tutta italiana...
CHARLIE HEBDO
Ascoltavo Radio Anch'io.
Ha ragione Serra, noi alle libertà democratiche ci siamo arrivati lentamente e non senza dolore.
Sia chiaro che la condanna dei fatti di ieri a Parigi deve essere incondizionata e totale.
Resta per me il dubbio sul fatto che tutto quello che si può fare si debba fare o se limitare volontariamente la nostra libertà possa proprio scaturire da un maggior senso di responsabilità che la nostra civiltà dovrebbe avere.
Checkpoint Charlie Hebdo
di Nadia Redoglia
I Colleghi parigini puntavano la matita affilatissima. Mirando centravano perfettamente ogni entità che violentemente o pacatamente accampa il diritto di (arrogante) supremazia in quanto “eletta” e perciò autorizzata a stabilire che “tutti gli altri” possono pur essere schifosi o quasi e pertanto alla bisogna sterminabili.
La presunzione del termine “ELETTO” che segue sostantivi come “razza/popolo/stirpe ecc.” conduce SEMPRE alle più terrificanti piaghe per l’umano essere. L’ultimo che (ufficialmente) ne dimostrò l’assunto al mondo intero fu Hitler.
Da circa 15 anni lo stesso mondo che condannò e ripudiò (condanna e ripudia) la follia nazista (quella atomica scaricata su Hiroshima appartiene per convenzione a simulacro per pietà e pentimento) si trova in balia degli stessi prodromi dell’Hitler pensiero: terrore da fanatismo parossistico che (oggi) identifichiamo nell’isis, califfato et similia verso il quale fin dall’11 settembre abbiamo giusto opposto a nostra volta “notti dei cristalli” fatte da azioni ed espressioni ignoranti tra “scontro di civiltà” e Oriana Fallaci pensieri. A questo stato sono ancora fermi e ci marciano i portatori di svastiche nei cortei e gli istituzionali che riempiono il parlamento europeo e, chi più chi meno, ogni parlamento di paese membro (Le Pen e Salvini giusto per citarne due). A questi si agganciano ministri e affini pronti a privilegiare metodi pseudo minculpop (ché si fa prima) piuttosto di ragionarci su. Mai come in questo momento sarebbe il caso di formare un checkpoint universale per dirimere l’entrata tra ragione e (qualunque) fanatismo ché oggi, per quanto propostici in due versi ben distinti, è chiaro che appartengono alla stessa medaglia!
In sintesi: chi vuole la guerra?!
8 gennaio 2015
JE SUIS CHARLIE
PORTOS
JE SUIS CHARLIE
PORTOS
Gianni Burato
Questa meravigliosa vignetta parla da sola... è stata realizzata da un bravissimo disegnatore al cui nome purtroppo non riusciamo a risalire. Se sta leggendo questo post... grazie!
This beautiful sketch says it all...it was made by an excellent artist whose name unfortunately we cannot detect. If he's reading this post... thank you!
The Page Bruno Bozzetto
je ai gagné
fabio magnasciutti
ora scrivo una cosa, non so ancora se sarà lunga o che
se comparirà la scrittina blu "altro..." vorrà dire che è lunga
dunque, se state fermi al semaforo, se state camminando col cane al guinzaglio, se state lavorando a maglia, se, in ogni caso, avete di meglio da fare, non proseguite nella lettura
riguardo a charlie hebdo e ciò che ne deriva
non ho mai maneggiato il cartaceo
l'ho letto e, naturalmente, lo conosco, pur non essendo mai stato un appassionato e pur trovandolo, spesso, assolutamente distante dai miei punti di vista e, semplicemente, dai miei gusti
d'altra parte non sono, in generale, un appassionato di satira, ivi compresa quella che io stesso produco
non sono assolutamente un appassionato dei collettori di satira, delle pagine, dei gruppi
soffro da sempre di una gravissima sindrome da gregge e non intendo offendere nessuno con questo, è un mio problema
detto questo, volevo fornire un piccolo prontuario del quale sono venuto in possesso, riguarda il male (non la celebre rivista che quando c'era lei eccetera, il MALE, proprio)
ve lo riporto così come mi è arrivato:
1) entrare in una qualsiasi redazione, armati fino ai denti ed eseguire a freddo i suoi ospiti, è MALE, dunque, anche se non si è mai cacata di striscio la rivista che in quella redazione si produce, è lecito esprimere sdegno al riguardo, financo se non si è coinvolti personalmente
2) perpetrare atti di violenza in generale e in particolare in nome di una qualsivoglia divinità, è MALE
3) sostenere che le vittime di atti di violenza, derivanti dall'espressione delle proprie idee quando va bene, più in generale del proprio pensiero quando va normale o di un peto quando va e basta, abbiano meritato la morte, è MALE
ecco, lungi da me proporre ciò come tavole della legge, non ho abbastanza barba e statura morale, volevo solo renderlo noto
concludendo, se uno ha voglia di scrivere je suis quello che cazzo gli pare, ne ha diritto, poi si può discutere sulla sincerità o l'ipocrisia ma può farlo, sostenere il contrario è MALE (ndr)
l'immagine sotto l'avevo realizzata nel 2011, ai tempi di un altro attacco del quale charlie hebdo fu vittima, la ripropongo sottolineando che non ero charlie hedbo, non lo ero, però volli farla, fortissimamente, perché mi andava, perché mi piace disegnare cuori, perché mi piace disegnare in genere, e, infine, perché sì
ciao
Fabio Magnasciutti
mestiere scomodo il mio
fabio magnasciutti
Marco Careddu
Maometto
Marco Careddu
Beppe Mora
da Il Fatto Quotidiano
Beppe Mora
di Augusto Rasori e Sommacal
Valerio Marini
Perderete sempre
Oggi il giornale satirico francese Charlie Hebdo
ha subito un attentato terroristico con 12 morti, molti feriti. Abbiamo perso Wolinski, Charb, Cabu, Tignous. Siamo con loro. Il terrore perderà sempre.
CeciGian
Per Wolinski, Charb, Cabu, Honoré, Tignous, con le autocaricature da loro stessi realizzate.
Anche su: http://www.cartoonmovement.com/cartoon/18689
CeciGian
#JesuisCharlie
CeciGian
Chissà chi ci guadagna…
Gianfalco
Nico Pillinini
IL BUIO DELLA MENTE
Quando la religione si impossessa delle menti
diventa pericolosa.
E lo sanno da sempre imbroglioni e guerrafondai
di ogni peso e misura.
Con questa scusa si sono combattute
le peggiori guerre mai scoppiate al mondo.
Sono stati commessi i più gravi crimini
e le più orribili torture.
Il credente dovrebbe pensare
al proprio rapporto con lo spirito,
non a quello degli altri,
invece se la fa sotto per una vignetta.
Roberto Mangosi
Marco Fusi
Marco Fusi
#CharlieHebdo è la nostra torre gemella
ferita a morte ma ancora in piedi
Dopo l'attacco invece della nuvola di polvere grigia
una nuvola di milioni di vignette, una più bella dell'altra.
Vincino Gallo
Vincino 8/01/15
Addio amici, le vostre burle ci hanno difeso dalla stupidità
Jiga Melik
Scarpe bucate (8 gennaio, Il secolo xix / Huffington Post)
di Alessandro Schwed (Jiga Melik)
Le scarpe della Satira sono scomode, bucate e strabucate: ad andarci in giro fanno male. Bisogna avere qualcosa da dire per metterle ai piedi. I ragazzacci con la matita morti ieri erano gli ultimi con le scarpe rotte decisi a camminare lo stesso. Del resto, parafrasando il poeta Verlaine: la Satira è un brivido, il resto è intrattenimento. Ma era una giusta sfida creare vignette su un mondo ferale? Che dire: la Satira è un vizio strepitoso, un irrinunciabile condimento. Cabut, 77 anni, Charb, 47 anni, Wolinski, 80 anni, Tignous, 58 anni, loro e altri redattori lavoravano a Charlie Hebdo, se vogliamo limitarci a chiamare lavoro quella cosa meravigliosa che è irridere il potere. Wolinski, gli altri, erano monelli attempati. Ragazzi permanenti avvezzi ad architettare pernacchi, a togliere peso a qualsiasi peso, a non tollerare lacci, maschere, veli, chiese e minareti - la satira non conosce limiti. È la bellezza sfrontata di un mestiere non augurabile. E così ieri mattina, mentre in una stanza di Parigi i ragazzacci con la matita sono lì che disegnano caricature e congegnano motti di spirito come in un romanzo di Balzac, due tizi entrano col volto coperto e li ammazzano. Poi scendono di corsa le scale e giunti per strada finiscono con il kalasnikov un uomo moribondo. Ciò, intorno al Palazzo dei Monelli. Sono queste le scarpe della Satira. Un coltivato, educatissimo senso di irresponsabilità, una tagliente eleganza, l’essere sia consumati che limpidi, fuori mercato e fuori registro - non lo sapevate? Chi fa satira incontra sbarramenti, le frasi sibilline di chi comanda e di chi serve. L’arte della satira, in Italia da tempo sconosciuta, vuole grande tempra e grande leggerezza. Fare abitudine al pericolo, ai nemici sparsi, ai giochi di parole, ai difetti da raccontare, alle intimidazioni, a un presidente che non gradisce una copertina e lo fa sapere in un ufficio, dal sibilo di un funzionario. Il satirico deve essere pronto a scavalcare le diverse ere di poteri diversi e tutti implacabili, e intanto illustrare la stupidità, la menzogna, il cinismo, coglierli in tutta la fragrante debolezza e marciume. La satira non è mica quel semolino a cui ci ha abituato la Tv, le risate finte preregistrate che indicano il binario dove ridere, le parodie che finiscono a tarallucci e vino. E adesso vi prego, non vantiamo come nostra un’arte che nel nostro paese è obsoleta per quanto di origine latina: la Satira è un taglio che ridendo ti apre in due. Può benissimo non divertire, può raggelare, può commuovere, far ridere sino alle lacrime. Ho lavorato negli anni Settanta all’ultimo giornale satirico italiano, il Male. Avevamo rapporti con i fogli satirici francesi, Charlie Ebdo, il Canard, Harakiri. Alcuni degli artisti morti ieri mandavano disegni, venivano a trovarci. Abbiamo riso insieme, ci siamo guardati negli occhi, ragazzacci con ragazzacci. Vi vedo sdraiati in una pozza di sangue, e un poco piango e un poco sorrido di un vecchio scherzo. Scarpe rotte, eppur bisogna andar.
Alessandro Schwed (Jiga Melik), scrittore è stato tra i fondatori della rivista Il Male.
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