Gillo Dorfles © Riccardo Vecchio |
GILLO DORFLES
E' la prima volta che vedo Gillo Dorfles senza cravatta. Ha un' eleganza domestica. Senza contrappunti stilistici. Mi accoglie nella penombra del salotto milanese nel quale trionfa un pianoforte a mezzacoda. Il professore è entrato nel centotreesimo anno di età. Essendo nato nel 1910, cioè quattro anni prima che scoppiasse la Grande Guerra, la figura di questo straordinario testimone fa pensare a qualcosa di irripetibile. Si muove ancora agile cercando di farmi accomodare su un bel divano posto proprio sotto una sua opera. Perché Dorfles, oltre a essere un critico d' arte, è un apprezzato pittore, e appassionato di musica moderna. Quasi a voler sottolineare, con tutto ciò, la sua aria di antipassatista. Il professore si scusa perché ad attenderlo tra un po' ci sarà una macchina che lo porterà dritto a un convegno internazionale dedicato all' estetica orientale e ai rapporti con l' Occidente. È incredibile l' attivismo che egli ancora esprime. E mentre gli sto per chiedere di che cosa parlerà, mi viene in mente che forse una delle prime manifestazioni del kitsch, di cui lui è stato un acuto teorico, la si può far risalire a quella curiosità culturale che dal diciannovesimo secolo in poi l' Occidente cominciò a nutrire nei riguardi dell' Oriente. «Il kitsch può manifestarsi ovunque. Di solito un fenomeno che diventa moda, stravolge, mortifica, banalizza, estende uno stile, amplifica un pensiero fino a perderne l' origine. Diventa appunto kitsch», sentenzia il professore.
Si è mai sentito kitsch?
«Il kitschè più una categoria estetica che esistenziale. Anche se può coinvolgere la sensibilità personale. Dal punto di vista delle scelte e dei giudizi, quindi, direi proprio di no. Provo un certo orrore quando il gusto spinge verso il basso. Ma poi penso che il movimento discendente faccia parte della nostra società di massa».
Dalla quale comunque tenta di distinguersi.