mercoledì 6 aprile 2016

"Alla ricerca della pecora Fassina" di Staino



Carissimi,
è uscito oggi, pubblicato dalla casa editrice Giunti, il libro che raccoglie tutte le mie strisce sulla ricerca della pecora Fassina pubblicate quotidianamente da luglio a novembre scorsi sulla rinata Unità. In aggiunti ci sono 24 tavole inedite che formano l'appendice "Vent'anni dopo". Il titolo è "Alla ricerca della pecora Fassina" ma assai più interessante per me è il sottotitolo: "Manuale per compagni incazzati, stanchi, smarriti ma sempre compagni". Se vi riconoscete in questa categoria oppure ci riconoscete un vostro parente o un vostro amico, cercate di comprarlo. Per saperne qualcosa di più cliccate su questo link dove troverete, fra l'altro, l'introduzione che mi ha scritto la dolcissima Ellekappa: http://www.unita.tv/focus/bobo-e-i-compagni-che-resistono-staino-alla-ricerca-della-pecora-fassina/


PRESENTAZIONI

- Domenica prossima 10 aprile, ore 11, auditorium di Scandicci. Con me, Raffaele Palumbo e con la partecipazione di Ellekappa.
- Martedì 12 aprile, ore 18.30, libreria Feltrinelli Duomo di Milano. Con me, Giuliano Pisapia, Daria Colombo e Claudio Bisio.
- Mercoledì 20 aprile, ore 18, Feltrinelli Galleria Alberto Sordi, Roma. Con me, Marianna Rizzini, Francesco Piccolo e Walter Veltroni

Sono in preparazione altre presentazioni tra cui il Salone del Libro di Torino. Se qualcuno di voi è interessato a organizzarne una può mettersi in contatto con Monica Malatesta: monica@agenziamalatesta.com

Un abbraccio


Sergio




Una delle prime striscie della storia de "Alla ricerca della pecora Fassina"


Introduzione di ellekappa
Prequel 
In una Italia piegata dalla crisi economica, scompaginata dalla comparsa sulla scena politica dell’ennesimo partitoazienda dell’anziano comico in disarmo Grillo, e dove la ragione viene sopraffatta da un pervasivo cyber-populismo tanto strumentale quanto culturalmente miserabile, niente si crea, molto si distrugge e tutto si confonde. Il PD non perde ma non vince. I grillini non vincono ma non perdono. Berlusconi perde ma continua a ricattare il Paese come se avesse vinto. In questa fase di stasi letale in cui solo i vaffanculo a 5stelle sembrano dettare l’agenda politica dell’Italia, Matteo Renzi cavalca l’onda dello smarrimento generale e nel giro di un tweet asfalta Bersani e gran parte della classe dirigente del PD. Mentre il Renzismo (secondo Staino, malattia infantile del Dalemismo) dilaga, e il PD in piena crisi esistenziale – come da tradizione – si divide in due e la metà che considera Renzi un usurpatore si divide in tre, Civati, Fassina e altri lasciano il partito. Si sa che quando il gioco si fa duro i duri cominciano a disegnare, e così Sergio Staino, armato di sacrosanta esasperazione di fronte all’ennesimo tentativo di suicidio politico di questo partito e in una torrida estate – la più calda da quando esistono le rilevazioni meteo – prendendo a pretesto proprio la fuoriuscita di Fassina, si avventura in un trekking mozzafiato tra i protagonisti del dibattito che ha incendiato la già di suo rovente estate del 2015. Ovviamente Sergio, che non è tipo da sottrarsi alla rissa globale, riesce a ritagliare per sé il ruolo di uno dei principali piromani. Per chiarimenti citofonare Cuperlo.
Premessa
Alla ricerca della pecora Fassina ha come sottotitolo Manuale per compagni incazzati, stanchi, smarriti ma sempre compagni. E già da qui si può ragionevolmente affermare che Sergio Staino è un inguaribile ottimista.
Istruzioni per l’uso
La lettura è consigliata a un pubblico adulto di sinistra accompagnato da figli o conoscenti giovani, che possano tenerlo per mano nelle scene più crude in cui l’Autore affonda le mani nella carne viva delle contraddizioni ideologiche.
Road Map
Bobo elegge a compagno di viaggio nel girone infernale delle polemiche Marlonbrando, un piccolo Virgilio rom che in questa storia ricopre il ruolo che solitamente Staino affida alla sua famiglia, quell’ancoraggio alla concretezza che rende stridente il contrasto tra la paralizzante etica dei princìpi e la realtà. Una scelta non casuale, nel clima di becero razzismo che attualmente avvelena il Paese. Sergio, che tra tesi e antitesi risolve con lo spiazzamento, dipinge un Renzi multitasking e superficiale, il “pallonaro fiorentino” sempre incollato al suo smartphone dal quale controlla e dirige tutto e tutti, sorvolando su ogni difficoltà e dissenso con il suo ormai proverbiale «Ce ne faremo una ragione». Regala una spettacolare zuffa con un Cofferati ormai tramontato nei suoi rancori personali. Stigmatizza una minoranza dem che anziché dare sostanza alla sua identità e ai suoi progetti diventa parodia inseguendo in una escalation di fallimenti prima Tsipras, poi Podemos, infine Corbyn. Ricorre a Shakespeare per spiegare la liaison che sfuma nella psicanalisi tra D’Alema e Cuperlo. Solo per citare alcuni degli episodi e dei protagonisti di questa storia in cui vengono raccontati, con la consueta sincerità ai limiti dell’autolesionismo di Staino, tutti ma proprio tutti i personaggi che contribuiscono ad affollare quel bizzarro e rissoso saloon che è la sinistra italiana. E sullo sfondo il dramma dei migranti, la guerra e l’indescrivibile caos politico, morale e materiale di Roma. Come Staino sia riuscito a tenere tutto insieme lo scoprirete solo leggendo.
Considerazioni finali
Ho letto questa storia striscia dopo striscia e l’ho molto amata, per la bellezza in sé, per la complessità della struttura e perché dentro ci ho ritrovato tutta l’intensiellekappa tà dei sentimenti che hanno spinto Sergio a scriverla. Bisogna avere decisamente coraggio, in questa epoca di comunicazione deformata dallo stradominio dei social in cui per essere considerati “fichi” bisogna gettare palate di fango sul Partito Democratico e poi correre a controllare sulla mitica rete quanti I like si è totalizzato, per dichiarare pubblicamente il proprio amore per questo partito (s’incorre nel processo inverso del linciaggio mediatico) pur conoscendo tutti i suoi difetti. Bisogna essere ostinati per trovare ancora – nonostante tutto – l’energia per richiamare tutti alla necessità della coesione in un partito sempre incerto tra la via Emilia e il West. E ci vuole l’orgoglio e la certezza della propria storia politica per avere la capacità di saper cambiare rimanendo se stessi in una realtà che intorno a noi cambia ogni giorno alla velocità della luce e non fa prigionieri. Ecco, Sergio Staino dentro ci ha messo tutto questo e anche molto di più. Con tutta l’ironia, la passione e l’affetto per questa banda di picchiatelli di cui è capace.
Post-scriptum
Riassunto dei tre più grandi insegnamenti che si traggono alla fine della storia: l primo miglior piatto dalle origini dell’uomo sono i tortellini in brodo; il secondo miglior piatto dalle origini dell’uomo sono le tagliatelle al ragù; il peggiore dei governi di sinistra è comunque sempre migliore del miglior governo di destra.


Aggiungo la presentazione di Bisio:
L'amico Claudio Bisio che doveva presentare il mio libro con Giuliano Pisapia e la scrittrice Daria Colombo alla Feltrinelli di Milano, domenica mattina ha avuto un incidente con la moto ed ora è immobilizzato con la caviglia ingessata. Ieri pomeriggio all'iniziativa suddetta la sua compagna, Sandra Bonzi, ha letto questo suo messaggio. Ve lo invio perché mi sembra divertente e gratificante per il mio libro ma soprattutto interessante per gli elementi politici in esso contenuti. Mi dispiace di non avere il testo degli altri due interventi perché tutti sono stati contributi di estremo interesse.
Un abbraccio
Sergio


Strana storia intrecciata, quella di Sergio e mia.
Vabbè, lui molto, molto, molto più anziano, però con alcuni punti di contatto.

Ad esempio un passato da extraparlamentari (di sinistra, s’intende). Lui più sullo stalinismo, io più sul trotskismo. 

Poi lui, con ampia revisione, approda in seno al grande Partito (comunista, s’intende).

Io resisto un po’ di più, anzi decisamente di più (Democrazia proletaria, per capirci).

Ci si incontra nella raitre di Guglielmi. Lui mi volle e, diciamo così, è anche un po’ colpa sua se ho iniziato a fare televisione.

Poi io Mai dire gol, le Iene, Zelig (su mediaset, guarda un po’) e lui Tango e l’Unità.

Ma l’amicizia è rimasta, anzi, tra menti libere si è rinsaldata.

Io comincio a gravitare in Toscana, nel Chianti, non lontano dalla Scandicci di Sergio e Bruna e la frequentazione aumenta. Io gli porto Pennac, lui mi porta Guccini. Paolo Hendel c’è sempre. E sono risate, bevute, mangiate, chiacchierate, discussioni sempre accese, su tutto. Mai giocare a Trivial se c’è Adriano Sofri nei dintorni, perché sai che perderai. E a nessuno di noi piace perdere.

L’amico comune Fabio Picchi, sano ristoratore fiorentino (oggi si direbbe chef stellato) inventore con la mia amica e collega Maria Cassi del Teatro del Sale, un giorno mi vuole presentare un giovane di Rignano che ha appena vinto le primarie per il comune di Firenze contro l’apparato del Partito, quello di Sergio (nel frattempo non più comunista ma democratico… beh, meglio, visti i tempi). 

Sergio si infuria, non gli piace. Non ho mai capito perché, provate a chiederglielo voi. 

Il resto è quasi storia, anzi cronaca. 

Non so cosa abbia votato Sergio alle primarie del Pd. Se volete vi dico per chi ho votato io. 

Alle prime che contrapponevano Bersani a Renzi, ho votato Marino… (vietato ridere)

Alle seconde, quelle che contrapponevano Renzi a Cuperlo ho votato Civati (vietato piangere).

Non so Sergio, ma provo a immaginare: Bersani e Cuperlo?!?

Posso anche dire che alle recenti primarie per il sindaco di Milano non sono andato a votare (è la prima volta in vita mia, vorrà dire qualcosa?). Non capivo proprio le differenze tra Maiorino e la Balzani. Giuliano, vuoi spiegarcele tu?... Lascia stare, troppo tardi. Ora ha vinto Sala e non si discute. E chi dice che Sala e Parisi sono uguali mente sapendo di mentire. Provate a immaginare sul palco di un ipotetico Parisi vincitore: Salvini, Formigoni, Berlusconi, Moratti, La Russa, De Corato… mi fermo o vado avanti?

Ricordando il doppio arcobaleno di piazza Duomo quando vinse Giuliano e tutta la Milano arancione era in festa, molta nostalgia e un po’ di scoramento mi viene.

Ma poi leggo (in anteprima, che fortuna, grazie ancora amico Sergio!) “Alla ricerca della pecora Fassina” e mi torna tanto buonumore e un po’ di speranza. Mi sembra che con tutti gli incroci di questi decenni io e Sergio siamo arrivati a una stessa conclusione, quantomeno a una medesima sensibilità. 

Se non avessi un piede rotto e pulsante (ingessato e appeso) vorrei essere lì con voi e fare tante domande a Sergio, a Daria, a Giuliano, al pubblico… anche un po’ provocatorie. Vorrei chiedervi di Fassina, appunto, ma anche di Cofferati. E pure di Basilio Rizzo. 

Mi piacerebbe chiedervi cosa vuol dire essere di sinistra oggi, cosa vuol dire amministrare da sinistra una città come Milano, chiedere a Sergio se quel partito lì, che ha cambiato tanti nomi, gli piace ancora, è ancora il suo e se pensa davvero, come scrive nel suo bellissimo e divertentissimo libro, che Fassina, dopo avere fondato e successivamente sciolto il SI, il BE’, il MAH, il PERO’, alla fine fonderà il NO, un movimento di sinistra in cui nome e programma coincidono.


Scusate, ora devo scappare perché mi sta squillando il telefono.
Ciao Matteo, dimmi…”


Claudio Bisio.

Charlie Hebdo: Panama Papers

Charlie Hebdo n° 1237 du 6 Avril 2016
Terrorismo fiscale


martedì 5 aprile 2016

Charlie Hebdo : "Papa où t’es?"


Charlie Hebdo du 30 Mars 2016, n° 1236




Cosa dice l’editoriale di Charlie Hebdo di cui si parla da giorni
Si chiede se il terrorismo non sia in qualche modo conseguenza dell'aver rinunciato a criticare le religioni, Islam compreso, per paura di essere definiti "razzisti"

Da qualche giorno si è tornati a discutere di Charlie Hebdo, giornale satirico francese la cui redazione fu attaccata da alcuni terroristi islamisti nel gennaio del 2015. Otto giorni dopo gli attacchi di Bruxelles, su Charlie Hebdo è stato pubblicato un editoriale in cui ci si chiede se l’aver rinunciato a criticare e a mettere in discussione le religioni, compreso l’Islam, per paura di essere definiti “islamofobi” o “razzisti”, non abbia in qualche modo contribuito a creare il clima che ha reso possibili gli attentati terroristici degli ultimi mesi in Francia e Belgio. Il terrorismo, insomma, accade anche perché la libertà di parola è stata in qualche modo frenata e perché il silenzio ha preso il posto del pensiero critico.

L’editoriale
L’editoriale di cui si discute è stato pubblicato nel numero di Charlie Hebdo del 30 marzo e si intitola, nella sua versione inglese, How did we end up here? (“Come siamo arrivati a questo punto?”). L’editoriale inizia con un elenco delle cause degli attacchi di Bruxelles indicate dagli “specialisti”: l’incompetenza della polizia belga, la disoccupazione giovanile, l’isolamento degli immigrati in certi quartieri di Bruxelles. «Le cause sono molteplici e ognuno sceglie quella che più gli si addice in base alle proprie convinzioni». In realtà, prosegue l’editoriale, «gli attacchi sono la punta di un grande iceberg. Sono la fase finale di un processo di intimidazione e silenzio cominciato molto tempo fa» che ci ha reso incapaci di parlare e di criticare apertamente l’Islam.

L’editoriale fa diversi esempi. Il primo riguarda Tariq Ramadan, un intellettuale, scrittore e professore che si occupa di Islam, che è musulmano e che la scorsa settimana ha parlato all’Istituto di studi politici di Parigi conosciuto come Sciences Po, una prestigiosa università francese. Charlie Hebdo dice che Tariq Ramadan «non fa nulla di sbagliato»: insegna l’Islam, scrive di Islam, «si propone come un uomo del dialogo» aperto al dibattito sulla laicità che, secondo lui, «ha bisogno di adattarsi al nuovo posto che la religione ha occupato nelle democrazie occidentali» che devono dunque accettare anche le tradizioni dalle minoranze che accolgono. Il compito di Ramadan, dice l’editoriale, è quello di dissuadere le persone a criticare l’Islam: «Gli studenti di scienze politiche che lo ascoltavano la scorsa settimana, una volta diventati giornalisti o funzionari locali, non avranno il coraggio di scrivere o dire nulla di negativo sull’Islam. La piccola incrinatura della loro laicità che è stata fatta quel giorno porterà il frutto di una futura paura a criticare per non apparire islamofobi»:


Tariq Ramadan non prenderà mai in mano un Kalashnikov per sparare a un giornalista. Non preparerà mai una bomba per attaccare un aeroporto. Altri faranno quelle cose. Non è il suo ruolo. Il suo lavoro, presentato come dibattito, è quello di dissuadere le persone dal criticare la sua religione in ogni modo.

L’editoriale suggerisce poi di prendere come esempi una donna con il velo e un panettiere musulmano: «Perché preoccuparsi di loro?». Nell’indossare il velo e nel non servire panini con il prosciutto, nessuno dei due sta facendo qualcosa di sbagliato. La donna è improbabile che nasconda una bomba sotto il suo burqa come alcune persone hanno sostenuto quando in Francia era in discussione la legge per vietarlo: perché allora chiederle di non vestirsi come vuole? Il fornaio con la barba lunga non infastidisce nessuno, è integrato e ben voluto dalla comunità: perché cambiare fornaio anche se non serve panini con il prosciutto? «Sarebbe sciocco continuare a lamentarsi o gridare allo scandalo. Ci si abitua abbastanza facilmente. Come Tariq Ramadan ci insegna, ci adattiamo».

Charlie Hebdo arriva infine a parlare degli attentatori di Bruxelles. Fino al momento di farsi esplodere all’aeroporto e alla stazione, non avevano fatto niente di male, dice l’editoriale: conoscevano poco la storia della loro religione, il colonialismo, o le tradizioni del paese dei loro antenati. Hanno chiamato un taxi per l’aeroporto di Bruxelles «e ancora, in quel preciso momento, nessuno di loro aveva fatto qualcosa di male. Non Tariq Ramadan, né le donne con il burqa, non il fornaio e neppure questi giovani». Eppure, «niente di quello che stava per accadere all’aeroporto o alla metropolitana di Bruxelles poteva davvero succedere senza il contributo di tutti». Senza cioè il clima che si è venuto a creare per cui tutti rinunciano a parlare dell’Islam e dei suoi problemi per paura di far nascere delle controversie ed essere accusati di islamofobia. Le due cose, sostiene Charlie Hebdo, sono direttamente collegate.

L’editoriale si conclude spiegando che il terrorismo è solo la parte conclusiva di un processo già iniziato, che impone di non parlare, di non contraddire e di evitare il dibattito, che recita «tenete a freno le vostre lingue, vivi o morti. Rinunciate a discutere o a contestare». Ma, si chiede Charlie Hebdo, «come diavolo siamo arrivati a questo punto? Come diavolo ho fatto a finire a dover girare per la strada tutto il giorno con un velo sulla testa? Come diavolo sono finito a dover pregare cinque volte al giorno? Come diavolo sono finito nella parte posteriore di un taxi con tre zaini pieni di esplosivo?».

Le critiche
Subito dopo la pubblicazione, l’editoriale è stato molto criticato. Per il fatto che i musulmani osservanti vengano descritti come corresponsabili del terrorismo, innanzitutto. Alcune di queste critiche sono state riportate dal Guardian: Shadi Hamid, studioso di scienze politiche, ha descritto l’editoriale come “bigotto” e “pigro”. Altri hanno spiegato che Charlie Hebdo non sta facendo satira sull’Islam, ma lo sta semplicemente demonizzando, altri ancora hanno paragonato i toni dell’editoriale a quelli usati contro gli ebrei prima della Seconda guerra mondiale. Lo scrittore Teju Cole, che già in passato aveva criticato il tono delle pubblicazioni diCharlie Hebdo, ha paragonato la retorica dell’editoriale a quella di Donald Trump e dei nazisti.

In pochi, in sostanza, ci hanno visto una vera difesa dei valori democratici. Nesrine Malik, scrittrice e commentatrice di origine sudanese che vive a Londra, sempre sul Guardian, ha scritto che per Charlie Hebdo non esiste, in pratica, un musulmano innocente. Tutto questo, scrive Malik, «non ha a che fare con la libertà di espressione. Ha a che fare con una licenza. La licenza a sospendere l’intelligenza, il giudizio obbiettivo e tutte le altre facoltà che frenano la rabbia, la confusione e il pregiudizio dall’essere lanciate contro un obbiettivo». Scott Timberg, su Salon, ha scritto che la cosa peggiore dell’editoriale di Charlie Hebdo è che usa la difesa dei valori democratici di cui la libertà di espressione fa parte per una rabbiosa argomentazione antireligiosa.
(fonte)





Attentats et caricatures

Encore une couverture de Charlie Hebdo qui va faire parler d’elle. Riss persiste et signe. A une semaine des attentats de Bruxelles, il propose un Stromae chantant son tube célèbre Papa où t’es? entouré de membres humains qui volent dans tous les sens. Un des seuls à ne pas avoir pris Tintin comme porte-parole. La semaine précédente c’était une islamiste en burqa tournant la roue de la fortune pour tirer au sort la prochaine ville qui aura la chance d’avoir son attentat! C’est au nez et à la barbe des terroristes qu’il rit. Pas à ceux des victimes ou de leurs familles. Charlie n’est que du second degré, quand il n’est pas du troisième.
Je comprends qu’on puisse ne pas apprécier cet humour noir. Je comprends que beaucoup ne soient pas d’humeur à rire en ce moment. Et encore moins de rire jaune. Je comprends que d’aucuns puissent se sentir blessés ou du moins mal à l’aise au vu des dessins.
Mais il faut aussi comprendre Charlie et Riss. Si Charlie fait dans la compassion, si la peur de choquer et de faire de l’humour l’emporte, si l’humour noir est mis sur un même pied que la haine assassine obscurantiste, alors c’est la victoire de la terreur!
Il faut comprendre que l’humour est devenu une forme de résistance. Et aujourd’hui plus que jamais!
Charlie a payé cher le prix de sa liberté de ton et d’expression. Très cher. Trop cher.
Si ce n’est pas de votre goût, ne le lisez pas. Si comme moi vous comprenez, alors défendez-le.

Charlie Hebdo sur i 24 news

La semaine dernière j’ai été invité à parler de la couverture de Riss qui parodie Stromae avec Papaoutai. Une couverture que j’ai défendue car pour moi Charlie est un indice de l’état de santé de la démocratie, cette démocratie si mal comprise et trop facilement mise à mal par un public de plus en plus large qui se lache sans gène sur les réseaux sociaux.
Voir à partir de la 20ème minute.
http://www.i24news.tv/fr/tv/revoir/journal-du-soir/x40toyn#/journal-du-soir/x40toyn
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Il testo della canzone di Stromae
Stromae, per alcuni critici il Jacques Brel del XXI secolo, ha dedicato il testo di «Papaoutai» a suo padre, una delle centinaia di migliaia di vittime del genocidio. Il singolo è stato estratto dal disco dal titolo «Racine Carrèe», pubblicato lo scorso 16 agosto 2013 da Universal. Nel brano a parlare è un bambino che chiede alla madre dov’è il padre: «Mamma dice che quando si cerca bene si finisce sempre per trovare qualcosa». La risposta è che il padre non è lontano. Non in senso geografico, però. Nella seconda parte il «non più giovane» Stromae capisce che sta diventando adulto, che sarà lui un papà, e che non c’è nessun papà per lui: Tuttavia, che ci crediamo o no ci sarà un giorno in cui ci crederemo eccome, un giorno o l’altro saremo tutti papà e da un giorno all’altro saremo tutti andati». La canzone si chiude quindi con una preghiera, un’implorazione a un padre-Dio, implorandolo di farsi vedere: «Dimmi dove sei nascosto! Devi farlo… Fallo almeno prima che conti le dita altre mille volte».
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lunedì 4 aprile 2016

PANAMA PAPERS


Dave Brown - The Indipendent


Adams


Leaking under pants!    Ramses Morales Izquierdo
Leaking under pants!
04 Apr 2016


Panamá Papers    Alfredo Martirena Cuba
Panamá Papers
04 Apr 2016


Props to Mossack Fonseca    Daniel Murphy Ireland
Props to Mossack Fonseca
04 Apr 2016


Panama Skyscrapers    Pedro X. Molina Nicaragua
About the Panama Papers scandal...
03 Apr 2016



Panama...
David Rowe

PANAMA PAPERS



lunedì 4 aprile 2016
LO "STRETTO" DI PANAMA

Una grande iniziativa di inchiesta giornalistica mondiale, già battezzata Paper Leaks, svela i nomi di tutti i detentori di conti segreti detenuti nel paradiso fiscale di Panama da una gran parte di potenti della Terra e dei ricchi evasori fiscale di ogni Paese. Pare che i nomi di cittadini italiani siano più di ottocento. La GDF è già in movmento anche se, guarda caso, non esistono trattati bilaterali con la repubblica sudamericana.
Uber


Panama Papers
Fabio Magnasciutti


La notizia


Stanno filtrando le notizie sulla più grande fuga di documenti riservati di carattere finanziario al mondo, che coinvolge l’elite finanziaria mondiale .
Ad essere stati rivelati sono i dati del grande studio legale panamense Mossack Fonseca, con i dati dal 1970 al 2016. I dati sono divisi per cartelle ciascuna dedicata ad una società ombra creata per conto di un uomo politico, un imprenditore, una società. L’avvocato Erhard Mossack,  detto “il Tedesco”, è una ex Waffen SS ed il figlio Jurghen è ancora cittadino tedesco. 
Per dare un’idea dell’enorme quantità di dati trapelati eccovi un’immagine della SZ, uno dei media che ha i dati completi .
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2,6 terabyte di dati, una quantità enorme. Iniziano a trapelare i primi nomi :
  • Vladimir Putin, che tramite banche a lui vicine ed un suo carissimo amico d’infanzia avrebbe portato offshore 2 miliardi di dollari.
  • Il presidente dell’Ucraina, Poroshenko;
  • Ci sono società collegate a Xi Jiping, il leader cinese che ha guidato la lotta contro la corruzione;
  • Il primo ministro Islandese, che avrebbe interessi in obbligazioni di tre banche internazionali che hanno avuto ricadute nello scandalo bancario islandese . AGGIORNAMENTO- Si è dimesso a seguito della notizia;
  • Il presidente del Pakistan;
  • La casa reale Saudita;
  • I figli del presidente dell’Azerbjan;
  • Il Padre del leader inglese Cameron ha anche lui svolto operazioni con queste slocietà offshore;
  • LA FIFA, tramite Juan Pedro Damiani, avvocato membro del suo comitato etico , che ha avuto rapporti con tre persone indagate per lo scandalo corruzione;
  • 33 società ed individui hanno svolto attività imprenditoriali con stati e persone sottoposte a bando internazionale, come Iran e Nord Corea.
  • Maurizio Macrì, presidente dell’Argentina.
  • Daniel Munoz, assistente personale del precedente presidente Kirchener
  • La moglie dell’ex ministro dell’agricoltura spagnolo.
  • L’ex Sindaco di Varsavia ed ex parlamentare europeo polacco.
  • Parlamentari brasiliani già coinvolti nello scandalo tangenti;
  • Agenti della CIA e  del BND (il servizio segreto tedesco), secondo il quotidiano SZ, hanno utilizzato questo studio per traffici d’armi illeciti verso Siria Iran e Corea del Nord. Interpellato da SZ il BND ha rifiutato di rispondere alle domande affermando che “Le notizie potrebbero danneggiare la Repubblica Federale Tedesca o i suoi alleati”
Insomma ci sono 140 politici di oltre 50 nazioni. Per ora l’unico italiano coinvolto pare essere Giuseppe Donaldo Nicosia, amico di Dell’Utri e che venne indagato per una frode fiscale per 50 milioni. e Luca Cordero di Montezemolo, per operazione tramite Banca Intermobiliare Suisse.
Importantissimo il ruolo delle grandi banche che hanno guidato i clienti alla creazione di queste società schermo offshore.
Nei prossimi giorni aspettatevi di vederne delle belle….

sabato 2 aprile 2016

Gianmaria Testa

Gianmaria se n'è andato senza fare rumore. Restano le sue canzoni, le sue parole. Resta il suo essere stato uomo dritto, padre, figlio, marito, fratello, amico.

Omaggio a Gianmaria Testa.
Mauro Biani

Gianmaria se n'è andato , troppo presto e non riuscirà a vedere in edicola il suo libro che annunciava con gioia:

Sono molto felice di dirvi che il 19 aprile uscirà per Giulio Einaudi Editore, il libro "Da questa parte del mare", con una prefazione di Erri De Luca. E' il racconto dei pensieri, delle storie, delle situazioni che hanno contribuito a dar vita ad ognuna delle canzoni di quell'album e un po' anche il racconto di me e delle mie radici. Quell'album uscì nell'ottobre del 2006. Dieci anni fa giusti e niente da allora è cambiato, semmai è peggiorato. Il nostro mare piccolo, il Mediterraneo, è diventato una coperta chiusa, un lenzuolo bianco a coprire occhi e membra.In contemporanea uscirà anche, con la distribuzione di EGEA Music, il vinile, perché 10 anni fa ci eravamo quasi dimenticati che esistesse anche quella forma, "analogica", di ascoltar musica. Ne sono contento.







"Mi accingo a scrivere appena dopo le stragi di Parigi a "Charlie Hebdo" e in Nigeria. Altre stragi ci sono state, altre ce ne saranno, altre ancora le abbiamo fatte noi occidentali per secoli, fino al presente. Non può andare così, ma va così. Non c'è un senso e non so cosa dire se non che un Dio, qualunque Dio, non merita che il Suo Nome venga associato a dei morti ammazzati, non nel 2015"
Così comincia la postfazione di "Da questa parte del mare", il libro a firma di Gianmaria Testa che uscirà con Giulio Einaudi Editore il 19 aprile prossimo.
Oggi, più che mai, attuale.

DA QUESTA PARTE DEL MARE 2006 A tre anni da “Altre Latitudini”, è uscito ad ottobre il nuovo lavoro discografico di Gianmaria Testa, un album “di svolta” sotto vari aspetti.Si intitola “Da questa parte del mare” ed è un “concept album”, interamente dedicato ad un unico argomento, come se tutto l’album fosse un romanzo e le canzoni, tanti capitoli che insieme raccontano una storia.Il tema, il filo rosso che cuce e tiene insieme tutte le canzoni, è quello delle migrazioni moderne. Una riflessione poetica, aperta e senza demagogia sugli enormi movimenti di popoli che attraversano questi nostri anni. Sulle ragioni, dure, del partire, sulla decisione, sofferta, di attraversare deserti e mari, sul significato di parole come “terra” o “patria” e sul senso di sradicamento e di smarrimento che lo spostarsi porta sempre con sé. A qualsiasi latitudine.



Il saluto di Erri De Luca:
Allora compagno, non ci abbracceremo più. Non abbiamo creduto ai generosi tempi supplementari dell’aldilà, perciò ci siamo abbracciati al termine delle nostre serate su un palco. Erano precedute da una cena e dal vino, che ci seguiva anche sulla pedana della ribalta. Ci siamo abbracciati, cento, mille volte, il mio braccio ha lo stampo della tua spalla, il tuo braccio della mia. Usciva, dal fascio di luce senza inchini, salutando con il verso di una tua canzone:e con la mano, che non veda nessuno,con questa mano ti saluterò.erri

Qualche poesia canzone:


3/4

Volevo tenere per te,
la luna del pomeriggio.
Volevo tenerla per te,
perchè sola com'è solo il coraggio.
Volevo tenere per te,
la luce di quando fa giorno
e volevo che fosse per te
anche l'attesa che diventa ritorno...
E volevo tenere per te
la piu' vera di tutte le rose,
volevo tenerla per te,
come tutte le cose...
come tutte le cose.

Volevo tenere per te,
una sola di tante stagioni,
ma volevo che fosse per te
per te sola e tutti gli altri di fuori.
E volevo che fosse per te
anche l'ultimo fiato sospeso.
Volevo tenerlo per te,
questo fuoco che è acceso...
questo fuoco che è acceso.

Volevo tenere per te,
la luna del pomeriggio.
Volevo tenerla per te,
perchè sola com'è solo il coraggio.
E volevo tenere per te
la piu' vera fra tutte le rose
volevo tenerla per te
come tutte le cose...
come tutte le cose...
come tutte le cose.




Una versione chitarra e voce di BIANCALUNA che Gianmaria ha realizzato appositamente per un libro-disco per bambini edito da Gallucci e con le illustrazioni di ALTAN (2014)



gianmaria testa - nient'altro che fiori

...e poi viene un giorno
che a guardarlo passare
sembra il giorno di un altro
e di un altro le cose da fare
e di un altro la voce
e anche l’ombra sui muri
e di un altro anche i fiori
che ho preso per te

e sono fiori d’inverno
ma per un’altra stagione
oppure un altro ricordo
che adesso non so
nient’altro che fiori
cosa vorranno mai dire
a guardarli di nuovo
non dicono più

perché viene un giorno
che a guardarlo passare
sembra il giorno di un altro
e di un altro la vita da fare
e di un altro la voce
e anche l’ombra sui muri
e questi fiori d’inverno
che ho preso
per te




Gianmaria Testa
, cantautore piemontese, è morto oggi all’età di 57 anni dopo una lunga malattia. “Gianmaria se n’è andato senza fare rumore. Restano le sue canzoni, le sue parole. Resta il suo essere stato uomo dritto, padre, figlio, marito, fratello, amico”, annuncia la sua pagina Facebook. Musicista autodidatta cresciuto in una famiglia di agricoltori, era nato a Cavallermaggiore in provincia di Cuneo, ferroviere prima e capostazione poi, sempre a Cuneo. Ha vinto due volte il festival di Recanati, e ha pubblicato il suo primo disco, Mongolfières, in Francia nel 1995 – dove ha trovato chi, per primo, ha creduto in lui – fino a suonare all’Olympia, il più famoso teatro di Parigi. L’ultimo disco, invece, – Men at work – risale al 2013, ed è frutto di una registrazione dal vivo durante alcuni suoi concerti. Una carriera che, insieme agli oltre tremila concerti in Italia, in Europa e nel mondo, è stata densa di incontri e collaborazioni che hanno portato Gianmaria Testa spesso in teatro, a mescolare le sue parole a quelle di altri musicisti, scrittori, artisti come Erri De Luca, Paolo Rossi, Gabriele Mirabassi, Giuseppe Battiston, Michele Serra. Di appena pochi mesi fa la collaborazione con Valerio Berruti nel libro per bambini Il Sentiero e altre filastrocche, edito da Gallucci, con le parole di Testa mescolate alle figure dell’artista cuneese, abile nel rappresentare con straordinaria delicatezza lo stupore dei più piccoli.
IN USCITA UN SUO DISCO E UN LIBRO
Il 19 aprile uscirà per Giulio Einaudi Editore Da questa parte del mare, un libro fra autobiografia e biografie di altri, una storia nata dalle storie di coloro che avevano ispirato il disco omonimo del 2006, sui migranti di ieri e di oggi. Nello stesso giorno Egea Music pubblicherà il vinile di quel lavoro struggente e bellissimo che lo stesso Ministro dei Beni e delle attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini ha citato nella nota stampa di commemorazione: “E’ con grande dolore che ho appreso della prematura scomparsa di Gianmaria Testa. Il Paese e il mondo della musica perdono uno straordinario cantautore che attraverso le sue canzoni, ha raccontato con estrema delicatezza e poesia la sua terra e l’universo dei migranti”. Il 5 maggio al Teatro Colosseo di Torino – e poi in giro per l’Italia – Paolo Rossi porterà in scenaRossinTesta, uno spettacolo di teatro canzone con le musiche che Gianmaria ha scritto per lui, negli anni e per questo progetto.
– Claudia Giraud
fonte

Sito Web
www.gianmariatesta.com /
www.myspace.com/gianmariatesta


Cinque canzoni di Gianmaria Testa
https://it.wikipedia.org/wiki/Gianmaria_Testa

giovedì 31 marzo 2016

Zaha Hadid

"I'm not outside, I'm on the kind of edge, I'm dangling there. I quite like it.
I'm not against the establishment per se. I just do what I do and that's it."
Zaha Hadid
fonte: Matthew St.Leger


Oggi il mondo dell'architettura piange Zaha


Citazione
La Regina è morta.

Comunque la pensiate, era una donna nata in un paese islamico che si è affermata in un mondo prevalentemente maschilista come quello dell'Architettura.

Prima donna in assoluto a vincere un Pritzker.

Ciao Zaha.

http://www.internazionale.it/notizie/2016/03/31/zaha-hadid-morte

http://www.telegraph.co.uk/culture/art/architecture/11885996/Zaha-Hadid-is-first-woman-to-win-RIBA-Royal-Gold-Medal.html

http://www.telegraph.co.uk/travel/galleries/Zaha-Hadids-greatest-buildings/


Zaha Hadid
fonte : CO2








fonte: Zaha Hadid, architect of the Sheikh Zayed Bridge









Fonte: AJEduardo





by Jan Op De Beeck



martedì 29 marzo 2016

Pakistan: Pasqua insanguata!

Pakistan: Pasqua insanguata!
Irak e Pakistan, pezzi di follia globalizzata.


Parco interreligioso 
Mauro Biani



Pakistan
Marilena Nardi
Terror strikes again. Iqbal Park, Lahore, 27 March 2016.
28 Mar 2016



Bloody Easter
Paolo Lombardi
Lahore Pakistan
27 Mar 2016





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La Notizia
Strage cristiani a Lahore - 72 persone, in maggioranza donne e bambini della minoranza cristiana, sono state uccise in un attacco suicida in un parco pubblico di Lahore, nel Pakistan centrale, gremito di famiglie che celebravano la Pasqua. L'esplosione, di forte entità, è avvenuta vicino a un ingresso del Gulshan-i-Iqbal Park situato nell'area di Iqbal Town, un popolare ritrovo domenicale e particolarmente affollato in occasione della festività cristiana.

Il kamikaze si è fatto esplodere vicino a delle altalene in mezzo alla folla. E' stata una carneficina con oltre 300 feriti, rivendicata dai talebani del gruppo Jamatul Ahrar. Secondo quanto riferito all'ANSA da Xavier P. William, responsabile dell'ong Life for All Pakistan che si occupa di diritti delle minoranze religiose, almeno 51 vittime e 157 feriti appartengono alla comunità cristiana. I sopravvissuti hanno detto di aver visto i corpi smembrati dalla deflagrazione riversi in pozze di sangue. Per trasportare i numerosi feriti negli ospedali sono stati usati i taxi e gli autorisciò che erano parcheggiato all'uscita del parco. Il governo di Islamabad ha dispiegato alcuni reparti dell' esercito per facilitare le operazioni di soccorso. La polizia ha confermato la presenza di un kamikaze e anche l'uso di sfere metalliche nell'esplosivo per aumentare l'effetto letale. Al momento della strage c'era una grande folla nel parco a tal punto che le vie di accesso erano intasate dal traffico. E' emerso che non c'era alcun servizio d'ordine a protezione dei numerosi ingressi del parco pubblico che è uno dei più grandi di Lahore. Il massacro è stato duramente condannato da India, Stati Uniti e anche dall'Italia.

"Il pensiero corre alle piccole vittime pachistane di #Lahore e alla Pasqua insanguinata dalla follia kamikaze #prayforlahore" ha scritto su Twitter il premier Matteo Renzi. Anche la premio Nobel per la pace Malala Yousafzai ha stigmatizzato la strage sempre su Twitter. "Sono sconvolta da un crimine insensato - ha scritto la giovane - che ha colpito gente innocente". Il 15 marzo dello scorso anno due kamikaze sempre del Tehrek-e-Taliban Pakistan (TTP) Jamat-ul-Ahrar, si erano fatti esplodere all'ingresso di due chiese di Lahore vicine fra loro, la cattolica St.John's Church e la cristiana Christ Church causando 17 morti.

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Un altro gravissimo attentato in Pakistan nel gennaio scorso, in una università.

Students killed in Pakistan
BY SABIR NAZAR, CAGLE.COM  -  1/23/2016


War on Knowledge
Doaa Eladl
Deadly assault on a university in Pakistan. If you want to see more cartoons about terrorism, visit our collection.
20 Jan 2016

lunedì 28 marzo 2016

Paolo Poli


Scompare un genio
Franco Portinari




Paolo Poli
di Mario Airaghi


Venerdì ha lasciato questo mondo un grande uomo, Paolo Poli.
Ne ho ricordo fin da bambina  con le sue filastrocche , Filiberto ecc.
Ho trovato un'intervista molto interessante, dell'anno scorso, dove dice: “Mi sta facendo il coccodrillo!”

Buon viaggio Paolo!



Paolo Poli - Il Grillo E La Formica (1965)

C'era un grillo in un campo di lino
la formicuzza gliene chiede un filino.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Disse il grillo: "che cosa ne vuoi fare?";
"calze e camicie: mi voglio maritare".
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Disse il grillo: "lo sposo sarò io";
la formicuzza: "sono contenta anch'io".
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Era fissato il giorno delle nozze,
due fichi secchi e due castagne cotte.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Andarono alla chiesa a mettersi l'anello;
cadde il grillo e si ruppe il cervello.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
La formicuzza corse verso il mare:
cercar l'unguento pel grillo medicare.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Quando fu là, laggiù vicino al porto,
venne la nuova: il grillo era morto.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
La formicuzza dal grande dolore
con le zampine si trafisse il cuore.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Quattro grillini vestiti di nero
presero il grillo e lo portarono al cimitero.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Quattro formichine vestite di bianco
presero la formica e la portarono al campo santo.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.





PAOLO POLI: INTERVISTA AL VATE DEL TEATRO ITALIANO
Abbiamo incontrato il poliedrico artista in occasione dell’uscita dell’audiobook “Pellegrino Artusi letto da Paolo Poli. La Scienza in cucina e l’Arte di mangiare bene” e con lui abbiamo ripercorso le tappe della sua gloriosa carriera

di Adriano Ercolani - 02 febbraio 2015

Paolo Poli è una delle figure più affascinanti e intellettualmente stimolanti del teatro italiano del Novecento. Adorato dalle giovani generazioni come icona gay ante litteram, Poli è molto di più: un attore straordinariamente dotato tecnicamente ma, soprattutto, un dotto ricercatore culturale.
Dopo una carriera vastissima (dal teatro alla radio alla televisione al cinema), alla veneranda età di 86 anni è ancora un vivace e arguto osservatore della realtà culturale italiana, in splendida forma sulla scena. La sua ultima fatica è l’audiobook Pellegrino Artusi letto da Paolo Poli. La Scienza in cucina e l’Arte di mangiare bene, all’interno della collana Audiocook della Emons, ideata e curata da Luisanna Messeri. Con l’occasione, abbiamo avuto l’opportunità di ripercorrere la gloriosa carriera di Poli, deliziati dal privilegio della sua elegante ironia.



Innanzitutto, volevo porle i miei omaggi per la sua opera di diffusione culturale, soprattutto per il garbo con cui ci ha porto la sua conoscenza …
“Suvvia, stiamo parlando di un libro di cucina!”

D’accordo, ma ben altre opere ci ha offerto in passato…
“Mi sta facendo il coccodrillo!”

Ma per carità!
“Ho un piede nell’al di là, ha ragione!”

Dunque, parliamo dell’Artusi!
“Bene, a me è stato dato l’incarico di parlare bene dell’Artusi, e io lo farò! Questo libro è nato cinquanta anni dopo I Promessi Sposi e quindici dopo Pinocchio, ed è scritto in un bel toscano, illustre. È stato un libro che tutte le sposine hanno avuto come regalo, portandoselo poi in cucina. Personalmente, ho imparato a leggere su questo libro, poiché lo avevo nel cassetto del tavolo della cucina, che era la stanza più abitata della casa. Sono figlio di un carabiniere., non sono nato in una nursery, sono nato in casa con una levatrice, come era d’uso a quei tempi. Ho imparato dunque a 5 anni a leggere, da solo, su questo libro, perché avevo scoperto che col risotto si fanno le frittelle di San Giuseppe verso la metà di marzo… ma io le mangiavo anche fuori stagione! Ho imparato a leggere da me perché sono andato a scuola solo in terza elementare. Mia mamma, che era insegnante elementare, mi diceva sempre: “Ma no, oggi piove, non andare!”. Pur essendo i miei poveri, compravano libri su libri, la casa era piena di libri, sicché ho imparato più dalle mie letture personali che dall’andare a scuola. Però, si sa, a scuola bisogna andare perché così vuole la società, ci sono i compagni…”



Insomma, come insegna il famoso finale di Pinocchio che a lei non piace…
“Quello in cui diventa un ragazzino perbene … io sono convinto che è la editor che gliel’ha aggiunto. Bastava: “Quant’ero buffo quando ero burattino”, punto. L’editor era Emma Perodi, l’autrice de Le Novelle della Nonna, libro fortunatissimo perché in Toscana si leggeva volentieri. A me piacevano quelle paurose: c’era un frate che il venerdì santo mangiava la bistecca e poi beveva il vino in un teschio, e il diavolo veniva a bussare alla porta della sua cella. Avevo un’edizione con le illustrazioni, si vedeva il diavolo che faceva capolino dall’uscio e io … godevo molto in quelle letture.”

Uno dei momenti di maggior popolarità nella sua carriera è stata appunto la lettura delle fiabe, e di Pinocchio in particolare, anche se so che lei non apprezza quella versione perché paradossalmente era una traduzione dalla versione inglese. Un aspetto che mi ha sempre affascinato molto della sua ricerca è che se da un lato lei ha sempre incarnato lo scandalo e la trasgressione, dall’altro è stato un cantore dell’innocenza. Si ritrova in questa definizione?
“Assolutamente … ha già detto tutto lei! Io sulla tomba non voglio scritte. Il nostro lavoro è fatto sull’acqua del mare, va e viene. È bello perché è come la vita, come l’amore si consuma nel momento che si fa. Della scrittura rimane traccia, il nostro va e viene. Ma è giusto così.”

Però come diceva Walter Benjamin, viviamo ormai da tempo nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’arte, le sue performance possono essere riprodotte all’infinito sia in formato audio che video
“Che orrore!”

Non le piace l’idea di essere ammirato per sempre?
“Macché! Le macchine aiutano l’uomo, ma lo impigriscono. Muore l’artigianato nel momento in cui nasce l’industria.”

Lei è per il primato assoluto dell’esperienza dal vivo.
“Certo, l’esperienza diretta! Mia nonna era brutta, era vecchia, ma mi raccontava le fiabe interpretando i personaggi, modificando le voci: “E poi arrivò la fatina …”, e io vedevo la fatina!”
Tornando all’Artusi, oltre al pregevole aspetto letterario, Pellegrino Artusi è anche elogiato per il lavoro di ricerca e di recupero della tradizione culinaria popolare che ha fatto.
“Sì, ha messo insieme le ricette di tutta Italia, ha realizzato un’opera di grande valore. Ha trovato anche il sistema di tradurre dal francese. In italiano non esistevano le diciture culinarie. C’erano dei libri che giravano con terminologie orrende: la “volaglia” per indicare la cacciagione!”

Credo che sia stato importante anche per formare, ammesso che si sia formata, l’identità italiana, unendo un patrimonio comune di esperienze quotidiane. È d’accordo?
“Sì, indubbiamente ha aiutato l’Unità d’Italia, senz’altro. I Promessi Sposi, nell’ultima versione, la quarantana, hanno primeggiato, affidandosi il Manzoni ai preti. Pinocchio da sé, si è fatto strada negli anni’80 del secolo. L’Artusi è del decennio successivo, l’ultimo del secolo, arriva per ultimo ma ha aiutato anch’egli, col toscano illustre, a creare una lingua unica.”

Una considerazione che mi viene spontanea è che grazie a Internet, a Youtube ad esempio, noi delle generazione successiva possiamo rivivere quei momenti alti della televisione italiana che ora appaiono impensabili. Sulla Rai c’erano Cesare Brandi che spiegava Giorgio Morandi, Carmelo Bene che leggeva i poeti russi, Gian Maria Volontè che interpretava Dostoevskij e Caravaggio, Ungaretti recitava le sue poesie, c’era lei che recitava Palazzeschi etc. Ora se si accende la tv, lo spettacolo è incommentabile. Cosa è successo, secondo lei, quando è avvenuta la decadenza?
“Ciò è successo perché un tempo c’era un lungo apprendistato per gli artisti. C’era poco spazio e quindi bisognava lasciar andare avanti i più bravi. Adesso ci sono mille palcoscenici, mille televisioni, per cui una ragazza che muove appena l’anca viene ripresa da una macchina, riprodotta venti volte ed esce un balletto. Come dicevo prima, le macchine aiutano l’uomo, ma lo impigriscono. Non si incontra più l’artista, l’artigiano che crea e offre dal produttore al consumatore. Uno che sappia appena aprire bocca diviene subito un presentatore.”

Una delle esperienze per me più interessanti della sua carriera è stata la sua partecipazione alla serie delle Interviste Impossibili, in cui davvero il meglio della cultura italiana ha partecipato giocosamente: ricordo fra gli altri Italo Calvino, Umberto Eco, Alberto Arbasino, Guido Ceronetti, Carmelo Bene, Giorgio Manganelli, Leonardo Sciascia etc. Lei partecipò con una magnifica reinvenzione di Eliogabalo, ma interpretò anche Erostrato, Epicuro, Fregoli e Lewis Carroll. Che si ricorda di quell’esperienza?
“Per sopravvivere, si faceva di tutto! Mi ricordo che c’era un giornalista radiofonico imbecille che mi fece leggere la parte prima seduto, accanto a me c’era Umberto Eco, e poi mi fece correre su e giù per la sala, sicché mi dovetti arrampicare sui divani dell’ufficio. Venne un’incisione tutta trafelata, ma a lui piacque così.”

Paolo Poli e Umberto Eco (da Babau, 1970)

Ad esempio, con Umberto Eco lei scrisse una pagina memorabile della televisione in cui affrontate il tema del conformismo e fornite antidoti per combatterlo, mentre oggi tutta la televisione è il trionfo del conformismo stesso.
“Eco aveva fatto il suo primo libro, che era bellissimo, e io ne avevo adattato degli estratti per una trasmissione che non andò mai in onda, Babau ’70. Andò in onda nell’80, il 15 agosto, mentre sull’altro canale c’era il pugilato, per cui tutti guardarono l’altro canale. Ma a me non importa, sono arrivato a questa tardissima età perché sono riuscito a fare di tutto un po’.”

Paolo Poli “Aquiloni”

Nei suoi esordi, lei si è accostato ad autori come Jean Genet e Samuel Beckett, considerati, soprattutto il primo, scandalosi.
“Sì. All’epoca c’erano mille cantine, mille soffitte, in cui con cinquanta persone si faceva un teatro. Io ho iniziato in un teatro di burattini a Milano, il Teatro Gerolamo, in cui agivano gli ultimi burattinai, la famiglia Colla, che è tutt’ora sulla scena. I miei primi amici furono il Mago Zurlì e la moglie e un giovanissimo Missoni.”

Lei ha sempre dato risalto ad autori che da un punto di vista accademico erano considerati minori.
“Io ho fatto la “sopraletteratura” e la “sottoletteratura”, perché dovevo ritagliarmi una fisionomia nel momento in cui si scioglievano le compagnie capocomicali e nascevano i teatri stabili, che avevano l’appannaggio di poter fare Shakespeare o Brecht. Io dovevo dunque fare delle stranezze che non assomigliassero ad altre.”


Il mago Zurlì (Cino Tortorella), Arabella (Sandra Mondaini) e Filiberto (Paolo Poli)
dal minuto 1.51

Il mago Zurlì (Cino Tortorella), Arabella (Sandra Mondaini) e Filiberto (Paolo Poli)

Ci sono figure che lei stimava tra i grandi artisti che ha incontrato? Ho letto più che altro commenti severi, ad esempio su Giorgio Albertazzi, qualcosa come “è un bravo attore, ma non molto intelligente”…
“Io son della Seconda Guerra Mondiale, essendo più giovane della guerra non ho dovuto fare il soldato, io …”

…e nemmeno il repubblichino, ho colto il riferimento …
“Ma era bello e bravo.”

Anche con Pasolini non aveva un rapporto idilliaco, è vero?
“Ma, vedi, l’ho incontrato che ero già trentenne, che se ne faceva di me, ero vecchio per lui! A lui garbavano i “ragazzi di vita” ruspanti. Abbiamo mangiato molte volte assieme a casa di Laura Betti, di cui ero molto amico. Ma Pasolini molto più di me stimava Moravia, e giustamente!”

Lei spesso si è lamentato di come Moravia non venga ricordato come meriterebbe.
“Perché alle cose che sembrano vecchie si preferiscono quelle antiche, si preferisce magari il Roman de la Rose o La Ballade des Pendus di Villon. A mio tempo, non si sapeva che Dante aveva scritto Il Fiore, ci bastava La Divina Commedia …e ci avanzava pure!”

Lei fra le tre cantiche predilige il Purgatorio, se non erro?
“Per forza! Perché nel Giubileo del 1300 quel mascalzone di Bonifacio VIII ha dichiarato urbi et orbi che c’è il Purgatorio e non si passa in Paradiso se non si passa per le chiavi di S.Pietro. In questo modo dava ancor più valore al Papato. E così il povero Dante ha dovuto fare tre cantiche, invece di due com’era d’uso, c’era la Jerusalem Coelestis e la Babilonia Infernalis. Però, facendo così, ha realizzato l’Encyclopedia Britannica dell’epoca. Bellissima.”

Ci sono autori che lei ha frequentato sulla scena ai quali è legato? Ad esempio, mi ha colpito molto la sua interpretazione di Pascoli, poeta spesso vittima di etichette scolastiche.
“Potevo anche mandare a memoria un pezzo di prosa e poi lo dicevo e diventava teatro. Pirandello era già roba vecchia, all’epoca mia, ma poi fu riscoperto. Goldoni era appannaggio delle produzioni scolastiche. Quando uno spettacolo andava male, lo facevano per le scuole, tanto pur di non andare a scuola i ragazzi andavano a teatro, tumultuando e strappando il velluto alle poltrone!
Non era amore per il teatro, era disperazione! Pascoli, lo feci per pigrizia, volli ricordare le mie letture della scuola elementare. A scuola ce lo davano in porzioni gigantesche, soprattutto l’aspetto della tragedia familiare, che con tutto il rispetto a me non interessa. A quel punto, preferisco Chandler.”

Paolo Poli, Filastrocche (la follia)

Ovviamente, alle elementari ci martoriavano con La cavallina storna, anche se poi ci sono delle stupende poesie del Pascoli come Il gelsomino notturno che non hanno nulla da invidiare alla grande poesia simbolista francese.
“Sì, sì, bellissime poesie. Soprattutto, in confronto a quello che c’era. Carducci era di una noia mortale! Un professore di scuola: T’amo, pio bove!”

Era maestro proprio di Pascoli, che poi ereditò la sua cattedra all’Università di Bologna …
“Sì, lo salvò, lo tirò fuori di galera. Pascoli fece tre mesi di galera a causa di un sit-in socialista. E poi succedette a lui.”

Non le faccio la domanda canonica sui matrimoni gay, perché lei ha già chiosato magnificamente in passato (“Che rottura di coglioni” cit.), aggiungendo “le galline beccano sempre nello stesso pollaio, il gatto sa come muoversi e scavalcare gli ostacoli”…
“Si sono noiosi! Noi eravamo aristocratici, solitari. Ora, hanno bisogno del branco, del gruppo. Anche se stanno a due a due vanno bene lo stesso, eh! E poi, allora, ci vuole subito il divorzio! Mica solo per quegli altri, eh! Anche perché, dopo due anni si saranno belli che stufati!”

Lei ha esplorato sia la trasgressione che la cultura alta: posso chiederle un commento sul dibattito seguente all’orribile attentato di Parigi alla redazione di Charlie Hebdo?
“Carmelo Bene, che tu apprezzi, in gioventù recitò sulla croce, estrasse il proprio membro e orinò in testa al critico Paolo Milano che era in prima fila (Bene negli anni ha sempre attribuito il fattaccio ad Alberto Greco, un pittore argentino che recitò nel suo spettacolo Cristo ’63, ndr). Sui nostri giornali non si vede il papa con le corna, solo le altre religioni da noi vengono sbeffeggiate. Ma tutte le religioni sono orrende. Le religioni devono essere lasciate stare. Io feci un’affettuosa ricostruzione del teatro di parrocchia e fu presa come un attacco alla Democrazia Cristiana, Scalfaro fece un’interpellazione parlamentare addirittura! E Scalfaro era una persona per bene.”

Posso chiederle quali sono i suoi prossimi appuntamenti in scena?
“Come diceva Gassman, ‘il mio futuro è dietro le spalle’. C’ho 86 anni, non voglio far pena! Non si va a ballar sotto le stelle! Se si ha bisogno di soldi, si va davanti a una chiesa e si chiede l’elemosina fuori alla porta. È meglio, non credi?!”


Paolo Poli Rita da Cascia 1967