della pubblicità, con questo tipetto che promette o minaccia di durare altrettanto è la pubblicità a essersi messa al servizio della politica.
Gramellini





Renzi PSE
Portos

 un uomo di mondo, sa...
Riccardo Mannelli


Gianfranco Uber


C'era una svolta
La conferenza stampa di Renzi con slide (diapositive).
Mauro Biani



Il piano economico
Natangelo


La canzoncina di Renzi
Natangelo


CeciGian



Nico Pillinini


di Tiziano Riverso



La vignetta di Giannelli


La vignetta di Giannelli


SCHIZORENZI!
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L’Editoriale a Fumetti di oggi è visionabile anche sul mio Spazio Flickr QUA:
http://www.flickr.com/photos/moisevivi/12519400704/
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…e sulla rubrica “MoisEditoriali” di afNews QUA:
http://www.afnews.info/wordpress/2014/02/14/schizorenzite-perniciosa/
Moise


INQUIETANTI ANALOGIE..........
Pietro Vanessi (PV)


Il metodo Renzi

Vukic 




Matrioska - dal Vernacoliere di Febbraio.
Romaniello
IFIORIBLU: evolution man
http://www.ifioriblu.it/marzo14.html


RitrattoMauro Biani


 Renzi è come Berlusconi?
 

Di Ferdinando Camon
 
Da destra lo dice Fedele Confalonieri, amministratore delle aziende di Berlusconi: “Renzi è un Berlusconi con quarant’anni di meno”. Da sinistra lo dice Paolo Ferrero, di Rifondazione Comunista: “Renzi non è di sinistra”. È così? Renzi è un altro Berlusconi, più giovane, ma con molti lati in comune? Sta a sinistra, ma in realtà è un destrorso travestito? Vediamo.
Anzitutto, affrontiamo il dubbio di Paolo Ferrero. Ferrero da un governo di sinistra si aspetta una manovra radicale, che secondo lui metterebbe fine alla continua proliferazione di tasse: un prelievo dai maxi patrimoni, la famosa patrimoniale. È una tassa calcolata sul patrimonio del contribuente, non sul reddito. Sulla ricchezza che sta “ferma”, non su quella che viene creata. Su queste richieste della ultra-sinistra bisogna fare due ragionamenti: qui c’è anche un’idea punitiva della grande ricchezza, che in una democrazia di tipo europeo-occidentale è improponibile; noi abbiamo nel governo anche partiti che rappresentano le classi abbienti, la storia impone un equilibrio o compromesso, chiamatelo come volete, e le richieste di una tassazione punitiva sulle grandi ricchezze costituiscono un margine ideologico che la storia in questo momento non permette di realizzare. Forse Ferrero non ha torto, ma è fuori della storia. Per essere di sinistra, bisogna essere fuori della storia? Dal Pci al Pds al Ds al Pd, l’Italia lo ha sempre creduto. E sbagliava. Non può continuare così. Renzi è la rottura. Essendo la rottura di questa idea di sinistra, è la rottura della linea che dal Pci al Pd manteneva al potere sempre gli stessi nomi. Renzi è un esterno. Essendo un esterno, è odiatissimo dall’interno, dove stanno D’Alema-Civati-Cuperlo-Zanonato. L’interno sa benissimo che, se il suo potere s’interrompe adesso, s’interrompe per sempre. Renzi è dunque una nuova sinistra. La vecchia sinistra parlava come partito, Renzi parla come uomo. Il partito ci metteva l’ideologia, Renzi ci mette la faccia. L’ideologia è di tutti, la faccia è personale. Renzi fa politica come persona. Lo stesso faceva Berlusconi. Berlusconi conquistò il potere promettendo un nuovo miracolo italiano, in un momento in cui la sinistra parlava di disoccupazione. La sinistra era funebre, Berlusconi era gioioso. Lo stesso oggi: la sinistra fa discorsi sul default, Renzi fa discorsi sulla rinascita. Per la sinistra la ripresa chissà quando verrà, forse mai. Per Renzi è cominciata. La casta politica è corrotta, i partiti sono fonti di corruzione, nella mente del popolo, e il Pd è un partito, mentre Renzi è un uomo che si muove da solo. È diventato sindaco quando il partito non lo voleva neanche alle primarie. La richiesta del popolo a Berlusconi era: “Tu sei ricco, non importa come, facci ricchi, e non importa come”. La richiesta a Renzi è diversa: i partiti sono immobili e ci lasciano morire, tu cerca di correre e tiraci fuori. L’offerta di Berlusconi, “farò un miracolo”, era stupefacente come oggi quella di Renzi: “Gli altri vi tolgono denaro, io darò 1.000 euro a dieci milioni di voi”. Berlusconi andava in tv, Renzi va nelle scuole. Le tv sono il medium del dopo-lavoro, dopo-cena, uno strumento per la borghesia che sta bene e una sotto-borghesia che vuole star bene. La scuola è un luogo di disagio: ci vive una categoria di lavoratori col titolo di studio più alto, la laurea, ma con lo stipendio più basso. Berlusconi li odiava perché li accusava di essere di sinistra, che nel suo sistema voleva dire anti-stato, anti-sociali, anti-progresso. Nessun altro premier di sinistra andava per scuole. Renzi è una novità, e tra le cose nuove che fa, fa una nuova sinistra. A dire che non è di sinistra sono quelli della vecchia sinistra, che sta morendo con mezzo secolo di ritardo. Mentre Renzi va in Europa, Berlusconi sta per andare ai domiciliari o ai servizi sociali e chiede una raccolta di firme per salvarsi: è condannato per frode fiscale, cioè per furto a noi, il che significa che la richiesta del popolo che lo votava, “fatti ricco ma facci ricchi”, lui l’ha rovesciata nel contrario: s’è fatto ricco rubando al popolo.
17 marzo 2014
(fercamon@alice.it)



Renzi cambiaverso
Natangelo

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Governo Renzi

martedì 4 marzo 2014

Gli Oscar 2014 e La Grande Bellezza

E...  l'Oscar per il miglior film straniero dopo 15 anni torna in Italia grazie a La grande bellezza di Paolo Sorrentino: a lui e a tutto il team creativo e produttivo del film i migliori complimenti della  nostra redazione.
di Olimpia De Angelis


......complimenti e orgoglio!
Pierpaolo Perazzolli

La grande bellezza, recensione della recensione
Mauro Biani


"THAT'S AMORE! - Oscar 2014, trionfa La Grande Bellezza"
Fran De Martino



Tiziano Riverso


Ci disegnano così
Massimo Gramellini
04/03/2014
Ma ti pare possibile, sospirava al telefono un amico dopo l’Oscar a «La Grande Bellezza», che per gli altri noi siamo sempre e soltanto la nostalgia del passato, la decadenza infinita, i monumenti che cadono, i mosaici che si scrostano, l’antica Roma e la Roma dei papi, entrambe manipolate nel ricordo e inscatolate dagli stranieri dentro una sequela di luoghi comuni? Ti pare possibile che di un’Italia senza gladiatori, pizzaioli, pittori, mandolinisti, tenori, sarti, ruffiani, avvelenatori rinascimentali e playboy della mutua non interessi niente a nessuno? Ti rassicura questo rinchiuderci in un eterno cliché per compiacere i pregiudizi degli altri nei nostri confronti?

A tutte e tre le domande di quell’italiano riluttante ho risposto con un semplice monosillabo. Sì. L’autorevolezza in certi ruoli non si improvvisa. Noi per gli altri siamo ciò che venticinque secoli di storia hanno stabilito che fossimo: depositari distratti della grande bellezza e custodi approssimativi della memoria universale. Quando ci riusciamo, anche costruttori di benessere. Anni fa, alla delegazione tricolore che durante la visita a un importante organismo internazionale si lamentava perché nella struttura lavoravano dirigenti di ogni nazionalità tranne che della nostra, il direttore generale replicò sorpreso: «Vi sbagliate. Agli italiani abbiamo affidato un settore assolutamente cruciale: il catering».

 "Grazie alle mie fonti di ispirazione: i Talking Heads, Federico Fellini, Martin Scorsese, Diego Armando Maradona. Mi hanno insegnato tutti come fare un grande spettacolo." (P. Sorrentino)
Sorrentino
di Gianni InkyJohn

Gambardella
InkyJohn





Omaggio a Paolo Sorrentino...
...vincitore del Premio Oscar 2014 come miglior film straniero.Paride Puglia


Oscar Sorrentino
Bucnic


L'onorevole Brunetta non ha visto "La Grande Bellezza"
Fulvio Fontana

Lino Casadei

3 marzo 2014, ore 17
Roma sprofonda in Italia, ma vince nel mondo
Di Ferdinando Camon
Romano-napoletano al 100 per 100, “La Grande Bellezza” ha vinto il più mondiale dei premi, l’Oscar, e adesso tutti quelli che non l’han visto correranno a vederlo. E questa è decadenza, ignoranza artistica, mancanza di autonomia culturale, di cervello. Proprio quello che il film denuncia. Non si va a vedere un film perché ha vinto un premio, ma perché è un grande film o tratta un grande tema. “La Grande Bellezza” non è un grande film, ma tratta un grande tema, e il grande tema è Roma. Non è il film che ha vinto l’Oscar, è Roma. La capitale più gloriosa e corrotta, splendida e lurida, mistica e postribolare, piena di storia e di miseria ad ogni metro. Esci dalla stazione Termini e dopo 80 metri t’imbatti nelle mura di Tarquinio e Servio, sei secoli prima di Cristo, ma se non stai attento sbatti le scarpe sulla testa dei barboni insaccati dentro i cartoni, gli sbucci il cranio e loro non protestano, non sanno neanche se sono vivi o morti. L’umanità variopinta che incontri dalla stazione Termini al Colosseo o a San Pietro riunisce tutto il peggio e una particella del meglio dell’umanità. Ricchi sfondati che non hanno mai lavorato per nessuno e hanno sempre fregato tutti, puttane moleste che si offrono di sera e di mattina, politici che sono razzialmente diversi dagli umani, lavoratori dei ministeri e delle partecipate, dipendenti o impiegati che non hanno mai visto un padrone, una fabbrica, un orario, un cartellino da timbrare. Per questa umanità che sembra discesa pari pari dalla decadenza di un impero mondiale morto 1500 anni fa, tutto ciò per cui il resto dell’umanità vive soffre o gode è diverso, da Dio al sesso, dal denaro alla morte, dalla santità al puttanesimo. La vita è “dolce” se è senza etica, senza Dio, senza valori, se tu uomo animato vivi come un animale senz’anima: lo sapeva Fellini e la sua “Dolce vita” è un film disperato e straziante, un pianto o un urlo, lo sa Sorrentino e la sua “Grande Bellezza” è un film cinico e irridente, ateo e miscredente, bello di una bellezza di plastica, che oggi è l’unica vera natura. Perfino Sabrina Ferilli sembra di plastica, come una bambola gonfiabile, dalle misure standard. Per non parlare del protagonista Jep Gambardella, che approda a Roma a ventisei anni, stessa età in cui vi giunse Fellini, solo che Fellini era un provinciale e imparava tutto, mentre Jep sa già tutto. Fellini veniva da Rimini, più a Nord, Jep viene dal Vomero e da Posillipo, più a Sud, ed è un dandy, che è il Superuomo nell’incarnazione della decadenza italiana. Lezioso, danaroso, viveur da salotti e terrazze, che a Roma significa vista sul Colosseo. Sotto la vista del Colosseo, dove venti secoli ti guardano, si gode, che non significa più si scopa ma si sniffa, la dea che ti porta sulle sue ali dalla vita mondana alla super-vita extra-sensoriale è la cocaina, tu la tiri su per il naso e lei ti tira su nel mondo dove sei quel che vuoi. La terrazza con vista sul Colosseo è un incrocio di vite, da qualunque parte vengano i protagonisti minori passano di lì. Verdone buffo e sbruffone più del solito, il guru del botulino sempre con la siringa in mano, la missionaria santa, che ti domandi se è vera o falsa, e non sai quale scegliere, la girandola di artisti che vanno a Roma per sentirsi artisti, i prelati di cui Roma è piena, e per cui è la Città Santa ma querelata dai tribunali di mezzo mondo. Si ballano balli frenetici dal ritmo duro, stordenti come un’altra droga, per cui la folla degli ospiti ondeggia su e giù come sugheri sul mare. Lo scopo della vita è “la festa”, per cui si vive se si va alla festa, ma si super-vive se si è padroni della festa: Jep dichiara “volevo il potere di fare le feste e farle fallire”, che è come dire godere e rovinare il godimento agli altri. Quando dalla terrazza s’inquadra il Colosseo, non capisci se la Grande Bellezza è quella di venti secoli fa o questa di oggi, o il trapasso da quella a questa, o la convivenza delle due. A Los Angeles i premi più importanti per il cinema, i produttori, i registi, gli attori si assegnano nel teatro più kitsch e nella strada più pacchiana del mondo. Si vince se si ha la “forza” di vincere, forza mediatica, mitica, strategica. Roma ha questa forza. Abbiamo vinto per merito di Roma. Una capitale che all’estero esercita un fascino immenso che noi non sentiamo più perché siamo depressi, smemorati, drogati di nullismo. Le città che nel mondo hanno un decimo dell’arte che ha Roma, richiamano turisti dieci volte più di Roma. E lo stesso vale per Napoli, Amalfi, Pompei, Agrigento, Firenze, Venezia… Il nostro Paese è zavorrato di problemi che lo fanno sprofondare. Ma la colpa non è del paese. È nostra. (fercamon@alice.it)

Links:
La bellezza dell’Oscar (Curzio Maltese).

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Gli Oscar 2014: i protagonisti ed il 'selfie'

martedì 12 novembre 2013

Berlusconi: "I miei figli come ebrei sotto Hitler". Battuta infelice, si ma pubblicitaria.

 
La figura retorica di B.
Che desolazione.
Mauro biani


"I figli di Berlusconi come gli ebrei."
 "I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso", ha detto il Cavaliere parlando di quello che, a suo avviso, è un attacco a 360 gradi alla sua persona, dopo che Vespa gli aveva chiesto se fosse vera la proposta dei figli di vendere tutto, in una anticipazione del prossimo libro.

mercoledì 25 aprile 2012

25 APR 2012 Festa della Liberazione

Marilena Nardi
Per "Il fiore del Partigiano (ANPI)


Perché continuiamo a celebrare la Resistenza?

Per una ragione sola, essenziale e profonda, la ragione che collega il passato al presente: perché vogliamo ricordare il progetto per cui tanti giovani di vent’anni sono morti nel 1943-45. I nomi degli individui sono ormai freddi, come la pietra nella quale sono incisi: ma le ragioni per cui sono morti, il sistema di valori per cui si sono battuti, la prospettiva che ha animato le loro scelte, sono ancora vivi perché stanno a fondamento della nostra democrazia.

Gianni Oliva da La Stampa



Fogliazza - ANPI



Il 25 aprile, storia non leggenda

di Nadia Redoglia
Qualcuno ha appiccicato sui muri romani che “gli eroi son tutti giovani e belli”. Probabilmente appartengono ai leggendari nostalgici “figli della lupa” (no, Verga non c’entra). Gli è che sono rimasti fermi al “Natale di Roma” festa nazionale fascista che inglobava anche quella dei lavoratori il 21 aprile dal ‘24 al ‘45, anno in cui fu abolita e solo più ricordata per Romolo che, ammazzando Remo e razziando fanciulle, fondò la città eterna. Giovane lo era. Ma eroe non ci risulta: non è mai stato in galera, né ha mai fatto lo stalliere, sicché…
Ma perché ‘sti nostalgici hanno scopiazzato un brano di Guccini? (!) E’ un pezzo semmai buono per festeggiare lo storico 25 aprile ancora (per ora) in vigore e che ricorda proprio la liberazione dai nazi/fasci. In quel tempo ci furono sì giovani eroi! Quelli veri. Ci stava pure qualche stalliere, ma in galera ci finiva non perché era un criminale mafioso o amico di mafiosi, ma solo perché era nemico di quelli che volevano far abortire il “natale” della Libertà.
Due “natali”, magari… insieme per l’Italia? No grazie.
 24 aprile 2012




Liberazione e Costituzione
E’ festa, e io la rimetto. Tra l’altro, confesso, inizialmente nata per l’inserto di “Mamma!” per “I Siciliani” (come vedasi, e il nuovo numero uscirà tra poco). Poi ha fatto vari giri anche involontari. Orgoglio. Buon 25 aprile di Liberazione a tutti.
Mauro Biani 

"Attraverso le finestre guardi le stelle che vanno per il cielo, come i tuoi ricordi, le tue fantasie. Paesi lontani, amici, cose vissute o lette, poesie che ricerchi. I giorni di ieri, lontani, e quelli di oggi. La morte. Il tempo va via lento o frettoloso; non sai se sono passate ore o pochi minuti. L'alba non rischiara. Vorresti uscire dal letto, rivestirti e affrontare il freddo, la notte stellata e la montagna per incontrare le persone care, le fanciulle amate, i compagni. Una lunga fila di volti".
Di Mario Rigoni Stern (il sergente delle nevi)



quando c'è l'insaputa c'è tutto
fabio magnasciutti



Gli indifferenti
CeciGian


Libertà
CeciGian



Un bambino faceva le bolle di sapone
dalla finestra quando mi fucilarono
Sulla piazza piantata di alberi senza nome,
una mattina deserta con poco sole
tra i rami secchi che non trattenevano le voci,
tra quinte grige di imposte sprangate
oscillavano effimere formazioni, grappoli
subito disfatti in acini trasparenti.
Un bimbo, solo una tenera macchia viva
In un rettangolo nero,
c'era un vasetto rosso sul davanzale,
la sola cosa rossa di quel giorno tutto grigio,
io non potevo vedere i suoi occhi
sentivo la sua anima appendersi dondolando
in cima alla cannuccia di paglia,
staccarsi con un brivido, volare in silenzio,
trattenere il fiato per pregare il vento,
attraversare il poco sole in punta di piedi,
rapita in una smorfia di felicità.
I miei carnefici gli voltavano le spalle,
nessuno di loro potè vedere le sue mani
sollevarsi in adorazione quando una bolla
più gonfia,la più bella di tutte,
partì dal davanzale come un pianeta di cristallo
e prima di scendere salì verso il tetto
come una preghiera, come una favola,
piena d'ogni dolcezza che non si può perdere,
intatta e vera per il suo tempo giusto,
non ci sono abbastanza plotoni d'esecuzione
in questo mondo e in ogni altro
per fucilare tutte le bolle di sapone.

(Gianni Rodari, Fucilazione)


auguri alla nostra povera Repubblica...Tiziano Riverso



Venticinque Aprile
Nico Pillinini


Paride Puglia

FESTA DELLA LIBERAZIONE
PRIVILEGIO
DI TUTTI

UMBERTO FOLENA
Q uanto vale per noi la libertà? La nostra, e quella altrui? A volte sorge il dubbio che soltanto chi è vissuto in schiavitù sappia, e possa, desiderare e apprezzare e gustare pienamente il sapore della libertà, fino a inebriarsene. E non è il caso degli italiani che abbiano meno di 70 anni. Può dunque accadere che quanto hai sempre avuto a portata di mano, facile, senza sforzo, appaia privo di valore. Quanto vale per noi la libertà?
Oggi, 25 aprile, Festa della Liberazione, vale la pena ricorrere alla sana cultura popolare e alla sua saggezza. Giorgio Gaber, 'popolare' nel senso nobile – non accademico né erudito, capace di far sorridere e pensare, un alchimista dell’intrattenimento alto, che mai finiremo di ringraziare e rimpiangere – ci aiuta con una sua canzone di cui tutti ricordano il titolo e il refrain,
La libertà , ma forse non gli sviluppi interni, i segreti nascosti e svelati nelle strofe, parole semplici che sembrano scritte con 40 anni di anticipo. «Libertà è partecipazione »: e tutti pensavano, nel remoto 1972, allo Statuto dei lavoratori e ai Decreti delegati, alle fabbriche e alle scuole. Forse. Anche. Ma Gaber viaggiava in anticipo, le sue canzoni erano (e sono) macchine del tempo.
Partecipare, prendere parte, avere parte, essere parte. La libertà in una relazione di coppia, una famiglia, una comunità, una nazione, l’Europa, il globo… Siamo una parte non passiva ma attiva, e quella coppia, quella famiglia, quella comunità, quella nazione siamo noi, e noi apparteniamo a loro ed esse appartengono a noi. La libertà è questo legame, emotivo prima che razionale. Se questo legame si sfilaccia, o cessa, addio libertà. Se al-l’ I
care («mi sta a cuore», don Milani…) si sostituisce il me ne frego, cessa la libertà.
La libertà, canta Gaber, non è «il volo di un moscone». Non consiste nel seguire l’impulso del desiderio anarchico, del capriccio egoista. Il volo del moscone appare casuale, senza progetto alcuno. Non c’è partecipazione. La libertà non è neppure «uno spazio libero». Che cosa possiamo farcene – ad esempio – della libertà d’espressione, se si riduce a una sequenza di soliloqui? La libertà è espressione partecipata, ossia dialogo: gli altri dicono la loro, ma io sono curioso, interessato, convinto di poter apprendere, ansioso di mettere le mie idee a confronto con quelle altrui per misurarne la forza, la consistenza, l’efficacia, la bontà, la verità.
Questa libertà c’è oggi in Italia, e quanto è diffusa? Abbiamo scambiato per partecipazione la semplice esibizione. Mi mostro, mi esprimo, mi esibisco e credo di aver partecipato, e quindi di aver compiuto «un gesto libero», di essere una persona libera… «che passa la sua vita a delegare», ironizza Giorgio Gaber. No, non è così.
La festa della Liberazione è bella e importante e preziosa perché ci ricorda che la libertà non è mai data per sempre, acquisita, come un bene che si possiede. Ma è liberazione, un work in progress che non ha mai fine, una conquista continua, una costruzione senza sosta, un amore che desidera essere sedotto e cantato e accarezzato senza che mai possiamo assopirci. La libertà è partecipazione, eccome. È un privilegio per chi ama condividere la propria 'conquista'. Per chi sa che mai sarà libero, lui, finché non saranno liberi tutti, ma proprio tutti. Liberazione globale.

Ricorrenze.
Vukic



LIBERAZIONE
Ci siamo liberati ( in parte ) dai nazisti,
ma l'Italia non si può certo definire uno stato libero.
Lo Stato è soffocato da una classe politica
disonesta e corrotta.
Mafia, delinquenza ed ignoranza divorano il paese, senza tralasciare la dittatura clericale, che da dietro le quinte muove giochi economici e di potere.C'è ancora molto da fare.
Roberto Mangosi

Riflessioni sulle due grandi feste:

17 aprile 2012
Lavoriamo il 25 aprile, festeggiamo il 1° maggio

Di Ferdinando Camon
 
Lavorare il 25 aprile è giusto e utile, e perciò, essendo il 25 aprile una festa nazionale ed essendo la nostra nazione a rischio tracollo economico, lavorare per festeggiarla è perfino patriottico. Se la nostra nazione sta male, lavorare per farla stare meglio è etico. Da anni si calcola che le feste, cioè i giorni in cui non si lavora, nel nostro (italiano) calendario sono troppe. E sono troppi i giorni di vacanza nelle scuole. Il cervello dei nostri ragazzi apprende e incamera nei giorni di scuola e di studio, ma perde e disimpara nei giorni di ozio. I giorni di vacanza non sono neutri agli effetti dell’apprendimento, sono dannosi. Tutt’altro discorso riguarda il lavoro nel 1° maggio. Per tirarci su, e uscire dalla crisi, il lavoro è la forza, la medicina, la virtù irrinunciabile. Ma proprio per questo dobbiamo rinforzare nelle nostre coscienze il concetto che è una virtù, dedicargli un giorno, metterci in testa che viviamo in una repubblica “fondata sul lavoro” e che festeggiare il lavoro significa celebrare il valore che ci tiene uniti. Festa del lavoro vuol dire festa dei lavoratori. In una repubblica fondata sul lavoro tutti quelli che ci abitano e che sono cittadini sono (dovrebbero essere) lavoratori. Il 1° maggio è la festa di tutti. Si possono sopprimere altre feste, ma non questa. Il lavoro è la spina dorsale della persona umana, perché è lo strumento col quale ognuno si realizza. E lo vediamo nei momenti tragici in cui il lavoro viene a mancare: con la sua mancanza non viene meno soltanto il benessere economico, ma la dignità della persona. Il lavoratore che perde il lavoro “si vergogna”, come se fosse in colpa. Nei film il lavoratore che perde il lavoro non lo dice alla moglie, tira avanti facendo finta di fare la vita di prima, andare in ufficio o in fabbrica, sperando sempre che un colpo di fortuna lo risistemi da qualche parte. Senza lavoro non puoi essere un marito o un padre. Lo si vede, scusate se sfrutto questo esempio ma ce lo offre la cronaca di questi giorni, dalla vita di Bossi: appena sposato aveva detto alla moglie di essere un medico, e usciva tutte le mattine con la borsa degli strumenti per recarsi in ospedale. Furono pochi giorni felici: il matrimonio reggeva. Poi la signora fece un controllo all’università, e scoprì che il marito non s’era mai laureato, e che dunque non andava a lavorare, ma a perdere tempo. Il matrimonio si sfasciò. Lavorare salva, non lavorare perde. Lavorando il 25 aprile noi stabiliamo che la salvezza è importante, va cercata. Festeggiando il 1° maggio noi stabiliamo la stessa cosa: che la salvezza va onorata, ci fermiamo per lei, tutti pensiamo a lei, e realizziamo una comunione civile in suo onore.
Qualcuno domanderà: e se lavorassimo tutte le domeniche? Non sarebbe questo un forte impulso alla ripresa produttiva ed economica, e all’uscita dalla crisi?
No, perché non siamo solo corpo ma siamo anche altro, una volta si diceva anima, oggi diciamo mente. Dobbiamo produrre di più, ma non siamo fatti soltanto per produrre e consumare. Ci fu un tempo in cui l’uomo era considerato un animale che produce e consuma e basta: era l’“uomo a una dimensione”, l’uomo disumanizzato, un automa meccanico. Fu il lungo periodo in cui s’impose in Occidente la cosiddetta “civiltà dei consumi”. L’uomo era un semplice “tubo digerente”, inserito fra la produzione e il consumo: produceva per consumare, consumava per produrre. Poi ci si accorse che la civiltà dei consumi consuma l’uomo, che vive per niente, una vita animale. Grande studioso di questa civiltà fu Herbert Marcuse, grande narratore Alberto Moravia. Nessuno vuol tornare a quel tempo, triste e spento. Noi vogliamo vivere, e non viviamo se non ci curiamo anche dello spirito. La storia ci ha insegnato che sei giorni dedicati al lavoro e uno allo spirito sono la giusta alternanza. Non è detto che lavorare senza mai fermarsi faccia rendere di più. Togliere lo spirito vuol dire dimezzare l’uomo. E un uomo dimezzato rende di meno.
 Ferdinando Camon - www.ferdinandocamon.it

mercoledì 11 aprile 2012

Lega: il declino del senatur e della sua famiglia

Il tramonto
Marilena Nardi

 Le dimissioni da segretario federale della Lega
 Il 5 aprile 2012 Bossi travolto dagli scandali si dimette da segretario federale del partito. L'inchiesta delle Procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria  ha fatto emergere che parte dei soldi della Lega Nord sarebbero stati utilizzati dalla famiglia Bossi. Nel corso del medesimo Consiglio Federale durante il quale rassegna le proprie dimissioni, viene però nominato Presidente della Lega Nord, succedendo a Angelo Alessandri. Nel ruolo di Segretario Federale, gli succede un triumvirato composto da Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago.

 
The family
PORTOS / Franco Portinari

 
La fine giustifica il mezzo
Mauro Biani
 


involuzionismo
fabio magnasciutti




SERGIO STAINO

Lega pota…pota
di Nadia Redoglia
Finalmente abbiamo capito perché il trota’s papi insisteva a mostrare quel dito. Gli avevano detto che “in medio stat virtus” e così si persuase che bastava mostrarlo per convincere i suoi fan(atici) verdi, armati e cornuti (oggi pure mazziati), della sua virtuosa onestà distillata in ampolle. Per chiudere il cerchio (delle sóle delle Alpi) ora ci manca solo più di sapere che gli hanno spacciato in merito ai vaffa verbali e gestualizzati, del tricolore a mo’ di carta igienica, delle minacce di morte e/o lesioni sparse un po’ ovunque, oltre ad ampollosi ammennicoli sui generis, che elargisce da 28 anni soprattutto a coloro che il suo papi-compare già nomò…coglioni. Ma, a ben vedere: ci interessa qualchecosa? Non più. Il celoduro, adesso più nudo che puro, s’è (stato?) evirato, anzi triunvirato. E non ce l’ha chiesto neanche l’Europa! (che già di suo sta bene, visto che tra i suoi membri rappresentativi siede un eretto (pardon eletto) Borghezio).
Sapete che c’è (ci sarebbe) quanto al “qualcosina” che dovrebbe (veramente) interessarci? Il fatto che per ben 28 anni abbiamo consegnato il Paese nelle mani di questi “papi”.
Po(r)ta (e) Pia non ci ha proprio insegnato niente.
 6 aprile 2012




Vincino








VAURO



Giannelli Corriere della sera




FAMIGLIA PADANS.Nico Pillinini


Lega ladrona
Nico Pillinini



Fine di un dito
Mauro Patorno


Fuoco amico
Marco Careddu

Il trota
Tiziano Riverso

a spicchio a spicchio...
Tiziano Riverso


Aggravante
CeciGian




RISTRUTTURAZIONE MENTALE CERCASI
Non esiste un politico che si accorga
di avere gli operai dentro casa.
Se a casa nostra viene un falegname o un muratore per mezz'ora, crea scompiglio e confusione
... a casa loro, invece, buttano giù pareti, cambiano stanze e pavimenti senza che nessuno li veda.
E soprattutto senza che nessuno li paghi !!!
Roberto Mangosi


Giorgio Forattini


Paride Puglia


Inserzione a pagamento
Il tesoriere della Lega Nord (con i soldi pubblici) finanziava la famiglia Bossi. Ovviamente a loro insaputa.
Marco Tonus





Pesce d'aprile
PORTOS / Franco Portinari



Favole - da Il Fatto Quotidiano - www.natangelo.it


la verità - da il Misfatto - www.natangelo.it


Web awards: è padano il più Belsito
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L'irresistibile vento del nord
www.gianfalco.it

 
5 aprile 2012
Muore la Lega, e dopo?
Di Ferdinando Camon
Non cambia niente: non hanno cacciato Bossi, lo han promosso presidente. Non han cacciato Calderoli, anche lui citato tra quelli che avrebbero intascato soldi: lo han messo nel triumvirato che guida la Lega. Non sparisce nessuno, restano tutti. E allora tiriamo le somme. La Lega ha ucciso la prima repubblica, e la famiglia Bossi uccide la Lega. La Lega Nord nacque mangiandosi la Liga Veneta e diventando un partitone, irrinunciabile per chiunque, D’Alema o Berlusconi, volesse governare. Lanciava parole d’ordine feroci, anti-romane, anti-meridionali, anti-italiane, anti-costituzionali, anti-immigrati, razziste, separatiste, secessioniste, per la castrazione, per la pena di morte, per le cannonate sui barconi, per essere padroni in casa nostra, per la morte ai mafiosi e ai camorristi, per l’odio ai meridionali più ancora che agli africani, per i soldi, contro le tasse, per l’Italia del Nord da non lasciare né a Roma né a Bongo Bongo. Tutte le battaglie si riassumevano in una sola parola: soldi. I soldi del Nord dovevano restare al Nord. Ma allora, dicevano i ministri del Sud, dobbiamo chiudere gli ospedali della Puglia? Della Campania? I malati del Sud devono morire? Deputati e ministri della Lega rispondevano: «Che crepino!».  Il leghismo è nato sull’egoismo. A ognuno il suo. I meridionali e gli immigranti che vengono qui, e non hanno né soldi né lavoro né cibo, fanno pena ma anche schifo: vengono a fare i parassiti, a vivere a spese nostre, a curarsi nei nostri ospedali, e noi tutti a pagare come Pantalone. Il leghismo ha fatto abortire l’Italia unita, ha paralizzato il Parlamento, ha insultato la Costituzione, i codici, le leggi, l’Agenzia delle Entrate. Era il leghismo nascente. Ora il leghismo maturo, e ormai marcio, fa morire la seconda repubblica, per le stesse ragioni, aggravate: se Bossi si ristruttura la casa, dobbiamo pagarla noi? Se suo figlio è ignorante e non riesce a superare la Maturità, dobbiamo pagare noi? (e qui non si capisce bene, pagare cosa, le ripetizioni?). E se questo figlio, pluribocciato, vuol fare il consigliere regionale, dobbiamo pagargli noi i 12mila euro al mese? Noi che licenziamo, noi che abbiamo figli precari, noi che ci suicidiamo, sparandoci addosso o dandoci fuoco? E poi: tra i partiti della prima repubblica, che rubavano allo Stato per arricchire le correnti, e la Lega, che ruba allo Stato per arricchire la famiglia del leader, cos’è più grave? La Lega, certamente.  Stando a quel che vien fuori mentre scrivo. Un partito che sottrae soldi allo Stato, se le accuse restano queste, per darli alla famiglia del capo, fa di quella famiglia una famiglia reale, alla quale noi sudditi dobbiamo soldi, tributi, venerazione e obbedienza. Monarca assoluto, il capo resta capo anche se un ictus gli blocca il sangue, lo fa barcollante e malparlante. È capo a vita, come il papa. Come sempre succede nelle monarchie assolute, quando il capo è incapace d’intendere, la corte gli subentra di nascosto, fa tutto in segreto e scarica tutto su di lui. Alti dirigenti della Lega, incavolati, parlano di “circonvenzione d’incapace”. A questo punto, non basta sostituire un uomo o un gruppo, è il partito che va sciolto e reimpostato. La Lega Nord deve risalire a ritroso nella sua storia e trovare il punto della deviazione, ripartire da lì. Il punto è la distruzione della Liga Veneta e della Lega Piemontese, tutto il potere a Bossi, l’impostazione dittatoriale, l’azzeramento della base, il delirio degli slogan al posto dei programmi. Il vertice del delirio si ebbe con l’estromissione del senatore Miglio, che aveva quel minimo d’intelligenza costituzionale che nessun altro nel partito ha. L’estromissione di Miglio sta al leghismo come l’omicidio di Trotsky sta al comunismo. La Lega deve morire come Lega e rinascere come Leghe. Facendo questo, deve crearsi un museo, dove l’ampolla del Po e i manifesti razzisti e le sparate contro i morenti di fame che arrivano qui e gli insulti alla Costituzione devono stare nella stanzetta della vergogna. Anzi, stanzone. E non può essere un partito che governa la nazione: che cosa gliene frega, a Sicilia e Campania e Sardegna, di programmi pensati ad uso dei veneti e dei lombardi? Se vai al parlamento nazionale, ragioni nazionalmente. Se no, resti a casa, a fare il sindaco.

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Scandalo Lega, Bossi si dimette.