Per sottrarre il premier alla giustizia questa volta, la Rete italiana rischia la censura.
Se, infatti, come appare ormai probabile nelle prossime ore il Parlamento riprenderà l’esame del famigerato
ddl intercettazioni e
il Governo ricorrerà, ancora una volta, al voto di fiducia, il nostro
ordinamento si arricchirà di una nuova disposizione in forza della quale
tutti i gestori di siti informatici saranno tenuti a disporre la
rettifica di ogni informazione pubblicata online entro 48 ore dall’eventuale richiesta, fondata o infondata che sia.
In assenza di tempestiva rettifica, la sanzione sarà quella di una multa sino a
12 mila euro.
E’ questo il contenuto del comma 29 dell’art. 1 del
disegno di legge n. 1611 che
già la scorsa estate aveva minacciato di mettere un enorme cerotto
sulla bocca – o meglio sulla tastiera – della blogosfera italiana.
In
occasione del precedente dibattito parlamentare sul ddl – dibattito che
questa volta potrebbe addirittura non esserci complice il voto di
fiducia – nonostante l’ampio movimento di opinione sollevatosi contro
l’approvazione della norma, nessuno, in Parlamento, aveva ritenuto di
intervenire in modo determinato per eliminare dal testo “ammazza
informazione”, almeno la norma c.d. “ammazza blog”.
Questa volta
le speranze di un intervento in extremis per salvare, almeno,
l’informazione libera che corre in Rete, appaiono ancora di meno perché
maggiore è il bisogno della maggioranza – o di ciò che resta del clan
dei compagni di merenda del premier – di disporre delle nuove regole
anti-intercettazioni e perché, comunque, il Governo ha già manifestato
l’intenzione di ricorre al
voto di fiducia.
L’entrata
in vigore del ddl e, in particolare, del comma 29 dell’art. 1 nella sua
attuale formulazione ridisegnerebbe, in maniera importante e in chiave
restrittiva e censorea, la mappa dell’informazione libera sul web.
Il
punto, come ho già scritto in altre occasioni, non è sottrarre il
blogger alla responsabilità per quello che scrive perché è, anzi,
sacrosanto che ne risponda ma, più semplicemente riconoscere la
differenza abissale che
c’è tra un blog e un giornale o una televisione e tra un blogger –
magari ragazzino – e un giornalista, una redazione o, piuttosto, un
editore.
Il primo – salvo eccezioni – sarà portato a rettificare
“per paura” e non già perché certo di dover rettificare mentre i
secondi, dinanzi a una richiesta di rettifica, ci pensano, ci
riflettono, la esaminano, la fanno esaminare e poi solo se sono davvero
convinti di dovervi procedere, vi provvedono.
Imporre un obbligo
di rettifica a tutti i produttori “non professionali” di informazione,
significa fornire ai nemici della libertà di informazione, una
straordinaria arma di pressione – se non di minaccia – per mettere a
tacere le
poche voci fuori dal coro,
quelle non raggiungibili, neppure nel nostro Paese, attraverso una
telefonata all’editore e/o al principale investitore pubblicitario.
Sarebbe
davvero una sciagura per la libertà di parola sul web se, preoccupato
di assecondare l’urgenza della maggioranza nell’approvazione del ddl, il
Parlamento licenziasse il testo nella sua attuale formulazione.
Inutile ripetere che le conseguenze dell’entrata in vigore della norma
sarebbero gravissime:
ogni contenuto, informazione o opinione non gradita ai potenti
dell’economia o della politica sarebbe destinata a vita breve sul web e
ad essere rimossa – lecita o illecita che ne sia la sua pubblicazione – a
seguito dell’invio di una semplice mail contenente una richiesta di
rettifica.
Guido Scorza
Angel Boligan