martedì 21 giugno 2016
"L’appaRenzi inganna." 30 Autori di satira interpretano Matteo Renzi.
L’appaRenzi
inganna.
30 Autori di satira interpretano Matteo Renzi.
Un esperimento di satira mai tentato prima per un capolavoro di comicità e irriverenza che vi farà impallidire e sbellicare dalle risate.
Testi di
Lucilla Masini, Franco Cappelletti (Kappa), Claudio Fois, Vincenzo Nizza, Carlo Gubitosa, Franco Giordano.
Vignette di
Franco Bianco, Lido Contemori, Milko Dalla Battista, Dario Di Simone (Darix), Fulvio Fontana, Filippo Frago, Luca Garonzi, Roberto Grassilli, Giulio Laurenzi, Paolo Marengo, Roberto Mangosi, Beppe Mora, Passepartout, Nico Pillinini, Franco Portinari (Portos), Augusto Rasori, Giuliano Rossetti, Marco Scalia, Giorgio Sommacal, Franco Stivali, Stefano Tartarotti, Stefano Trucco (Kurt), Pierfrancesco Uva, Pietro Vanessi (PV).
La quarta
Prendete 30 vignettisti talentuosi, sagaci e irriverenti e metteteli insieme a 6 scrittori appuntiti, sarcastici e cazzuti. Poi lasciateli in cattività in uno spazio creativo, libero e senza censura, tipo le pagine di un libro. Ve li immaginate? Bene, adesso provate a buttar loro in pasto il nostro caro, amato Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Come pensate che andrà a finire? Scopritelo a vostre spese in questo libro di satira pungente e politicamente scorretta.
Edizioni Cento Autori
Renzi Twist
domenica 19 giugno 2016
Ritratto di Pierre Riches
Su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Pierre Riches
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Pierre Riches
Pierre Riches: "Devo la conversione a Wittgenstein. Mi spiegò che la ragione non è tutto"
Nato nel 1927 ad Alessandria d’Egitto, il sacerdote e teologo ha insegnato filosofia in Italia, Stati Uniti, Uganda e Pakistan. Ha preso parte al Concilio Vaticano II
Pierre Riches è una figura singolarissima e affascinante del mondo della teologia. Da qualche anno si è trasferito in Sabina, non lontano da Roma. La casa, dove vive, si affaccia sulla valle del Tevere. Sobria e accogliente. Qualche mese fa è andata a trovarlo Laurie Anderson. Hanno cenato assieme e ricordato Lou Reed, di cui Padre Pierre è stato amico. Una foto sul muro del salotto ne descrive la relazione in qualche modo paterna: Lou Reed lo abbraccia sorridente e felice. Sul tavolo vedo una fresca copia di Note di catechismo per ignoranti colti, ripubblicato da Gallucci, con una prefazione di Giorgio Manganelli. "Il titolo", rammenta Riches, "me lo suggerì Elsa Morante".
venerdì 17 giugno 2016
Io sono Jo
Je suis Jo
I am Jo
Ich bin Jo
Yo soy Jo
Eu sou Jo
我就是我
SANGUE SULLA BREXIT, GRIDA 'BRITAIN FIRST' E UCCIDE LABURISTA
Jo Cox
Perchè una persona eccezionale come lei l'abbiamo conosciuta così tardi?
Martin Rowson on the killing of Jo Cox – cartoon
Bado
Omaggio a Jo Kox
Paride Puglia
Licht in de duisternis #JoCoxMP #brexit @delimburger
Joep Bertrams
da ANSA
Contro la Brexit, dalla parte degli immigrati e impegnata nella difesa dei diritti umani. Senza se e senza ma. La promettente stagione di Jo Cox alla Camera dei Comuni è durata solo un anno: deputata 41enne, era stata eletta alle politiche del 2015 per la sua prima legislatura fra le file del Labour ed era per molti una grande speranza del partito, destinata ad occupare un giorno posti di responsabilità in un governo. E invece la sua vita è finita a Birstall, presso Leeds, dopo l'immancabile incontro settimanale coi suoi elettori.
Jo arrivava dal mondo del volontariato, dopo la laurea a Cambridge era stata dirigente dell'associazione Oxfam e aveva lavorato anche per Save the Children e la NSPCC, oltre ad essere stata consulente della moglie dell'ex premier laburista Gordon Brown, Sarah, attivissima in una serie di campagne in favore di giovani e immigrati. Negli ultimi mesi era poi diventata fra gli esponenti laburisti più attivi e in 'vista' nella campagna a sostegno dell'Europa e in difesa dei profughi. Aveva affermato pochi giorni fa che l'uscita della Gran Bretagna dall'Ue non sarebbe stato il modo per affrontare il dossier immigrazione, come in precedenza aveva criticato il governo conservatore di David Cameron per la mancata accoglienza di migliaia di bambini in arrivo dalla Siria.
Il suo straordinario impegno per il Paese del Medio Oriente martoriato dalla guerra non finiva qui: era anche presidente del gruppo trasversale di Westminster chiamato 'Friends of Syria'. Si era astenuta nel voto ai Comuni sul via libera all'azione militare britannica nel Paese del Medio Oriente, affermando che serviva una soluzione di ampio respiro per risolvere il conflitto. Ma era favorevole a un'azione internazionale per favorire una transizione a Damasco. Era anche presidente del Labour Women's Network, che riunisce le donne laburiste, e aveva sostenuto la nomina di Jeremy Corbyn a leader del partito per poi cambiare idea, e votare per la candidata blairiana Liz Kendall. L'arrivo alla Camera dei Comuni non era stato facile: la sua candidatura in un seggio del West Yorkshire era stata criticata dagli avversari conservatori, che l'avevano vista come una scelta piovuta dall'alto per una esponente che non aveva legami con l'elettorato locale. Ma la sua passione aveva messo a tacere i detrattori.
Jo si definiva prima di tutto "una mamma": due i figli avuti dal marito Brandon Cox, anch'egli un attivista politico. La coppia aveva scelto di vivere su una barca convertita in abitazione ormeggiata vicino al Tower Bridge di Londra. Mentre tutti aspettavano notizie sulle condizioni della donna il marito ha pubblicato sul suo profilo Twitter una foto di lei, sorridente sullo sfondo della sua Londra: l'ultimo sorriso di Jo.
Brendan Cox, Jo’s Husband: 5 Fast Facts You Need to Know
I am Jo
Ich bin Jo
Yo soy Jo
Eu sou Jo
我就是我
SANGUE SULLA BREXIT, GRIDA 'BRITAIN FIRST' E UCCIDE LABURISTA
Jo Cox
Perchè una persona eccezionale come lei l'abbiamo conosciuta così tardi?
Jo non di “Piccole donne”
Si chiamava Jo come la protagonista schietta, coraggiosa, ribelle del capolavoro di Alcott. Ma era Jo Cox, non Jo March. Jo Cox si occupava a livello internazionale di tutto ciò che si (pre)occupa dei più deboli e in tutto ciò entrava a gamba tesa in prima persona. Come parlamentare si impegnava nei temi internazionali proiettata a discutere sulle devastazioni causate dai cosiddetti “danni collaterali” da guerre provocate per guerre inventate da noi, così come nei temi nazionali legati alle ingiustizie dell’isolamento sociale prive di compassione e pari opportunità. Apparteneva a quella specie di Persone che, molto semplicemente, non volta la faccia da un’altra parte e, perciò, prima ancora di sapere cosa può fare per dare una mano, intanto entra dentro a ciò che guarda, che vede… E’ sicuro che gente così trova sempre il modo per rendersi poi proficuamente utile. Per questa ragione è stata ammazzata (soppressa).
Jo è (fu…) il coraggio del sorriso spontaneo, mai artefatto, perché è sempre con quello che si dà, che si riceve, che si condivide.
I giornali ci raccontano che l’assassino è un pazzo squilibrato appartenente a robacce naziste, peraltro di matrice statunitense: follia pura dunque! Ma da poiché Jo era (anche) contro brexit ci può stare (?).
I giornali ci raccontano che l’assassino è un pazzo squilibrato appartenente a robacce naziste, peraltro di matrice statunitense: follia pura dunque! Ma da poiché Jo era (anche) contro brexit ci può stare (?).
Ma Jo era ben altro in più! Quel “di più” che costringe la specie di Persone che non sa voltare la faccia da un’altra parte a domandarsi quanti, oltre all’insano nazi, avrebbero avuto interesse a farla fuori da un sistema ormai radicato e conclamato.
Per dirla all’Andreotti (e ho detto tutto) : “ se l’andava cercando…”
18 giugno 2016
We do not know for certain if the death of MP Jo Cox is linked the Brexit vote, but the upcoming referendum does lay bare the sharp divisions in British society. Divisions that will cause the nation to self-destruct, no matter the outcome?
17 Jun 2016
My cartoon Friday @TheTimes on the terrible risk contained within an MP's life. #JoCox RIP pic.twitter.com/ukP7gqQ3GI— Peter Brookes (@BrookesTimes) 17 giugno 2016
Jo Cox RIP pic.twitter.com/KDTpEzyzBA— Christian Adams (@Adamstoon1) 16 giugno 2016
Violence dans la campagne du Brexit - © Chappatte dans Le Temps, Suisse pic.twitter.com/b0tS9lcZ4a— Dessins de Chappatte (@chappatte) 17 giugno 2016
Martin Rowson on the killing of Jo Cox – cartoon
Saturday’s cartoon: murder of « rising star » Jo Cox. pic.twitter.com/PYqv1BkrT7— Guy Badeaux (@guybadeaux) 18 giugno 2016
Bado
Omaggio a Jo Kox
Paride Puglia
Licht in de duisternis #JoCoxMP #brexit @delimburger
Joep Bertrams
"Mentre voi sottolineate la nostra diversità, quello che mi sorprende ogni volta di più girando il paese è che siamo molto più uniti e abbiamo molte più cose in comune gli uni con gli altri rispetto alle cose che ci dividono"
Jo COX
da ANSA
Contro la Brexit, dalla parte degli immigrati e impegnata nella difesa dei diritti umani. Senza se e senza ma. La promettente stagione di Jo Cox alla Camera dei Comuni è durata solo un anno: deputata 41enne, era stata eletta alle politiche del 2015 per la sua prima legislatura fra le file del Labour ed era per molti una grande speranza del partito, destinata ad occupare un giorno posti di responsabilità in un governo. E invece la sua vita è finita a Birstall, presso Leeds, dopo l'immancabile incontro settimanale coi suoi elettori.
Jo arrivava dal mondo del volontariato, dopo la laurea a Cambridge era stata dirigente dell'associazione Oxfam e aveva lavorato anche per Save the Children e la NSPCC, oltre ad essere stata consulente della moglie dell'ex premier laburista Gordon Brown, Sarah, attivissima in una serie di campagne in favore di giovani e immigrati. Negli ultimi mesi era poi diventata fra gli esponenti laburisti più attivi e in 'vista' nella campagna a sostegno dell'Europa e in difesa dei profughi. Aveva affermato pochi giorni fa che l'uscita della Gran Bretagna dall'Ue non sarebbe stato il modo per affrontare il dossier immigrazione, come in precedenza aveva criticato il governo conservatore di David Cameron per la mancata accoglienza di migliaia di bambini in arrivo dalla Siria.
Il suo straordinario impegno per il Paese del Medio Oriente martoriato dalla guerra non finiva qui: era anche presidente del gruppo trasversale di Westminster chiamato 'Friends of Syria'. Si era astenuta nel voto ai Comuni sul via libera all'azione militare britannica nel Paese del Medio Oriente, affermando che serviva una soluzione di ampio respiro per risolvere il conflitto. Ma era favorevole a un'azione internazionale per favorire una transizione a Damasco. Era anche presidente del Labour Women's Network, che riunisce le donne laburiste, e aveva sostenuto la nomina di Jeremy Corbyn a leader del partito per poi cambiare idea, e votare per la candidata blairiana Liz Kendall. L'arrivo alla Camera dei Comuni non era stato facile: la sua candidatura in un seggio del West Yorkshire era stata criticata dagli avversari conservatori, che l'avevano vista come una scelta piovuta dall'alto per una esponente che non aveva legami con l'elettorato locale. Ma la sua passione aveva messo a tacere i detrattori.
Jo si definiva prima di tutto "una mamma": due i figli avuti dal marito Brandon Cox, anch'egli un attivista politico. La coppia aveva scelto di vivere su una barca convertita in abitazione ormeggiata vicino al Tower Bridge di Londra. Mentre tutti aspettavano notizie sulle condizioni della donna il marito ha pubblicato sul suo profilo Twitter una foto di lei, sorridente sullo sfondo della sua Londra: l'ultimo sorriso di Jo.
Brendan Cox, Jo’s Husband: 5 Fast Facts You Need to Know
giovedì 16 giugno 2016
Ballottaggi
Ballottaggi fa rima con raggi ed ortaggi.
BalloRtaggi
di Riccardo Mannelli
Circo Massimo
di Franco Portinari
Pieno appoggio di D'Alema a Giacchetti
di Franco Portinari
Milano - Sala e Parisi
di Franco Portinari
LEGITTIMA SUSPICIONE
Che tutti ora vogliano tappare i buchi delle strade mi fa piacere ma veramente esistono argomenti che riescano a convincere qualcuno sul serio disinteresse personale dei candidati?
di Uber
Staino e D'Alema
di Staino
tutti contro il PD
di Staino
Aperture della destra
di Beppe Mora
io voterò il M5S perchè...
di Vanessi
Raggi e Giacchetti vorrebbero lavorare per noi...
di Franco Stivali
Giacchetti
di Tiziano Riverso
Fassino contro Appendino
di Tiziano Riverso
di Paride Puglia
di Giannelli
Vinca il migliore
di Giuliano
-
se Pd perde non mi dimetto
di Tiziano Riverso
Il grullo compressore
di Beppe Mora
BalloRtaggi
di Riccardo Mannelli
Circo Massimo
di Franco Portinari
Pieno appoggio di D'Alema a Giacchetti
di Franco Portinari
Milano - Sala e Parisi
di Franco Portinari
LEGITTIMA SUSPICIONE
Che tutti ora vogliano tappare i buchi delle strade mi fa piacere ma veramente esistono argomenti che riescano a convincere qualcuno sul serio disinteresse personale dei candidati?
di Uber
Staino e D'Alema
di Staino
tutti contro il PD
di Staino
Aperture della destra
di Beppe Mora
io voterò il M5S perchè...
di Vanessi
Raggi e Giacchetti vorrebbero lavorare per noi...
di Franco Stivali
Giacchetti
di Tiziano Riverso
Fassino contro Appendino
di Tiziano Riverso
di Paride Puglia
di Giannelli
Vinca il migliore
di Giuliano
Raggi di sòle?
Ma è vero che Virginia Raggi anela a squadra di assessori a sua immagine e somiglianza invece che a quelle del direttivo (soprattutto direttive) del 5Stelle? I nomi che stanno saltando fuori, infatti, non sono proprio associabili a diktat di massa per marchesati delGrillo appoggiati sul leggio di casa. Sono persone (per citarne alcuni: Paolo Berdini, Tomaso Montanari, Daniele Frongia) che a oggi hanno in più modi dimostrato di sapere egregiamente e costruttivamente lavorare in proprio senza padroni e, men che meno, padrini.
Virginia Raggi che tanto oggi potrebbe (dunque) rappresentare Roma, quanto è disposta a lavorare in proprio, affidandosi ad autentici esperti perché consapevole di sapere di non sapere, invece che subordinata a quel “vincolo di mandato” sottoscritto ai marchesati?
La vittoria al ballottaggio, più che alle balle, starà esclusivamente nella sua propria capacità di fare valere un mandato fine a se stesso, vincolato esclusivamente alla Roma d’oggi ampiamente stufa, sfiancata, moscia, ormai malata terminale vincolata da troppo tempo ai “io so’ io e voi non siete un cazzo”. Ma è indubbio che lei è invece attorcigliata prima di tutto a vincolo ben incastonato (altro che in movimento!) alle antiche origini.
Il suo sballottato Giachetti è già stato votato e otterrà altri voti al prossimo turno con le ormai note incognite per gli elettori, ma quanto meno questi non sono stati costretti a rinunciare al potere di decidere in proprio la differenza tra sole e sòle…
10 giugno 2016-
se Pd perde non mi dimetto
di Tiziano Riverso
Il grullo compressore
di Beppe Mora
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L'Osteria Francescana di Massimo Bottura è il primo ristorante al mondo
Da buona emiliana sono orgogliosa di questa notizia:
"E' l'Osteria Francescana di Massimo Bottura a Modena il ristorante migliore del mondo!"
Ma avendo un blog che raccoglie satira spero che il grande Chef ci perdoni questa vignetta di Paride Puglia.
Complimenti signor Massimo Bottura!
Da L'ANSA
E' l'Osteria Francescana di Massimo Bottura a Modena il ristorante migliore del mondo, secondo The World's 50 Best Restaurants, considerato l'Oscar dei cuochi. L'annuncio ieri sera al Cipriani Wall Street di New York. Osteria Francescana ha spodestato El Cellar de Can Roca di Girona. Bottura e' salito sul palco commosso.
"Mi vien quasi da piangere", ha detto, e ha chiamato la moglie Lara a raggiungerlo.
"Satirichinson" di Mario Airaghi
Ti invio una vignetta ... mi farebbe piacere collaborare al Tuo sito ...
Fammi sapere se è possibile ...
Ciao
Mario
Era il 14 marzo 2014 quando l'architetto Mario Airaghi mi spedì timidamente una vignetta e da li è iniziata la nostra amicizia.
Sono passati due anni e i disegni di Mario sono molto cresciuti. Airaghi è un artista raffinato, mai volgare sempre attento a ciò che succede nella nostra società.
Ed ora cari amici di FANY-BLOG vi annuncio la prima volta in libreria di questo autore satirico. La prima volta da solo perchè come potrete leggere in fondo nella bibliografia ha già pubblicato con altri artisti.
Sorridiamo con i suoi personaggi!... anche se come ci suggerisce lui stesso "C'e poco da ridere."
TITOLO: SATIRICHINSON
Autore: Mario Airaghi
Editore: Edizioni Periscopio
Prima edizione: Giugno 2016
Formato: 16x16 cm.
Pagine: 104 pp. A colori
Rilegato in brossura - Copertina a colori
Prezzo di copertina: € 9,00
Cod.ISBN: 978-88-940744-4-4
Presentazione / Sinossi
Quando un Chinson esce dalla penna dell'autore lo fa per esprimere un malessere, una difficoltà di relazione che poi riesce a trasformare, grazie al cinismo innato, in una battuta dirompente o in un sottile rompicapo. Perché c'è un Chinson in ognuno di noi: potete scegliere se essere Crok, Punky o Jul – con il loro mento grosso e le orecchie esagerate – ma tutti loro ci buttano in faccia le nostre fissazioni, le nostre idiosincrasie, i nostri migliori propositi regolarmente traditi, il nostro rapporto con la politica e con la vita di tutti i giorni che è spesso conflittuale e alienante.
Il mondo dei Chinson non è il mondo dei giovani e non è il mondo dei vecchi. È il mondo di chiunque, sotto mentite spoglie, cerchi di sorridere delle disfatte quotidiane. Con il distacco di questi personaggi di carta montati su un fondale da cantastorie, che non hanno niente di epico o di straordinario da raccontare e che alla meglio trasformano in una elegante sciarada la grigia realtà.
I Chinson sono borderline, mai omologati o scontati e i loro pensieri sono solo apparentemente superficiali: la loro impronta lascia il segno.
Note Biografiche
Mario Airaghi architetto 50enne milanese alterna il lavoro di progettista a quello di vignettista di satira politica. Ha pubblicato sulle riviste satiriche on-line NON SAI, FANYBLOG, ITALIAN COMICS, CARTOONPARADE, SFERA, PRUGNA e giornali web come Postik, Esistentepaziente, Barricate, Informazione Libera, cultura & società, DinamoPress e altri ancora. È stato selezionato per il catalogo e la mostra di INTERNAZIONALE - FERRARA festival 2014, e ha partecipato con un’opera alla mostra in memoria dell’eccidio alla redazione di CHARLIE HEBDO che si è svolto al WOW Museo del Fumetto di Milano.
Ha pubblicato vignette e illustrazioni nei libri “LEGALMENTE” e “FESTA D’APRILE” per Tempesta editore e in “ITALIAN SATYRICON” per Epsil Edizioni/Italian Comics.
Con le sue vignette, ha da poco iniziato la collaborazione con Cartaigienicaweb.
Dicono di lui:
NON SAI
L’architetto Mario Airaghi, milanese, condivide con noi una sfrenata passione per la satira.
Le sue vignette sono inconfondibili per l’originalità che ne caratterizza il colore. L’uso dell’evidenziatore è il suo marchio di fabbrica, anche se non di rado si diletta a creare in bianco e nero. Tratta temi di attualità con particolare attenzione alla satira politica.
ITALIAN COMICS
“Ho 50 anni, sono un libero professionista in un settore tecnico specialistico. Ho sempre disegnato, naturalmente, ma solo da qualche anno ho iniziato a... ridere. Prima solo per gli amici e ora anche pubblicamente.” In questo modo, modestamente, si presenta Mario Airaghi , ma la sua arte è tutt’altro che modesta: un segno grafico moderno, un raffinato umorismo e un utilizzo del colore assolutamente originale. Questi sono gli elementi che caratterizzano la satira politica e di costume di Mario Airaghi.
mercoledì 8 giugno 2016
Ritratto di Giorgio Albertazzi
Ritratto di Giorgio Albertazzi
di Riccardo Mannelli
In Senato è stata ricordata la figura emblematica di questo grande vecchio attore del teatro italiano, scomparso il 28 maggio scorso con un minuto di silenzio.
Riporto invece io, oltre al bel disegno di Mannelli, anche le sue parole in una delle ultime interviste fattagli da Antonio Gnoli, quando ha compiuto novant'anni, la sua arte nel video "Memorie di Adriano" e nelle note le sue ombre.
Albertazzi: "Gassman aveva il corpo, Carmelo Bene il talento. Ma io sono Re Lear e vorrei morire sul palcoscenico"
"In scena porto me stesso. Il teatro è finzione assoluta: fingere vuol dire capire"
di ANTONIO GNOLI
In una stradina del quartiere Parioli abita Giorgio Albertazzi: l' attore per antonomasia, verrebbe da dire. È domenica mattina. Poca gente in giro. Qualche cane, trascinato da domestiche indifferenti, annusa un' aria che sa di pioggia. Tutto è autunnale. Anche i numerosi cartelli con scritto "vendesi appartamento", che affissi un po' ovunque, mostrano che quel luogo romano, concentrato di ricche famiglie, sta lentamente ingrigendo. Arretra davanti ai colpi della crisi. Non fa eccezione. Albertazzi abita al pianterreno di una palazzina.
Mi riceve con divertita rassegnazione. Guardo il disordine dell' appartamento, sembra quello prodotto da uno scapolo. Guardo lui e noto che regge benissimo ai colpi del tempo (farà novant' anni tra qualche mese). Ha retto meno alle tavole del teatro: due lividi ai lati del naso ne rabbuiano il volto. "Caduto sulla scena", commenta brusco. E poi aggiunge: "Recitavo Puccini a Castellammare di Stabia. Una scena di gelosia. Mi lancio verso la ragazza e inciampo fra i tendaggi. Giù, a faccia avanti. Che botta! Fermo un quarto d' ora. Il sangue, lo stordimento, il dolore. Il medico voleva che facessi immediatamente la tac. Decido di riprendere. Poi l' ovazione e il teatro che sembrava dovesse crollare. L' attore ferito che torna in scena. «Pura epica, leggenda. Il pubblico in piedi che gridava: Giorgio, Giorgio!».
Le piace questo mestiere. «Adoro sentire le vibrazioni del pubblico e mi piace Albertazzi».
Come fu il suo esordio? «Un gran debutto: Firenze, Troilo e Clessidra, regia di Visconti. 1949, mi pare. C' erano tutti i migliori: Ricci, Benassi, Stoppa, Cervi, Ruggeri. Gassman. Facevo il servo di Clessidra, interpretata da Rina Morelli».
Grande compagnia. Le avrà insegnato tanto. «Ci ho messo un paio d' anni a imparare a recitare come loro e tutta la vita a disimparare. La verità è che non ho mai amato il teatro. Il loro soprattutto».
Sputa nel piatto dove mangia? «Del teatro mi coinvolge la vita degli autori. Il grande teatro è tradimento. Le opere non mi interessano. Le confesso che non ho neppure letto fino in fondo Le memorie di Adriano. Eppure ho fatto quasi mille repliche in giro per il mondo con lo spettacolo. Ma ho letto tutto quello che c' era da leggere su Marguerite Yourcenar. Donna strepitosa. Mi soffermo sulle sue foto da giovane e da vecchia. E ammiro la sua lotta contro il tempo. La stessa che combatteva Hemingway. Esistono gli autori. I personaggi sono ombre, fantasmi, passanti».
Alla fine cosa mette in scena? «Me stesso, naturalmente».
Un' affermazione carica di responsabilità. «Lo so,è azzardato dirlo. Ma succede qualcosa che non so neppure io cos' è. Se faccio Adriano sono Adriano. Così con Giulio Cesare e Riccardo III».
E dov' è Albertazzi? «Dentro di loro. Il mimetismo è totale. Annullo i personaggi per questo diventano ombre o fantasmi».
Un vero egocentrico. «Mi lasci riflettere. C' è in me il gusto della scoperta: vedere cosa accade non sapendo quello che accadrà. Non mi chiedo mai come cammina o muove le mani un certo personaggio. Chissenefrega. Mi interessa come cammino e muovo io le mani. Io sono Re Lear e Re Lear è me».
Cos' è una trance teatrale? «È la schizofrenia dell' attore: sdoppiarsi e ricomporsi. È doloroso, ma secondo me Antonin Artaud faceva la stessa cosa. E anche Carmelo».
Intende Bene? «Sì proprio lui. L' unico, tra tutti gli attori, che sento più vicino».
Lui forse non sarebbe stato della stessa idea. «Non ne sono convinto».
Polemizzaste ferocemente. «È vero. Però piombò tra me e Vittorio Gassman come un V2. Un critico scrisse chi è il re tra i magnifici quattro? Intendeva tra Romolo Valli, Gassman, Bene e Albertazzi. Io non credo che sia un atto di superbia ma un fatto erotico sentirsi il migliore. E la partita era tra me e Bene. Portò nel teatro il talento e la provocazione».
Provocatoriamente disse infatti che aveva chiamato il suo cane lupo "Albertazzi". «E io risposi: amo troppo i miei cani per chiamarli "Carmelo Bene". Quando morì fui il primo a rendergli omaggio al Teatro Argentina. E la sorella, che vedevo per la prima volta, mi ringraziò. In quell' occasione mi confessò che Carmelo continuamente diceva: Albertazzi non mi vuole bene, non mi capisce. E invece l' ho adorato».
Che cos' era il suo recitare? «Teatro della crudeltà. Dietro quell' apparente cinismo si massacrava».
E di Gassman cosa pensa? «Bravissimo accademico. Ma il grande Gassman è quello del cinema non del teatro. Però il suo arrivo sul palcoscenico fu clamoroso e devastante. Portò in scena l' atletismo, il corpo. E fu una novità. Fino a quel momento tutti gli attori recitavano composti nei loro abiti di scena, corretti nella voce. Nella dizione, e nella potenza: Renzo Ricci, Ermete Zacconi. Meravigliosi dinosauri».
E per lei cos' è il teatro? «Aver paura di se stessi. Farsi male. È Orfeo che si fa divorare dalle baccanti. Il teatro non ha nulla di pensoso, di contemplativo, di distaccato. È cannibalico. Convoca l' eros e la morte. Ho sempre pensato che nel grande teatro la parola debba coincidere con il pensiero. Senza questa alchimia il teatro diventa una cosa noiosa: un ripetere le parole, entrando da destra o da sinistra».
Ed è finzione? «Assoluta. Fingere vuol dire capire».
Lei ha un qualche rapporto con la verità? «La penso come Nietzsche: non ce n' è una sola. Soltanto Ratzinger può dire che la verità è una e splendente».
Lei crede? «In nulla. Detesto pensare che qualcuno da su ci consoli o ci punisca. Le mie consolazioni sono i miei ricordi».
Il più bello? «Con Franco Zeffirelli facemmo all' Old Vic di Londra un Amleto straordinario. Giudicato da Lawrence Olivier il più bello di quell' anno. Tra coloro che lo interpretarono c' erano Peter O' Toole, Jean Louis Barrault, Richard Burton, Maximilian Schell. Era il 1964».
Lei ha recitato tanto Shakespeare? «Sedici opere in tutto. Nessuno è all' altezza di Shakespeare e di Dante».
E tra i contemporanei? «Amo Borges e Proust mi piace, ma mi annoia. Mi intriga la sua idea del tempo. Vorrei fermare il tempo. I miei quasi novant' anni che rincorro come una palla da bowling».
Cos' è per lei la vecchiaia? «Ci sono tre indizi: quando confondi o dimentichi i nomi; quando cammini a piccoli passi; ma il più terribile è quando ti fanno presidente onorario. Però ci vogliono molti anni per diventare giovane».
Aveva vent' anni quando aderì alla Repubblica Sociale. Che ricordo ha? «Intanto non fui il solo. Altri, come Dario Fo, Franco Enriquez, Enrico Maria Salerno, per restare nel mio mondo, avevano compiuto quella scelta».
Lei andò volontario. «Sì, feci la scuola allievi ufficiali per otto mesi. Perché? Mi chiede. Potrei risponderle perché provai schifo per la vigliaccheria di un Re che scappava. Oppure dirle che mio zio fascista fu ammazzato a Campo di Marte. E lo vidi morire sputando sangue dai polmoni. Ma la verità è che io ho aderito a quella parte perché mi sembrava di fare qualcosa di simile al D' Annunzio fiumano».
Anche quando partecipò all' esecuzione di un disertore? «Non partecipai. Presenziai in quanto, come sottotenente, ero il più alto in grado. Il capitano era stato ferito e il tenente, quella mattina, si era dato malato. Il comando italo-tedesco aveva condannato a morte quel giovane. Noi per giorni prendemmo tempo. Alla fine arrivò il colonnello Zuccari e il comandante tedesco e ci dissero che se l' indomani il disertore non fosse stato fucilato noi avremmo preso il suo posto».
Uno scambio di vite? «No, un gesto inutile. Perché quel giovane sarebbe stato comunque fucilato».
Quello a cui assisteva non era teatro ma vita. Cosa provò in quel momento? «L' impressione fu grande. Ma al tempo stesso c' era una tensione drammatica. Vedevamo tornare sulle barelle i nostri morti. Era terribile. Si era a Sestino, nei pressi della linea Gotica».
In seguito fu arrestato? «Passai un anno in carcere. Tra Bologna e Milano. In attesa di un processo che non ci fu perché venni assolto in istruttoria dal generale Traina».
Si è chiesto se quella di aderire alla repubblica Sociale fu la scelta giusta? «La mia educazione fu fatta anche sugli episodi della Mas, sulla trasvolata di Balbo e la Fiume di D' Annunzio. Mi sentivo figlio di quelle imprese. Non sono mai stato fascista. La mia scelta, sbagliata che fosse, nacque per orgoglio nazionale. E l' ho pagata, glielo assicuro».
Lei ha figli? «No, non ne ho mai voluti. Di recente ho pensato cosa sarebbe avere un figlio oggi di quaranta o cinquant' anni. Ma poi dico chissenefrega. Non sono un padre. Sono nato figlio di qualcosa. Magari di molte donne».
Sono state importanti nella sua vita? «Fondamentali. Non saprei prescinderne».
Perché? «Sono la grazia, la bellezza, il mistero».
Non è un po' scontato? «Dice la Yourcenar: "L' amore è un castigo. Veniamo puniti per non essere riusciti a restare soli"».
Però è sposato. «Da qualche anno con Pia de' Tolomei, discendente dalla celebre Pia dantesca. Una donna che amo e da cui sono amato sebbene ci dividano diverse generazioni».
Che ruolo ha la vanità? «Me lo chiedo spesso».
Si sarà dato una risposta. «È inutile che mi rifaccia a modelli diversi da me. Io non sono gli altri, non posso fingere di essere quello che non sono».
Si accetta completamente? «Forse no. Anche se, a questo punto, sarebbe difficile immaginarmi diverso».
Qual è il suo peggior difetto? «Dovrei dire la vanità. Mi piaccio troppo. Ma forse il mio peggior difetto è avere novant' anni. E oggi, quando mi dicono: bravo, bravissimo, non sento quasi più nulla. Applausi e ricchezza mi lasciano indifferente».
Ha guadagnato molto? «Tantissimo e ho dissipato altrettanto».
Non teme l' attore che diventa povero? «Che finisce alla casa di riposo?»
Non volevo giungere a tanto. «Mi auguro di no. Sono stato molto più amato di quanto io non abbia amato. Ogni cosa in amore inizia e finisce. È un fatto che gli dei ci invidiano. Mi viene in mente L' Immortale di Borges che è disperato perché non riesce a morire. Perché non c' è più l' attimo fuggente. Gli amori più sono grandi e più sono destinati a finire».
Li rimpiange? «Sono la mia malinconia: una tristezza che si è fatta leggera. C' è bellezza anche nel decadere degli entusiasmi, nello spengersi delle attitudini, nel corpo che non ti risponde più come una volta e ti obbliga a stare al suo servizio e non lui al tuo. Cambia la percezione del mondo. Queste parole mi colgono nell' assillo del tempo che passa. E dei progetti che non ho ancora realizzato. E so che vorrei fare ancora tante cose. Non mi piaccio come attore, mi piace il cuore del pubblico. Conquistarlo sera dopo sera. Fino alla fine».
Morire in scena, come l' ultimo trionfo? «C' è molta retorica popolare in questa immagine. Ma forse sì, anch' io vorrei morire tra le tavole di un palcoscenico».
MEMORIE ADRIANO - Ritratto di una voce
Frammenti dal romanzo di Marguerite Yourcenar
Interpreti: Giorgio Albertazzi, Anita Bartolucci, Gianfranco Barrra, Roberto Gandini, Yordi Godal, Luana Nunzi, Tito Piscitelli, Andreas Rallys, José Sanchez Minobas, David Sant Noell
Interventi Musicali: Maria Carta, Alfio Antico, Domenico Maglionico
Coreografie: Eric Vu An
Regia: Maurizio Scaparro
Registrazione del 1989 nella Villa Adriana, Tivoli
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Note:
Quelle ombre di un passato mai davvero dimenticato
FULVIO PALOSCIA
BISOGNA andare indietro nel tempo, risalire alla guerra, al 28 luglio del 1944 quando a Sestino — un borgo arroccato nell'aretino, vicino alla linea gotica — un plotone di fascisti uccise Ferruccio Manini. 19 anni.
Passato dalla Guardia Nazionale Repubblicana alla lotta partigiana. Sulla divisa di soldato agli ordini della Repubblica Sociale, Albertazzi portava i gradi di sottotenente.
Fu l'attore a dare il via alla fucilazione. Anzi, a Sestino dicono d'averlo visto impugnare le armi e sparare.
Un colpo dritto in testa. Nel processo, il tribunale militare di Milano lo assolse, per aver agito «in stato di necessità». Eppure, Albertazzi in molte interviste avrebbe tradito la verità.
Riferendo di non aver «partecipato» ma di aver «presenziato» all'esecuzione perché, quel 28 luglio, era il più alto in grado. Dichiarazioni che hanno sempre suscitato sdegno. Avvenne anche nell'estate dell'89, quando alla Rai il mattatore spese parole dure sulla Resistenza. A nulla valse la lettera che l'attore inviò a Sestino, chiedendo un incontro col paese. E il premio Castiglioncello tolse a Albertazzi il riconoscimento che avrebbe dovuto conferigli. Le sue parole in merito alla militanza fascista sono sempre state ambigue. Mai di completo pentimento. Scrive nel libro Un perdente di successo: «Andai a Salò da ribelle e ho visto solo scappare chi faceva la Resistenza. Io i partigiani li ho sempre visti scappare». «Si è chiesto se quella di aderire alla repubblica Sociale fu la scelta giusta?» gli chiese Antonio Gnoli in un'intervista su
Repubblica. Albertazzi: «La mia educazione fu fatta anche sugli episodi della Mas, sulla trasvolata di Balbo e la Fiume di D' Annunzio. Mi sentivo figlio di quelle imprese. Non sono mai stato fascista. La mia scelta, sbagliata che fosse, nacque per orgoglio nazionale». E sulle nostre pagine, a Roberto Incerti: «Fascista.
Repubblichino. Soprattutto, sono sempre stato inaffidabile».
di Riccardo Mannelli
In Senato è stata ricordata la figura emblematica di questo grande vecchio attore del teatro italiano, scomparso il 28 maggio scorso con un minuto di silenzio.
Riporto invece io, oltre al bel disegno di Mannelli, anche le sue parole in una delle ultime interviste fattagli da Antonio Gnoli, quando ha compiuto novant'anni, la sua arte nel video "Memorie di Adriano" e nelle note le sue ombre.
Albertazzi: "Gassman aveva il corpo, Carmelo Bene il talento. Ma io sono Re Lear e vorrei morire sul palcoscenico"
"In scena porto me stesso. Il teatro è finzione assoluta: fingere vuol dire capire"
di ANTONIO GNOLI
In una stradina del quartiere Parioli abita Giorgio Albertazzi: l' attore per antonomasia, verrebbe da dire. È domenica mattina. Poca gente in giro. Qualche cane, trascinato da domestiche indifferenti, annusa un' aria che sa di pioggia. Tutto è autunnale. Anche i numerosi cartelli con scritto "vendesi appartamento", che affissi un po' ovunque, mostrano che quel luogo romano, concentrato di ricche famiglie, sta lentamente ingrigendo. Arretra davanti ai colpi della crisi. Non fa eccezione. Albertazzi abita al pianterreno di una palazzina.
Mi riceve con divertita rassegnazione. Guardo il disordine dell' appartamento, sembra quello prodotto da uno scapolo. Guardo lui e noto che regge benissimo ai colpi del tempo (farà novant' anni tra qualche mese). Ha retto meno alle tavole del teatro: due lividi ai lati del naso ne rabbuiano il volto. "Caduto sulla scena", commenta brusco. E poi aggiunge: "Recitavo Puccini a Castellammare di Stabia. Una scena di gelosia. Mi lancio verso la ragazza e inciampo fra i tendaggi. Giù, a faccia avanti. Che botta! Fermo un quarto d' ora. Il sangue, lo stordimento, il dolore. Il medico voleva che facessi immediatamente la tac. Decido di riprendere. Poi l' ovazione e il teatro che sembrava dovesse crollare. L' attore ferito che torna in scena. «Pura epica, leggenda. Il pubblico in piedi che gridava: Giorgio, Giorgio!».
Le piace questo mestiere. «Adoro sentire le vibrazioni del pubblico e mi piace Albertazzi».
Come fu il suo esordio? «Un gran debutto: Firenze, Troilo e Clessidra, regia di Visconti. 1949, mi pare. C' erano tutti i migliori: Ricci, Benassi, Stoppa, Cervi, Ruggeri. Gassman. Facevo il servo di Clessidra, interpretata da Rina Morelli».
Grande compagnia. Le avrà insegnato tanto. «Ci ho messo un paio d' anni a imparare a recitare come loro e tutta la vita a disimparare. La verità è che non ho mai amato il teatro. Il loro soprattutto».
Sputa nel piatto dove mangia? «Del teatro mi coinvolge la vita degli autori. Il grande teatro è tradimento. Le opere non mi interessano. Le confesso che non ho neppure letto fino in fondo Le memorie di Adriano. Eppure ho fatto quasi mille repliche in giro per il mondo con lo spettacolo. Ma ho letto tutto quello che c' era da leggere su Marguerite Yourcenar. Donna strepitosa. Mi soffermo sulle sue foto da giovane e da vecchia. E ammiro la sua lotta contro il tempo. La stessa che combatteva Hemingway. Esistono gli autori. I personaggi sono ombre, fantasmi, passanti».
Alla fine cosa mette in scena? «Me stesso, naturalmente».
Un' affermazione carica di responsabilità. «Lo so,è azzardato dirlo. Ma succede qualcosa che non so neppure io cos' è. Se faccio Adriano sono Adriano. Così con Giulio Cesare e Riccardo III».
E dov' è Albertazzi? «Dentro di loro. Il mimetismo è totale. Annullo i personaggi per questo diventano ombre o fantasmi».
Un vero egocentrico. «Mi lasci riflettere. C' è in me il gusto della scoperta: vedere cosa accade non sapendo quello che accadrà. Non mi chiedo mai come cammina o muove le mani un certo personaggio. Chissenefrega. Mi interessa come cammino e muovo io le mani. Io sono Re Lear e Re Lear è me».
Cos' è una trance teatrale? «È la schizofrenia dell' attore: sdoppiarsi e ricomporsi. È doloroso, ma secondo me Antonin Artaud faceva la stessa cosa. E anche Carmelo».
Intende Bene? «Sì proprio lui. L' unico, tra tutti gli attori, che sento più vicino».
Lui forse non sarebbe stato della stessa idea. «Non ne sono convinto».
Polemizzaste ferocemente. «È vero. Però piombò tra me e Vittorio Gassman come un V2. Un critico scrisse chi è il re tra i magnifici quattro? Intendeva tra Romolo Valli, Gassman, Bene e Albertazzi. Io non credo che sia un atto di superbia ma un fatto erotico sentirsi il migliore. E la partita era tra me e Bene. Portò nel teatro il talento e la provocazione».
Provocatoriamente disse infatti che aveva chiamato il suo cane lupo "Albertazzi". «E io risposi: amo troppo i miei cani per chiamarli "Carmelo Bene". Quando morì fui il primo a rendergli omaggio al Teatro Argentina. E la sorella, che vedevo per la prima volta, mi ringraziò. In quell' occasione mi confessò che Carmelo continuamente diceva: Albertazzi non mi vuole bene, non mi capisce. E invece l' ho adorato».
Che cos' era il suo recitare? «Teatro della crudeltà. Dietro quell' apparente cinismo si massacrava».
E di Gassman cosa pensa? «Bravissimo accademico. Ma il grande Gassman è quello del cinema non del teatro. Però il suo arrivo sul palcoscenico fu clamoroso e devastante. Portò in scena l' atletismo, il corpo. E fu una novità. Fino a quel momento tutti gli attori recitavano composti nei loro abiti di scena, corretti nella voce. Nella dizione, e nella potenza: Renzo Ricci, Ermete Zacconi. Meravigliosi dinosauri».
E per lei cos' è il teatro? «Aver paura di se stessi. Farsi male. È Orfeo che si fa divorare dalle baccanti. Il teatro non ha nulla di pensoso, di contemplativo, di distaccato. È cannibalico. Convoca l' eros e la morte. Ho sempre pensato che nel grande teatro la parola debba coincidere con il pensiero. Senza questa alchimia il teatro diventa una cosa noiosa: un ripetere le parole, entrando da destra o da sinistra».
Ed è finzione? «Assoluta. Fingere vuol dire capire».
Lei ha un qualche rapporto con la verità? «La penso come Nietzsche: non ce n' è una sola. Soltanto Ratzinger può dire che la verità è una e splendente».
Lei crede? «In nulla. Detesto pensare che qualcuno da su ci consoli o ci punisca. Le mie consolazioni sono i miei ricordi».
Il più bello? «Con Franco Zeffirelli facemmo all' Old Vic di Londra un Amleto straordinario. Giudicato da Lawrence Olivier il più bello di quell' anno. Tra coloro che lo interpretarono c' erano Peter O' Toole, Jean Louis Barrault, Richard Burton, Maximilian Schell. Era il 1964».
Lei ha recitato tanto Shakespeare? «Sedici opere in tutto. Nessuno è all' altezza di Shakespeare e di Dante».
E tra i contemporanei? «Amo Borges e Proust mi piace, ma mi annoia. Mi intriga la sua idea del tempo. Vorrei fermare il tempo. I miei quasi novant' anni che rincorro come una palla da bowling».
Cos' è per lei la vecchiaia? «Ci sono tre indizi: quando confondi o dimentichi i nomi; quando cammini a piccoli passi; ma il più terribile è quando ti fanno presidente onorario. Però ci vogliono molti anni per diventare giovane».
Aveva vent' anni quando aderì alla Repubblica Sociale. Che ricordo ha? «Intanto non fui il solo. Altri, come Dario Fo, Franco Enriquez, Enrico Maria Salerno, per restare nel mio mondo, avevano compiuto quella scelta».
Lei andò volontario. «Sì, feci la scuola allievi ufficiali per otto mesi. Perché? Mi chiede. Potrei risponderle perché provai schifo per la vigliaccheria di un Re che scappava. Oppure dirle che mio zio fascista fu ammazzato a Campo di Marte. E lo vidi morire sputando sangue dai polmoni. Ma la verità è che io ho aderito a quella parte perché mi sembrava di fare qualcosa di simile al D' Annunzio fiumano».
Anche quando partecipò all' esecuzione di un disertore? «Non partecipai. Presenziai in quanto, come sottotenente, ero il più alto in grado. Il capitano era stato ferito e il tenente, quella mattina, si era dato malato. Il comando italo-tedesco aveva condannato a morte quel giovane. Noi per giorni prendemmo tempo. Alla fine arrivò il colonnello Zuccari e il comandante tedesco e ci dissero che se l' indomani il disertore non fosse stato fucilato noi avremmo preso il suo posto».
Uno scambio di vite? «No, un gesto inutile. Perché quel giovane sarebbe stato comunque fucilato».
Quello a cui assisteva non era teatro ma vita. Cosa provò in quel momento? «L' impressione fu grande. Ma al tempo stesso c' era una tensione drammatica. Vedevamo tornare sulle barelle i nostri morti. Era terribile. Si era a Sestino, nei pressi della linea Gotica».
In seguito fu arrestato? «Passai un anno in carcere. Tra Bologna e Milano. In attesa di un processo che non ci fu perché venni assolto in istruttoria dal generale Traina».
Si è chiesto se quella di aderire alla repubblica Sociale fu la scelta giusta? «La mia educazione fu fatta anche sugli episodi della Mas, sulla trasvolata di Balbo e la Fiume di D' Annunzio. Mi sentivo figlio di quelle imprese. Non sono mai stato fascista. La mia scelta, sbagliata che fosse, nacque per orgoglio nazionale. E l' ho pagata, glielo assicuro».
Lei ha figli? «No, non ne ho mai voluti. Di recente ho pensato cosa sarebbe avere un figlio oggi di quaranta o cinquant' anni. Ma poi dico chissenefrega. Non sono un padre. Sono nato figlio di qualcosa. Magari di molte donne».
Sono state importanti nella sua vita? «Fondamentali. Non saprei prescinderne».
Perché? «Sono la grazia, la bellezza, il mistero».
Non è un po' scontato? «Dice la Yourcenar: "L' amore è un castigo. Veniamo puniti per non essere riusciti a restare soli"».
Però è sposato. «Da qualche anno con Pia de' Tolomei, discendente dalla celebre Pia dantesca. Una donna che amo e da cui sono amato sebbene ci dividano diverse generazioni».
Che ruolo ha la vanità? «Me lo chiedo spesso».
Si sarà dato una risposta. «È inutile che mi rifaccia a modelli diversi da me. Io non sono gli altri, non posso fingere di essere quello che non sono».
Si accetta completamente? «Forse no. Anche se, a questo punto, sarebbe difficile immaginarmi diverso».
Qual è il suo peggior difetto? «Dovrei dire la vanità. Mi piaccio troppo. Ma forse il mio peggior difetto è avere novant' anni. E oggi, quando mi dicono: bravo, bravissimo, non sento quasi più nulla. Applausi e ricchezza mi lasciano indifferente».
Ha guadagnato molto? «Tantissimo e ho dissipato altrettanto».
Non teme l' attore che diventa povero? «Che finisce alla casa di riposo?»
Non volevo giungere a tanto. «Mi auguro di no. Sono stato molto più amato di quanto io non abbia amato. Ogni cosa in amore inizia e finisce. È un fatto che gli dei ci invidiano. Mi viene in mente L' Immortale di Borges che è disperato perché non riesce a morire. Perché non c' è più l' attimo fuggente. Gli amori più sono grandi e più sono destinati a finire».
Li rimpiange? «Sono la mia malinconia: una tristezza che si è fatta leggera. C' è bellezza anche nel decadere degli entusiasmi, nello spengersi delle attitudini, nel corpo che non ti risponde più come una volta e ti obbliga a stare al suo servizio e non lui al tuo. Cambia la percezione del mondo. Queste parole mi colgono nell' assillo del tempo che passa. E dei progetti che non ho ancora realizzato. E so che vorrei fare ancora tante cose. Non mi piaccio come attore, mi piace il cuore del pubblico. Conquistarlo sera dopo sera. Fino alla fine».
Morire in scena, come l' ultimo trionfo? «C' è molta retorica popolare in questa immagine. Ma forse sì, anch' io vorrei morire tra le tavole di un palcoscenico».
MEMORIE ADRIANO - Ritratto di una voce
Frammenti dal romanzo di Marguerite Yourcenar
Interpreti: Giorgio Albertazzi, Anita Bartolucci, Gianfranco Barrra, Roberto Gandini, Yordi Godal, Luana Nunzi, Tito Piscitelli, Andreas Rallys, José Sanchez Minobas, David Sant Noell
Interventi Musicali: Maria Carta, Alfio Antico, Domenico Maglionico
Coreografie: Eric Vu An
Regia: Maurizio Scaparro
Registrazione del 1989 nella Villa Adriana, Tivoli
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Note:
Quelle ombre di un passato mai davvero dimenticato
FULVIO PALOSCIA
BISOGNA andare indietro nel tempo, risalire alla guerra, al 28 luglio del 1944 quando a Sestino — un borgo arroccato nell'aretino, vicino alla linea gotica — un plotone di fascisti uccise Ferruccio Manini. 19 anni.
Passato dalla Guardia Nazionale Repubblicana alla lotta partigiana. Sulla divisa di soldato agli ordini della Repubblica Sociale, Albertazzi portava i gradi di sottotenente.
Fu l'attore a dare il via alla fucilazione. Anzi, a Sestino dicono d'averlo visto impugnare le armi e sparare.
Un colpo dritto in testa. Nel processo, il tribunale militare di Milano lo assolse, per aver agito «in stato di necessità». Eppure, Albertazzi in molte interviste avrebbe tradito la verità.
Riferendo di non aver «partecipato» ma di aver «presenziato» all'esecuzione perché, quel 28 luglio, era il più alto in grado. Dichiarazioni che hanno sempre suscitato sdegno. Avvenne anche nell'estate dell'89, quando alla Rai il mattatore spese parole dure sulla Resistenza. A nulla valse la lettera che l'attore inviò a Sestino, chiedendo un incontro col paese. E il premio Castiglioncello tolse a Albertazzi il riconoscimento che avrebbe dovuto conferigli. Le sue parole in merito alla militanza fascista sono sempre state ambigue. Mai di completo pentimento. Scrive nel libro Un perdente di successo: «Andai a Salò da ribelle e ho visto solo scappare chi faceva la Resistenza. Io i partigiani li ho sempre visti scappare». «Si è chiesto se quella di aderire alla repubblica Sociale fu la scelta giusta?» gli chiese Antonio Gnoli in un'intervista su
Repubblica. Albertazzi: «La mia educazione fu fatta anche sugli episodi della Mas, sulla trasvolata di Balbo e la Fiume di D' Annunzio. Mi sentivo figlio di quelle imprese. Non sono mai stato fascista. La mia scelta, sbagliata che fosse, nacque per orgoglio nazionale». E sulle nostre pagine, a Roberto Incerti: «Fascista.
Repubblichino. Soprattutto, sono sempre stato inaffidabile».
martedì 7 giugno 2016
E torneranno le navi a remi di Franz Falanga
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E torneranno le navi a remi
di Franz Falanga
Editore ADDA
Editore ADDA
CONTENUTO : «Malgrado si sapesse ormai da decenni che prima o poi le fonti si sarebbero isterilite, la gente, malgrado gli attentati e la ormai prossima fine dei carburanti fossili, aveva allegramente continuato a scialare acquistando sempre più macchine costose e non facendosi mancare nulla. Erano gli ultimi scadenti ruggiti del capitalismo morente. Quelle tre abbondanti miliardate di poveri del terzo e quarto mondo, ai quali ormai nessuno più pensava, se la sfangavano da sole, visto che i cosiddetti Stati civili della terra, particolarmente la Comunità Europea, erano diventati delle fortezze pressoché inespugnabili che si circondavano sempre più di ostacoli impermeabili alle varie ondate migratorie che comunque non smettevano di premere alle varie frontiere…»
Mi scrive Marilena Nardi
La cover è mia ma il libro l'ha scritto Franz Falanga, un mio caro amico.
Si intitola "e torneranno le navi a remi". Ed è finalmente disponibile per Adda Editore. Non perdetelo!!!
FRANCESCO FALANGA
Francesco Falanga, detto Franz, nato a Bari, si è laureato a Venezia in architettura con il prof. Giuseppe Samonà, durante la straordinaria stagione in cui lo stesso Samonà, Carlo Scarpa e Bruno Zevi, protagonisti della cultura architettonica italiana del novecento, insegnavano all'IUAV (Istituto Universitario di Architettura di Venezia). E' stato professore nella cattedra di Elementi di architettura e urbanistica all'Accademia di belle arti di Venezia. Ha insegnato, negli anni precedenti il 1996, all'Accademia di belle arti di Bari. Ha sempre combattuto contro la cancellazione del senso della storia che la società dell'apparire e del consumare ad ogni costo pilota quotidianamente con pervicace costanza, facendo più danni di una guerra in special modo alle ultime generazioni. Questo immenso continente giovanile, se non torniamo tutti al più presto a privilegiare, come scriveva Machiavelli, le forze di dignità della conoscenza e della creatività, rischia di essere divorato e digerito senza scampo da questa società, indubbiamente molto squinternata e molto pericolosa con i più deboli e, contemporaneamente, molto condiscendente con i più forti.
Insegnare ad insegnare, in Italia è pratica quasi inesistente. Una gran percentuale degli addetti alla trasmissione della cultura, pur essendo di grande eccellenza professionale, sono però privi delle tecniche della trasmissione del sapere. L'insegnamento ben fatto e ben curato è quindi affidato al caso e alla buona volontà dei singoli che fanno quello che possono. Ma così non si progredisce e non si preparano al meglio le generazioni future. Non sarebbe male se, in ogni disciplina universitaria, si implementassero dei corsi di didattica della disciplina medesima. Tutto sta ad incominciare, tenendo presente che i futuri docenti di didattica dovranno "realmente" essere in grado di farlo. Il problema è, infatti, tutto lì, nella parola "realmente".
Le Accademie di belle arti italiane, alla fine del 1999, sono passate nella fascia dell'istruzione universitaria, spostandosi così dall'ormai ex ministero della Pubblica Istruzione (notare che l'aggettivo "pubblica" è da molti anni scomparso ogni qualvolta si parli di scuola a qualsivoglia livello) per passare all'attuate MIUR. Ministero dell'Istruzione (anche qui l'aggettivo "pubblica" è stato rimosso), dell'Università e della Ricerca. Questo passaggio, come si può ben immaginare, è stato ed è tuttora complesso (tra l'altro non è ancora perfettamente a regime) e molto intrigante perché sta mettendo in contatto, molto faticosamente, le varie realtà delle Scuole di Architettura Italiane con le realtà altrettanto varie delle Accademie di "belle arti" e dei Conservatori. Va da sé che le Accademie di belle arti dovrebbero, per prima cosa, sostituire la frase "belle arti" con il termine "creatività". Chi sta scrivendo queste note sta pensando a futuri "Istituti universitario della Creatività, della Forma e della Comunicazione oppure, nei futuri Politecnici della Creatività, della Forma e della Comunicazione". Se codesta futuribile situazione si riuscirà a progettarla e ad articolarla nella giusta maniera, c'è forse la fascinosa e rapinosa possibilità di riprendere le fila bruscamente troncate del Bauhaus, che non ha assolutamente esaurita la sua carica innovativa. All'interno di questo Politecnico si potrebbero organizzare al meglio la didattica delle varie forme di creatività tout court, aggiungendo nuovi strumenti culturali a quelli già esistenti utilizzando, ovviamente, moltissime nuove tecniche, comprese quellle informatiche.
Franz Falanga ha pubblicato anche: Nella terra dell'U edizioni Menabò, Pescara, O DADO' O DADA' Adda Editore Bari, La didattica dell'architettura Gangemi Editore Roma, Il commissario Navarrini e lo strano destino del generale scenografo Adda Editore Bari, A proposito della comunicazione / Come perdere con assoluta certezza le elezioni Armando editore Roma, Il commissario Navarrini e una sua personalissima indagine su una Bari geneticamente modificata Adda Editore Bari, Franz Falanga, con la collaborazione fotografica di Andrea Fantinato, ha pubblicato Le invarianti nella Tomba Brion di Carlo Scarpa edizioni AURELIA in Asolo, BARI /IL BORGO MURATTIANO 1813 - 2013 Adda Editore Bari, l'ebook La Tendopoli di Canazei, l'ebook LE INVARIANTI NELL'ARCHITETTURA / SOLUZIONI D'ANGOLO con Paolo Perfido e Massimo De Faveri. Gli ebook possono essere acquistati su qualsiasi piattaforma dedicata.
Franz Falanga ha pubblicato anche: Nella terra dell'U edizioni Menabò, Pescara, O DADO' O DADA' Adda Editore Bari, La didattica dell'architettura Gangemi Editore Roma, Il commissario Navarrini e lo strano destino del generale scenografo Adda Editore Bari, A proposito della comunicazione / Come perdere con assoluta certezza le elezioni Armando editore Roma, Il commissario Navarrini e una sua personalissima indagine su una Bari geneticamente modificata Adda Editore Bari, Franz Falanga, con la collaborazione fotografica di Andrea Fantinato, ha pubblicato Le invarianti nella Tomba Brion di Carlo Scarpa edizioni AURELIA in Asolo, BARI /IL BORGO MURATTIANO 1813 - 2013 Adda Editore Bari, l'ebook La Tendopoli di Canazei, l'ebook LE INVARIANTI NELL'ARCHITETTURA / SOLUZIONI D'ANGOLO con Paolo Perfido e Massimo De Faveri. Gli ebook possono essere acquistati su qualsiasi piattaforma dedicata.
Un fantasma si aggira per l'Italia, le comunicazioni di massa. Esse sono caratterizzate da un'anomalia difficilmente estirpabile, da un equivoco di fondo difficilmente risolvibile. L'equivoco del quale sto parlando è l'errata convinzione che noi viviamo in uno straordinario periodo epocale dove le comunicazioni di massa sono dedicate al benessere della collettività. Nulla di più falso. I meccanismi dell'informazione e della comunicazione sono attualmente utilizzati in maniera distorta, nel senso che, anziché privilegiare il benessere dell'intera società, privilegiano una ristretta corporazione di persone. Con il trascorrere degli anni, a partire dall'invenzione del telegrafo senza fili, diventato in seguito radiofonia e quindi televisione, la comunicazione è diventata sempre più appannaggio di pochi addetti ai lavori a fronte di moltitudini tenute ad arte nella più totale disinformazione. Un plateale esempio di un uso distorto della comunicazione è osservabile nell'universo politico italiano drammaticamente diviso fra due contrastanti visioni del mondo. In una parte i meccanismi comunicativi sono ben oleati e straordinariamente funzionanti, ancorchè ripetitivi e prevedibili, nell'altra i meccanismi in questione sono impegolati in una visione dei rapporti con gli avversari politici quanto meno disarmante. Il dilemma è cornuto: riuscire a bonificare questo meccanismo perverso, oppure no.
domenica 5 giugno 2016
Liste elettorali
Oggi si vota...
Votate bene!!
Elezioni comunali. Le liste civiche.
Lido Contemori
Elezioni
CeciGian
Vigilia insonne
Giannelli
Cadei
Staino
mal comune mezzo grullo
Riccardo Mannelli
Candidati Sindaco Milano
Portos
indicazioni di voto
Franzaroli
Bertelli
Parmagnèr per la Cultura La commissione anticosa ha esaminato oltre 3200 candidati alle prossime amministrative rintracciando 14 “impresentabili”: un dato vergognoso che ci preoccupa per il futuro di questo Paese. Davanti ad un numero così esiguo abbiamo quindi deciso di avviare, a partire già dalla prossima settimana, i nostri laboratori di minaccia creativa, fantafatturazione e origami di cemento. Per iscriversi non saranno necessari i vostri dati (quelli li abbiamo già), ma basterà farsi pungere un dito.
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Per maggiori informazioni: fatevi i cazzi vostri.
aperture elettorarali della destra
Beppe Mora
Intenzioni di voto
Vanessi
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venerdì 3 giugno 2016
CAMPIONATO ITALIANO DELLA BUGIA 2016 : ECCO I BANDI
CAMPIONATO ITALIANO DELLA BUGIA 2016: ECCO I BANDI PER PARTECIPARE
Le Piastre (PT) 16 maggio 2016 – L’Accademia della Bugia de Le Piastre (PT) ha pubblicato i bandi relativi alle tre sezioni del Campionato italiano della Bugia edizione 2016 e giovedì 23 giugno per la prima volta la sfida tra raccontatori bugiardi si trasferirà a San Miniato per una eccezionale anteprima.
«Abbiamo accettato – spiega il magnifico rettore dell’Accademia, Emanuele Begliomini – la richiesta che ci è arrivata dagli animatori del Centro commerciale naturale del paese del tartufo e per la prima volta esporteremo la nostra formula fuori dalle mura amiche de Le Piastre. Ci hanno convinto perchè anche a San Miniato vantano una tradizione bugiarda, visto che hanno una frazione che si chiama Pinocchio e dicono che Carlo Lorenzini ha pensato e ambientato lì il suo libro più famoso. Per noi e per tutti gli spettatori sarà una bella anteprima in quest’anno straordinario in cui festeggiamo il nostro cinquantesimo anniversario».
Da oggi è possibile iscriversi al concorso grafico, riservato ai vignettisti e disegnatori più bugiardi d’Italia, alla sezione letteraria dedicata a chi è capace di scrivere una bugia condensandola in un massimo di 1.800 battute, e al classico confronto tra bugiardi raccontatori, l’unico che ha anche una sezione dedicata ai bambini fino a 14 anni. Da segnalare che nella sezione letteraria, il presidente di giuria è, come al solito, il premio strega Sandro Veronesi.
Il tema unificante della quarantesima edizione del Campionato Italiano è “1966-2016, il Giubileo della Bugia: così rifaccio la storia dell’ultimo mezzo secolo” ovvero tutto ciò che è accaduto da cinquant’anni a questa parte rivisto in chiave bugiarda.
Vignette e componimenti letterari possono essere inviati entro le ore 24 di martedì 12 luglio,mentre i raccontatori hanno tempo per iscriversi fino alle 12 di sabato 30 luglio prossimo.
Alla sezione grafica lo scorso anno parteciparono oltre 70 vignettisti da ogni parte d’Italia, mentre gli scrittori aspiranti bugiardi sono stati 50. Anche quest’anno a chi vive fuori Toscana o comunque abita a più di 200 chilometri da Le Piastre, l’Accademia offre(e non è una bugia) la possibilità di soggiornare gratuitamente sulla montagna pistoiese, ospiti degli abitanti del paese che organizza il Campionato.
La corsa a diventare il più bugiardo o la più bugiarda d’Italia, è appena cominciata.
SCARICA I BANDI:
Fra due mesi esatti si terrà il 40° Campionato Italiano della Bugia. Ecco il disegno realizzato da Sergio Tessarolo per il diploma che verrà consegnato a tutti i bugiardi.
Ma andiamo a rivedere quei gran bugiardi premiati lo scorso anno
Sergio Tessarolo si è aggiudicato il titolo di miglior vignettista bugiardo disegnando un alpino che avendo perso una gamba e si rende utile nel campo con la protesi di legno e la stampella che lasciano sulla terra piccoli buchi pronti ad accogliere le piantine che sua moglie semina. I danni di guerra utili almeno in agricoltura.
Al secondo posto della sezione grafica Gianlorenzo Ingrami da Sassuolo con la sua colomba della pace frenata da un lingotto d’oro.
Terzo Lucio Trojano da Lanciano (Chieti) che al posto della colomba ha disegnato una lumaca con in bocca un ramoscello d’ulivo.
Le menzioni d'onore ed i premi speciali
Il premio della giuria popolare “Bartoli” è andato a Eugenio Saint Pierre di Genova con il suo tritacarne pacifista. Segnalazioni qualità per Cardelli, Lombardi, Corvi e Longo
Per la prima volta è stato assegnato il bugiardino internazionale che premia il miglior vignettista straniero. Se l’è aggiudicato la francese Raissa Tireau, che viene da Limoges.
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