sabato 19 luglio 2014

Internazionale 2014: Vota la tua Vignetta Preferita

Agim Sulaj, Corriere Romagna, 25 giugno 2014


Vota la tua vignetta preferita. Scegli tra le vignette in concorso, clicca sulla tua preferita e votala. La vignetta più bella sarà premiata nel corso del festival di Internazionale a Ferrara 2014
Il concorso è organizzato dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea in collaborazione con Internazionale e VoxEurop per premiare la migliore vignetta politica pubblicata sulla stampa italiana nel 2014.

Le vignette in concorso

Marco Tonus, Il Momento, giugno 2014
Maurizio Maluta, Araberara, 11 ottobre 2013
Maurizio Boscarol, mamma.am, 30 giugno 2014
Fifo, risodegliangeli.corriere.it, 30 maggio 2104
Tom Janssen, Voxeurop.it, 23 maggio 2014
Mario Bochicchio, Italian Comics, 13 giugno 2014
Niels Bo Bojesen, voxeurope.it, 8 giugno 2014
Marco de Angelis, Buduàr, giugno 2014
Andrea Bersani, mamma.am, 12 maggio 2014
Luka, musicletter.it, 4 marzo 2014
Mario Airaghi, Italian Comics, 28 maggio 2014
Massimiliano Martorelli, Eventi, 1 novembre 2013
Agim Sulaj, Corriere Romagna, 25 giugno 2014
Il Leo, tuttafirenze.it, 10 dicembre 2013
Dino Aloi, buduar.it, 23 giugno 2014
Gianni Audisio, Corriere di Saluzzo, 5 giugno 2014
Assunta Toti Buratti, Buduàr, Marzo 2014
Masismo Palazzo, livesicilia.it, 16 maggio 2014
Maria Silvia Barbieri, Carlo Minotti, Chiodo, 27 giugno 2014
Gava, Espresso.it, 28 giugno 2014
Cecigian, Avvenire, 22 marzo 2014
Punch, La nuova prima pagina di Modena, 25 maggio 2014
Arend Van Dam, Presseurop, 14 novembre 2012
Anto, napolitime.it, 11 giugno 2014
Maino, cnalombardia.it, 11 novembre 2013
Luigi HC Porceddu, Europae Rivista di Affari Europei, 1 giugno 2014
Ales+Fabel, oltremedianews.com, 29 maggio 2014
Alessio Atrei, Toscana Oggi, 18 maggio 2014
Corvo Rosso, corvorosso.it, 2 giugno 2014
Walter Leoni, Libero, 22 giugno 2014
Fabio Magnasciutti, Left,12 ottobre 2013
Simone Barretta, Valerio Cartuccia, Michelangelo D'Ambrogi, ilcaffevitruviano.it, 20 giugno 2014
Fulvio Fontana, SELmade.it, 12 novembre 2013
Emmeppi, mamma.am, 21 giugno 2014
GlMart, solovignette.it, 16 maggio 2014
Rosario Santamaria, Nuova Scintilla, 6 giugno 2014
Danilo Paparelli, La gazzetta di Saluzzo, 29 maggio 2014
Pierfrancesco Uva, bitontotv.it, 2 maggio 2014
Righi, Gazzetta di Modena, 27 giugno 2014
Lele Corvi, Il Cittadino, 30 ottobre 2013
Serkan, informarezzo.com, 8 giugno 2014
Portos, Milanosud, 6 giugno 2014
Dario Campagna, ilmale.net, 28 giugno 2014
Andrea Lupo, Voismagazine, 29 giugno 2014
Marilena Nardi, Barricate! L'informazione in movimento, Gennaio 2014
Giorgio Franzaroli, Il fatto quotidiano, 28 maggio 2014
Giorgio, portalino.it, 26 maggio 2014
Fury, castellinews.it, 23 giugno 2014

Il Festival si terrà a Ferrara dal 3 al 5 ottobre
Presidente della giuria, Thierry Vissol. Gianfranco Uber ne farà parte essendo il vincitore dell'edizione 2013.
Le vignette sono in ordine casuale
Sarete voi e la giuria a decretare il vincitore.
In alto ho messo quella di Agim Sulaj che molto gentilmente mi ha informato dell'uscita delle vignette partecipanti.


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venerdì 18 luglio 2014

Finale Mondiale, “derby” tra Papi.

Argentina -Germania: E' per tutti "il derby dei due Papi". Ma loro, Francesco e Joseph Ratzinger, saranno domenica davanti alla tv per vedere la finale in programma al Maracanà di Rio tra Argentina e Germania? Padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, dice: "Francesco certamente si informerà". Bergoglio è tifoso del San Lorenzo e della nazionale albiceleste, il suo predecessore tedesco porta invece nel cuore la sua Germania, ma è più tiepido.
Migliaia sono i fotomontaggi che li ritraggono a guardare la gara di domenica sera ed anche tante vignette .....
Prima....

... e dopo!
Fernandes


-EL JUICIO FINAL
Boligan




 Finale papale papale.
Marco Tonus


Germania - Argentina

The day after
PORTOS / Franco Portinari






La vignetta di Giannelli







 Gianni Fioretti





Zuleta





**

L'arbitro lo faccio io
Tiziano Riverso

giovedì 17 luglio 2014

Le Madonne di Gaza

Hamas and Israel
di Riber Hansson



Le Madonne di Gaza

E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze…al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso…
Che scriverebbe oggi il poeta al posto di “alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento” volendo esternare la sua sofferenza per il massacro di Gaza perpetrato dai discendenti di quei deportati sui fiumi di Babilonia di cui al biblico salmo 136? Sono loro oggi il piede straniero che schiaccia altri cuori, sono loro che lasciano sul selciato corpi dilaniati dalle bombe che risparmiano neppure i bambini innocenti e madri straziate. Al mondo basta sapere che loro non si considerano stranieri perché infusi da diritto di proprietà su quella terra in quanto promessa dal Dio di quella Bibbia che alla fine del salmo 136 recita: “Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra”. Terrificante…
Ma lasciamo in pace Dio ché oltre a tutto per moltissimi s’è fatto Uomo nato da una Donna. Cosa rimane sono (solo in questa tornata!) centinaia di morti e migliaia di feriti per armi da fuoco ricoverati in ospedali di fortuna, contro qualche unità di morti che fanno sempre notizia planetaria e (forse) qualche ferito ricoverato in ospedali tra i migliori del mondo.
Sembra proprio che nessuno voglia accorgersi di quelle cetre, non solo già state staccate dagli alberi, ma che da mo’ stanno intonando (solo) lugubri canti.
16 luglio 2014


Tiziano Riverso



Gaza Life
Mohammad Saba'aneh
Gaza Life 13 Jul 2014


La reazione
Mauro Biani




DON'T AIM THE CHILDREN
L'accusa ad Hamas di utilizzare la popolazione civile per giustificare le "accidentali" uccisioni di inermi civili e bambini non è accettabile.
Non c'è scusa che tenga.
UBER


Madonna in Gaza
Paolo Lombardi

mercoledì 16 luglio 2014

World Cup 2014 protagonisti: Messi

Golden Ball

The adidas Golden Ball was awarded to Argentina captain Lionel Messi for his outstanding displays at Brazil 2014.




Messi, talvez melhor que Maradona, mas falta muito pra chegar a ser um Pelé.
Fernandes 


Messi 
di Petar Pismestrovic 



 Messi 
 ...Sketch #10...ma poi chissenefrèga se non sei come Maradona!...che se non c'eri tu forse l'Argentina nemmeno ci arrivava in finale...(e poi uno che si chiama "Lionello" e vince 4 palloni d'oro è già di per sè spettacolare!)
InkyJohn

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PS: le critiche

ManoMessi

Massimo Gramellini
15/07/2014
Agli albori del nuovo Reich, mezzo mondo accusa il piccolo grande sconfitto Lionel Messi di non essere colui che in fondo non è mai stato. Follie moderne, da anime deboli che elemosinano leadership forti. Messi ha sempre avuto più talento che carattere. Del fuoriclasse ha i piedi, non la personalità. Ma bisognava trovare un eroe a cui intestare i Mondiali e gli sponsor e gli appassionati hanno caricato Messi di significati maradonici che non si è mai sognato di possedere. Adesso lo si processa per non avere mantenuto le promesse, dimenticando che erano promesse fondate su un’illusione non suggerita da uno straccio di fatto. Lo stesso cortocircuito dell’assurdo si era consumato anni fa intorno a Obama, un brillante intellettuale di Chicago casualmente di colore che il desiderio collettivo trasformò nel messia destinato a condurre l’Occidente oltre le sabbie della crisi, con i bei risultati che si sono visti.
Questo bisogno disperato di uomini soli al comando su cui scaricare aspettative e responsabilità ricorda il meccanismo di certi innamoramenti, quando l’amante impresta all’amato o all’amata una serie di qualità inesistenti e poi rimane deluso dallo scoprire che in effetti non esistono. I leader sono marchi di riconoscimento che per comodità comunicativa appiccichiamo a un evento o a un’epoca. Con buona pace di politologi e giornalisti attratti dal mito del Capo taumaturgo, ci vuole lo sforzo comune di tante persone per cambiare davvero la realtà. Al Maracanà non ha vinto un leader, ma una squadra.

martedì 15 luglio 2014

Liberi di volare



Abbiamo solo 24 ore, aiutaci a far arrivare ovunque questa campagna per impedire che ogni anno oltre 50mila uccelli migratori siano imprigionati, legati, accecati e mutilati legalmente. Invia l'email qui sotto a tutti e condividi questo link su Facebook.

https://secure.avaaz.org/it/italy_no_bird_torture_3_1/?tuGyreb

Grazie ancora per il tuo sostegno,

Il team di Avaaz

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Cari avaaziani,

In Italia ogni anno decine di migliaia di uccelli migratori vengono mutilati, accecati e segregati in micro-celle legalmente per farne esche vive per la caccia. Ma tra 24 ore possiamo cancellare questa barbarie dalla storia del nostro paese.

Contro questo orrore l’Unione Europea ha aperto una procedura di infrazione ma alla Camera l’emendamento che avrebbe messo al bando le esche vive non è passato per pochi voti. Ora le maggiori associazioni ambientaliste hanno chiesto il nostro aiuto: facciamo conoscere a tutta l'Italia questa barbarie prima del voto al Senato.

Mancano solo 24 ore al voto e i senatori a favore della messa al bando ci dicono che le nostre firme saranno fondamentali perché decine dei loro colleghi stanno decidendo come votare proprio in questo momento. Firma subito e condividi con tutti:

https://secure.avaaz.org/it/italy_no_bird_torture_3_1/?tuGyreb

Secondo la LIPU, che si è mobilitata assieme a ENPA, WWF e moltre altre organizzazioni ambientaliste, ogni anno sono oltre 50mila i piccoli uccelli migratori che vengono intrappolati con apposite reti e poi rinchiusi in gabbie dove trascorrono il resto della loro vita deprivati di tutto.

Spesso sono accecati di proposito, o perdono la vista a causa dal buio dei magazzini dove sono stipati, sviluppando atrofie, ferite e malattie dovute a immobilità, mancanza di igiene e sofferenza. L'unica occasione in cui tornano a percepire l'aria aperta, è all'inizio della stagione di caccia quando privi della cognizione delle stagioni, d'istinto cantano, scambiando l'autunno per la primavera e richiamando tragicamente a sé gli stormi di passaggio.

Non solo si tratta di una pratica atroce, ma è anche rigorosamente vietata in tutta Europa, tanto che contro l'Italia è stata aperta una procedura di infrazione. Il Governo propone di lasciare alle regioni, dove le lobby della caccia sono più forti, la scelta di fermare o meno questa tortura, ma domani al Senato possiamo finalmente fermare questo orrore in tutta Italia. Firma subito e condividi con tutti:

https://secure.avaaz.org/it/italy_no_bird_torture_3_1/?tuGyreb

Solo questa settimana la nostra comunità è stata fondamentale per ottenere una vittoria importantissima a tutela degli elefanti africani, e pochi mesi fa siamo stati determinanti per salvare uno dei parchi abruzzesi dove vivono orsi e lupi in pericolo di estinzione. Ora è il momento di entrare in azione per salvare gli uccelli selvatici che passano dall'Italia durante le loro bellissime migrazioni.

Con grande determinazione,

Luca, Luis, Francesco e tutto il team di Avaaz

ULTERIORI INFORMAZIONI

Caccia, la lunga battaglia contro le esche vive (La Repubblica)
http://www.repubblica.it/ambiente/2014/07/05/news/lipu_richiami_esche_vive_bando-90730692/

Richiami vivi, ora Renzi spieghi i motivi dell'abbraccio mortale del Pd agli estremisti venatori (Huffington Post)
http://www.huffingtonpost.it/fulvio-mamone-capria/richiami-vivi-renzi-estremisti-venatori_b_5485433.html

Richiami vivi, la procedura d'infrazione non ferma il sì della Lombardia (Quotidiano Nazionale)
http://qn.quotidiano.net/lifestyle/2014/06/20/1081500-animali-richiami-lipu.shtml

Caccia, Lipu: "Fermiamo pratica crudele dei richiami vivi" (La Repubblica)
http://video.repubblica.it/cronaca/caccia-lipu-fermiamo-pratica-crudele-dei-richiami-vivi/171421/169957

Richiami vivi, appello delle associazioni a Renzi: cancelli questa barbarie e con essa la procedura d'infrazione (ENPA)
http://www.enpa.it/it/primo_piano/primo_piano.asp?RECORD_KEY%5Bprimopiano%5D=ID&ID%5Bprimopiano%5D=990


Disegno di Marilena Nardi

World Cup 2014 protagonisti: Olanda (3 classificata)

di Dalcio



BIRA DANTAS


Brasile - Olanda... — con Luiz Felipe Scolari e Louis Van Gaal
di InkyJohn.



Robben 
di Joep Bertrams 

PS: consiglio di vedere anche il video animato Overdosis

domenica 13 luglio 2014

World Cup 2014 protagonisti: Seleção Brasileira (4° classificata)


Dalcio



#copa2014
#WorldCup2014
Gilmar




Set
Portos- Franco Portinari


Scolari
Fernandes





Fernandes



Naymar Fred
Dalcio



David Luiz
Dalcio





Materassao
Portos-Franco Portinari



di JAL



Ritratto di Carla Vasio

Il 1 giugno  su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
 a  Carla Vasio





Carla Vasio: "Ho fatto la guerra del Gruppo '63, ora vivo per dimenticare tutto"

La scrittrice, saggista, storica dell'arte e poetessa italiana, nata a Venezia nel 1932 e poi trasferitasi a Roma, in occasione del cinquantenario della nascita del movimento ha pubblicato il libro di memorie Vita privata di una cultura (Nottetempo, 2013) che ne ripercorre la storia
di ANTONIO GNOLI  

E poi c'era lei. Carina. Molto carina. In quel Gruppo '63. In quella foto affollata di teste che sarebbero diventate note e con il vecchio Ungaretti davanti alla torta: "Eravamo nati a un giorno di distanza l'uno dall'altra. Festeggiammo insieme i compleanni. Ungaretti era lì. Con l'immancabile basco. Non spaesato. Sordo e inguaribilmente incazzato. Mio Dio, pensai, ora prende la torta e la lancia contro qualcuno", ricorda Carla Vasio. Sì, Ungaretti poteva essere imprevedibile.

Ma quello che non capisco è perché delle donne che hanno partecipato al Gruppo '63 non si parla mai. Guardo la Vasio  -  una signora fine, con un bel libro di memorie pubblicato da poco ( Vita privata di una cultura , Nottetempo)  -  e mi aspetto una risposta risentita, rancorosa. E invece è ironica: "Forse non gliela davamo. O forse pensavano di essere solo loro i protagonisti di questa scena che è durata alcuni anni e molto ha svecchiato nella cultura italiana".

Erano maschilisti incalliti?
"Si sentivano tutti dei geni. E alcuni forse lo furono anche. Sicuramente Edoardo Sanguineti. Il più sorprendente. Paradossale".

C'è una foto in cui ballate avvinghiati.
"Avvinghiati? È di una castità dopolavoristica. Del resto Edoardo era sposato e io avevo le mie storie, rigorosamente fuori dal gruppo".

Di tutta la combriccola fu molto presente Giorgio Manganelli.
"Adorabile nevrotico. Fu un'amicizia vera con lui. Fatta di intesa e di confidenza. Ma senza complicazioni sessuali. A volte reagiva con indignazione alle ingiustizie culturali".

A cosa si riferisce?
"Accadde un episodio, proprio nel 1963. Nella sede milanese di Garzanti fu presentato Accoppiamenti giudiziosi di Gadda. Aprì Ungaretti. A un certo punto Pasolini lo interruppe accennando, provocatoriamente, ad alcuni versi di una poesia piuttosto sconcia da dedicare allo scrittore. Il pubblico rumoreggiava. Gadda in prima fila era rosso come un peperone e in preda a un'angoscia terribile".

E Manganelli?
"Soffriva. Mi trascinò fuori in preda all'ira. Reagì alla provocazione pasoliniana allontanandosi".

Ma il Gruppo '63 non amava Pasolini.
"Non condivideva nulla della sua impostazione anacronistica. Non lo amava, ma non ne parlava. Il vero grande nemico che temevamo non erano neppure Cassola o Bassani, facili bersagli. No. Era Alberto Moravia. Lui, soprattutto. Non gli altri".

La racconta come fosse una guerra.
"E in un certo senso lo è stata. Con morti e feriti. Roma e Milano furono i due grandi campi di battaglia. Preceduti da Palermo che fece da detonatore. Per me che ero veneziana fu un bel divertimento ".

Quanto è rimasta a Venezia?
"Fino all'adolescenza. Con i miei abitammo prima in un angolo di un vecchio palazzo gotico. Poi andammo a vivere al Lido. Feci lì le elementari. Tra le mie compagne di classe c'era Rossana Rossanda".

E com'era
"Bella, elegante e molto intelligente. Quando ci rivedemmo, molti anni dopo, mi propose di collaborare al Manifesto . Ringraziai e poi dissi che i miei interessi erano troppo frivoli per le loro esigenze".

Frivoli?
"Diciamo leggeri, impolitici. Ero stata per un periodo a Parigi nei primi anni Sessanta. Mi ero laureata in storia della musica e facevo le mie brave ricerche su Debussy. Poi conobbi Henri Michaux, un bel tipo. Continuava a parlarmi dei grandi effetti letterari che l'uso della mescalina produceva. Lo guardavo affascinata e inorridita al tempo stesso".

Tornerei ancora un momento a Venezia. Quando la lasciò?
"Durante la guerra. Mio padre, che era un giornalista del Gazzettino, partecipò alla Resistenza. Si trasferì a Roma e noi con lui. Poi sparì e restammo io e mia madre. Il 1943 fu il nostro inverno della fame. Fu terribile. Il padre di due mie compagne ebree notando la mia denutrizione ricordo che mi diede due scatolette di vitamine americane".

Come fu il dopoguerra a Roma?
"Eccitante. Avevo fatto il liceo al Mamiani, l'università a Lettere. La vera Roma, quella straordinariamente reattiva capace di diventare un assoluto centro internazionale, si realizzò nella seconda metà degli anni Cinquanta. Non si può avere un'idea di che cosa fosse la sua vitalità: artistica e culturale. La cosa più strabiliante fu anche un certo lato esoterico che in seguito la città, sotterraneamente, sviluppò".

Cosa intende per esoterico?
"Una certa predilezione per le dottrine orientali e in particolare indiane. Era facile nei primi anni Sessanta incontrare Krishnamurti nel salotto di Vanda Scaravelli. Lei grande esperta di yoga ed entrambi appassionati di automobili. Oppure, in casa del compositore Giacinto Scelsi, trovarsi al cospetto di qualche affascinante lama tibetano. Lì ci si poteva imbattere in Patrizia Norelli- Bachelet. Aveva sposato un diplomatico e si era trasferita in America. Di punto in bianco, così raccontò, sentì la chiamata mentale dall'Ashram di Aurobindo".

Il santone indiano?
"Lui. Patrizia abbandonò tutto. E senza soldi, né un programma, con un bambino di sei anni, si mise in viaggio per raggiungere l'India. Si incamminò verso l'India come fosse il posto più vicino a casa. E fece una lunga tappa a Roma".

E qui cosa accadde?
"Incontrò una giovane pianista, allieva prediletta di Arturo Benedetti Michelangeli, su cui il maestro riponeva grandi speranze. Ma la giovane donna sorprese un po' tutti quando, all'inizio di un concerto, disse che non avrebbe più suonato in pubblico. Da quel momento si dedicò a mettere a punto una terapia musicale per bambini difficili e down".

E lei in tutto questo che c'entrava?
"Eravamo diventate amiche. Io mi occupavo di musica, Patrizia di astrologia e Maura Cova, insieme ad Alberto Neuman, altro allievo straordinario di Michelangeli, fondò una scuola musicale in cui insegnava il nuovo metodo. Il mio compito era trascrivere quello che accadeva. Poi mi accorsi di un fatto abbastanza curioso".

Quale?
"A Roma si era formata una enclave di junghiani".

Lo dice come fosse una setta.
"In un certo senso lo era. Ne fui ammessa andando, per diverso tempo, in analisi da Ernst Bernhard. Alla fine Bernhard, che aveva avuto in cura Manganelli e Fellini, voleva che diventassi analista e mi spedì da un personaggio meraviglioso che viveva ad Ascona".

Chi era?
"Aline Valangin. Non saprei come definirla: una specie di drago mitologico. Era già molto anziana. Era stata una pianista mancata, dopo un incidente alla mano sinistra. Allieva e paziente di Jung. Sposò un avvocato ebreo e la sua casa durante la dittatura fu un punto di riferimento per gli antifascisti. Ebbe anche una storia con Ignazio Silone. Insomma, mi presentai a lei con una lettera di Bernhard. Fu premurosa. Mi disse che avrei dovuto studiare qualche anno a Zurigo, prima di intraprendere la professione di analista".

E cosa decise?
"Ero tentata e lusingata. Ma alla fine prevalse il desiderio di occuparmi di musica e di arte. E poi volevo scrivere. Ma intendevo farlo in forma originale. Passò qualche anno quando realizzai un curioso "romanzo storico", scritto su di un solo grande foglio da appendere alla parete. Enzo Mari ideò la gabbia grafica. E quando il libro uscì ricevetti una telefonata da Italo Calvino".

Cosa le disse Calvino?
"Cominciò a imprecare. Sembrava arrabbiato. Poi di punto in bianco cambiò tono: ti devo parlare. Stasera vediamoci a cena, disse. Eravamo amici. Spesso si mangiava insieme in trattoria e si scherzava su tutto. Sentirlo così rancoroso mi preoccupò. Quando ci vedemmo mi sembrò freddo: come ti sei permessa di scrivere il libro che volevo fare io? Restai sconcertata. Poi capii che era il suo modo di esprimere consenso. Qualche mese dopo uscì una sua recensione in cui definì Romanzo storico uno dei più straordinari libri degli ultimi anni".

Che anno era?
"Mi pare fosse il 1976. Si avvicinava una nuova fase di contestazione che non avrebbe portato a niente. Poi ci fu la tragedia di Aldo Moro. Il Paese allo sbando. Roma da tempo aveva smesso di essere la città straordinaria che era stata. Credo che l'ultimo sussulto lo ebbe con l'estate dei poeti nel luglio del 1979".

Fu un evento che alcuni ancora oggi considerano memorabile.
"Si realizzò grazie alla fantasia e al coraggio di Renato Nicolini e a circostanze fortuite. Fu Fernanda Pivano a portare a Roma i poeti americani. Una sera mi telefonò. Domani arrivo con Allen Ginsberg. Devi condurci con la tua macchina a Ostia. Partimmo in tre. Ginsberg sembrava inquieto. Arrivammo che c'era già una quantità pazzesca di gente. Dal palco qualcuno leggeva poesie".

E cosa accadde?
"Peter Orlovsky fu coinvolto in una rissa. Ginsberg vedendo il fidanzato in difficoltà reagì in modo sublime. Salì sul palco. Afferrò il microfono. Si sedette in terra. E cominciò a cantilenare, con la sua voce bellissima, un mantra. Improvvisamente si fece silenzio. La rissa finì. E l'evento poté finalmente decollare".

Fu un canto del cigno.
"Fu la cosa più bella e gratuita che ci potesse accadere. Ricordo che Nanda era divisa tra lo stupore per quella serata imprevedibile e il racconto che mi fece di un tentativo da parte di Gregory Corso, totalmente drogato, di farsela. Senza riuscirci".

Come reagì la Pivano?
"Non lo so. Sembrava divertita al racconto. C'era nell'aria una strana eccitazione. Tutto poi rientrò con un misto di stanchezza e di quiete. La festa era finita. Quell'estate andai in Puglia e poi, per una decina di anni, ho vissuto in Giappone".

Al quale in seguito ha dedicato un libro.
"Sì, lo pubblicò Einaudi nel 1996. Come la luna dietro le nuvole fu il titolo. Raccontavo attraverso gli occhi di una scrittrice giapponese della fine dell'Ottocento le percezioni che avevo avuto di un mondo capovolto rispetto al nostro. Mi servì anche per prendere le distanze da tutto quello che ero stata. Dal mondo che avevo conosciuto e che era finito".

Lasciando qualche trauma?
"No, in me non ha prodotto ferite. Semmai, resta il rimpianto per coloro che sono scomparsi e che qualche volta vorrei rivedere".??Chi per esempio??"La mia amica Amelia Rosselli, anche lei a suo modo fece parte del Gruppo '63. Fu una poetessa bravissima. Deformata dalla schizofrenia che non le diede mai pace. Per tutta la vita provò a combattere l'oscurità. Ho dentro, sconsolata, la sua sofferenza. Mi telefonò una notte. Era l'inverno del 1996. Mi chiese di portarle da mangiare. E quando giunsi, e non aprì la porta, capii che era troppo tardi".

Come giudica la sua vita, la sua bellezza di allora?
"Non mi sono mai addomesticata, né ammansita. Della mia bellezza non me ne sono fatta uno strumento, anche quando avrei potuto servirmene. Il succo della vita è di viverla. Possibilmente al di là delle transenne. Continuo a farlo. Con le forze che restano in una signora di 91 anni. Ho finito di scrivere un libro, il cui titolo dovrà ruotare attorno all'arte di dimenticare".

Curioso per una donna che ricorda tutto.
"Sono d'accordo, ma considero quell'arte suprema".??Perché??"Via via che il tempo ci passa addosso occorre spogliarsi di ciò che siamo stati. Mi soccorre un'immagine che ricavo dal Libro egizio dei morti. C'è la dea Maat che sta sulla soglia dell'aldilà, per esaminare lo spirito dei morti, e decidere chi potrà varcarla e chi no".

E come conosce l'anima dei defunti?
"Maat ha in una mano la bilancia. Su un piatto mette il cuore del defunto; sull'altro depone una piuma della sua acconciatura. Ecco: il proprio cuore deve essere leggero come una piuma, deve aver dimenticato tutto per poter entrare nell'aldilà".

Lei crede nell'aldilà?
"Non si sa mai, mi verrebbe da dire. E poi via via che mi avvicino alla fine sento che mi seccherebbe oltremodo pensare che non ci sia nulla. Che tutto finisca su quella soglia. No, quanto meno mi sembrerebbe una triste svalutazione della vita".

sabato 12 luglio 2014

Ritratto di Eugenio Borgna

Il 26 maggio su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Eugenio Borgna 

Eugenio Borgna: "L'anima non guarisce mai del tutto, le resta sempre accanto un'ombra"

Dagli studi universitari all'interesse per quei malati un tempo tenuti ai margini, lo psichiatra racconta come è cambiata la disciplina
di ANTONIO GNOLI

LA PRIMA cosa che viene in mente osservando Eugenio Borgna, mentre è ad attendermi alla stazione di Novara, è il suo spiccato senso di gentilezza. Nelle movenze dinoccolate di quest'uomo alto e asciutto, che flette lieve verso l'altro come un giunco, si coglie la disponibilità rara dell'ascolto. Ci fermiamo, vista l'ora di pranzo, a un ristorante gradevole e semivuoto: "Qui veniva Scalfaro", ricorda Borgna.

E ho l'impressione di un altro tempo. Che è la medesima sensazione che provo nella casa di questo grande psichiatra: vasta, spoglia, ma anche sovraccarica di libri. Come congelata in un altro tempo. Forse più prezioso. Più intimo. Certamente meno duro e perfino più fragile. Proprio al tema della fragilità Borgna ha dedicato un libretto ( La fragilità che è in noi, edito da Einaudi) ricco di considerazioni tenui. Intonate al pastello più che all'acido; alle sfumature più che ai tratti decisi. Ho l'impressione che il pensiero di quest'uomo si svuoti dell'aggressività necessaria in una società votata all'urlo e alla chiacchiera.

Cosa rappresentano le parole per un medico come lei?
"Le parole hanno un immenso potere. Ci sono parole troppo dure e violente. Troppo inumane. Che i medici, non tutti per fortuna, rivolgono al malato. E ci sono parole in grado di aiutare l'altro. Le mie parole sono state anche domande a me stesso e agli altri. Sono i dubbi e le incertezze che ho seminato lungo la mia lunga vita".

Che ha avuto inizio dove?
"A Borgomanero, a una trentina di chilometri da qui. Vi ho trascorso la mia infanzia e poi l'adolescenza. Interrotta bruscamente quando i tedeschi nel 1943 occuparono la nostra casa. Mio padre, avvocato, faceva parte della Resistenza. E noi, sei figli, con mia madre che teneva in braccio l'ultimo nato, ci avviammo a piedi verso la collina dove protetti da un parroco ci nascondemmo".

Quanto durò?
"Sei mesi. Tornammo per constatare che la casa era stata distrutta. A poco a poco la vita riprese. La scuola, poi il liceo, infine l'Università a Torino e la specializzazione a Milano nella prima clinica per le malattie nervose ".

Perché quel tipo di scelta?
"Sulle orme paterne avrei potuto fare l'avvocato. O magari il letterato avendo divorato i libri della biblioteca di mio padre. Ma compresi, grazie anche alla letteratura e alla poesia, che occuparsi delle persone che stavano male poteva dare un senso più autentico alla mia esistenza".

Essere autentici è un dovere?
"Diciamo che avvertivo il desiderio di una verità più grande di quella che di solito osserviamo".

Mi faccia capire.
"Dopo un po' che frequentavo la Prima clinica mi accorsi che esistevano due tipi di pazienti, ben distinti: neurologici e psichiatrici. Questi ultimi erano ignorati".

Perché?
"Si pensava che solo le malattie del cervello meritassero attenzione. Mentre a me interessava relativamente quel tipo di indagine. E fu attraverso quei pochi pazienti psichiatrici, tenuti ai margini, che scoprii un mondo di dolore e di sofferenza che mi parve più autentico di quello biologico e organicistico".

Non le bastava la verità clinica?
"No, desideravo toccare una verità più esistenziale. Non volevo l'oggettività del neurologo. Ero portato ad ascoltare la sofferenza e l'angoscia come aspetti di una soggettività più complessa. Avevo 32 anni e una libera docenza che mi dischiudeva le porte per una grande carriera milanese".

E invece?
"Decisi  -  tra lo sconcerto dei colleghi, dei superiori e degli amici  -  di accettare il posto di direttore del reparto femminile dell'ospedale psichiatrico di Novara. Quando entrai vidi all'esterno degli enormi giardini. Mi accompagnava un silenzio assoluto. E malgrado fosse inverno le finestre dell'ospedale erano spalancate. Con i pazienti che guardavano fuori".

Una scena irreale?
"Sembravano le marionette di un teatro dell'assurdo. Ma era niente rispetto alla situazione che trovai all'interno. Quello che vidi fu raccapricciante: i pazienti legati o rinchiusi in spazi asfissianti. Le urla e i lamenti. Era agghiacciante. Sembrava di essere in un carcere crudele e senza senso. So bene che oggi la situazione è cambiata, ma allora, nei primi anni Sessanta, fu sconvolgente constatare che c'erano esseri umani cui era stata tolta la dignità del vivere".

Come reagì?
"Provai una profonda vergogna. E al tempo stesso capii che avevo fatto la scelta giusta. Provai a cambiare la situazione. Aprii le porte e vietai l'uso dei letti di contenzione. Nessun paziente poteva più essere legato. Chiamai da Milano alcuni assistenti con i quali avevo lavorato e che avevano, come me, combattuto contro certi metodi".

Metodi comunque fondati su una lunga tradizione clinica.
"Certo. In quelle decisioni non c'era malvagità, ma tanto pregiudizio. Meglio: l'incapacità di capire veramente cosa si nasconde nella follia".

Non è facile trovare un varco per la comprensione.
"Non lo è finché ci si rifiuta di pensare alla schizofrenia come a una forma di esistenza. Certo diversa dalla nostra normalità, ammesso che esista, ma pur sempre esistenza vitale".

Lei dice: la schizofrenia è un mondo vitale. Cosa ha trovato in quel mondo?
"La schizofrenia è una delle forme di sofferenza più enigmatiche e strazianti che si conoscano. Si radica, per lo più, nella crisi esistenziale segnata dal passaggio dall'adolescenza alla giovinezza".

Si insinua nel mutamento degli orizzonti di vita?
"Esattamente. E può essere vista come un'anarchica e totale perdita di senso, oppure essere riconosciuta, compresa e utilizzata solo se si riesce a guardarla con un forte atteggiamento interiore".

Intende dire che ci si deve porre alla stessa altezza della malattia?
"Intendo dire che le radici della malattia sono esistenziali e non cliniche. E questa convinzione fa venir meno il rapporto asimmetrico tra medico e paziente".

Ma è pur sempre il medico che decide per l'eguaglianza.
"È vero. Ma con quella decisione è il medico a mettersi in discussione. Negli anni della mia professione ho capito che o si tenta di rivivere le cause del dolore e dell'angoscia degli altri, con tutte le risonanze e i rischi personali, oppure si è destinati al fallimento".

C'è un modo certo per registrare questo fallimento?
"La nostra maschera portata davanti a chi vive immerso in una condizione schizofrenica è immediatamente percepita nella sua insopportabile finzione e lontananza ".

Cos'è per lei la guarigione?
"Parlando di guarigione in psichiatria c'è il rischio di sconfinare in una segreta violenza".

Cioè?
"Intesa in senso dogmatico la guarigione vorrebbe sanare tutto; risolvere ogni problema legato alla malattia ".

E invece?
"La guarigione assoluta, in psichiatria, è solo un gesto totalitario. L'altra faccia, se vuole, del modo in cui la scienza dell'anima si è lungamente accanita sul corpo del malato. Senza pudore né dignità. Personalmente sono convinto che la guarigione avvenga anche quando i sintomi della malattia continuano a manifestarsi. Si può guarire continuando ad avere accanto quest'ombra ".

Non ha mai temuto di essere lei stesso avvolto o sfiorato da quell'ombra?
"Mi sta chiedendo se il peso di ciò che ho sostenuto in questi lunghi anni mi abbia in qualche modo coinvolto più del dovuto?".

Sì. Nel senso che se si fa propria la sofferenza del paziente cade ogni distinzione.
"Viene meno la distanza e con essa ci si apre alla sofferenza dell'altro. Penso anche che la sofferenza sia una condizione necessaria alla via della conoscenza" .

Ma è una domanda più diretta che vorrei farle e che spieghi la sua "posizione scomoda": ha mai sofferto di depressione?
"Sì, è un universo che in alcune fasi della mia vita mi ha inghiottito".

E cosa si prova?
"Nella depressione si vive come sprofondati nel passato. Non si vede più il futuro né la speranza. Si blocca la percezione del cambiamento; si sprofonda nelle cose avvenute che non mutano mai. E poi affiora l'esperienza fiammeggiante della colpa: una delle ragioni del nostro strazio. Ma nei miei quarant'anni di manicomio ho imparato che ci sono tante forme di depressione a seconda dei nostri caratteri e delle nostre emozioni. Teresa di Lisieux vedeva nella malinconia il sentiero per conoscere Dio".

C'è un nesso tra psichiatria e misticismo?
"Ovviamente no se si considera la psichiatria solo una scienza positiva. Ma le esperienze mistiche ci inducono a riflettere sugli abissi dell'anima, sulle sue lacerazioni. E non può immaginare quante volte mi sia trovato davanti alle oscure notti dell'anima".

Si nota quasi un desiderio di ricorrere alla religione.
"Non alla religione in quanto tale. Ma a certe sue pratiche: voler camminare con l'altro, immedesimarsi nell'altro. Si parla tanto di etica. Dove pensa debba stare tra il cuore di ghiaccio e il cuore segnato dal dolore? Dalla sofferenza occorre uscire. Ma guai non averla mai provata in vita".

Crede in Dio?
"Credo in senso pascaliano all'idea del mistero. Non credo a un Dio razionale che ordina il mondo. Oltretutto, visti i risultati, sarebbe stato un pessimo architetto. Ciascuno deve fare bene il proprio lavoro".

E il suo, ora che non ha più l'ospedale?
"Continuo a dedicare parte del mio tempo ai pazienti. Senza di loro mi sarei trasformato in un piccolo funzionario. Decida lei se del bene o del male".

E il resto della giornata che fa?
"Leggo e scrivo i miei libri. È un'altra maniera di raccontare il dolore e le fragilità umane. A volte per mesi non riesco a scrivere. È come se il buio calasse in me. Durò a lungo dopo la scomparsa di mia moglie".

Cosa accadde?
"Soffriva di una malattia autoimmune. Se la trascinò per buona parte della vita. E provai spesso dolore e disperazione. Morì 14 anni fa. Era una psichiatra infantile. Con un carattere molto dolce. Ancora oggi ne avverto il vuoto".

Cos'è la mancanza?
"Qualcosa che ci accompagna per sempre e che cerchiamo disperatamente di mettere tra parentesi. Ma si può ingabbiare ciò che non avremo mai più?".

Le cose passano. Destinate come sono a finire. Soprattutto nell'orizzonte della vecchiaia.
"Muta la luce, non necessariamente la materia".

E la vecchiaia di uno psichiatra?
"Perché dovrebbe essere diversa da quella di un fabbro o di un insegnante di matematica? Conta molto il destino di come è stata la propria vita".

Destino è una parola impalpabile.
"Sono le migliori. Le meno usurate. Il destino non lo intendo come la macchina inesorabile del fato. È sapere ancora una volta leggere dentro di sé. Riconoscersi. Freud lo fece da giovane e da vecchio. Fino a quando le forze lo sorressero continuò a lavorare. L'importante è non farsi divorare dall'homo faber. Solo così si ha più tempo per ascoltare".

Non teme il tempo della clessidra?
"Lo temo oggi come lo temevo da giovane. Ho sempre avuto la percezione acutissima dell'imprevedibile. Il morire era per me una possibilità immanente a trent'anni e adesso".

Citava Freud. Che rapporto ha con la psicoanalisi?
"Nessuno in particolare. È una grande esperienza culturale. Abbastanza inservibile per la schizofrenia".

Perché?
"Gli schizofrenici non possono raccontare i loro sogni perché non sognano. Servono altre strade. Altre parole. Starei per dire altri dolori. Sa una cosa che vorrei?".

Dica.
"Vorrei che non ci fossero più giorni muti e senza parole. Vorrei che anche quando il silenzio avvolgesse le nostre vite esso avesse la forma della dignità e non dell'indifferenza ".