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venerdì 11 gennaio 2019

FABRIZIO DE ANDRÉ A 20 ANNI DALLA SCOMPARSA

FABRIZIO DE ANDRÉ A 20 ANNI DALLA SCOMPARSA



A Fabrizio De Andrè
Un po' stile Zanardi di Pazienza un po' stile Lempicka ma con tanta ammirazione!
Gio
www.caricaturegio.altervista.it



Mina ricorda Fabrizio sul Secolo XIX: “Ancora insegni. E sorprendi. E affascini tutti, non soltanto chi ha il dono dell’intelletto. E lo farai per sempre. Troppo c’è da imparare, da godere, da ciucciare, da rubare. Quel sorriso involontario che affiora sulle labbra quando ti ascolto si presenta solamente in casi eccezionali. Tu rimani un caso eccezionale. Ti ascolto ed è sempre come se fosse la prima volta. Una scoperta continua. C’è sempre qualcosa in più, qualcosa che si precisa meglio, qualcosa che ti segue e non ti molla. Per fortuna. Chissà dove sei, a chi regali la tua intelligenza, chissà cosa ti passa per la testa. Avremmo proprio bisogno del tuo pensiero illuminato. Siamo rimasti qui, deserti di te, senza possibili sostituti. Rivoglio la tua voce. Torna, Fabrizio. Torna”.

...nel giorno del 20° anniversario, un mio ricordo.
Pier Paolo Perazzolli



© FABRIZIO DE ANDRÉ by/por WALTER TOSCANO
Digital painting. / Pintura digital.
2017
My fan page/Mi página: http://www.facebook.com/WalterToscanoArtista?fref=ts


Scrive oggi Mauro Biani sulla sua pagina FB:
Nel 2009 per il decennale della morte di De Andrè, su proposta di Nicola, disegnai 15 tavole per altrettante canzoni. Iniziò da lì una mostra itinerante per molte librerie Feltrinelli (e non solo), diventando poi libro+cartoline per Stampa Alternativa. Ne pubblico qui qualcuna, ricordando con gratitudine quella bella esperienza.
Bocca di rosa
Mauro Biani


Il pescatore
Mauro Biani



Il testamento di Tito
Mauro Biani


Marinella
Mauro Biani


La ballata di Michè
Mauro Biani


Canzone del maggio.
Mauro Biani

La guerra di Piero
Mauro Biani

Geordie
Mauro Biani

Girotondo
Mauro Biani

Andrea
Mauro Biani

Volta la carta
Mauro Biani




Fabrizio De André - Creuza de ma (Live)





Alta sui naufragi 
dai belvedere delle torri 
china e distante sugli elementi del disastro 
dalle cose che accadono al disopra delle parole 
celebrative del nulla 
lungo un facile vento 
di sazietà di impunità
Sullo scandalo metallico 
di armi in uso e in disuso 
a guidare la colonna 
di dolore e di fumo 
che lascia le infinite battaglie al calar della sera 
la maggioranza sta la maggioranza sta 
recitando un rosario 
di ambizioni meschine 
di millenarie paure 
di inesauribili astuzie
Coltivando tranquilla 
l'orribile varietà 
delle proprie superbie 
la maggioranza sta 
come una malattia 
come una sfortuna 
come un'anestesia 
come un'abitudine 
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione 
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi 
per consegnare alla morte una goccia di splendore 
di umanità di verità
per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio 
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli 
con improbabili nomi di cantanti di tango 
in un vasto programma di eternità
ricorda Signore questi servi disobbedienti 
alle leggi del branco 
non dimenticare il loro volto 
che dopo tanto sbandare 
è appena giusto che la fortuna li aiuti 
come una svista 
come un'anomalia 
come una distrazione 
come un dovere
Compositori: Alvaro Mutis / Fabrizio De Andre' / Ivano Fossati

lunedì 3 dicembre 2018

Ritratto di Patty Pravo





PATTY PRAVO
su La Repubblica
testo di Antonio Gnoli ritratto di Riccardo Mannelli

Nel momento in cui sto per congedarmi dalla sua casa romana le chiedo se posso farle una foto. Mi guarda con la circospezione di chi sembra appena scesa da un’astronave; poi con gentilezza mi dice di attendere. Va in un’altra stanza e torna con un paio di occhiali scuri. Le chiedo che bisogno aveva di metterli. Mi dice che non è un problema di sicurezza o di estetica. Semplicemente gli occhiali segnano il confine tra il fuori e il dentro. «Il buio è una condizione che amo. Contrasta con il chiaro del mio corpo. Fin da bambina prediligevo il nero». Erano parecchi anni che non incrociavo Patty Pravo, non la sua voce — che è stata quasi sempre presente — ma la sua figura levigata, tenue, minuta, i suoi gesti che in scena accennano senza interferire, senza promuovere, in una specie di teatralità minimalista. Siede su un divano sotto un grande Tano Festa che la ritrae con un cappellone che sembra quello del lui dei Coniugi Arnolfini e che fa molto anni Settanta. Periodo pazzesco, sottolinea. La guardo e non riesco a trattenere il pensiero che sia una delle pochissime artiste che può vivere di rendita. Ora è appena uscito un suo nuovo cd: «È un pezzo della mia storia », dice, «ma la mia storia ha molto altro dentro». Tra tutti i grandi interpreti lei mi sembra la meno ossessionata dalla musica. «Le attribuisco lo stesso valore che do al silenzio. Forse hanno bisogno l’uno dell’altra». Cosa apprezza del silenzio? «Aiuta ad autosospendersi dal mondo. Un esercizio di purificazione. Mi accade ogni tanto di desiderare il silenzio sotto qualunque forma si manifesti: un viaggio da sola, una sosta in un luogo sconosciuto o, magari, essere semplicemente davanti a un uomo che ti guarda e tace. Questo mi fa tornare alla mente un episodio». Quale? «Ormai adolescente a Venezia, dove sono nata e dove ho vissuto, incrociai una coppia piuttosto anziana. Procedeva lentamente. Non sapevo chi fosse. Lei guardandomi sorrise. Lui sembrava un Jimi Hendrix invecchiato: i capelli erano una torre scomposta di riccioli, la barba rada e il pizzo gli davano un’aria mefistofelica. Lui era Ezra Pound e lei Olga Rudge, la compagna dell’uomo che non parlava mai. Mangiammo un gelato. Ci rivedemmo un’altra volta soltanto». Cosa accadde? «Nulla o almeno nulla di apparentemente significativo. Quella coppia che viveva alle Zattere e scendeva dall’imbarcadero sembrava fuori dal tempo. Lui non parlò mai. Seppi in seguito che era stato un grande poeta. Ma allora avevo quattordici anni ed ero solo Nicoletta Strambelli. Conservai quel ricordo come una preziosa gemma veneziana». Lasciò Venezia quando? «A diciassette anni andai a Londra. Chiesi il permesso a mia nonna, con la quale vivevo. Ho avuto un rapporto fantastico con lei. Capiva perfettamente le mie esigenze. Un giorno le raccontai che avevo fatto l’amore con un ragazzo. Si preoccupò solo che [...]

lunedì 1 ottobre 2018

Aretha Franklin

RESPECT FOR THE QUEEN OF SOUL

Respect
Gio / Mariagrazia Quaranta

Aretha Franklin
Omar Zevallos

Aleco


Omaggio alla regina del soul, Aretha Franklin.
Rayma





Priego




Jan Op De Beeck



Nelson per the New Jorker



Bill Bramhall per il NYDailyNews cartoon



Aretha
Aretha Franklin. Bacio forte.
Mauro Biani

Aretha Franklin è scomparsa il 16 agosto scorso all’età di 76 anni ed è stata festeggiata con quattro giorni di memorial, tra cui un concerto e un epico funerale di otto ore e 15 minuti lo scorso 30 agosto.
 La Franklin sarà inoltre onorata durante gli American Music Awards del 9 ottobre al Microsoft Theater di Los Angeles e con un concerto il 14 novembre al Madison Square Garden di New York City.





lunedì 14 maggio 2018

Ritratto di Enrico Ruggeri





ENRICO RUGGERI
su La Repubblica
di Riccardo Mannelli



Enrico Ruggeri, inseguendo la “canzone alfa”
28 APRILE 2018
Il nonno morto d’infarto per il Re, il punk e l’accusa di essere di destra (“Per la sinistra conformista erano tutti fascisti”), Sanremo e il placet di Benigni
DI ANTONIO GNOLI

I suoi capelli biondo platino, tintura quasi albina, sembravano quelli di un piccolo divo di fotoromanzi o di un Warhol in controtendenza con gli eskimo degli anni Settanta. I vistosi occhiali dalla montatura bianca, che all'epoca contrastavano con quelli rosa di Ivan Graziani, furono il sugello di quegli anni apocrifi e nascosti di Rock decadente e di Punk aggressivo ed emarginato. Erano le vite che Enrico Ruggeri attraversava come una salamandra il fuoco: "Quante volte sono rinato... [...]


lunedì 5 febbraio 2018

Sanremo e il Festival in cartolina di Tiziano Riverso

Sanremo e il Festival in cartolina di Tiziano Riverso
Claudio Baglioni



Il Festival in Cartolina: 10 cartoline esclusive gratis per 1000 persone che giocheranno in città durante il Festival di Sanremo 2018

Dedicata a tutti gli appassionati del Festival di Sanremo l'iniziativa dellle cartoline dei cantanti create dal cartoonist Tiziano Riverso

Le cartoline di Tiziano Riverso
Dopo essere stato presente a Sanremo con le sue mostre e performance per 10 anni consecutivi, torna dopo 5 anni a Sanremo il cartoonist Tiziano Riverso, creatore delle cartoline protagoniste dell'iniziativa. Per questa edizione del Festival ha realizzato in esclusiva per  Sanremonews 10 disegni umoristici dei principali personaggi della nuova edizione del Festival, i tre conduttori Baglioni, Hunziker e Favino ed i cantanti da Biondi e Elio a Vanoni e Zilli. 
Tiziano Riverso inoltre sarà presente a Sanremo durante il Festival e commenterà quotidianamente la gara con le sue divertenti  vignette , Da un mese ha ripreso a collaborare con Claudio Porchia nella fortunatissima rubrica il “PUNTO”. Fra le tante mostre realizzate da Riverso vogliamo ricordare quella dedicata alla storia del festival nel 2010 con Pepi Morgia; quelle in collaborazione con Claudio Porchia, come“Ditelo con un fiore”, dove i personaggi del Festival venivano associati a un fiore della Riviera, il “decalogo di Pippo Baudo”,  “Sanremo story” sempre curato con Claudio Porchia, “C’era un ragazzo, che …” la mostra a fumetti dedicata a Gianni Morandi che registrò un successo straordinario e di rilievo nazionale.


Nel post sotto l'elenco dei negozi dove si potranno ritirare le cartoline:


Michelle Hunziker 


Pierfrancesco Favino 



 Max Gazzè 
 Nina Zilli 

Mario Biondi

mercoledì 17 gennaio 2018

Rigopiano, per non dimenticare.


Cuore Rigopiano
© GIO / Mariagrazia Quaranta


Un uomo con i pantaloni da soldato arriva ogni mattina davanti alle macerie. Cammina lungo la zona rossa, risalendo due curve fra gli alberi sradicati. Guarda passare i piccoli camion che iniziano le operazioni di sgombero: una lunga fila di sedie, travi, tegole, un vaso di cemento, un pezzo di ringhiera ricurvo. «La valigia di Marinella è ancora lì in mezzo», dice quell’uomo a bassa voce.

Da quando hanno aperto la strada che porta al cancello dell’Hotel Rigopiano, non passa giorno senza che lui venga a pregare qui davanti. Il suo nome è Nicola Colangeli, ha 71 anni, è un padre.
 «È un dolore troppo grande - racconta - si potevano salvare tutti. È troppo dura per me».



Rigopiano un anno dopo: “I colpevoli devono pagare, potevano salvarsi”



Le Stanze di Federico & Friends – insieme per Rigopiano
In occasione dell'anniversario della tragedia di Rigopiano, la band Le Stanze di Federico, ha organizzato un'iniziativa "per non dimenticare", insieme agli artisti emergenti più noti del panorama musicale abruzzese.
E' stata una giornata di registrazione in studio, presso la Gallirecords, etichetta indipendente abruzzese, di una versione "corale" del brano "Dove la neve non cade"di Federico Galli, Piero Garone e Davide Scudieri reinterpretato alla maniera di "Do they know it's Christmas" e "Domani".
Il senso del brano è soprattutto nelle parole “dove la neve non cade”. 
La neve purtroppo quel giorno è caduta, e ha fatto un danno incalcolabile. 
La neve copre tutto ma non deve coprire i ricordi. Non deve coprire la forza di lottare per ottenere giustizia, non deve coprire la memoria di chi ha perso tutto quel triste pomeriggio del 18/01 scorso.
Gli artisti che con entusiasmo hanno aderito all'iniziativa sono stati, oltre naturalmente a Le Stanze di Federico 
Miriam Ricord
Riccardo e Lorenzo Ruiu
Vanesia Band
Dase
Cole
Stabber
Valentina Monica
Patrizio Santo
I 4 Santi
I Buca
Gianni Scognamiglio
Michel Russi
Skizzo Smith
Carol
Peppe Millanta
Elio Depasquale
Laura Di Pancrazio
Rosalinda Santalucia
Luca D'Alesio
Metrò Band
Michele Troiano



La cronaca delle ore della tragedia: 
Il 18 gennaio 2017 in Abruzzo è in atto una violenta bufera di neve e si verificano 4 scosse di terremoto. Gli ospiti dell'Hotel Rigopiano, completamente isolato dalla nevicata, vogliono andarsene. Il proprietario invia diverse richieste d'aiuto. Nel pomeriggio, tra le 16.30 e le 16.50, una valanga travolge la struttura.
Alle 17.08 Giampiero Parete, illeso perchè si trovava nel parcheggio, lancia l'allarme al 118: dice che c'è stata una valanga e che l'albergo è crollato. Alle 17.10 la prefettura chiama l'hotel, ma nessuno risponde. Alle 17.40 una funzionaria della prefettura contatta il direttore dell'hotel, Bruno Di Tommaso, che però è a Pescara e dice di non sapere nulla. Alle 18.03 Parete chiama il suo titolare Quintino Marcella, che fa diverse telefonate al 112 e al 113. Alle 18.08 e alle 18.20 Marcella parla per due volte con la prefettura di Pescara, ma in entrambi i casi la funzionaria liquida la richiesta d'aiuto come un falso allarme. Solo alle 18.57 un volontario della Protezione civile crede al racconto di Marcella e la macchina dei soccorsi si attiva. Le squadre del Soccorso alpino si mettono in cammino con le ciaspole e gli sci già la sera del disastro, ma raggiungono il luogo della tragedia soltanto all'alba del 19 gennaio. Poco dopo arriva la colonna dei soccorritori, dietro le turbine che hanno lavorato tutta la notte per sgomberare la strada. Vengono, subito tratte in salvo due persone, scampate alla valanga perchè si trovavano all'esterno dell'hotel. Le macerie restituiscono le prime vittime. Ma il 20 gennaio vengono recuperati 9 superstiti, tra i quali 4 bambini. Insieme a loro affiorano anche altri cadaveri. Le operazioni terminano il 25 gennaio con un bilancio di 29 morti e 11 sopravvissuti.
fonte



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Rinascita a Rigopiano (21/01/17)

martedì 16 gennaio 2018

Ritratto di Francesco Guccini

Note di vita. Francesco Guccini racconta del padre e del loro rapporto: " Fu un uomo duro. Un montanaro. Scarno di parole e di affetti. Però mi ha sempre lasciato libero di fare quel che volevo.
Domenica 31 Dicembre 2017 ROBINSON
Accettò senza fiatare la mia scelta. Ma non è mai venuto a sentire un mio concerto. Non l'ho mai incoraggiato e lui ha sempre fatto finta di niente. In fondo se ne è sempre fregato del mio successo"
Ritratto di Riccardo Mannelli
Francesco Guccini
© Riccardo Mannelli



Io, la locomotiva e la musica che non viene più
Le osterie porti di mare, i miei amici cantanti E ora, il ritiro a Pavana, il posto (e il cibo) dei nonni
su Robinson
Antonio Gnoli

Gli ultimi fuochi sono quelli che bruciano più lentamente. Ricordo a Francesco Guccini un paio di nostri incontri persi nel passato. Ha l'aria svagata. E bruciori di stomaco che attenua con il carcadè: «Bevanda coloniale», ironizza. Come il chinotto, aggiungo. Siamo in cucina. Nella sua casa. A Pavana. Siamo alla fine di una storia. «Dove ci siamo visti?», chiede. Gli cito le occasioni e i luoghi. «Ah», fa lui e accarezza il gatto con svogliata tenerezza. È cortese, un po' assente: «Sono tre mesi che non fumo e dieci anni che non leggo » , dice trattenendo un'imprecazione. Pavana mi sembra lo sputo di un angelo tra due ali di Appennini.
Perché hai scelto di ritirarti a vivere qui?
«È l'ultimo luogo della mia resistenza: un paese che è stato infanzia e sogno, durezza e forza. Mi sembrava appropriato sceglierlo come il punto di approdo di tutta una vita».
Parli di resistenza, ma in che senso?
«Bisogna resistere: alle tentazioni inutili e dispersive; al degrado; allo svuotamento. Ma non sono qui per espiare, sono qui per testimoniare che è ancora possibile scegliersi una vita a misura».
Il rapporto con il paese com'è?
« Direi buono: nessun assillo, nessuna pretesa di eleggermi a gloria locale. Un tempo, all'inizio del Novecento, qui vivevano settemila persone, ne sono rimaste poco meno di millecinquecento. Il paese si è svuotato. Pochi giovani. Pochi sogni. Poche prospettive. Un tempo qui venivano a villeggiare. Oggi la gente si vergogna di posti così. La cosa più desolante è il fiume qui sotto. Era pieno di vita; ma oggi non ci va più nessuno. Ma lui se ne frega e continua a scorrere lento. C'è solo un airone cinerino che ogni tanto vola a pelo e poi si pianta in mezzo. Impalato nell'acqua, come un assurdo segnale di tristezza».
Sei nato a Pavana?
«No, i miei nonni ci vivevano. Sono nato a Modena. L'estate venivamo qui a villeggiare. A Modena sono rimasto fino a vent'anni. Nel 1960 ci trasferimmo a Bologna. Mio padre che era impiegato alle poste approfittò di un'offerta di lavoro. E portò la famiglia con sé».
Come erano i rapporti con tuo padre?
« Poca roba. Era stato in un campo di concentramento a Ravensbrück vicino ad Amburgo. Non amava parlarne. Seppi in seguito che con lui c'erano stati Giovanni Guareschi e Gian Enrico Tedeschi. Fu un uomo duro. Un montanaro. Scarno di parole e di affetti. Però mi ha sempre lasciato libero di fare quel che volevo».
Anche la vita del cantante?
«Mi ha sorpreso quando accettò senza fiatare la mia scelta. Ma non è mai venuto a sentire un mio concerto. Io non l'ho mai incoraggiato e lui ha sempre fatto finta di niente. In fondo se ne è sempre fregato del mio successo».
Anche tua madre stessa linea di comportamento?
«Meno drastica. Lei una volta venne a sentirmi cantare. Mi esibivo a Porretta Terme, a pochi chilometri da qui. Nessun commento, nessuna emozione».
Quando hai cominciato a cantare?
«Mi pare nel 1964, o giù di lì. Fu il mio primo contratto di centomila lire al mese. Ora mi viene in mente l'unico commento di mio padre: quanto durerà? Sai, era un uomo abituato a dare del voi a mia nonna. La mia musica non era il suo mondo».
Al tuo mondo come arrivasti?
«Non fu un percorso lineare. A Modena mi iscrissi a magistero, feci un solo esame e poi cominciai a lavorare come assistente in un istituto per orfani di dipendenti postali. Il collegio era a Pesaro. Non è che fossi particolarmente entusiasta. Mi licenziarono. Dopodiché divenni cronista alla Gazzetta di Modena. Anni di precariato, addolciti dal fatto che la sera con alcuni amici, un piccolo gruppo di orchestrali, suonavamo nelle balere del parco. Poi venne il militare che ho fatto con il grado di sottotenente. Infine mi iscrissi nuovamente all'università. Questa volta a Bologna. Mi mancava la tesi, che avevo chiesto a Ezio Raimondi. Ma non riuscii a finire. Le canzoni bussavano alla mia porta».
E tu apristi?
«Erano gli anni Sessanta, si formavano i primi gruppi musicali con affaccio nazionale. A Modena venne a suonare l'Equipe 84, sapevano che avevo scritto qualche canzone. Gli proposi Auschwitz e la presero. Contemporaneamente avevo dato ai Nomadi Noi non ci saremo.
Tieni conto che non avevo una lira. Oltretutto non essendo iscritto alla Siae non potevo firmare le mie canzoni».
Finì lì la tua collaborazione?
«No, ricordo che proposi alla Equipe Dio è morto, ma rifiutarono per paura che la canzone facesse troppo casino. Avevo pronta anche Un altro giorno è andato e Maurizio Vandelli, il leader del gruppo, sentenziò che Guccini non aveva più un cazzo da dire. E questo atteggiamento fece sì che si rafforzasse la mia collaborazione con i Nomadi».
Furono loro a cantare per primi "Dio è morto".
« La cosa divertente è che mentre la Rai censurò la canzone, Radio Vaticana la trasmise più volte, fino a farla diventare un grande successo tra i nuovi cattolici».
Dietro quella canzone c'erano le tue fascinazioni americane.
«A che ti riferisci?».
Con ogni evidenza a "Urlo" di Allen Ginsberg.
« Sì, la Beat Generation è stata importante, ma una canzone è pur sempre una canzone: un prodotto autonomo. Ed è inutile appesantirla di significati letterari. Anche se ho un'amica, grande esperta delle tragedie di Alfieri, che sta facendo un lavoro da critica letteraria sulle mie canzoni».
E tu come hai reagito?
« Beh, che devo dirti: mi fa piacere sapere che le mie non sono solo canzonette. La verità è che quando si parla di Guccini alla fine è per una decina di canzoni che ha scritto».
Come giudichi le tue prime?
« Tecnicamente parlando Auschwitz e Dio è morto non sono belle canzoni. Sono testi piuttosto semplici. Ne ho realizzate di più complesse ».
Come è nata "La locomotiva"?
«Per delle strane combinazioni. Lessi le memorie bolognesi di Romolo Bianconi, un lavoratore che raccontando la sua vita scrisse di un ferroviere anarchico, Pietro Rigosi, cui avevano amputato una gamba che decise di impadronirsi di un treno per farlo saltare. Fu una ballata, contro le ingiustizie sociali, che scrissi in mezz'ora. Arrivai alla fine e mi accorsi che mancava l'ultima e la prima strofa: "Non so che viso avesse e neppure come si chiamava...". In quel periodo cominciai a cantarla alla Osteria delle Dame».
È stata una canzone emblema che ti ha identificato con il Sessantotto. Che giudizio dai di quel momento?
« Per me è stato un periodo positivo. Sono cambiate molte cose, a cominciare nei rapporti tra i due sessi. Penso che il '68 ha trasformato la società».
Migliorandola?
«In certe cose sì, in altre no. Se penso alla scuola e all'università vedo i disastri che la morte del merito ha provocato. Non ci siamo ancora ripresi».
Le canzoni fanno la rivoluzione?
«Non scherziamo, al più la accompagnano come nel caso di Bandiera rossa. Un canto tecnicamente brutto, ma messo in un certo contesto può perfino commuovere».
Ti commuove ripensare a una canzone come "Eskimo"?
«Un altro emblema di quel periodo, ma del tutto involontario. Comprai l'indumento nel 1963 al mercatino di Trieste. Avevo finito il militare. Costò diecimila lire e veniva indossato dai soldati americani nella guerra di Corea. Anni dopo mi sono ritrovato in un mondo di eskimo. Ma ti assicuro che il mio era innocente. No, non mi commuove, semmai mi dà emozione una canzone come Incontro ».
"I nostri miti morti ormai..." così scrivevi.
«Era la storia di un'amicizia tra un uomo e una donna».
Ho sempre pensato che fosse una tua storia d'amore.
«Parlava di una ragazza che ora vive negli Stati Uniti e che allora viveva a Modena. C'era molta complicità tra noi. Poi si trasferì a Bologna. Sposò un americano. E sparì per un po' di tempo. Un giorno mi telefonò per dirmi che il matrimonio era andato a pezzi e lei lo aveva lasciato. Lui si uccise. E a me venne in mente di scriverci su una canzone ».
Ti piacciono i ricordi?
« Sono uno che ricorda spesso. La memoria è un bel motore che mi ha consentito anche di scrivere diversi libri. Tre romanzi che hanno al centro rispettivamente Pavana, Modena e Bologna. Ricordo meglio il passato remoto e non è male che certe cose rimangono e altre spariscono».
Perché hai lasciato Bologna?
«Era un'altra vita. Qui a Pavana vado a letto alle undici di sera. A Bologna rincasavo alle cinque del mattino».
Musica, cibo e vino.
«Anche donne e carte. Giocavamo in osteria fino a notte fonda. Senza mai mettere in palio nulla: neppure un caffè».
Hai pubblicato da poco la raccolta delle canzoni che cantavi all'Osteria delle Dame.
« Sono tre cd che racchiudono una manciata di anni. Quando pochi mesi fa sono tornato alle "Dame" mi sono commosso. Ma è stato come vedere un altro Guccini».
Un altro in che senso?
«Ho smesso di scrivere canzoni. Da anni non tocco più la chitarra. Tira tu le conclusioni».
Hai smesso con quale giustificazione?
« Mi sono accorto che le canzoni non uscivano più con la stessa voglia e intensità. Facevo sempre più fatica a riempire un album. E ho capito una cosa semplice: non ho più niente da dire. Almeno su quel versante là».
Come hai vissuto questa rinuncia?
«All'inizio male, poi mi sono abituato. Ho perfino tentato di riprendere. Ho scritto una nuova canzone per i Nomadi. Ma preferisco scrivere libri. Con Loriano Macchiavelli siamo all'ottavo giallo. E poi ci sono i miei romanzi».
Scusa se insisto, ma chiudere una porta così importante come la musica non ti dà dolore?
«No, mi dà dolore o angoscia non avere più l'età che avevo. E guarda non avevo neanche la paura di fallire. Se le canzoni venivano, bene sennò pazienza».
Quindi ti sei ritirato qui a Pavana.
«Un posto che amo. Anche Bologna è stata molto importante».
Chi vedevi a Bologna, di chi eri amico?
« Le osterie erano porti di mare. Ti arrivavano attutite queste onde umane».
Frequentavi Augusto Daolio, il leader storico dei Nomadi?
« Non molto, ero più legato a Beppe Carletti. Frequentavo Claudio Lolli. Sono amico di Zucchero e di Ligabue, molto diversi ma con una base contadina in comune. Poi c'era Lucio Dalla che veniva qualche volta a mangiare da Vito. Odiava la campagna. Mi diceva: ma cosa vai a fare a Pavana? Niente che ti piaccia, gli rispondevo».
A Bologna ne hanno fatto un mito.
«Sai quando uno muore è facile che diventi un mito o un aspirante mito. Lucio era uno strano personaggio. Eravamo molto diversi, due mentalità diverse. E credo che non abbiamo mai legato veramente. Aveva una capacità polimorfica; però alla fine anche lui faceva una certa fatica a scrivere canzoni. Era dotato di una voce secondo me bellissima».
Ti dà fastidio rievocare certe cose?
«No, anzi. Mi dà fastidio la richiesta di foto, i selfie che non sopporto. Ma cerco di essere gentile».
Che cos'è la sopportazione?
« È l'arte di non incazzarsi. E poi, dopo una certa età, si sopportano molte più cose».
Alludi alla tua vecchiaia?
« Se ne va poco per volta la prestanza fisica, arrivano gli acciacchi. Oggi faccio fatica a camminare e non ci vedo quasi più. Non riesco a leggere e ho bisogno di qualcuno che lo faccia per me».
Siamo a conversare nella tua cucina. Che rapporto hai con il cibo?
«Non sono quel che si dice un raffinato gourmet. Mi piace la cucina dei miei nonni. Non se ne può più di questi chef, che se uno perde una " stella" scoppia una tragedia. Sono un uomo semplice di gusti semplici».
Hai scritto una bellissima canzone sui vecchi.
«Adesso sarebbe pura autobiografia».
Quanto ti piaci?
« Poco. Non ho orgoglio di me né autostima. Deve essere stata l'educazione repressiva di mio padre. Solo verso la fine della sua vita ci siamo incontrati veramente. Un giorno mi disse: avrei tanto voluto che tu facessi lo storico. E invece sono uno che ha scritto canzoni. Ma lui, intendo mio padre, avrebbe voluto fare il maestro. Finì in un ufficio postale. Non sempre le vite corrispondono ai nostri desideri».


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Nota:

Scrive Michele Serra il 2/01/18

Tra i buoni propositi per il nuovo anno ce n'è uno vecchio, eppure sempre disatteso. Lo chiamerei "passo indietro", e per definirlo meglio incrocio due delle letture di fine anno che mi hanno più colpito. Una è l'elogio della continenza fatto da Marco Belpoliti: nel quale continenza — parola desueta — è alla fin fine sinonimo di pudore. Antidoto al narcisismo, argine al dilagare dell'ego. L'altra è la bellissima intervista di Antonio Gnoli a Francesco Guccini, dove il grande vecchio di Pavana dichiara di non scrivere più canzoni perché «non ha più niente da dire». Esempio quasi inimitabile di continenza per via naturale, di rispetto profondo (Guccini è un contadino) per i cicli del tempo.
Uno che scrive tutti i giorni — eccomi — non è il meglio indicato per predicare continenza e passi indietro.
Eppure, mano a mano che salgono tono e volume del dibattito pubblico, viene spontaneo guardarsi attorno alla ricerca di voci meno aggressive — che non significa inconsistenti, e anzi. Si cerca autorevolezza nello sguardo sereno dei pochi che possono permetterselo, nelle poche parole dei pochi che le rispettano. Il silenzio di Guccini, per paradosso, ha un'eloquenza emozionante, tacere per appagamento, perché è esaurito il bisogno di dire, o perché nuovi pensieri (più interni) occupano la scena.

Sentire attorno a noi anche silenzio aiuta a restituire peso alle parole. Chiudere la bocca, aprire le orecchie, ecco il passo indietro che ci aiuterebbe tutti quanti.

lunedì 4 dicembre 2017

Ritratto di Renzo Arbore

Su  Repubblica del 3 dicembre 2017   un'interessante  intervista di Antonio Gnoli

e il ritratto  di Riccardo Mannelli a Renzo Arbore.



Renzo Arbore
Renzo Arbore: ho un vizio, l'eterna giovinezza

di Antonio Gnoli, ritratto di Riccardo Mannelli
Dice di sé che tutta la vita è stato un goliarda. Anche la casa dove vive sembra intonarsi allo scherzo. Un finto ( ma per questo anche vero) museo un po' regno della plastica e un po' della fantasia, appaga i suoi deliri di collezionista: dalle radio agli orologi, dalle Madonne ai busti ( Totò impazza), dai ritratti ( prevalentemente i suoi) ai dischi, nulla sembra disporsi seriamente. La cucina — dove prepara un caffè — è l'esempio più sgargiante del suo horror vacui. Uno spazio, in stile tropical- kitsch, con annessa finta vista sul Golfo di Napoli è un'esperienza conturbante. Ma chi è veramente quest'uomo che ha fatto dei gadget la sua filosofia?

sabato 1 luglio 2017

Grazie, Vasco!!

di Paride Puglia


01 - 07 2017 MODENA PARK-DAY
Aperti i cancelli in largo anticipo del Parco Ferrari. I 220mila attendono il grande concerto


Un'alba fresca e senza nuvole ha salutato questa mattina i fan già presenti al Parco Ferrari a Modena in attesa di Vasco. Il concerto dei record inizierà questa sera col grande palco alto come un palazzo di 8 piani, con migliaia di agenti a controllare, con una città che non parla d'altro da mesi.  Ma alla fine a cantare - fossero anche solo 100 persone presenti - è sempre Vasco. Il rocker che in ogni concerto ricorda l'amico scomparso di Zocca il 31 maggio 1999 per eroina: Massimo Riva, dedicandogli la dolcissima 'Canzone'. E con lui a ricordarlo 'Il Gallo', Claudio Golinelli lo storico bassista di Vasco.

Con uno sguardo al palco e uno sguardo al cielo.
fonte


40 anni di canzoni... Grazie, VASCO!!



Tiziano Riverso



Il concerto su rai uno.
Tomas







giovedì 9 febbraio 2017

Sanremo: "Ciao Luigi"




"Ciao Luigi"
Simpatica mostra in ricordo del cinquantesimo anniversario della morte di Luigi Tenco a San Remo, all'interno della  rassegna VENTICINQUE NOTE , con vignette, foto e scritti
Se c’è un cantautore che, nella vita e nella morte, ha legato il suo nome a Sanremo, è Luigi Tenco. Il suo ricordo è più che mai vivo grazie soprattutto al «Club Tenco», lo stesso che organizza la Rassegna della canzone d’autore e che ha inaugurata una mostra a lui dedicata.
Venti artisti ricordano Luigi Tenco a 50 anni dalla sua scomparsa. A cura di Stefano Giraldi e Luciano Barbieri

La presentazione della Mostra " Ciao Luigi" è avvenuta nella sede del Club Tenco, lo scorso 28 gennaio con Mario De Luigi, Stefano Giraldi, Luciano Barbieri. E con il saluto del Sindaco di Sanremo Alberto Biancheri.

Elenco partecipanti
Disegnatori umoristici: Dino Aloi, Gianni Audisio, Lido Contemori, Milko Dalla Battista, Marco De Angelis, Massimo Presciutti.
Disegnatori satirici: Giuliano Rossetti, Sergio Staino.
Fotografi d’arte: Francesco Butini, Raffaella Sottile. Pittori: Massimo Cantini, Gian Paolo Giovannetti, Antonio Santo Jeradi, Clara Mallegni, Antonio Natali. Grafico: Mauro Pispoli. Scritti: Ellade Bandini e Juan Carlos Flaco Biondini musicisti, Vincenzo Mollica e Fausto Pellegrini giornalisti RAI.

La mostra resterà aperta fino al 25 febbraio ore 9,30 – 12,30 dal Lunedì al Sabato.
Dal 12 febbraio, eccezionalmente la sede è aperta anche il pomeriggio dalle 15 alle 19
Sede: presso la sede del Club Tenco ex magazzino ferroviario lungomare Italo Calvino Sanremo, Corso Garibaldi 131 Sanremo






Dedicato a "Un giorno dopo l'altro" di Luigi Tenco. Disegno per la mostra "Ciao Luigi ciao" per il 50° anniversario della morte del cantautore. Al Club Tenco di Sanremo, Lungomare Calvino, fino al 25 febbraio. Inaugurazione sabato 28 gennaio alle 18,30:
Lido Contemori



"50 anni dalla scomparsa di Luigi Tenco"
Club Tenco - 2017
© Milko Dalla Battista


SANREMO STAMATTINA: inaugurazione della mostra 'Ciao Luigi". Nel febbraio 1967 l'Alluvione era ancora in prima pagina qui a Firenze quando la Notizia prese il suo posto, la civetta addirittura aveva una sola parola, Tenco. Avevo 16 anni e nei primi piani dei visi dei cantanti che si esibivano intravedevo la futura umanità. Ne fui sconvolto, l'arte e la musica restarono mie fragili compagne, la satira e l'humour la mia resistenza alla stupidità, violenza, falsità, opportunismo.
Massimo Presciutti



SE STASERA SONO QUI
Gianni Audisio





Ciao amore, ciao è una canzone scritta dal cantautore italiano Luigi Tenco ed interpretata (in versioni separate) dallo stesso Tenco e da Dalida al Festival di Sanremo del 1967.
La canzone è tristemente nota per essere indissolubilmente legata al suicidio di Tenco, avvenuto a Sanremo il 27 gennaio 1967 dopo l'esclusione del brano stesso dalla finale del Festival (...)

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video: 50 anni senza Tenco
Docu-film dedicato a Lugi Tenco, interamente girato il 22 ottobre 2016 durante la serata finale del Premio Tenco 2016 al Teatro Ariston di Sanremo. Con Morgan, Noemi, Roy Paci, Ascanio Celestini, Marina Rei, Diego Mancino, Bocephus King, Kento, Gli Scontati , Alfina Scorza, Vanessa Tagliabue Yorke.

https://www.facebook.com/events/1735737600076391/

giovedì 2 febbraio 2017

Ritratto ed interviste a Paolo Conte

Paolo Conte
Riccardo Mannelli


Paolo Conte: "L'attualità mi fa orrore, il suo rumore impedisce di scrivere"
Le confessioni del grande musicista nei suoi ottant'anni: "Il passato prossimo invecchia prima di quello remoto. Faccio troppa fatica a pensare com'ero o come non sarò più"
di Antonio Gnoli per La Repubblica

Il maglione giro collo, lievemente sbrindellato; la sigaretta incollata alle dita; la voce roca che sembra avvolta dalla cartavetrata e infine l'occhio che ci ha messo molto tempo per diventare giovane, ma è lì che mi scruta con ironica sopportazione. Paolo Conte, ottant'anni compiuti questo mese,

sabato 10 dicembre 2016

Bob Dylan premio Nobel per la letteratura 2016

Oggi a Stoccolma c'è stata la consegna dei Premi Nobel 2016.

Bob Dylan è premio Nobel per la letteratura 2016

Bob Dylan
Gio/Mariagrazia Quaranta


Bob Dylan
Firuz Kutal


Bob Dylan
di Tiziano Riverso



Portos



Bob Dylan premio Nobel per la letteratura. Le Matin Dimanche, 2016. (Mix & Remix)

comunque io a bob lo capisco
a bob
siamo fatti così noialtri
una volta, un tempo
mi ricordo
vinsi una penna a sfera
col quesito con la susi la vinsi
venne il fattorino
non aveva i miei occhi
aveva la mia penna
venne alla porta
lo guardavo dall'occhiolino
non gli aprii
non gli apersi
la persi
la penna
la tenne
la penna
il fattorino
Fabio Magnasciutti



Nobel Prize for Bob Dylan
BY PATRICK CHAPPATTE, THE INTERNATIONAL NEW YORK TIMES  -  10/17/2016


Bob Dylan accepts his nobel prize
BY LUOJIE, CHINA DAILY, CHINA  -  11/2/2016
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Bob Dylan dopo un iniziale smarrimento per la notizia del premio ha annunciato la sua  impossibilità a partecipare alla cerimonia causa precedenti impegni.

 Patti Smith è stata scelta da Bob Dylan come sua rappresentante alla cerimonia di consegna dei Premi Nobel 2016, che si è tenuta quest'oggi (sabato 10 dicembre) a Stoccolma.

La cantautrice e poetessa americana ha omaggiato il Bardo di Duluth eseguendo, accompagnata dall'orchestra, una reinterpretazione del classico "A hard rain's a-gonna fall", cedendo anche a una grande emozione.

Ecco, di seguito, il video integrale dell'esibizione di Patti Smith  e più sotto, l'originale di Dylan e la lettera all'Accademia svedese:


Patti Smith - A Hard Rain's A-Gonna Fall (ceremonia Nobel 2016)



Bob Dylan - A Hard Rain's A-Gonna Fall (Audio)

Da Nobelpreiseorg

Bob Dylan - Banquet Speech

© The Nobel Foundation 2016.
General permission is granted for immediate publication in editorial contexts, in print or online, in any language within two weeks of December 10, 2016. Thereafter, any publication requires the consent of the Nobel Foundation. On all publications in full or in major parts the above copyright notice must be applied.





Banquet speech by Bob Dylan given by the United States Ambassador to Sweden Azita Raji, at the Nobel Banquet, 10 December 2016.
Good evening, everyone. I extend my warmest greetings to the members of the Swedish Academy and to all of the other distinguished guests in attendance tonight.
I'm sorry I can't be with you in person, but please know that I am most definitely with you in spirit and honored to be receiving such a prestigious prize. Being awarded the Nobel Prize for Literature is something I never could have imagined or seen coming. From an early age, I've been familiar with and reading and absorbing the works of those who were deemed worthy of such a distinction: KiplingShawThomas MannPearl Buck,Albert CamusHemingway. These giants of literature whose works are taught in the schoolroom, housed in libraries around the world and spoken of in reverent tones have always made a deep impression. That I now join the names on such a list is truly beyond words.
I don't know if these men and women ever thought of the Nobel honor for themselves, but I suppose that anyone writing a book, or a poem, or a play anywhere in the world might harbor that secret dream deep down inside. It's probably buried so deep that they don't even know it's there.
If someone had ever told me that I had the slightest chance of winning the Nobel Prize, I would have to think that I'd have about the same odds as standing on the moon. In fact, during the year I was born and for a few years after, there wasn't anyone in the world who was considered good enough to win this Nobel Prize. So, I recognize that I am in very rare company, to say the least.
I was out on the road when I received this surprising news, and it took me more than a few minutes to properly process it. I began to think about William Shakespeare, the great literary figure. I would reckon he thought of himself as a dramatist. The thought that he was writing literature couldn't have entered his head. His words were written for the stage. Meant to be spoken not read. When he was writing Hamlet, I'm sure he was thinking about a lot of different things: "Who're the right actors for these roles?" "How should this be staged?" "Do I really want to set this in Denmark?" His creative vision and ambitions were no doubt at the forefront of his mind, but there were also more mundane matters to consider and deal with. "Is the financing in place?" "Are there enough good seats for my patrons?" "Where am I going to get a human skull?" I would bet that the farthest thing from Shakespeare's mind was the question "Is this literature?"
When I started writing songs as a teenager, and even as I started to achieve some renown for my abilities, my aspirations for these songs only went so far. I thought they could be heard in coffee houses or bars, maybe later in places like Carnegie Hall, the London Palladium. If I was really dreaming big, maybe I could imagine getting to make a record and then hearing my songs on the radio. That was really the big prize in my mind. Making records and hearing your songs on the radio meant that you were reaching a big audience and that you might get to keep doing what you had set out to do.
Well, I've been doing what I set out to do for a long time, now. I've made dozens of records and played thousands of concerts all around the world. But it's my songs that are at the vital center of almost everything I do. They seemed to have found a place in the lives of many people throughout many different cultures and I'm grateful for that.
But there's one thing I must say. As a performer I've played for 50,000 people and I've played for 50 people and I can tell you that it is harder to play for 50 people. 50,000 people have a singular persona, not so with 50. Each person has an individual, separate identity, a world unto themselves. They can perceive things more clearly. Your honesty and how it relates to the depth of your talent is tried. The fact that the Nobel committee is so small is not lost on me.
But, like Shakespeare, I too am often occupied with the pursuit of my creative endeavors and dealing with all aspects of life's mundane matters. "Who are the best musicians for these songs?" "Am I recording in the right studio?" "Is this song in the right key?" Some things never change, even in 400 years.
Not once have I ever had the time to ask myself, "Are my songs literature?"
So, I do thank the Swedish Academy, both for taking the time to consider that very question, and, ultimately, for providing such a wonderful answer.
My best wishes to you all,
Bob Dylan
http://www.repubblica.it/cultura/2016/11/16/news/nobel_bob_dylan_non_partecipera_a_cerimonia_ritiro_premio-152148148/