Marilena Nardi Per "Il fiore del Partigiano (ANPI) |
Perché continuiamo a celebrare la Resistenza?
Per una ragione sola, essenziale e profonda, la ragione che collega il passato al presente: perché vogliamo ricordare il progetto per cui tanti giovani di vent’anni sono morti nel 1943-45. I nomi degli individui sono ormai freddi, come la pietra nella quale sono incisi: ma le ragioni per cui sono morti, il sistema di valori per cui si sono battuti, la prospettiva che ha animato le loro scelte, sono ancora vivi perché stanno a fondamento della nostra democrazia.
Gianni Oliva da La Stampa
Fogliazza - ANPI |
Il 25 aprile, storia non leggenda
di Nadia Redoglia
Qualcuno ha appiccicato sui muri romani che “gli eroi son tutti giovani e belli”. Probabilmente appartengono ai leggendari nostalgici “figli della lupa” (no, Verga non c’entra). Gli è che sono rimasti fermi al “Natale di Roma” festa nazionale fascista che inglobava anche quella dei lavoratori il 21 aprile dal ‘24 al ‘45, anno in cui fu abolita e solo più ricordata per Romolo che, ammazzando Remo e razziando fanciulle, fondò la città eterna. Giovane lo era. Ma eroe non ci risulta: non è mai stato in galera, né ha mai fatto lo stalliere, sicché…
Ma perché ‘sti nostalgici hanno scopiazzato un brano di Guccini? (!) E’ un pezzo semmai buono per festeggiare lo storico 25 aprile ancora (per ora) in vigore e che ricorda proprio la liberazione dai nazi/fasci. In quel tempo ci furono sì giovani eroi! Quelli veri. Ci stava pure qualche stalliere, ma in galera ci finiva non perché era un criminale mafioso o amico di mafiosi, ma solo perché era nemico di quelli che volevano far abortire il “natale” della Libertà.
Due “natali”, magari… insieme per l’Italia? No grazie.
24 aprile 2012
Liberazione e Costituzione
E’ festa, e io la rimetto. Tra l’altro, confesso, inizialmente nata per l’inserto di “Mamma!” per “I Siciliani” (come vedasi, e il nuovo numero uscirà tra poco). Poi ha fatto vari giri anche involontari. Orgoglio. Buon 25 aprile di Liberazione a tutti.
Mauro Biani
"Attraverso le finestre guardi le stelle che vanno per il cielo, come i tuoi ricordi, le tue fantasie. Paesi lontani, amici, cose vissute o lette, poesie che ricerchi. I giorni di ieri, lontani, e quelli di oggi. La morte. Il tempo va via lento o frettoloso; non sai se sono passate ore o pochi minuti. L'alba non rischiara. Vorresti uscire dal letto, rivestirti e affrontare il freddo, la notte stellata e la montagna per incontrare le persone care, le fanciulle amate, i compagni. Una lunga fila di volti".
Di Mario Rigoni Stern (il sergente delle nevi)
quando c'è l'insaputa c'è tutto
fabio magnasciutti
Gli indifferenti
CeciGian
Libertà
CeciGian
Un bambino faceva le bolle di sapone
dalla finestra quando mi fucilarono
Sulla piazza piantata di alberi senza nome,
una mattina deserta con poco sole
tra i rami secchi che non trattenevano le voci,
tra quinte grige di imposte sprangate
oscillavano effimere formazioni, grappoli
subito disfatti in acini trasparenti.
Un bimbo, solo una tenera macchia viva
In un rettangolo nero,
c'era un vasetto rosso sul davanzale,
la sola cosa rossa di quel giorno tutto grigio,
io non potevo vedere i suoi occhi
sentivo la sua anima appendersi dondolando
in cima alla cannuccia di paglia,
staccarsi con un brivido, volare in silenzio,
trattenere il fiato per pregare il vento,
attraversare il poco sole in punta di piedi,
rapita in una smorfia di felicità.
I miei carnefici gli voltavano le spalle,
nessuno di loro potè vedere le sue mani
sollevarsi in adorazione quando una bolla
più gonfia,la più bella di tutte,
partì dal davanzale come un pianeta di cristallo
e prima di scendere salì verso il tetto
come una preghiera, come una favola,
piena d'ogni dolcezza che non si può perdere,
intatta e vera per il suo tempo giusto,
non ci sono abbastanza plotoni d'esecuzione
in questo mondo e in ogni altro
per fucilare tutte le bolle di sapone.
(Gianni Rodari, Fucilazione)
auguri alla nostra povera Repubblica...Tiziano Riverso |
Venticinque Aprile
Nico Pillinini
Paride Puglia
FESTA DELLA LIBERAZIONE
PRIVILEGIO
DI TUTTI
UMBERTO FOLENA
Q uanto vale per noi la libertà? La nostra, e quella altrui? A volte sorge il dubbio che soltanto chi è vissuto in schiavitù sappia, e possa, desiderare e apprezzare e gustare pienamente il sapore della libertà, fino a inebriarsene. E non è il caso degli italiani che abbiano meno di 70 anni. Può dunque accadere che quanto hai sempre avuto a portata di mano, facile, senza sforzo, appaia privo di valore. Quanto vale per noi la libertà?
Oggi, 25 aprile, Festa della Liberazione, vale la pena ricorrere alla sana cultura popolare e alla sua saggezza. Giorgio Gaber, 'popolare' nel senso nobile – non accademico né erudito, capace di far sorridere e pensare, un alchimista dell’intrattenimento alto, che mai finiremo di ringraziare e rimpiangere – ci aiuta con una sua canzone di cui tutti ricordano il titolo e il refrain,
La libertà , ma forse non gli sviluppi interni, i segreti nascosti e svelati nelle strofe, parole semplici che sembrano scritte con 40 anni di anticipo. «Libertà è partecipazione »: e tutti pensavano, nel remoto 1972, allo Statuto dei lavoratori e ai Decreti delegati, alle fabbriche e alle scuole. Forse. Anche. Ma Gaber viaggiava in anticipo, le sue canzoni erano (e sono) macchine del tempo.
Partecipare, prendere parte, avere parte, essere parte. La libertà in una relazione di coppia, una famiglia, una comunità, una nazione, l’Europa, il globo… Siamo una parte non passiva ma attiva, e quella coppia, quella famiglia, quella comunità, quella nazione siamo noi, e noi apparteniamo a loro ed esse appartengono a noi. La libertà è questo legame, emotivo prima che razionale. Se questo legame si sfilaccia, o cessa, addio libertà. Se al-l’ I
care («mi sta a cuore», don Milani…) si sostituisce il me ne frego, cessa la libertà.
La libertà, canta Gaber, non è «il volo di un moscone». Non consiste nel seguire l’impulso del desiderio anarchico, del capriccio egoista. Il volo del moscone appare casuale, senza progetto alcuno. Non c’è partecipazione. La libertà non è neppure «uno spazio libero». Che cosa possiamo farcene – ad esempio – della libertà d’espressione, se si riduce a una sequenza di soliloqui? La libertà è espressione partecipata, ossia dialogo: gli altri dicono la loro, ma io sono curioso, interessato, convinto di poter apprendere, ansioso di mettere le mie idee a confronto con quelle altrui per misurarne la forza, la consistenza, l’efficacia, la bontà, la verità.
Questa libertà c’è oggi in Italia, e quanto è diffusa? Abbiamo scambiato per partecipazione la semplice esibizione. Mi mostro, mi esprimo, mi esibisco e credo di aver partecipato, e quindi di aver compiuto «un gesto libero», di essere una persona libera… «che passa la sua vita a delegare», ironizza Giorgio Gaber. No, non è così.
La festa della Liberazione è bella e importante e preziosa perché ci ricorda che la libertà non è mai data per sempre, acquisita, come un bene che si possiede. Ma è liberazione, un work in progress che non ha mai fine, una conquista continua, una costruzione senza sosta, un amore che desidera essere sedotto e cantato e accarezzato senza che mai possiamo assopirci. La libertà è partecipazione, eccome. È un privilegio per chi ama condividere la propria 'conquista'. Per chi sa che mai sarà libero, lui, finché non saranno liberi tutti, ma proprio tutti. Liberazione globale.
Ricorrenze.
Vukic
LIBERAZIONE
Ci siamo liberati ( in parte ) dai nazisti,
ma l'Italia non si può certo definire uno stato libero.
Lo Stato è soffocato da una classe politica
disonesta e corrotta.
Mafia, delinquenza ed ignoranza divorano il paese, senza tralasciare la dittatura clericale, che da dietro le quinte muove giochi economici e di potere.C'è ancora molto da fare.
Roberto Mangosi
Riflessioni sulle due grandi feste:
17 aprile 2012
Lavoriamo il 25 aprile, festeggiamo il 1° maggio
Di Ferdinando Camon
Lavorare il 25 aprile è giusto e utile, e perciò, essendo il 25 aprile una festa nazionale ed essendo la nostra nazione a rischio tracollo economico, lavorare per festeggiarla è perfino patriottico. Se la nostra nazione sta male, lavorare per farla stare meglio è etico. Da anni si calcola che le feste, cioè i giorni in cui non si lavora, nel nostro (italiano) calendario sono troppe. E sono troppi i giorni di vacanza nelle scuole. Il cervello dei nostri ragazzi apprende e incamera nei giorni di scuola e di studio, ma perde e disimpara nei giorni di ozio. I giorni di vacanza non sono neutri agli effetti dell’apprendimento, sono dannosi. Tutt’altro discorso riguarda il lavoro nel 1° maggio. Per tirarci su, e uscire dalla crisi, il lavoro è la forza, la medicina, la virtù irrinunciabile. Ma proprio per questo dobbiamo rinforzare nelle nostre coscienze il concetto che è una virtù, dedicargli un giorno, metterci in testa che viviamo in una repubblica “fondata sul lavoro” e che festeggiare il lavoro significa celebrare il valore che ci tiene uniti. Festa del lavoro vuol dire festa dei lavoratori. In una repubblica fondata sul lavoro tutti quelli che ci abitano e che sono cittadini sono (dovrebbero essere) lavoratori. Il 1° maggio è la festa di tutti. Si possono sopprimere altre feste, ma non questa. Il lavoro è la spina dorsale della persona umana, perché è lo strumento col quale ognuno si realizza. E lo vediamo nei momenti tragici in cui il lavoro viene a mancare: con la sua mancanza non viene meno soltanto il benessere economico, ma la dignità della persona. Il lavoratore che perde il lavoro “si vergogna”, come se fosse in colpa. Nei film il lavoratore che perde il lavoro non lo dice alla moglie, tira avanti facendo finta di fare la vita di prima, andare in ufficio o in fabbrica, sperando sempre che un colpo di fortuna lo risistemi da qualche parte. Senza lavoro non puoi essere un marito o un padre. Lo si vede, scusate se sfrutto questo esempio ma ce lo offre la cronaca di questi giorni, dalla vita di Bossi: appena sposato aveva detto alla moglie di essere un medico, e usciva tutte le mattine con la borsa degli strumenti per recarsi in ospedale. Furono pochi giorni felici: il matrimonio reggeva. Poi la signora fece un controllo all’università, e scoprì che il marito non s’era mai laureato, e che dunque non andava a lavorare, ma a perdere tempo. Il matrimonio si sfasciò. Lavorare salva, non lavorare perde. Lavorando il 25 aprile noi stabiliamo che la salvezza è importante, va cercata. Festeggiando il 1° maggio noi stabiliamo la stessa cosa: che la salvezza va onorata, ci fermiamo per lei, tutti pensiamo a lei, e realizziamo una comunione civile in suo onore.
Qualcuno domanderà: e se lavorassimo tutte le domeniche? Non sarebbe questo un forte impulso alla ripresa produttiva ed economica, e all’uscita dalla crisi?
No, perché non siamo solo corpo ma siamo anche altro, una volta si diceva anima, oggi diciamo mente. Dobbiamo produrre di più, ma non siamo fatti soltanto per produrre e consumare. Ci fu un tempo in cui l’uomo era considerato un animale che produce e consuma e basta: era l’“uomo a una dimensione”, l’uomo disumanizzato, un automa meccanico. Fu il lungo periodo in cui s’impose in Occidente la cosiddetta “civiltà dei consumi”. L’uomo era un semplice “tubo digerente”, inserito fra la produzione e il consumo: produceva per consumare, consumava per produrre. Poi ci si accorse che la civiltà dei consumi consuma l’uomo, che vive per niente, una vita animale. Grande studioso di questa civiltà fu Herbert Marcuse, grande narratore Alberto Moravia. Nessuno vuol tornare a quel tempo, triste e spento. Noi vogliamo vivere, e non viviamo se non ci curiamo anche dello spirito. La storia ci ha insegnato che sei giorni dedicati al lavoro e uno allo spirito sono la giusta alternanza. Non è detto che lavorare senza mai fermarsi faccia rendere di più. Togliere lo spirito vuol dire dimezzare l’uomo. E un uomo dimezzato rende di meno.
Ferdinando Camon - www.ferdinandocamon.it