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venerdì 2 gennaio 2015

Ritratto di Tomás Maldonado


 Il 9 novembre  su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Tomás Maldonado





Tomás Maldonado: "Quanti scontri con Fontana e Borges, noi astrattisti eravamo inflessibili"

L'ideatore dello spazialismo? "Non lo capivo". Lo scrittore? "Establishment letterario". Il designer e critico di origine argentina ricorda gli esordi, gli incontri, le avanguardie e le esperienze accademiche


di ANTONIO GNOLI

TOMÁS Maldonado è nato a Buenos Aires. Ha girato il mondo. Negli anni Settanta ha preso la nazionalità italiana. È un signore elegante: alto (supera il metro e novanta); agile (non dimostra i suoi 93 anni); autorevole (anche nel modo in cui la lingua italiana  -  ne conosce cinque  -  riverbera echi sudamericani). Parliamo a lungo nella sua casa milanese. Noto la sicurezza dei gesti. L'assenza di fatica. La curiosità razionalista che lo invade ogni qualvolta deve fornire o chiedere una spiegazione. 

Alla fine mi fa vedere una foto. Si tratta di un ricevimento nell'allora nascente università di Ulm. Con Maldonado trentenne c'è un ometto di spalle in abito da sera: Martin Heidegger.

venerdì 5 settembre 2014

"LA DANZA MACABRA DELLA GRANDE GUERRA"

1914-2014
Quest'anno ricorre il centenario della Grande Guerra
L'estate del 1914, cent'anni fa, segnò l'inizio della Prima guerra mondiale, il  più grande conflitto mai visto, una carneficina che coinvolse quasi tutti i continenti, gran parte delle Nazioni e dei loro abitanti, cambiandone per sempre il destino.
Quando furono firmati gli armistizi tra i belligeranti nel 2018, le vittime si contavano a decine di milioni, mentre i sopravvissuti dovettero adattarsi ad un mondo nuovo e fortemente instabile. Crimini e orrori in vasta scala, armi nuove e micidiali, indifferenza per le spaventose perdite militari e civili hanno accomunato quasi tutti i numerosi fronti aperti.
Tante le manifestazioni per ricordare, anche il mondo della satira ha voluto farlo.
A Forte dei Marmi una grande mostra: LA DANZA MACABRA DELLA GRANDE GUERRA

di Ezio Castellucci, Il Kaiser sopra una montagna di teschi
 

 Forte dei Marmi

LA DANZA MACABRA DELLA GRANDE GUERRA

 Galantara - Il Kaiser
Prosegue con grande successo al Museo della Satira e della Caricatura di Forte dei Marmi la mostra “La Danza macabra della Grande Guerra”. In esposizione al Fortino, a cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, le opere satiriche dei grandi artisti del tempo raccolte nella Collezione Isolabella. La mostra resterà aperta fino al 28 settembre, tutti i giorni, dalle 17 alle 20 e dalle 21 alle 24 (ingresso libero). L’esposizione di ben 150 opere, tratte da una collezione unica al mondo, è un’irripetibile occasione per ammirare i capolavori pittorici di artisti del calibro di Mario Sironi, Alberto Martini, Aroldo Bonsagni, Francesco Cangiullo, Lorenzo Viani, Giò Ponti, Lucio Venna, Gabriele Galantara, Antonio Rubino.

 Sironi - Sarabanda finale

A cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale le opere satiriche dei grandi artisti del tempo raccolte nella Collezione Isolabella.
Si può raccontare la tragedia di una guerra di trincea, di sangue e fango, con le opere d’arte? La risposta è sì: i grandi artisti satirici furono in grado di narrare il conflitto che trasformò in modo irreversibile il Novecento e combatterono la loro guerra con le armi sferzanti della satira, dando luogo a una produzione artistica che non ha eguali in nessun altro conflitto e che riuscì a svelarne le contraddizioni e le assurdità. A cento anni dall’attentato di Sarajevo - il casus belli che diede formalmente inizio alla prima guerra mondiale - Il Museo della Satira e della Caricatura di Forte dei Marmi propone la mostra “La danza macabra della Grande Guerra” (a cura di Cinzia Bibolotti, Franco Calotti e Linda Gorgoni Gufoni), con opere provenienti dalla Collezione di Lodovico Isolabella, sicuramente la più importante al mondo nel suo genere.

Per le foto vedere il link a dropbox https://www.dropbox.com/sh/ljw6xokq35nrcay/AABI_9ep2q7DgSetJExnkS-ia

E’ online il sito con il catalogo della Mostra "LA DANZA MACABRA DELLA GRANDE GUERRA"
http://www.museosatira.it/mostre/danzamacabra/


Per informazioni:
Museo Della Satira - Forte di Leopoldo I - Piazza Garibaldi
tel. 0584 280262 (Uffici) - 0584 876277 (Museo) museosatira@gmail.com www.museosatira.it

L’Ufficio Stampa
Demetrio Brandi 3356141086


Walter Trier - Karte von Europa im jahre 1914

Nota:
Per le mappe satiriche potrebbe interessare
Satirical maps of the Great War, 1914-1915

martedì 2 settembre 2014

TIME MACHINE (Infinite Monkey) 4-09-2014

Renzo Nucara & Fablab Bergamo 
La Rivoluzione dello Spazio 
San Martino dall'Argine Mantova 
inaugurazione 4 settembre ore 17
4- 7 settembre 2014

TIME MACHINE

 ( Infinite Monkey )


Time machine - (Infinite Monkey)
 Time machine - (Infinite Monkey) | 2014 | PLA | stampa in 3d | cm 150 x 150

L’opera trae spunto dall’enunciato di Emile Borel (teorema Infinite Monkey : “se un
esercito di scimmie battesse per un tempo sufficiente sui tasti di macchine da scri-
vere, produrrebbe prima o poi tutti i libri del British Museum.”) e dalla definizione in
biologia del termine “evoluzione” (progressivo e ininterrotto accumularsi di modi-
ficazioni successive, fino a manifestare, in un arco di tempo sufficientemente am-
pio, significativi cambiamenti morfologici, strutturali e funzionali negli organismi
viventi). Time Machine (Infinite Monkey) è un opera che costituisce la cellula inizi-
ale di un potenziale lavoro infinito che può nascere con l’interazione attiva di tutte
le persone. Il contributo alla costruzione dell’opera passa attraverso la realizzazione
personalizzata di un singolo ingranaggio stampato in 3d, che aggiunto ai precedenti
segna un’evoluzione dell’opera. Ogni intervento, quindi, non è solo un “post-it” che
documenta un pensiero personale, ma diventa un ingranaggio che gira e fa girare
tutte le ruote del sistema, correlandolo con quello di altre persone a sottolineare
così il nostro essere causali e non casuali. Il progetto è ipotizzato su una superficie
modulare che può accrescere di pari passo al numero esponenziale degli interventi.

Renzo Nucara | (1955) inizia a esporre le sue opere a metà degli anni '70. Nel 1993 fonda il Cracking Art Group insieme ad altri cinque artisti. Il loro materiale preferito è la plastica che rappresenta il medium per un impegno sociale ed ecologico. Insieme al gruppo ha preso parte alla 49 ° Biennale di Venezia nel 2001,con l'installazione S.O.S. Word: più di mille tartarughe di plastica riciclata e dorata che occupa i giardini attorno ai padiglioni storici. Nel 2011 e nel 2013, è nuovamente presente con il gruppo alla Biennale. Accanto alle performance e alle installazioni della Cracking Art, Renzo Nucara sviluppa la sua ricerca artistica che, soprattutto durante gli ultimi anni, si concentra sulle creazioni in plexiglas, che sono chiamate dall’artista Stratofilm: fotogrammi trasparenti e stratificati che inglobano oggetti naturali e artificiali appartenenti alla sfera del quotidiano o a reminiscenze del passato.
www.renzonucara.com

Fablab Bergamo | L’associazione Fablab Bergamo nasce nel 2013. Persegue fini di promozione della Fabbricazione Digitale e del Design condiviso, dell’Hardware e del Software Libero, dello Sviluppo Sostenibile, a vantaggio degli associati e di terzi. E’ autonoma, pluralista, aconfessionale, apartitica, a carattere democratico. Da aprile 2014 ha sede presso i locali del Patronato San Vincenzo, condividendo obiettivi di progetto e formazione con la Cooperativa e la AFP. Un Fablab è un luogo fisico e virtuale favoloso, che raccoglie un fare ibrido tra il design e l’artigianato, l’elettronica e il web, l’utile e il dilettevole. È un laboratorio aperto, che pone l’etica e la condivisione come la base di un nuovo modello di lavoro e pensiero.
FAB(olous) LAB(oratory) | Abbiamo provato ad immaginare un modo di creare altro. Da un sogno nel cassetto di Barbara Ventura e Vittorio Paris con il sostegno di Giovanni Assi e la collaborazione attiva di Mattia Agazzi, Simone Branchi, Matteo Bonasio, Simona Faccioni, Michele Feliciani, Giorgio Lotta, Luca Pasta, Luca Sarga, Nicola Zana ... e il contributo speciale di Gaia e Giorgio. Ha creduto in questo sogno e ne ha fatto concretezza lo staff della Cooperativa Sociale Patronato San Vincenzo, in particolare: Laura Bonaita, Guido Dentella, Michele Illipronti, Alessandro Messi, Alberto Sorrentino e Grazia Zucchetti.
www.fablabbergamo.it

lunedì 23 giugno 2014

Ritratto di Valentina Cortese

  Il 18 maggio su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Valentina Cortese



Cortese: "La mia avventura a Hollywood finì con un whisky in faccia al re della Fox"

L'attrice è nata il primo gennaio 1923 a Milano. Nel 2012 ha pubblicato per Mondadori "Quanti sono i domani passati" (a cura di Enrico Rotelli), il romanzo autobiografico dedicato al figlio Jackie avuto dall'attore Richard Basehart
di ANTONIO GNOLI 

Valentina Cortese è ancora la signora evanescente e ironica di Effetto notte, di François Truffaut: "Impazzii di gioia quando mi chiamò. Lui era un genio al servizio della gentilezza", dice. "Un uomo che aveva provato la sofferenza del riformatorio e l'ebbrezza del successo. Potrei perfino riconoscermi in lui, nella sua storia", aggiunge con un tocco di nostalgia.

Nel senso che anche lei ha avuto un'infanzia difficile?

"Sono, quel che un tempo si diceva, una "figlia illegittima". Con una madre troppo giovane per accudirmi. Fui affidata a una coppia di contadini. Quando la mia vera madre veniva a trovarmi mi nascondevo nello sgabuzzino. Non volevo che mi portasse via, anche per un solo giorno. Il mio mondo era tutto lì: in quella campagna lombarda dove, anche nella miseria, sono stata molto felice".

Si avverte il pathos.
"Sono stati anni duri e compassionevoli. Appresi la semplicità dall'amore di due persone meravigliose che mi hanno accudita; e, al tempo stesso, sentii l'inquietudine per il fantasma materno che ogni tanto aleggiava. Le paure dell'infanzia mi hanno reso insofferente e forte".

Cosa rimprovera e cosa perdona a sua madre?
"Rimprovero la sua sventatezza, e il fatto che non c'era spazio per me nei suoi sogni".

Cosa faceva?
"Voleva essere una pianista, una grande concertista. Non ne ebbe la forza e forse il talento. Quanto al perdono, non lo so. La nostra storia si concluse abbastanza miseramente un giorno del dopoguerra nel ristorante dell'hotel Flora di Roma".

Che accadde?
"Volevo riconciliarmi con lei. La mia vita aveva preso a funzionare: c'era il lavoro nel cinema, e l'amore per un uomo come Victor de Sabata. Tutto quello che di spigoloso c'era stato tra noi due si andava smussando. Le comprai un gioiello, come segno di affetto. E quando mi vide cominciò a insultarmi e a dire che era un'offesa che io stessi con un uomo di trent'anni più grande di me".

E lei come reagì?
"Non ci potevo credere. Guardavo le sue mani che serravano violentemente i manici della borsetta. Aprii il regalo, meccanicamente. E quando vide il rubino si placò all'istante. Fece per afferrarlo, glielo strappai di mano. E fuggii via. Non ho più rivisto quella donna. Non ha più messo piede nel mio cuore".

E suo padre lo ha mai conosciuto?
"L'ho visto qualche volta da bambina senza sapere chi fosse. Credo che mi guardasse con una certa attenzione. Ma non sapevo nulla di quell'uomo. Andai al suo funerale. Forse spinta dal desiderio di conoscere la persona che aveva contribuito a mettermi al mondo. Mi sembrò tutto triste. Di una tristezza senza luce. Ricordo che mi allontanai dalle mie sorellastre con la sensazione che davvero qualcosa si era definitivamente chiuso".

Accennava al suo amore con il direttore d'orchestra Victor de Sabata. Vista la differenza di età, è stato in qualche modo il padre che non ha avuto?
"Ho amato molto Victor. Avevo 17 anni la prima volta che ci incontrammo. Fu un uomo speciale e meraviglioso. Persi la testa. Lasciai il liceo, mi trasferii a Roma e mi iscrissi all'accademia d'arte drammatica. Era un modo per stare con lui, vivere con lui, accompagnarlo nelle tournée. Mi chiede se sia stato un padre? Ma un padre non fa l'amore con una figlia. Però mi ha insegnato molte cose. Tranne una".

Quale?
"Che i grandi amori portano spesso grandi dolori. Victor era sposato, aveva dei figli. Pensavo che tutto si potesse ricomporre alla luce dei nostri sentimenti. Ma non fu possibile. Capii che i figli avevano ancora bisogno di lui. Per questo, molto a malincuore, accettai l'invito di andare a Hollywood".

Che anni erano?
"La fine degli anni Quaranta. Durante la guerra avevo fatto cinema con Carmine Gallone, Alessandro Blasetti. Conosciuto e frequentato Rossano Brazzi, Massimo Girotti, Alida Valli. Era bellissima Alida. Le offrirono un contratto a Hollywood poco prima che l'offrissero a me. Lei andò senza patemi. Io dovetti trovare la forza interiore. Per me Hollywood voleva dire mettere una distanza incolmabile tra me e Victor".

Com'era quel mondo che ogni attore vorrebbe frequentare?
"Luci e ombre, come tutte le cose. Ricordo la serie infinita di cocktail nelle case di attori famosi dei quali sarei diventata amica. Potevi incrociare Orson Welles, sempre con il suo bicchiere di whisky e a caccia di produttori, Walt Disney e perfino Thomas Mann, che aveva finito il suo esilio americano. Soprattutto all'inizio fu piacevole".

E in seguito?
"Ero stata messa sotto contratto dalla Fox. Nei primi mesi era tutto un susseguirsi di incontri con registi e produttori. Finalmente Jules Dassin mi contattò per girare I corsari della strada, avrei dovuto interpretare il ruolo di una puttana. Quello che non mi aspettavo è che Jules si innamorasse di me. Però accadde ".

E lei?
"Ero lusingata, perfino attratta. Poi scoprii che era sposato, e che aveva dei figli. Mi disse che stava divorziando. Non volevo assolutamente ricadere in una situazione come quella con Victor. Ci frequentammo sul set. Restammo buoni amici. Non sapevo che la mia storia con Jules avrebbe, in seguito, preso la piega della malinconia. Nel frattempo sposai Richard Basehart. Non fu un grande affare".

Perché?
"Dick era un uomo bello e incostante. Lo avevo conosciuto sul set di un film diretto da Robert Wise. Mi raccontò di essere rimasto vedovo. E per lui provai tenerezza. Cominciammo a frequentarci. Sapeva essere molto divertente. Ci sposammo nel 1951. E per un po' la nostra vita fu intensa. Perfino travolgente grazie a incontri con persone come Marilyn Monroe, Marlene Dietrich, Greta Garbo".

Tre donne che hanno fatto la storia del cinema. Com'erano i loro caratteri?
"Vidi la prima volta Marilyn a una premiazione. Accompagnavo mio marito. Mi colpì la sua pelle chiarissima. Sembrava una nuvola di panna montata. Mi sembrò una donna insicura, fragile e spaventata. Mi disse che odiava quei ricevimenti e i curiosi che l'assediavano. In seguito venne un paio di volte a casa nostra ".

E la Dietrich?
"La donna meno costruita che abbia conosciuto. Strano, no? Tutti la percepivano come la femme fatale dell'Angelo azzurro. In realtà era una persona semplice. Nel periodo hollywoodiano ci vedemmo spesso a colazione. Le piaceva cucinare personalmente. E adorava il cibo italiano. Che dire? Era intelligente, brava, schietta. Ma anche furba. Non nascondeva nulla di sé, ma al tempo stesso dava a volte l'impressione di una donna che aveva dovuto lottare ferocemente per affermarsi".

Chi non dava questa impressione era la Garbo.
"Fin da piccola fu il mio idolo. Appena giunsi a Hollywood il mio agente volle farmela conoscere. Ci incontrammo da Romanoff, un ristorante russo molto alla moda. Tremavo. Lo stomaco si chiuse per l'emozione. Lei parlò pochissimo. Guardavo il suo volto lunare e pensai che le leggende non sono il passato, ma il presente che irrompe e sconvolge".

L'ha più rivista?
"Anni dopo a Parigi, durante una sfilata di Chanel. Giorgio Strehler stava cercando un'interprete per Eleonora Duse in un film sulla sua vita. Mi venne in mente di proporle un contatto con Strehler per quel ruolo. Rifiutò. Mi disse che recitare non le interessava più. Mi stava davanti, ma sembrava remota. Ebbi l'impressione che non avesse più legami concreti con il mondo. E che forse era il mondo".

Lei nel frattempo era tornata in Italia.
"Sì, la mia esperienza hollywoodiana si era conclusa anche in malo modo. Nella più classica delle scene: il produttore che ti mette le mani addosso e si prende un bicchiere di whisky in faccia. Accadde con il grande padrone della Fox, Darryl Zanuck. Mi fece una corte insopportabile. Finì nel modo che le ho detto, durante una festa in casa sua. E fu la conclusione della mia carriera a Hollywood".

E suo marito?
"Mi illudevo di aver costruito un quadretto di famiglia felice. Avevamo un figlio meraviglioso. Ero un po' ingenua. Rientrammo in Italia e Fellini propose a Dick di recitare nel film La strada. Ero contenta per lui e per me. Federico era un buon amico. Come la Masina, del resto. Quello che non potevo prevedere era il tradimento di Dick".

Con chi?
"Con Giulietta. E non fu una cosa di un attimo. So che continuarono a vedersi per anni".

E Fellini?
"Non so se sapesse o meno. Del resto anche lui non era insensibile al fascino femminile. Soprattutto nell'usa e getta".

A cosa allude?
"A una storiella ormai nota. Federico si portò in macchina una di quelle attricione, che piacevano a lui: prosperose, abbondanti, vistose. Insomma, mentre andavano a Ostia, lei parlava della sua vocazione artistica, neanche fosse la Bergman. A un certo punto Federico cominciò ad accarezzarle i capelli e poi con la mano sulla nuca a spingerla verso il basso. Finalmente la poveretta capì cosa stava accadendo e, con tutto il fiato in gola, disse: "Feddericco, io artista, io no pompetto"".

Meraviglioso. Nella sua vita si intrecciano storie d'amore e di sesso. Come finì con suo marito?
"Voleva tornare a Hollywood. Restai in Italia. Ci separammo. Scoprii che mi aveva anche tradito con la baby sitter. Gli amori veri sono stati altri".

È rimasta in sospeso la storia con Jules Dassin.
"Ha continuato ad amarmi e a raggiungermi un po' ovunque. Era un uomo malinconico. Fu bastonato dal maccartismo per le sue idee politiche. Ci scambiammo perfino delle fedi come pegno di un amore irrealizzato. Alla fine trovò la sua pace sposando Melina Mercouri. Comunque, qualunque cosa avrebbe potuto diventare non sarebbe mai stata come la storia con Strehler".

Nel senso?
"Giorgio fu letteralmente un'altra cosa. Da lui aspettavo una bambina che persi nella gravidanza. Il nostro legame si rafforzò. Al di là delle incomprensioni, burrasche, litigi, che pure ci furono. Credo che nessuno mi abbia arricchito spiritualmente e umanamente come ha fatto lui. Mi sorprendo ancora quando penso al modo in cui sapeva farmi crescere, anche nella sofferenza che pure era capace di infliggermi".

Cosa prova davanti alla scomparsa di una persona che ha così amato?
"Giorgio se ne è andato una notte di Natale. È curioso che nel grande evento della nascita lui ci abbandonasse. Non c'era tristezza in lui, ma la convinzione che la sola cosa che può salvarci è il teatro. Era la sua fede".

E lei come definirebbe la sua fede, o la sua mancanza di fede?
"Ogni mattina mi sveglio sorprendendomi di essere ancora viva. Non so se Dio esiste o non esiste. È un mistero di fronte al quale preferisco restare in silenzio. Un attore deve prendere il divino dal fondo di se stesso. Se lo ha, si lasci pure possedere".

Cosa è stato il suo essere attrice?
"Tutto. Ma non ritengo di essere stata un'attrice ambiziosa. Ho sbagliato tante volte, ma sono felice di aver commesso i miei sbagli. Non sarei qui, altrimenti, a parlarne. Gli errori sono come i versi mai letti di una poesia".

Mi viene in mente un suo recital su un testo di Alda Merini.
"Recitai la sua Madonna bambina di Magnificat: una donna sola contro il mondo, immersa nella bufera a difendere il figlio che le viene tolto e ucciso e con fede incrollabile ne attende la resurrezione. Solo le donne sono capaci di questi gesti".

Ha conosciuto la Merini?
"Sì, negli ultimi anni. Alda era innamorata della vita. Di fronte all'amore non capiva più niente. Mi manca la sua ricchezza interiore. Si è lasciata spremere. Non dava importanza alle cose materiali. Mi disse che il suo appartamento era freddo e umido. Le regalai un termosifone elettrico che a sua volta donò a un altro bisognoso. Quando seppe che sarei andata a trovarla in clinica, chiamò il parrucchiere e un violinista. La trovai adagiata sul letto. Il violinista attaccò una romanza. Sembrava una bambina. Morì pochi giorni dopo. E pensai che tutti noi prima o poi torniamo all'infanzia ".


domenica 22 giugno 2014

Charles Barsotti (1933-2014)

"Well, I think you're wonderful."
"Beh, io credo che tu sia meraviglioso."


Charles Barsotti è stato per quarant'anni uno dei più importanti fumettisti del New Yorker .
 Barsotti era considerato un filosofo e un genio dell’ironia, e i suoi lavori venivano spesso comparati a quelli di un altro grande collega: James Thurber.



La sua vignetta tipica era un cartoon singolo.
Un esempio sotto:  il disegno mostra un clown del circo nell'espressione di parlare al telefono e, sotto al disegno, una breve domanda, solo cinque parole:
 "What's the next best medicine?"
("Qual è la prossima miglior medicina?")




 "La prossima miglior medicina è sempre stata Charley Barsotti".
Robert Mankoff

Questa è una vignetta di Charles Barsotti cartoonist, uno dei tanti quelli grandi, ha detto Robert Mankoff,  redattore di The New Yorker magazine ed ha aggiunto: "Vediamo le sue vignette e pensiamo più profondamente le cose, e restiamo anche coinvolti nel suo humour".


 Barsotti usava  effettivamente poche parole per accompagnare i suoi disegni, ed era molto lodato per la loro semplicità, semplici, ma nello stesso tempo, pieni di humour e problematiche umane .

 “Complication is easy, simplicity is incredibly hard,” he said. “He’s a very talented man, a genius of humor really.”
  "Complication è facile, la semplicità è incredibilmente difficile, "
 Michael Wolff


Uno dei suoi più celebri fumetti è un vero " non sense"
Un pezzo di pasta - un rigatone - parlando al telefono dice:
"Fusilli,  pazzo bastardo! Come stai?"


Un altro esempio dei suoi  cartoons per  il New Yorker  raffigura due forchette in piedi una accanto all'altra, una con i suoi denti avvolti dagli spaghetti. L'altra forchetta dice: "Mi piace. Chi è stato? "

 "Attraverso le sue vignette  allude alle grandi domande dell'esistenza umana, tra cui 'Come facciamo a sapere quello che sappiamo?"
Mankoff

Mankoff ha chiamato Barsotti "un uomo dolce e un profondo pensatore" che ha cercato la saggezza, la verità e la risata attraverso le sue vignette, con uno dei personaggi ricorrenti di Barsotti, il vecchio pellegrino con un bastone da passeggio alla ricerca della verità.
In uno, il pellegrino si sta muovendo nella stessa direzione come un segno freccia che dice "la Verità", tranne che invece di camminare che sta lavorando su un tapis roulant. In un altro, un pellegrino sta camminando in direzione del segno verità e un altro si sta dirigendo di nuovo, il suo viso l'immagine del terrore.



 The New Yorker ha pubblicato più di 1.300 cartoons di Barsotti. E ne ha creato molte altre migliaia per The Atlantic , USA Today , Texas Monthly e Playboy , e sulle pagine op-ed di The New York Times e The Kansas City Star .
"Ha fatto un'incredibile quantità di lavoro, "ha detto Ramot, la moglie, che si è sempre occupata  della parte economica. "Siamo stati sposati per 35 anni. Abbiamo avuto approvazioni da persone provenienti da tutto il mondo. Alcuni dei suoi quadri più popolari e amati erano i suoi cartoons col cane, presenti nella collezione 2007 "They Moved My Bowl.
Essi costituiscono anche ciò che la figlia Kerry Scott, ama di più. Sono dolci, gentili ed offrono un sacco di comprensione della natura umana. E penso che ha conquistato un nuovo pubblico al suo lavoro."
Uno di questi (quello in alto al post), è incorniciato nel suo studio, a casa sua sulla East 55th Street: Un cane sulla sedia terapeuta dice al paziente le lacrime agli occhi sul divano, " Beh, penso che tu sia meraviglioso. "

 Il creatore dei "Peanuts",  Charles M. Schulz era un suo fan.
 "Penso che i piccoli cani , siano i fumetti più divertenti che siano stati fatti negli ultimi anni", ha scritto Schulz a Barsotti in una lettera firmata con il suo soprannome, Sparky.








“So you’re little Bobbie; well, Rex here has been going on and on about you for the last 50 years.”
Un altro cartoon: un angelo registra l'arrivo di un uomo anziano in cielo. Un cane felice corre verso di lui, e l'angelo dice: "Così sei tu il piccolo Bobbie; bene, Rex qui è andato avanti e indietro qui aspettandoti per gli ultimi 50 anni ".


"A wonderful, una persona meravigliosa, ed una leggenda nel mondo cartooning", ha detto McMeel. "Ci si poteva sedere per ore e parlare con Charley. Poteva diventare molto grave, e poi avrebbe mandato questo razzo a voi, solo per vedere se lo si stava ascoltando o no. Era divertente stare con lui.

" Barsotti ha creato diversi fumetti, tra cui «Sally Bananas", e le sue vignette sono state raccolte in diversi altri libri, tra cui "The Essential Carlo Barsotti" e "Texas di Barsotti."





  Nel 1996, all'età di 62 anni, Barsotti divenne uno dei cinque disegnatori onorati dalla pubblicazione di una serie di francobolli emessi dall'ufficio postale britannico. Dopo l'approvazione da parte di un comitato consultivo timbro, le scelte sono state approvate personalmente dalla Regina Elisabetta II. Tre dei 10 francobolli della serie erano di Barsotti.
 Un designer britannico, Michael Wolff, ha guidato il progetto del fumetto timbro, ed aveva contribuito a introdurre anche il lavoro del fumettista in Europa. I suoi fumetti sono apparsi nella rivista di umorismo e satira Punch .

"E 'ottenuto approvato dalla regina, mi dicono,", ha detto Barsotti T ha stella . "Avrei odiato  non essere approvato dalla regina."  





Le immagini sono di Charles Barsotti/New Yorker Collection 
I disegni su Punch
Il sito :  http://www.barsotti.com/
Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Charles_Barsotti
I disegni su Pinterest
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http://bado-badosblog.blogspot.it/2014/06/new-yorker-cartoonist-charles-barsotti.html
http://mikelynchcartoons.blogspot.it/2014/06/charles-barsotti-1933-2014.html
http://www.newyorker.com/online/blogs/cartoonists/2014/06/charles-barsotti
http://dailycartoonist.charles barsotti
http://www.washingtonpost.com/news/comic-riffs/wp/2014/06/18/rip-charles-barsotti

Charles Barsotti, Cartoonist With Humor Both Simple and Absurd, Dies at 80

domenica 15 giugno 2014

Ritratto di Arnaldo Pomodoro

Il 4 maggio su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
ad Arnaldo Pomodoro 
 

Pomodoro: "Amavo mio padre ma l'avrei ucciso, spariva cercando avventure"
 di ANTONIO GNOLI
La forma è tutto. Le mani sono tutto. Guardo quelle di Arnaldo Pomodoro. Grandi. Solide. In un certo senso misteriose. Le incrocia come ali di un angelo caduto. Penso che tutta la vita di questo artista sia stata all'insegna di un doppio movimento: la felicità esibita e l'infelicità nascosta. Il pubblico e il privato. L'esterno e l'interno.
Polarità che in uno scultore come lui hanno agito, scavato, combattuto. Guerra di confine, verrebbe da dire. Lo ascolto mentre parla tra le sonorità museali della sua Fondazione. Voce suadente. Innocentemente perduta dietro ricordi che non ricordano e che sono qui a dire di lui e a non dire. Ambiguità umana? Forse. Pomodoro trascina la memoria come Madre Coraggio la sua carretta.
C'è fatica, attrito, sofferenza trattenuta dietro i modi gentili con cui porge al visitatore la sua versione di vita: "Ho quasi 88 anni e la sensazione di averli vissuti in una perenne oscillazione tra la ricerca di un mondo impossibile, quello artistico, e il mondo reale consegnato alla durezza e alla delusione. Qualche volta i due mondi hanno combaciato. Creando l'effetto ottico di un'armonia voluta, sperata, ma al tempo stesso insidiata".
Da cosa?
"Dall'idea che niente può durare a lungo. Sorvolo sugli effetti fisici di un'affermazione del genere. Ma quelli psicologici pongono di fronte a un'idea che insieme mi affascina e mi fa orrore: il limite. Un artista non può fare a meno del limite e della possibilità interiore di trasgredirlo. È sempre stato così per me. Fin dai primi sogni da ragazzo".
Come si ricorda?
"Ero timido, introverso, spaventato all'idea che quanto segretamente desideravo potesse essere ostacolato dalla famiglia".
Oppressiva?
"Non in quel senso. Votata alle scelte concrete. Il nonno paterno era un medico veterinario e farmacista. Inventò una medicina per la cura di una malattia che faceva morire le mucche. Possedevamo della terra che dava da mangiare a tutti e permise a mio padre di non fare mai nulla".
Nel senso?
"Era un uomo ozioso. Detestava ogni forma di lavoro. Lo zio, presidente di corte di cassazione a Roma, parlava di lui con disgusto. Si chiedeva come era stato possibile che un soggetto del genere fosse scaturito dalla famiglia Pomodoro".
La pecora nera.
"Più che nera, folle. L'amavo, ma l'avrei ucciso. C'era da vergognarsi ad essere suoi figli. Un fannullone che quando poteva spariva per settimane. Mollava la famiglia. Gli piaceva la vita facile e avventurosa. Quando conquistammo la Somalia si lasciò inghiottire da quelle terre. Non lo vedemmo più per due anni".
Non ne parla con risentimento.
"Era un sognatore. Il suo lato migliore. Nonostante non avemmo mai un buon rapporto, quando capì i miei tormenti, legati a cosa avrei dovuto fare della mia vita, mi disse con grande semplicità: non fare in modo che distruggano i tuoi sogni".
E cosa sognava?
"Sognavo in continuazione i castelli di sabbia. Quella bellezza effimera e infantile che talvolta costruivo sulla spiaggia adriatica. Qualche tempo dopo quella pulsione si sarebbe trasferita nell'argilla".
Accennava alla concretezza familiare.
"Finite le medie avrei voluto iscrivermi al liceo artistico. Mia madre e mio nonno pretesero una scuola che desse reali sbocchi professionali. Fu così che alla fine mi ritrovai con il diploma di geometra. Studiai a Rimini, durante la guerra".
Dove era nato?
"A Morciano di Romagna, di lì veniva mia madre. L'ultimo anno di guerra, l'inverno del 1944, fu durissimo. C'eravamo trasferiti a Pesaro. Il solo passatempo erano le lunghe passeggiate lungo il mare alla ricerca degli ossi di seppia, che in seguito sarebbero diventati importanti nel mio lavoro di scultore".
Quando decise di diventare scultore?
"In pratica dopo il mio incontro con Lucio Fontana. Nel frattempo, era l'autunno del 1953, c'eravamo trasferiti a Milano. Lavoravo per il genio civile. Ma già nel tempo libero creavo monili, decorazioni. Fontana ci vide del talento. Mi sentii gratificato da quest'uomo gentile, dalla sua dedizione ai giovani e da un'arte che non aveva eguali. Compresi pienamente l'importanza del suo lavoro quando andai in America, nel 1959".
Cosa la portò lì?
"Una borsa di studio. Restai tre mesi. Si aprì un mondo che non immaginavo. Poi, nel 1962, firmai il mio contratto con la Marlborough Gallery che determinò la mia ascesa negli Stati Uniti".
Che ambiente trovò?
"Straordinario. Feci subito amicizia con Louise Nevelson. Grazie a lei conobbi i grandi che allora si affermavano: non Jackson Pollock che era già morto; ma Robert Rauschenberg, un uomo molto alla mano, Jasper Jones, un essere chiuso e solitario; Franz Kline, il più anticonformista. Per tutti loro la fine della guerra fu un'esplosione di creatività".
Come guardavano agli artisti italiani?
"Passavamo dall'essere degli sconosciuti a un momento di interesse. Grazie ad Afro, che era stato in America fin dagli inizi degli anni Cinquanta, l'arte italiana cominciò a suscitare curiosità. E poi ci fu il fenomeno Burri: prigioniero di guerra in Texas, cominciò a realizzare i suoi celebri "sacchi". Nel 1953, con le mostre a Chicago e a New York, Alberto rivelò al mondo americano tutto il suo talento".
Quando lo ha conosciuto?
"La prima volta che lo incontrai fu a San Francisco. Dove insegnavo. Vidi, a un piccolo ricevimento, quest'uomo severo e dolce al tempo stesso. Era il 1966. C'era la contestazione di Berkeley. Non si parlava d'altro. Girava una quantità di marijuana pazzesca. A un certo punto la conversazione si soffermò su un protagonista di quel momento".
Chi?
"Timothy Leary, che stava avendo un'influenza incredibile su tutto il movimento giovanile. La sua predicazione dionisiaca girava tutta intorno a una sostanza allucinogena, allora sconosciuta: Lsd. Fu il primo, in assoluto, a unire spettacolo, politica e rivoluzione. Viaggiava nel suo autobus psichedelico e si atteggiava a Cristo tra i discepoli".
Aveva molta presa.
"Sì, era abilissimo, dotato di un gusto snob e istrionico. Tratti che in un certo senso ho ritrovato in Andy Warhol, la cui rivoluzione artistica fu ben più profonda e duratura".
Si riferisce alla Pop Art?
"E a quello che generò. È stato un fenomeno che non sarebbe mai nato senza Duchamp. Per tutto il movimento figura più importante di Picasso".
Le piace Picasso come scultore?
"Grande. Ma preferisco Brancusi. Per il tipo di lavoro che svolgo senza Brancusi non sarei mai nato. Con lui la forma viene progressivamente distrutta, ma si legge ancora. È un miracolo di equilibrio tra il vedere e la cecità. La stessa emozione "distruttiva" me la provocò Pollock".
Cosa vuol dire "distruggere la forma"?
"Sottoporla al movimento, all'attrito del tempo. Sono convinto che nella relazione segreta tra la forma e chi la compie si riveli il perché sia stata realizzata in quel modo ".
Si chiama necessità?
"Il grande artista è colui che segretamente conosce tutto questo. Penso a Paul Klee".
Perché Klee?
"Gli devo la scoperta dell'interiorità, del profondo che c'è in ciascuno di noi. Era un genio assoluto. Con quattro semplici segni esplorava il mondo".
Vengono in mente le sue Sfere.
"Ho sempre pensato che la sfera ha una sua energia misteriosa. La sua presenza crea un altro spazio. O meglio trasforma quello esistente ".
Un'energia che arriva da dove?
"Dal suo interno. La perfezione di una sfera non sta nella sua chiusura inviolabile, ma nell'immaginarla aperta. Dovevo realizzarla come un tutto tormentato e corroso. Dunque aperta, sino al punto che il suo interno dialogasse o ferisse la superficie esterna".
Sembra Fontana.
"Anche a lui devo molto".
L'oggetto d'arte non riposa sulla quiete?
"No, sarebbe la sua morte. La forma è movimento. Lo capì perfettamente Boccioni, il primo grande artista della scultura novecentesca".
È curioso che un artista come lei, così dedito al movimento, abbia poi dato vita a una Fondazione.
"Che c'è di strano?".
Le fondazioni di solito celebrano l'artista scomparso. In vita rischiano di imbalsamare il suo lavoro. Come si fa a fondare l'infondabile, cioè l'arte?
"È un bel problema, capisco. Ma non ho figli e ho sempre nutrito l'ambizione di creare qualcosa di stabile attorno al mio lavoro. Mi rappresenta e ciò mi basta".
La ritiene una forma di potere?
"Ho i miei dubbi che un artista sia un uomo di potere. Anche se con esso deve scendere a patti: gli ordini, un tempo si chiamavano committenze, arrivano dalle istituzioni pubbliche, dalle grandi aziende, raramente da singoli individui".
Come giudica l'attuale arte contemporanea?
"È fatta per lo più di pura apparenza. Interessa persone che amano l'originalità, ma non la profondità della forma. Sono vecchio. Mi interessa toccare la materia".
Cosa intende per profondità della forma?
"Che il messaggio spesso cambia, ma la forma resta".
Le piace l'arte di suo fratello, Giò Pomodoro, anche lui scultore?
"Venivamo da sensibilità differenti. Esperienze, in parte almeno, diverse".
Come sono stati i vostri rapporti?
"Non sempre facili. Però alla fine il legame con lui si è chiuso benissimo. Prima di morire mi disse: ho ritrovato un fratello".
Vi eravate persi?
"La vita a volte divide e genera fraintendimenti e dolori. Ma occorre rispetto verso chi non c'è più".
Cos'è che vi ha più allontanati?
"Forse la politica. Ed è strano provenendo dalle stesse idee. Solo che le sue erano il frutto di una fedeltà al comunismo. Un'ortodossia che non ho mai condiviso".
Si sente libero?
"Libero di amare e di ferirmi".
È strano, ma tutto il suo lavoro, da un certo punto di vista, sembra una richiesta di aiuto: capire meglio cosa si agita nel suo mondo interiore.
"Forse è vero. Nel mio lavoro metto anche le mie contraddizioni".
Un modo di risolverle?
"Di renderle pubbliche. Faccio un po' fatica a parlare di questo argomento. Ogni tanto mi capita di avere un rigetto dell'opera che realizzo. Ci sono dei giorni storti in cui vedo solo i difetti di un lavoro compiuto".
La crisi di un artista è anche crescita.
"Sono spesso in crisi. La sento montare da dentro. Me ne accorgo perché mentre realizzo una cosa, percepisco che potrei farla in mille altri modi diversi. Questa è insieme la forza e la fragilità di un artista".
Forza e fragilità non sono quasi mai in equilibrio.
"Per questo alcuni ricorrono alla psicoanalisi".
Lei ha mai fatto analisi?
"La prima volta che mi ci hanno mandato capii che ero io a psicoanalizzare lui e non viceversa".
Quando è accaduto?
"Tantissimo tempo fa. Ero un ragazzo che non capiva più bene cosa stesse facendo. Ero il frutto di una fantasia".
Un'energia che non trovava forma?
"Le idee che non si realizzano sono quelle che alla lunga uccidono".
E cosa sono queste sue idee?
"Qualcosa che cresce in me, che vedo solo io e che non posso spiegare. È un processo faticosissimo. A volte mi dicono: beato te che fai questo mestiere. Ma davvero si può pensare che le idee nascano spontaneamente? Il mio lavoro è il frutto di mille complicazioni. È il vero e il sogno".
Qual è la distinzione?
"Un artista rinuncia a tracciare un confine".
Lei sogna?
"Dormo in un'agitazione permanente. E questo secondo me significa che sogno molto. Ma alla fine non ricordo nulla. Tranne un sogno che ricorre".
Quale?
"Io bambino che gioco nello slargo di una piazzetta medievale con altri della mia età. Rincorriamo una sfera. Soccombo. E poi vedo la sfera precipitare giù per le scale e vengo preso dall'angoscia terribile che si rompa. So che è la mia prima sfera che realizzai per il tetto del padiglione di Montreal nell'Expo del 1967. E quella sfera invece di rompersi finisce nell'acqua e galleggia".
Che lettura ne dà?
"Ci vedo una specie di nascita. Quella sfera è una cosa mia, ma come se non l'avessi partorita io. Penso che somigli al destino dell'artista: quello che fa gli può appartenere solo attraverso gli altri".



Nota :

 Per iniziativa di Arturo Carlo Quintavalle, Arnaldo Pomodoro ha donato nel 1990/1991  al CSAC dell'Università di Parma una settantina (tra sculture e disegni) di opere dal 1956 al 1960, che furono presentate in una esposizione al Palazzo della Pilotta e successivamente collocate nell'Aula Magna e in altri spazi dell'Università. 

  •  http://fondazionearnaldopomodoro.it/artists/pomodoro
  •  http://www.archimagazine.com/rparmiggiani.htm
  •  http://it.wikipedia.org/wiki/Arnaldo_Pomodoro


giovedì 20 marzo 2014

"Donne in città" a San Secondo Parmense

Luciana Zucchelli 

 Biblioteca Guareschi

 San Secondo Parmense

 marzo 2014

L’esposizione “Donne in città”
presso la biblioteca comunale di San Secondo
per il mese di marzo

La biblioteca di San Secondo Parmense, luogo di cultura e d’incontro, si apre all’arte. Ogni mese, all’interno delle sue stanze vengono ospitate in esposizione opere di artisti locali: l’iniziativa è nata da un’idea dell’Associazione Everelina che ha in gestione la biblioteca dal 2006. L’obiettivo è quello di aprire alla contemporaneità un’istituzione nata allo scopo di conservare, tramandare e far circolare il materiale librario.
L’iniziativa BiblioArt rientra in queste esposizioni temporanee e nel mese di febbraio vede la partecipazione dell’artista Luciana Zucchelli con la mostra “Donne in città”, che sarà aperta al pubblico per tutto il mese di marzo.
Orari:
Martedì-Giovedì-Venerdì dalle 14.00 alle 18.00
Mercoledì dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 18.00
Sabato dalle 09.30 alle 12.30.

“Donne in città”
le opere di Luciana Zucchelli
In esposizione nel mese di marzo 2014
Presso la Biblioteca Comunale G. Guareschi
Via Felice Cavallotti
San Secondo Parmense (Pr).

Informazioni:
Biblioteca G. Guareschi
Tel : 0521/871500
Fax : 0521/871500
Mail: info@informagiovanisansecondo.it
Artista:
Luciana Zucchelli
Tel: 347/1501480
Mail: lucianazucchelli@hotmail.it

martedì 11 marzo 2014

Laura Neri tra arte ed enigmistica


Laura Neri, poliedrica artista ed enigmista livornese.


"Ho conosciuto Laura, la carissima laurina 57 di AE, a Bologna per un Simposio Enigmistico nel nov. 2012. Ci eravamo sentite al telefono qualche giorno prima  e siamo subito entrate in sintonia... la sua parlata toscana mette allegria.
Laura abita nella città dove non esiste acredine ( Livor-no ). Si è presentata con solare cordialità. Anche a tavola eravamo vicine quindi ho potuto approfondirne la conoscenza. E' una bravissima illustratrice e autrice di rebus, le piace scrivere poesie in rima davvero molto divertenti. Quello che mi piace di lei è il sorriso, il carattere aperto e il desiderio di fare nuove amicizie . Svolge la più bella professione del mondo: la maestra... sono certa che ai suoi alunni trasmetterà con grande bravura le sue passioni:  in particolare il disegno e l'enigmistica."
LIDIA1950 






Rebus: 7  13  PL: 1  2  4  2  9  2

mercoledì 29 gennaio 2014

Papa 'Superman' sui muri di Roma



We share with you a graffiti found in a Roman street near the / Les compartimos este graffiti que vimos hoy