ANDREA BERSANI
PESCATORE DI IDEE
SABATO 11 FEBBRAIO ORE 21
STUDIO CENACCHI ARTE CONTEMPORANEA
VIA SANTO STEFANO 63 BOLOGNA
Alcune delle opere esposte di Andrea Bersani nella galleria Cenacchi:
A-DDENTAB,
pigmenti vari su poliplat
cm. 25 x 35, 2015
ANDREA BERSANI
PESCATORE DI IDEE
SABATO 11 FEBBRAIO ORE 21
STUDIO CENACCHI ARTE CONTEMPORANEA
VIA SANTO STEFANO 63 BOLOGNA
Alcune delle opere esposte di Andrea Bersani nella galleria Cenacchi:
A-DDENTAB,
pigmenti vari su poliplat
cm. 25 x 35, 2015
Solidarietà dall'Abruzzo per il popolo turco e siriano
GIO /Mariagrazia Quaranta
Ultimo terremoto in Turchia e Siria: il bilancio delle vittime sale a 22.765 mentre cresce la rabbia per i soccorsi in Siria
Nella notte di lunedì 6 febbraio un terremoto di magnitudo 7.8 ha colpito la zona di confine tra Turchia e Siria. La regione, a cavallo di tre placche tettoniche, è abituata a questo tipo di fenomeno. Il bilancio continua a crescere fino a raggiungere un totale di 17.000 morti giovedì 9 febbraio, comprese circa 3.000 vittime in Siria.
I soccorsi sul posto sono stati aiutati da martedì dai rinforzi internazionali ma le 72 ore cruciali per sperare di trovare sopravvissuti stanno volgendo al termine. La lentezza dell'intervento delle autorità turche è fortemente criticata. In Siria la pena è doppia poiché il disastro ha colpito regioni in parte ribelli, già ostracizzate dal potere e dipendenti dagli aiuti umanitari.
La vita di un uomo raccontata attraverso 4 passaggi che rappresentano la sua trasformazione fisica e interiore, come 4 sono le metamorfosi della farfalla. È la storia di un corpo torturato e di un'anima divisa in due: attraverso la vicenda personale di un uomo considerato diverso durante l'olocausto, si rievoca la drammatica atmosfera di repressione e persecuzione di quel periodo.
Il cortometraggio animato Butterflies in Berlin di Monica Manganelli dopo quattro anni è arrivato su Rayplay https://www.raiplay.it/programmi/butterfliesinberlin
World Humor Awards
Parla l'organizzatore
Bianchi: “ Far ridere? Sì, ma facendo anche riflettere”
Quest'anno il tema sarà la biodiversità
Umorismo e sostenibilità, sono i pilastri dell'ottava edizione del “ World Humor Awards, Dal Mondo Piccolo al Mondo Grande", mostra internazionale di grafica umoristica che si terrà a Salsomaggiore tra agosto e settembre.
La manifestazione organizzata dall'Associazione di promozione sociale Lepidus.it, consiste in un concorso a premi per disegnatori umoristi; prevede Inoltre l'assegnazione di riconoscimenti ad opere letterarie pubblicitarie e dello spettacolo che, attraverso la chiave umoristica, affrontano tematiche d’attualità ritenute importanti.
La partecipazione al concorso grafico è riservata ad un numero selezionato di artisti professionisti italiani e stranieri, che potranno decidere se accettare o declinare l'invito. Tante, dunque le nazioni coinvolte in questo progetto, come l'Australia, Nuova Zelanda, Tanzania, Cile, Argentina e Brasile. Fin dalla prima edizione, il World Humor Awards ha focalizzato la propria attenzione sul tema della sostenibilità ambientale: ha esordito con il cambiamento climatico, poi (nell'ordine) la civiltà artificiale, l'indifferenza, acqua fonte di vita, il pianeta avvelenato, le fonti di energia e infine la biodiversità. che sarà la protagonista di questa ottava edizione.
Oltre a quella tradizionale, ci sarà anche una seconda sezione del concorso riservata alla caricatura.
I sei personaggi di quest'anno che gli autori potranno utilizzare come vittime del loro lavoro saranno Re Carlo, Saan Suu Kyi, Mbappè, Paola Egonu, Harrison Ford e Charlotte Rampling.
I vincitori dell'ottava edizione riceveranno come premio una scultura realizzata dal Salsese Giorgio Varani ed avranno la possibilità di allestire una mostra personale a Fidenza (il giorno di San Donnino) dove potranno esporre le proprie illustrazioni e caricature.
Il borghigiano Gianandrea Bianchi è il principale responsabile dell'organizzazione della manifestazione. Insieme a lui collaborano due amici e colleghi Marco De Angelis e Lucio Troiano che fanno parte della giuria incaricata di eleggere l'artista vincitore. A presiedere la corte giudicante è Guido De Maria, famoso per aver curato la regia delle trasmissioni Gulp! Fumetti in TV e Supergulp!
“ Il tema principale di quest'anno è la biodiversità” ha spiegato il responsabile Gianandrea Bianchi. "Non è detto che il disegno debba far ridere perché l'umorismo è capace anche di far riflettere .Il nostro intento è di porre l'attenzione su un tema importante, su cui gli artisti provenienti da ogni parte del mondo esprimeranno il loro personale punto di vista”.
Il nome Lepidus.it ha un significato particolare anzi due; "il termine lepidus deriva da spiritoso, ma richiama indirettamente (dal nome del console Marco Emilio Lepido) anche la via Emilia.
Ecco perché il sottotitolo “Dal mondo piccolo al mondo grande” con chiaro riferimento a Guareschi. La strada costruita in epoca romana Infatti attraversa il mondo piccolo di Giovannino che da Roncole Verdi arriva a Fidenza e prosegue fino a Salsomaggiore."
Mattia Dallaturca fonte Gazzetta di Parma
The eighth edition of the World Humor Awards has officially started with the sending of the invitation to the selected authors
Each author must choose whether to participate in the section: “Humorous graphics” or the section: “Caricature”.
It is not possible to participate in both.
Environmental sustainability again this year in the theme of the Cartoon section:
“The biodiversity”
Biodiversity or biological diversity is the variety and variability of life on Earth. Biodiversity is a measure of variation at the genetic (genetic variability), species (species diversity), and ecosystem (ecosystem diversity) level.
——————————————————
For the Caricature section: “Six characters looking for an author”
Each artist must send two caricatures choosing from the following characters from politics, sport, entertainment:
King Charles III – Aung San Suu Kyi – Kylian Mbappè – Paola Egonu – Harrison Ford – Charlotte Rampling
The deadline for submitting works is April 15th
fonte: http://www.worldhumorawards.org/en/uncategorized/wha-8-edizione/
Sergio Staino, come la satira interpreta la storia
By Enzo Brogi -2 Gennaio 2023
“I politici la preferiscono al silenzio”
La satira informa, deforma?
Direi interpreta. Generalmente si lavora su notizie già ampiamente conosciute e funziona quando l’interpretazione della notizia è inaspettata, ma sempre credibile.
La satira può portare al cinismo?
Ci sono diversi modi per affrontare in modo satirico un evento o una notizia. Se l’autore satirico è una persona che soffre per le ingiustizie del mondo attua una satira appassionata e solidale con i sofferenti e, in questo caso, non c’è mai cinismo. Se invece costruisci una battuta satirica osservando dall’alto le idiozie degli altri, in questo caso, più che satira, fai sarcasmo e il sarcasmo prevede una quantità più o meno grande di cinismo. Ad esempio posso dire che una battuta di Benigni è satirica ma pur sempre affettuosa. Una scena satirica di Monicelli è, in genere, più feroce e sarcastica.
Che rapporto hai avuto con Berlinguer?
Un rapporto fantastico. Quando si lasciò prendere in braccio da Benigni durante una festa dell’Unità, diede una prova di intelligenza e di qualità umana sublime. Forse Gramsci avrebbe potuto accettare di fare una scena simile a quella. Ma tutti gli altri, da Togliatti a Mao Tze Tung, non ce li vedo proprio. Tra l’altro io sono l’unico disegnatore satirico al mondo che ha fatto una vignetta satirica sul segretario del partito, pubblicata in prima pagina dell’organo ufficiale dello stesso partito. Incredibile, no? La vignetta la feci per un congresso che si svolgeva a Reggio Emilia che aveva come riferimento culturale Ludovico Ariosto, il tema politico era invece la sognata “Terza via”. Io disegnai un Berlinguer in viaggio verso la luna a cavallo dell’ippogrifo di Astolfo, Bobo da terra lo salutava dicendo: “Vai e portaci la terza via!”.
Ti hanno mai censurato?
No. Ci sono stati tentativi pesanti di farlo ma mi sono sempre rifiutato. Lo scontro più forte fu su un numero di Tango dedicato alla morte di Guttuso. La sua scomparsa avvenne in un coacervo di polemiche legato alla sua eredità mentre, in contemporanea, uscì la notizia (vera) della sua conversione in punto di morte alla religione cattolica. Il titolo del giornale era: “Dio c’è e vuole la sua parte di eredità”. Alla redazione dell’Unità si arrabbiarono in molti e il direttore, Gerardo Chiaromonte, tentò disperatamente di farmi cambiare idea. Alla fine vinse il suo animo tollerante e illuminista e, come Voltaire, mi disse: “non sono d’accordo con te, ma difendo il tuo diritto di espressione”. La vignetta uscì regolarmente sulla pagina prevista mentre, in contemporanea, sulla prima, un piccolo trafiletto del direttore esprimeva il suo disaccordo. Grande Chiaromonte e grandi tutti i “miglioristi” del PCI.
Hai scritto un libro bello e sincero, Storia sentimentale del PCI. Quasi autoanalisi?
Sicuramente. Non avevo un piano preordinato su come svolgere il tema. L’ho scritto su richiesta della casa editrice e l’ho raccontato giorno per giorno ad un loro redattore. Solo alla fine mi sono accorto che aveva un filo rosso che correva per il libro, portandomi a una conclusione
pesante e inaspettata: tutti i nostri guai nascevano dalla scissione del ‘21. Non avrei mai avuto il coraggio di ammetterlo, ragionando a freddo. Con questo sistema del racconto a puntate, la dura e inconscia verità ha preso il sopravvento.
I politici di oggi si meritano la satira o il silenzio?
La satira in genere la cercano per farsi pubblicità. Il silenzio invece lo giudicano un brutto affare.
Sergio Staino
Toscano, nato a Piancastagnano nel 1940. Ha iniziato con la politica a Firenze nei marxisti leninisti. E’ quindi passato al fumetto e alla satira con Linus, inventando il suo alter ego, Bobo, pubblicato per la prima volta nel 1979 sulla rivista diretta da Oreste del Buono. Dopo collaborazioni con L’Unità e il Messaggero, nel 1986 fonda e dirige Tango, settimanale satirico. Diventa anche autore televisivo (“Cielito lindo”, un varietà satirico con Claudio Bisio e Athina Cenci), sceneggiatore e regista (nel 1989 “Cavalli si nasce” e nel 1992 “Non chiamarmi Omar”). Dal 2016 al 2017 è Direttore de L’Unità. Attiva quindi collaborazioni con La Stampa, Avvenire, Tiscali Notizie e Il Riformista.
***
Nota : l'intervista è stata fatta per Inedita Magazine #4 – Inverno 2022 poco prima della grave malattia di Sergio Staino.
Staino è stato portato in ospedale lunedì 31 ottobre. Fany gli augura una pronta guarigione.
Ottantadue anni, vignettista ed ex direttore dell'Unità, Staino da anni è afflitto da una malattia agli occhi che lo ha reso quasi cieco ma non gli ha impedito di continuare il suo lavoro. Attualmente è collaboratore della Stampa e di Avvenire.
Laureato in architettura all’Università di Siena. Staino ha insegnato educazione tecnica in alcuni licei fiorentini. Poi la grande avventura del fumetto a Linus diretto da Oreste del Buono e la nascita di Bobo, personaggio diventato un'icona della satira politica, ispirato come aspetto a Umberto Eco ma in realtà rappresentazione grafica e alter ego di se stesso.
A questo link potete sfogliare la rivista online https://www.agenziainedita.it/2022/12/20/inedita-magazine-4-inverno-2022/
#Atlantide #giornatadellamemoria #edithbruck
Per Edith.
Mauro Biani
Per #Atlantide @La7tv
per la #GiornatadellaMemoria un documentario esclusivo – presentato da Andrea Purgatori- dal titolo “Edith”. La storia della scrittrice e poetessa sopravvissuta all’olocausto e alla deportazione nei campi di concentramento #EdithBruck
Mauro Biani
Edith Bruck e la memoria: "Il nostro grido ci sopravviverà"
La poetessa non concorda con Segre: non finisce tutto con noi
Anni e anni di ricordi, racconti, diari, libri, in poche parole testimonianze: Liliana Segre avanza negli anni e con lei avanza anche un intimo timore, quello dell'oblio.
Non tanto sulle singole vite, sulle tragiche storie personali, quanto sulla capacità stessa delle nuove generazioni di tenere vivo il ricordo della Shoah, della guerra, delle vittime dell'olocausto.
Un approccio contestato da Edith Bruck, scrittrice e poetessa di origini ungheresi naturalizzata italiana, sopravvissuta all'olocausto e alla deportazione nei campi di Auschwitz, Dachau e Bergen- Belsen.
"Ho sentito Liliana quando ha detto che con noi finisce tutto, che non ha speranza che rimanga molto della memoria e mi è dispiaciuto molto sentire questa cosa. Io credo che resti qualcosa, che la nostra testimonianza, i nostri libri, i nostri versi, il nostro gridare, i nostri pianti non siano stati inutili. Non per noi, ma proprio per i giovani, per il futuro dei giovani, per un mondo minimamente migliore, sarebbe molto grave se fosse stato vano tutto quello che abbiamo detto, tutto quello che abbiamo scritto e tutto quello che è successo, se sarà dimenticato. Io spero che resti qualcosa" dice la scrittrice intervistata da Sky Tg 24.
E proprio l'intellettuale ungherese è anche al centro di un documentario esclusivo realizzato da Andrea Purgatori con 3D Produzioni in collaborazione con n La7 in occasione della Giornata della Memoria, proprio per non dimenticare gli orrori della Shoah. Si apre con Edith Bruck intenta a guardare un vecchio documentario ungherese, "A Látogatas", che in italiano significa "La visita". È lei sullo schermo, più giovane, nel 1982, tornata in Ungheria per rivedere la casa dove è nata e dove venne catturata. Attraverso queste immagini, inedite in Italia, compare il ritratto di una donna capace di continuare a vivere e amare e che non tralascia nulla della sua storia: dal Lager all'amore infinito per il poeta Nelo Risi, fino alla scrittura che le ha permesso di continuare a vivere. Tutto disegnato alla luce dell'oggi, nella casa di Via del Babuino dove abita da 62 anni, circondata dai colori e dai rumori della Roma "eterna", come la definisce Edith, quella che ormai è diventata la sua patria, "tra piazza del Popolo e piazza di Spagna".
fonte ; https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/2023/01/25/edith-bruck-e-la-memoria-il-nostro-grido-ci-sopravvivera_683e74a9-987b-461e-8c73-4a09e1fae0e4.html
#Giornodellamemoria
Quella riga sia memoria viva.
Oggi su la Repubblica
Mauro Biani
Domani non è per tutti
Tiziano Riverso
Memoria
Oggi su @ilmanifesto
Lele Corvi
#memoria #giornatamemoria #nondimentichiamo #ilmanifesto #lelecorvi
Memoria
Memory
#memory #memorialday #giornatadellamemoria #Shoah #razzismo #Jews #memoria #CartooningForPeace #courrierinternational #repubblicaxl #LaRepubblica #pagina21 #vignettistiperlacostituzione
Marco De Angelis
GIORNO DELLA MEMORIA 2023
Gianfranco UberGIO / Mariagrazia Quaranta
Per non dimenticare #GiornatadellaMemoria #Giornodellamemoria2023 #27gennaio
Durando
#ZyklonB #Zyklon #Shoah #27gennaio #Giornodellamemoria #olocausto #Auschwitz #Binario21 #pernondimenticare #IChinson #satira #satiraneurodeficiente #vignette
Mario Airaghi
Bambini col pigiama a righe
Giannelli
Giorno della Memoria.
Milo Manara
Giornata della Memoria 2023. Ecco il mio disegno per il 27 gennaio. "Memoria di libertà" by ©️Chenzo, www.chenzoart.it #giornatadellamemoria #Shoah #olocausto #MemoriaStorica #ebrei #disegni #vignette #27gennaio #chenzo
Lorenzo Bolzani - Chenzo.
Il Giorno della Memoria.
Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche della 60ª Armata arrivarono presso la città polacca di Auschwitz, scoprendo il vicino campo di concentramento e liberandone i superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista.
Ad Auschwitz, circa dieci giorni prima, i nazisti si erano ritirati portando con loro, in una marcia della morte, tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa.
L’apertura dei cancelli di #Auschwitz mostrò al mondo intero non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento utilizzati in quel lager nazista. (fonte Wikipedia)
#ilgiornodellamemoria #olocausto
Tartarotti
++++
-AUSCHWITZ, IN POSA PER MORIRE
di Alessandro Melazzini
Il fotografo polacco Wilhelm Brasse rifiutò di battersi per Hitler e fu internato nel lager. La sua professione lo salvò, ma fu obbligato a scatti atroci. Oggi racconta l'impotenza di allora - «Una volta venne un marinaio con tatuato il paradiso. Tempo dopo vidi la sua pelle conciata, serviva per coprire un libro»
Ha guardato negli occhi la morte. L'ha fatto per cinquantamila volte. Avvene quando era giovane. Ora Wilhelm Brasse è un anziano signore dal sorriso affettuoso e i modi gentili. Mi accoglie sulla soglia della sua modesta casetta nei pressi della cittadina polacca di Zywiec. Un tempo questa era la regione della Slesia, dove ebrei, polacchi e tedeschi convivevano in un intreccio pacifico di lingue e culture sotto la dinastia degli Asburgo. Wilhelm nacque loro suddito nel dicembre di 92 anni fa. Poi venne la grande crisi del '29, il padre perse il lavoro e suo figlio non poté finire il ginnasio. La madre lo iscrisse a un corso di fotografia e senza saperlo gli salvò la vita. Nel 1939 la Germania invase la Polonia e Wilhelm dovette compiere una scelta fatale. Diventare cittadino del Terzo Reich o rimanere polacco. Optò per la sua patria e cominciarono le vessazioni. Tentò allora la fuga attraverso il confine con l'Ucraina, ma venne tradito e consegnato ai nazisti. Era la Pasqua del 1940. Passarono quattro mesi di cella, poi dai soldati tedeschi venne un'ultima possibilità. Arruolarsi nella Wehrmacht o essere trasferito in una prigione sconosciuta. Wilhelm scelse di non combattere per le armate di Hitler e nella notte un treno lo portò ad Auschwitz.
«Picchiandoci con urla selvagge i kapò e le SS ci fecero scendere, ci tolsero i vestiti e ci diedero una divisa a strisce. Da quel giorno diventai un numero, il 3444». Quando Wilhelm arrivò nel lager tutto era ancora in costruzione, ma sul piazzale dell'appello il vicecomandante Karl Fritzsch chiarì subito ai prigionieri cosa li aspettava. «Questo non è un sanatorio. Questo è un campo di concentramento. Qui un ebreo vive due settimane, un pretaccio dura un mese, gli altri prigionieri tre». Aveva detto la verità. «All'inizio venni assegnato al comando costruzione strade. Il primo giorno il kapò uccise con un bastone 4 o 5 prigionieri senza motivo. Era così violento che cercai un altro lavoro». Agli inizi nel lager era ancora possibile muoversi con una certa libertà. «Chiesero se qualcuno voleva un'occupazione leggera con cibo extra, io mi presentai subito. Venni assegnato al trasporto cadaveri. Trascinavo un carretto pieno di salme fino al crematorio. Il lavoro era facile, ma non ce la feci a resistere, cambiai ancora finendo in un comando guidato da un kapò tedesco che finalmente non urlava né picchiava».
Brasse ancora oggi ricorda tutti i nomi delle persone conosciute nel lager. Il kapò si chiamava Markus e portava un triangolo nero sulla divisa: per i nazisti era un «asociale». Perso il lavoro si era arruolato dieci anni nella legione straniera, tornato in patria venne subito arrestato. «Gli feci da traduttore, poi grazie a lui passai nelle cucine a trasportare pentoloni, infine nel febbraio del '41 superai una prova come fotografo e venni assegnato al reparto di polizia».
Da quel momento e per quattro anni Wilhelm fotografò migliaia di deportati come lui. Per ognuno tre scatti, di fronte, di lato e con il cappello. «Ma non i prigionieri con gli occhi pesti o segni di maltrattamento. Quelli dovevano tornare più tardi, anche se quasi tutti venivano uccisi prima». Talvolta accadeva per il semplice diletto di un sorvegliante sadico, come Krankenmann, il detenuto più brutale del campo, che rubava il cibo alle sue vittime dopo averle strangolate con le proprie mani. «Uccideva gli uomini come le mosche. Era grasso come un maiale e si divertiva a sedersi sui prigionieri più magri spezzando loro la colonna vertebrale». Wilhelm fu fortunato, Bernhard Walter, l'SS che comandava il suo reparto, non era un fanatico come gli altri: nelle braccia di Hitler era finito per scampare a un'esistenza da stuccatore disoccupato. Wilhelm poteva vivere al caldo, mentre vedeva i suoi compagni strisciare nella pioggia e nella neve. Ma anche la sua occupazione non lo preservò dagli orrori di Auschwitz. «Un giorno riconobbi nella fila del corridoio alcuni miei vicini di casa ebrei. Diedi loro delle sigarette e un pezzo di pane, anche se era vietato». La voce dell'anziano sopravvissuto s'incrina. «Nel mio gruppo c'era un kapò. Triangolo verde: un comune assassino, ma con lui si poteva parlare. Gli implorai che se doveva ucciderli, almeno lo facesse senza farli soffrire». Il giorno dopo erano tutti morti. «Riesce a capire cosa significa pregare qualcuno perché conceda una morte lieve?» mi chiede Brasse con le lacrime agli occhi. Cosa posso rispondere a un uomo che ha visto l'inferno? Lo prego di raccontarmi ancora.
Ogni giorno fotografava dai 50 ai 150 deportati. Se qualcuno aveva dei tatuaggi, il medico del campo li voleva ripresi nel dettaglio. «Una volta si presentò un marinaio di Danzica. Alto, muscoloso, ben formato. Sulla schiena aveva tatuato il Paradiso con Adamo, Eva e il serpente. In due colori, rosso e blu. Lo ricordo tutt'ora: davvero l'opera di un maestro. Dopo un mese un amico mi chiamò dal crematorio. E cosa vidi? In fondo a un tavolo la pelle della schiena di quello sfortunato, tesa e pronta per essere conciata. A cosa serviva, chiesi scioccato? Per rilegare un libro, fu la risposta».
Presto a Wilhelm venne ordinato di non fare più foto agli ebrei: secondo la direzione del lager non ne valeva la pena, tanto morivano sempre più in fretta. «Alla fine dell'autunno del 1941 giunsero 11mila prigionieri di guerra russi. Vennero ammazzati in maniera orribile, lasciati congelare nudi nella neve, mentre delle SS con le maschere a gas lavoravano intorno al blocco 11 per isolarlo. Quando tutto fu pronto, vi mandarono dentro i 600 soldati russi sopravvissuti, insieme a 400 malati». Fu il collaudo, perfettamente riuscito, per testare l'efficacia dello Zyklon B. Ma il crematorio di Auschwitz era troppo piccolo per tutti quei cadaveri, così nel vicino lager di Birkenau ne vennero edificati altri due, dotati di camere a gas. Stavano a poca distanza dai binari del treno, così da rendere più comodo l'assassinio di massa. Alcune SS scattarono sequenze fotografiche durante le varie tappe della soluzione finale. L'arrivo del treno, le selezioni, lo spoglio degli averi, la camera a gas, i corpi ridotti in cenere. «Venni incaricato di sviluppare le foto e ordinarle in un album: volevano tenerlo come ricordo».
Uomini, donne e bambini. Brasse doveva riprendere degli indifesi come fossero criminali. «Non dimenticherò mai questa povera ragazzina – mi dice mostrandomi la foto di un'adolescente con un foulard in testa –. Una sorvegliante le ordinò di toglierlo, ma la poveretta non capiva il tedesco. La donna s'infuriò e prese a frustarla sulla faccia. Dio mio, quale crimine poteva avere commesso quella piccolina per meritare un trattamento simile?». A parte i continui insulti, con lui i guardiani nazisti erano generalmente cortesi e talvolta in cambio di propri ritratti da spedire all'amata gli concedevano del cibo extra. Tra le SS più educate, un giovane medico che gli richiese delle riprese speciali. Foto di donne ebree nude. «Fu imbarazzante, pregai le custodi di mettere quelle povere ragazze in posa, io non volevo sfiorarle. Ma rifiutare di fotografarle non mi era concesso, pena la vita. Quando chiesi a cosa servivano quegli scatti, mi dissero: per degli esperimenti». Il dottore si chiamava Josef Mengele. «Per lui fotografai anche vari nani e dei gemelli. Ogni volta che aveva bisogno, me lo chiedeva con la massima gentilezza. Mengele fu la persona più terribile che incontrai. Krankenmann? Quello era una bestia. Ma come poteva Mengele comportarsi così educatamente con me e nello stesso tempo mandare in un sol giorno mille o duemila ebrei nelle camere a gas? Era una doppia natura. Ancora oggi quell'uomo è per me un mistero».
Altri medici gli ordinavano invece di fotografare ragazzini denutriti o l'utero estratto da donne addormentate col sedativo; per un certo periodo collaborò anche con un disegnatore impegnato a falsificare dollari. Ma la foto più incredibile scattata da Brasse ad Auschwitz ritrae una coppia di sposi. «Le nozze del mio amico Rudi Friemel. Era un meccanico bravissimo. I tedeschi avevano bisogno di lui per riparare i motori diesel e gli concedettero persino di portare i capelli lunghi. Con il permesso di Himmler nella primavera del '44 la sua fidanzata spagnola poté raggiungerlo col figlio ad Auschwitz, e qui sposarsi». Qualche mese più tardi Rudi venne preso durante un tentativo di fuga e impiccato seminudo.
Nel gennaio del 1945 le SS sentirono avvicinarsi l'Armata Rossa. Il capo ordinò a Wilhelm di bruciare tutto, ma questi riuscì a salvare molte foto perché i negativi erano ignifughi. Pochi giorni prima della liberazione lo trasportarono prima a Mauthausen, poi nel lager austriaco di Melk. «Il paesaggio era bellissimo, vicino al Danubio. Producevano cuscinetti a sfera in una fabbrica sotterranea ma io dovetti lavorare con pala e badile all'aperto. Dopo due mesi ero ridotto a pelle e ossa. Fu allora che, distrutto, maledii mia madre per avermi partorito».
Nuovamente le lacrime scorrono sul viso di questo vecchio sopravvissuto all'orrore. «Invece gli americani mi liberarono. Ancora oggi mi pento di quello che dissi contro mia mamma».
(Il Sole 24 Ore – Domenica 24 giugno 2009 n. 162)
POST SCRIPTUM di Ivano Sartori
È probabile che riusciate a leggere questo pezzo, ma non vediate qualcuna delle foto che lo corredano. La censura Facebook è tale da ignorare le verità della storia. Ed è un peccato, considerato che Mark Zuckerber discende da una famiglia di origine ebraica. Comunque vada, gli algoritmi kapò non potranno eliminare la testimonianza scritta, molto più potente di qualsiasi immagine.