martedì 10 novembre 2015

Vatileaks 2015


Corvi viaggiatori
Bochicchio



IL CORVO SANTO
Scoperti gli autori delle spifferate sugli imbrogli vaticani. Saranno processati per il furto e la diffusione di atti segreti sulle attività della Curia romana. Ora però il vero problema è: hanno venduto frottole oppure no.
Uber

Bianco

Tullio Boi



Vatileaks per corvi e volpi, il resto è per l’uomo

di Nadia Redoglia
Se quelli son corvi, i due giornalisti scrittori alla Dan Brown (almeno quanto a pubblicità)  sarebbero volpi?  Tanto per richiamare le favole di Esopo, Fedro e de la Fontaine, ché altrimenti non si spiegherebbe da dove arrivi ‘sto conclamato bisogno morboso d’identificare gli umani in ogni specie animale (colombe, falchi, gufi, corvi, serpenti, gattopardi, leopardi e felini in genere, talpe, canguri, lupi  e via così andare)…tranne che nell’uomo. Consideriamo l’uomo troppo eccelso per accettare certi suoi comportamenti e dunque risolviamo il tutto definendo animale (ritenuto) inferiore chi non è ad altezza umana oppure, data la conclamata bassezza umana, ipocritamente ci mascheriamo parafrasando inferiori (invece nobilissimi) fratelli di specie?

Papa Bergoglio (che parla di demonio, non già d’animali esseri!) al momento fornisce buoni elementi per comprendere qualcosa. L’assumere il nome del poverello d’Assisi così amorevole fratello di tutti gli animali  terreni fa ben sperare quanto a rivelazione d’ autentica natura tra  “altezza” e “bassezza”.

Vatileaks ovvero fuga di notizie dal Vaticano. Già successe tre anni fa e subito dopo il papa Benedetto (sedicesimo) si dimise. Il papa Francesco I è arrivato per tentare di districare (che non vuole dire risolvere!) il marcio inanellato fin dalla dipartita di papa Pietro (primo e ultimo).

Ricordate la sera in cui fu eletto e si affacciò al balcone? Ci augurò “buonasera” e immediatamente dopo si qualificò come il “vescovo di Roma” ben prima che papa…

La Chiesa cattolica è la Chiesa cristiana che riconosce il primato di autorità proprio al vescovo di  Roma  perché successore di quel Pietro (primo e ultimo).
Chi ha orecchie per intendere, intenda…

4 novembre 2015


Moise
Trovate il MoisEditoriale di oggi anche su afNews QUA:
http://www.afnews.info/wordpress/2015/11/05/corvi-serpenti/

Fabio Magnasciutti

La Micela

Ultimo viene il Corvo
MASSIMO GRAMELLINI
Una delle ossessioni ingigantite dai social consiste nel privilegiare il retroscena alla scena, le modalità con cui si è venuti a conoscenza di un fatto rispetto al fatto vero e proprio. Ogni volta che affiora un’intercettazione non si discute tanto del suo contenuto ma della sua liceità e del chi l’ha fatta uscire e perché. Lo stesso meccanismo si applica alle gole profonde del Vaticano, i famosi Corvi. Dei primi due scandali che squassarono il Cupolone è rimasto nella memoria il maggiordomo del Papa che passò le carte alla stampa. Non che in quelle carte ci fosse scritto che Giulio Andreotti aveva nella sua disponibilità un conto di sette miliardi di lire presso la banca vaticana.

Lo schema si replica in queste ore. È tutto uno svolazzare di pennuti, un proliferare di allusioni sul monsignore spagnolo offeso col Papa per un mancato scatto di carriera, sulla giovane italo-francese issata senza alcuna ragione apparente ai vertici di un ente della Chiesa, sulle loro feste in terrazza riservate ai potenti. Ma il fumo delle chiacchiere rischia di togliere visibilità all’arrosto, ovvero ai documenti che la strana coppia avrebbe messo in circolo, da cui si scopre che il Vaticano possiede 4 miliardi (in euro) di patrimonio immobiliare soltanto a Roma e che valanghe di denaro raccolte per scopi benefici servono a finanziare la bella vita di qualche cardinalone allergico ai costumi evangelici di papa Francesco. Se ci si può permettere una garbata ingerenza nei confronti di uno Stato confinante che notoriamente non se n’è permesse mai, invece di chiudere in gabbia i corvi, il nuovo corso vaticano farebbe meglio a liberarsi degli sciacalli.


Francesco Basile




Misericordia
Vatileaks 2Papa Francesco
Mauro Biani





Riverso



Mannelli




Darix

... Tra Potere Temporale e Potere Spirituale...
Mario Airaghi

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Nota:

SOSTENTAMENTO DEL CLERO
Certo che non fa piacere scoprire che chi dovrebbe destinare il denaro alle opere di carità in realtà lo utilizza per il proprio benessere.
Capisco quanto Francesco possa essere amareggiato per la fuga di notizie ma ritengo che tutto sommato questo non possa che favorire la sua voglia di pulizia.
Potrebbe approfittare ad esempio chiedendo allo Stato Italiano che l'8 per mille venga trasformato da un "di cui" delle imposte dovute ad una aliquota aggiuntiva e volontaria.
Un grosso pericolo di scoprire i tanti finti cattolici odierni ma il piacere di scoprirne tanti nuovi e sinceri in futuro.
Uber

domenica 8 novembre 2015

La storia baggiana del Male e della satira degli anni '70, e quella vera

Jiga Melik  ha letto l'articolo  “Cosa resta della satira in Italia” di Nicola Lagioia 
e così ha commentato:


La storia baggiana del Male e della satira degli anni '70, e quella vera


Mi spiace, e moltissimo. Le analisi e i racconti che continuano a circolare sulla satira italiana, sto parlando del Male del 1978, sono sempre svuotate di realtà dalla scarsissima, e purtroppo inesistente, deviata informazione storica sulla vera cronaca, sui giorni reali della satira italiana degli anni Settanta, del Male appunto, che continua a essere raccontata sì, però continua a non essere ricostruita, avallando una cronaca caricaturale, anzi fittizia, dei fatti. Invece dei fatti, un siparietto. Baggianate. L'errore abnorme, principale quando si parla della satira di quel periodo è la enorme sopravvalutazione del ruolo dei disegnatori e dei vignettisti nella messa in scena per l'appunto della satira di quegli anni. Quella che viene raccontata è una storia acefala, addomesticata, chissà perché fumettistica, basata su miti editoriali che sono pregiudiziali e pregiudizievoli, cibo addomesticato, precotto - questo per una non disinteressata complicità di alcuni e perché il giornalismo ha bisogno di miti gastronomici, da ingoiare rapidi, fast food.
Il Male dei falsi, quello divenuto famoso, non nasce affatto (se non per un occasionale, e certo anche meritevole, motivo fondativo), da Pino Zac che ebbe l'onere e l'iniziativa di voler fare un nuovo giornale di satira, o per impulso di un gruppo di ottime matite. Il grande Male nasce in seguito, nei mesi successivi, dal lavoro sulla scrittura e sulla cultura delle avanguardie satiriche e letterarie del '77, la teoria del falso, che andavano da Radio Alice a Zut, all'Avventurista di Vincino, nasce dal lavoro di un grandissimo collettivo di disegnatori e di quattro scrittori solitari circondati da un numero straripante di disegnatori. È in quella redazione, così composta, che lavorano insieme, a tratti felicemente, e spesso si scontrano anche, due diverse impostazioni editoriali che finiscono col diventare un "potere", quello del disegno satirico, contro un "Desiderio" - quello degli scrittori di mettere in scena una sorta di teatro delle mostruosità dell'esistenza, di svelare l'arcano e manicomiale delirio umano: la fregola del potere, della sessualità, del furto, della bugia, in un ottica e in una leggerezza da "umorismo liceale", alla Jarry. Quel Desiderio, che io identifico nel gruppo degli scrittori composto da Angelo Pasquini, Piero Lo Sardo, Mario Canale e Jiga Melik, veniva regolarmente accusato di una scalata al potere editoriale e respinto, rappresentato come se fosse una forza corporativa - quella appunto degli scrittori e delle loro idee "teatrali", che andavano dal falso allo happening, e a un certo punto anche al lavoro congiunto col teatro off e ciò che ne derivava in quegli anni, nella fattispecie con Donato Sannini, Roberto Benigni e Carlo Monni. Cose che non si sanno, e che sono state in una certa misura sotterrate.
Dunque è davvero incredibile l'equivoco culturale del dibattito, dibattito tra dozzine di virgolette, che si trascina da anni, periodicamente, come l'influenza di stagione, dove a parlare del Male ci sono solo disegnatori e vignettisti, solo perché la satira in Italia ha finito per condensarsi nelle figure dei vignettisti e disegnatori (Vauro, Mannelli, Vincino) e del loro lavoro sulle prime pagine dei giornali, e che è ciò che di giornalisticamente commestibile e ammissibile rimane della satira di quel periodo - posto che il disegno satirico, per quanto dissacrante sia, si pone proprio come segno, derivando dal disegno, dunque da un'entità lieve, graffiante ma poi fisiologicamente tra virgolette in quanto disegno, satira compatibile ma di fatto estranea al corpo vero e proprio di un quotidiano. Satira ospitata come un profugo. Satira tollerata in quanto monca, priva dell'interezza del proprio corpo - il Male, o un vero, rinnovato media satirico. Ma tornando alla satira di quegli anni, il corpo satirico, l'intero corpo del Male, comprendeva assai di più e diverso di quello che oggi è rimasto, e quanto appunto quel settimanale comprendeva davvero, la sua interezza, la sua ricchezza sono sistematicamente tralasciate. Non avrebbe così importanza - ci sono tante cose nelle nostre giornate e non sono affatto cose satiriche - se ogni tanto non si pretendesse di ricostruire storicamente proprio gli anni del Male, e di farlo omettendo il contributo fondamentale degli scrittori all'impresa satirica del Male stesso. E mentre la storia di solito si ricostruisce con l'insieme dei testimoni, qui invece accade come se per decenni uno storico ricostruisse la battaglia di Waterloo intervistando solamente alcuni ufficiali perché gli altri graduati hanno lasciato la carriera militare - è vero, gli scrittori satirici del Male sono usciti da quella scena, hanno fatto altro, Piero Lo Sardo poi purtroppo ci ha lasciato, ma ritengo inutile, ridicolo, a dir poco riduttivo voler parlare di quegli anni, pretendere di farlo, se poi a fare il dibattito ci sono sempre i soliti, e quasi tutti costoro parlano di sè, dimenticano, sono auto-educati a dimenticare. si tratta di un pugno di amici, vignettisti, bravissimi vignettisti, a volte straordinari, ma non sono affatto gli autori e i protagonisti esclusivi di quella temperie e di quel teatro, anzi. Gli unici rilievi giusti sulla satira italiana sono quelli che da anni sento fare dallo straordinario e onestissimo, nitido, solitario artista che è Riccardo Mannelli, che partecipò ai primissimi numeri del Male, con Vauro, e poi però se ne andò. Ma il vero Male, sia chiaro, fu quello successivo, senza Zac, senza Mannelli, senza Vauro, il Male dai falsi in poi, detto per sommi capi. Quello degli happening, delle invenzioni dei movimenti culturali anticatatonici, del Socialista Partito Aristocratico, delle collaborazioni col teatro off, Beat 72, eccetera, con il contrappunto delle vignette e dei disegni di Perini, Vincino, Sergio Angese, che nessuno ricorda mai, grande Sergio, e Andrea Pazienza, Scozzari, Liberatore che il Male ebbe il merito di produrre nel mensile Frigidaire, diretto da Sparagna.
È tanto, tantissimo, quello che non sapete. Continuate così.

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Jiga Melik è l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.
 Alessandro Schwed  ha scritto e scrive romanzi, dal 2008 con Mondadori e collabora
con vari giornali scrivendo articoli di costume e cultura: i Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, il Foglio, il Secolo XIX di Genova e ora l'Unità dove parla della realtà televisiva.
Alcuni titoli dei suoi romanzi: Lo zio Coso, La scomparsa di Israele, Mio figlio mi ha aggiunto su FacebooK, La via del Pavone: Alla disperata rincorsa di un pennuto a Roma



La redazione di Il Male, a Roma, il 15 agosto 1978.
Da sinistra: Mario Canale, Jiga Melik, Sparagna, Piero Lo Sardo, Angelo Pasquini.
Sotto, da sinistra: Marcello Borsetti, Francesco Cascioli, e il cane Vaniglia di Melik.
 (Mimmo Frassineti, Agf)
Roma, 15/08/1978, Redazione de Il Male. Angelo Pasquini, Jiga Melik, Vincenzo Sparagna, Mario Canale, Piero Losardo, Francesco Cascioli, Marcello Borsetti, il cane Vaniglia.

Nelle foto, mescolati ad altri ci sono i fondatori della banda dei 4 scrittori : Pasquini ( marlowe ) Schweed ( Jiga Melik ) Lo Sardo ( Zut ) Canale ( prof Canaglio ) perché sul Male non si firmavano mai con il vero nome.

sabato 7 novembre 2015

“Cosa resta della satira in Italia” di Nicola Lagioia

Nicola Lagioia scrive per Internazionale un interessante reportage sul tema delle satira in Italia.

Che fine ha fatto la satira in Italia? Ce n’è ancora bisogno? A meno di un anno dalla strage di Charlie Hebdo, che equilibrio abbiamo trovato tra libertà d’espressione, insulto inaccettabile e salutare bisogno di deridere il potere? Soprattutto, c’è da chiedersi se un certo modo di deridere il potere abbia mostrato la corda più di quanto non osiamo sospettare.

Lo scorso settembre, durante la mostra del cinema di Venezia, ho avuto la fortuna di moderare un dibattito a cui hanno partecipato alcuni protagonisti della stagione d’oro della satira italiana tra gli anni settanta e ottanta. L’occasione era Zac–I fiori del Male, il film documentario di Massimo Denaro dedicato alla figura di Pino Zac e all’avventura del Male, l’indimenticata rivista settimanale che seppe guadagnarsi l’odio del giornalismo e della politica istituzionali, nonché l’amore incondizionato di migliaia di lettori. All’incontro, oltre al regista, erano presenti Vincenzo Sparagna, Riccardo Mannelli, Vincino, Valter Zarroli e Drahomira Biligova, che di Zac è stata moglie.

Pino Zac, al secolo Giuseppe Zaccaria, fondò Il Male nel 1977, ed è l’ennesima vittima della triste sindrome italiana che ci fa rimuovere ciò per cui dovremmo provare almeno un po’ d’orgoglio. Oggi dimenticato, Zac non si limitò a far nascere Il Male. Fu tra i primi a introdurre da noi le strisce di fumetti autoconclusive. Nel 1970 portò sullo schermo Il cavaliere inesistente di Italo Calvino, un film girato con tecnica mista. Frequentò la Harvard della satira europea che era ed è ancora il settimanale francese Le Canard enchaîné. Importò codici espressivi su cui il giornalismo italiano era indietro di anni. Fu sicuramente il primo a disegnare il papa senza veli, anche se non per tutti questo è stato un merito.

Dar vita a Il Male (già I quaderni del Sale) in un’Italia di piombo e acquasantiere dentro le quali una mano lavava l’altra con una fregola da lady Macbeth, fu certamente un merito, anche perché quell’avventura ne generò delle altre. Cannibale, Frigidaire, Tango, Zut, Cuore (l’ultima rivista satirica che in Italia abbia mosso qualcosa) pur nella loro diversità hanno tutte un debito con Zac e i suoi spericolati sodali: disegnatori, vignettisti, intellettuali iconoclasti quanto certe punk star dell’epoca, alcuni dei quali erano appunto insieme a me alla fine di quest’estate, a parlare di ciò che è stato e di cosa non è più.


Irritanti più del previsto

Molti ricordano le finte copertine con cui Il Male parodiava i quotidiani italiani. La più nota risale al 1979 ed è il falso di tre giornali (Paese Sera, La Stampa e Il Giorno) con la notizia di Ugo Tognazzi arrestato con l’accusa di essere il capo delle Brigate Rosse.

giovedì 5 novembre 2015

Messico: La Ciudad de las Ideas 2015

Cartoons
International Cartoon Contest
Through a caricature, enter to win your ticket to La Ciudad de las Ideas 2015 This scholarship calls for national and international community of cartoonists to interpret the dangerous question of the year in a work of authorship.

CARICATURAS
Concurso Internacional de Caricatura.
A través de una caricatura, participa para ganar tu boleto a La Ciudad de las Ideas 2015. Esta beca convoca a la comunidad nacional e internacional de caricaturistas para interpretar la pregunta peligrosa del año en una obra de su autoría.

Concorso di disegni satirici internazionale.
Con una caricatura, puoi partecipare per vincere il tuo biglietto per La Ciudad de las Ideas 2015 Questa borsa di studio chiama la comunità nazionale ed internazionale di vignettisti per interpretare la domanda pericolosa dell'anno in un opera d'autore.





Primo premio



SILVANO MELLO - MELLO
Title: Amarres Capitalistas, Desigualdades, Diferencias
Year: 2015
Country: Brazil




Secondo Premio


MARILENA NARDI
Title: .Old Europe
Year: 2015
Country: Italy


Terzo Premio



SEYED ALI MIRAEE
Title: 1-The bias cause to return to primitive era. 2-All think that their belief is true. 3-Earth pollution
Year: 2015
Country: Iran

Menzioni d'onore


ELENA OSPINA
Title: ese es el punto...
Year: 2015
Country: Colombia



BERNARD BOUTON - BERNIE
Title: child labour
Year: 2015
Country: France



PEDRO MOLINA
Title: .
Year: 2015
Country: Nicaragua


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La Giuria


7o Concurso Internacional de Caricatura dentro del marco del Festival de Mentes Brillantes, presenta al honorable jurado de esta edición 2015

Cuenta regresiva, el jurado del Festival de Mentes Brillantes, Ciudad de las Ideas 2015 ya está en acción, lo componen: Andres Roemer, Mohammad Ali Khalaji de Irán, Adriana Mosquera Soto de Colombia/España, Omar Zevallos de Perú y su servidora Martha Barragan Mar.


http://www.ciudaddelasideas.com/caricaturas/


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martedì 3 novembre 2015

Gianni Rodari: promemoria

PROMEMORIA
(Gianni Rodari)

CI SONO COSE DA FARE OGNI GIORNO:
LAVARSI, STUDIARE, GIOCARE
PREPARARE LA TAVOLA,
A MEZZOGIORNO.

CI SONO COSE DA FARE DI NOTTE:
CHIUDERE GLI OCCHI, DORMIRE,
AVERE SOGNI DA SOGNARE,
ORECCHIE PER SENTIRE.

CI SONO COSE DA NON FARE MAI,
NE’ DI GIORNO NE’ DI NOTTE
NE’ PER MARE NE’ PER TERRA:
PER ESEMPIO, LA GUERRA



Alla formica 

Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica.
Io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende, regala.





Il cielo è di tutti

Qualcuno che la sa lunga
mi spieghi questo mistero:
il cielo è di tutti gli occhi
di ogni occhio è il cielo intero.

È mio, quando lo guardo.
È del vecchio, del bambino,
del re, dell'ortolano,
del poeta, dello spazzino.

Non c'è povero tanto povero
che non ne sia il padrone.
Il coniglio spaurito
ne ha quanto il leone.

Il cielo è di tutti gli occhi,
ed ogni occhio, se vuole,
si prende la luna intera,
le stelle comete, il sole.

Ogni occhio si prende ogni cosa
e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo
non lo trova meno splendente.

Spiegatemi voi dunque,
in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la terra è tutta a pezzetti.



Rivoluzione (Gianni Rodari)

Ho visto una formica
in un giorno freddo e triste
donare alla cicala
metà delle sue provviste.

Tutto cambia: le nuvole,
le favole, le persone.
La formica si fa generosa:
E’ una rivoluzione!


Quanto pesa una lacrima? La lacrima di un bambino capriccioso pesa meno del vento, quella di un bambino affamato pesa più di tutta la terra.


Rodariani di tutto il mondo uniamoci
Omaggio a Gianni Rodari
di Mauro Biani

Il 23 ottobre scorso Gianni Rodari avrebbe compiuto 95 anni
Buon compleanno Gianni!

Gianni Rodari (Omegna, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980) è stato uno scrittore, pedagogista, giornalista e poeta italiano, specializzato in testi per bambini e ragazzi e tradotto in moltissime lingue. Vincitore del prestigioso Premio Hans Christian Andersen (edizione 1970), fu uno tra i maggiori interpreti del tema "fantastico" nonché, grazie alla Grammatica della fantasia, sua opera principale, uno fra i principali teorici dell'arte di inventare storie.

Il sito

Disegni di Fabio Magnasciutti e di Mauro Biani

domenica 1 novembre 2015

Orgoglio EXPO con tante riserve

Milano saluta il mondo. Sono passate da pochissimo le 19 quando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, pronuncia queste parole:
"Dichiaro ufficialmente chiusa questa Esposizione". 
Un'Esposizione - ora si può davvero tracciare un bilancio di questi 184 giorni - che "è stata un successo" con i suoi 21 milioni e mezzo di visitatori. Lo dice uno che di Expo se ne intende: è il segretario generale del Bie (Bureau International des Expositions), Vicente Loscertales che aggiunge: "Farà entrare questo luogo nella storia di Expo". E' lui che ha consegnato la bandiera di Expo ai rappresentanti di Astana, la città del Kazakistan che ospiterà Expo 2017 e farà da ponte verso Dubai 2020.


 Gianni Falcone:
"L'Expo spegne le luci. Amen
Chiude l’Expo. Un successo planetario, dicono: s’è parlato per mesi dell’Italia, delle sue eccellenze, dell’alzare la testa, del riscatto, e via gonfiando il petto.
Obiettivamente, una grande prova, ma attraverso la quale si tenta di far passare troppe cose mentre tante altre aspettano un po’ di luce.
I conti, per dire. E l’organizzazione: giustamente ci si vanta di aver centrato l’obiettivo dei 20 milioni di visitatori (e però un anno fa era il minimo al di sotto del quale sarebbe stato flop), ma non si capisce come mai questa mirabolante macchina non abbia poi saputo organizzare i flussi. Con un gioco di prestigio si vantano le code infinite come testimonianze di successo, ma tenere in fila migliaia di persone per ore non può essere un vanto per nessuno; costringere chi ha affrontato un viaggio anche lungo e spese non indifferenti a vedere solo tre o quattro padiglioni passando la maggior parte del tempo nelle attese non può essere esibito come fulgido esempio di efficiente organizzazione.
Ma pare che chi ha presieduto tutto questo sia destinato ad essere il prossimo sindaco di Milano.

Ah, dimenticavo: e a nutrire il pianeta come siamo messi?
Su www.gianfalco.it
#expo "



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venerdì 30 ottobre 2015

La carne rossa fa male come il fumo, l'amianto ecc.

the future's uncertain
Fabio Magnasciutti


La notizia:

The new meat rules: As experts warn it increases the chance of cancer, we reveal which types are the riskiest...

  • World Health Organisation report classed processed meat as carcinogenic
  • Processed meat includes bacon, sausages, salami, chorizo and burgers
  • Just 50g a day increases the risk of bowel cancer by 18%, report said
  • 50g of meat includes 2 slices of smoked ham or 10 slices of chorizo  

Read more: http://www.dailymail.co.uk/health/article-3291561/The-new-meat-rules-experts-warn-increases-chance-cancer-reveal-types-riskiest.html (DailyMail )



Bacon, hamburger e salsicce potrebbero causare il cancro al pari delle sigarette. A dirlo è l'Organizzazione mondiale della Sanità, che aggiungerà i prodotti confezionati di carne rossa alla propria lista di sostanze cancerogene, assieme a fumo, arsenico, alcol e amianto. Nel mirino anche la carne rossa fresca, che verrà inserita nella "enciclopedia dei cancerogeni" ed etichettata come "lievemente meno pericolosa" rispetto ai lavorati industriali. Lo rivela in anteprima al Daily Mail britannico una "fonte interna ben posizionata".



Lo scoop della rivista inglese è stato ripreso da tutte le testate giornalistiche italiane creando molto panico tra la popolazione.
Il testo dell OMS verrà reso noto a metà del 2016
Mi chiedo perchè fare tutto questo allarmismo in modo ingiustificato?
In attesa cerchiamo di sorridere ...





Giannelli




Bochicchio

Fulvio Fontana


Fulvio Fontana


Franco Stivali

Mario Airaghi

La Micela


CARNI ROSSE
L'OMS avvisa che vi sono numerose prove che il consumo di carni rosse aumenti il rischio di cancro.
Dovremo marcare tutti i bovini come già fatto per i pacchetti di sigarette?
UBER

Fabio Magnasciutti


Tiziano Riverso



Fogliazza 
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Links:
La carne rossa provoca il cancro solo in Italia? (Alberto Cane)

mercoledì 28 ottobre 2015

Ma a Sanremo come lo timbrano il cartellino?



MUTANDA PARTY
Ma quello che timbrava in mutande,
stava entrando o uscendo ??
Roberto Mangosi


Perché Sanremo è Sanremo
MASSIMO GRAMELLINI
Se un dipendente pubblico dichiara di essere in ufficio senza esserci commette un reato. Ma se a dichiarare il falso sono in duecento, quasi la metà della forza lavoro del Comune di Sanremo, la strisciata collettiva di cartellini taroccati che cosa diventa? Una prassi. La costituzione non scritta di questa repubblica fondata sul livore per le ruberie altrui, ma dove si ruba pacificamente ovunque, mica solo all’Anas. La repubblica delle BanAnas. Per farne parte occorre avere la faccia come il badge. Come il vigile che timbra il cartellino in mutande e scompare nella nuvola dei fatti suoi. Come lo stakanovista della canoa che si segna lo straordinario e poi va a pagaiare, e magari si lamenta dei politici senza nemmeno essere attraversato dal sospetto di appartenere a una casta anche lui. Come il funzionario animato da nobili intenti educativi che manda la figlia a timbrare al posto suo e la povera fanciulla, volenterosa ma inesperta, striscia quattro volte il cartellino prima di imparare a truffare lo Stato. Come l’impiegata che passa nella macchinetta il proprio badge e quello di un paio di amiche con la naturalezza di chi oblitera il biglietto della metropolitana, mentre i colleghi in coda dietro di lei fingono di non vedere o si accingono a fare lo stesso.

La malattia è talmente diffusa che i malati non sanno più di esserlo e i medici stanno peggio di loro. Forse qualche licenziamento in tronco potrebbe rinfrescare la memoria a tutti quanti. Perché Sanremo è Sanremo, cuore pop dell’Italia intera, ma se le telecamere nascoste venissero piazzate su qualsiasi altro palco del Belpaese lo spettacolo non sarebbe più allegro.


Franco Portinari




Senti chi casta
MASSIMO GRAMELLINI
Una rapida scorsa ai profili Facebook dei dipendenti del Comune di Sanremo arrestati per assenteismo reiterato e molesto introduce il lettore in un universo meraviglioso. «Mi vergogno di essere rappresentato da politici corrotti che saccheggiano ogni santo giorno uno dei Paesi più belli del mondo», scrive un saccheggiatore quotidiano delle casse pubbliche di uno dei Paesi più belli del mondo. Sorvolando sulle citazioni di Falcone e Margherita Hack in materia di morale e legalità, dispensate a pioggia da quei pulpiti illuminati, ecco un altro frequentatore seriale di cartellini taroccati che posta la foto di un uomo spiaggiato in un bar all’aperto accanto al cartello «Oggi passo la giornata come un politico, cioè non faccio un czz.». Col senno di poi sembrerebbe un’autodenuncia, ma con quello di prima si rivela soltanto l’ennesima testimonianza di una dissociazione mentale: i politici che rubano incarnano il male assoluto, mentre chi li critica comportandosi in piccolo come loro presidia l’avamposto del bene.

Perché sta qui l’aspetto peculiare e forse inemendabile dell’illegalità spicciola all’italiana. L’impiegato assenteista che striscia il badge per sé e i suoi cari non si sente un delinquente che imbroglia, ma una vittima che si arrangia. Un meschino tartassato o un talento incompreso, in ogni caso una persona in debito con la vita, che nella piccola truffa allo Stato vede una sorta di parziale e sempre provvisoria compensazione. Disprezza i politici perché in fondo ne invidia il potere. Il potere di rubare molto di più.

Tangenti Anas




La dama nera (scandalo Anas)
Tiziano Riverso

AN(n)ASpiamo (e Sanremo fàmosi)


La dama nera? Ci spertichiamo a riportare nomignoli d’effetto nel verminaio Anas, giusto perché  pigliamo (piamo) più attenzione, ché da anni il “solo” riferire l’ennesimo nazionale atto delinquenziale acchiappa più nessuno.  Nello stesso giorno c’è stato propinato il vigile sanremese in mutande, senz’altro più acchiappante degli altri forsennati colleghi-ladri di pubblici stipendi vestiti. Tutti comunque accomunati  nel timbrare il cartellino in proprio e per delega e subito dopo via, a occuparsi dei propri personalissimi affari. E fàmosi pure ‘sto Sanremo’!
Queste storie nazionali sono iniziate fin dal secondo dopoguerra e da allora ampiamente s’è puppato, compiacenti i tempi di vacche grasse. Poi furono vacche e basta. Fu poi  epoca di “magre” (vacche e no) che scodellò profonda assenza dei servizi di base e strade mai finite e/o piene di voragini insidiose. E qui stiamo: con  le amministrazioni che falliscono perché non c’è più ticket da spremere ai contribuenti prosciugati (strisce blu  da ZTL assurde,  ammende lunari da telecamere,  ammennicoli strategici per diritti di segreterie strampalate ecc. in cambio di carenze devastanti nell’assistenza sanitaria/scolastica/assistenziale). E poi… e poi oggi: la povertà e la miseria degli sconosciuti (ai nazionali media embedded) dilaga. Nelle nostre passeggiate è sufficiente non voltare la testa da un’altra parte per capire.
Gli italiani (non delinquenti) annaspano per arrivare a fine mese. Servono ai Salvini di turno per farsi pubblicità a gratis, mica per entrare nel merito.
Nel merito c’entra lo Renzi il Munifico: gli servono per dichiarare che è materia per gufi disfattisti.
E fàmosi st’altro giro…
23 ottobre 2015





A TUTTA MAZZETTA
Esisterà in Italia una STRADA
per fermare la corruzione ?
Roberto Mangosi


Ellekappa

Giannelli 



Bochicchio
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Anas, «pizzini» e parole in codice Ecco chi è la «dama nera»

lunedì 26 ottobre 2015

Carlotta Guareschi

 25 OTT - E' morta Carlotta Guareschi, figlia dello scrittore e umorista Giovannino Guareschi (1908-1968).
Ne dà notizia il fratello Alberto:
"Oggi ha concluso serenamente il suo percorso terreno mia sorella Carlotta riunendosi in cielo ai nostri genitori. Sposa, madre ammirevole, ha dedicato tutta la sua vita alla famiglia, alle persone che la circondavano e alla cura della memoria di nostro padre. sono certo che la "Pasionaria" sia già tra le braccia di Giovannino e Margherita".

La figlia dello scrittore del Mondo Piccolo aveva 72 anni.
Insieme al fratello Alberto si occupava dell'archivio di Roncole Verdi e del Centro Studi dedicato al padre, creatore tra l'altro delle vicende di Peppone e Don Camillo.

Carlotta era nata mentre il padre si trovava prigioniero in un campo di concentramento nazista insieme a quei militari italiani che dopo l'8 settembre si erano rifiutati di passare alla Repubblica di Salò. Lo poté vedere di persona solo quando aveva compiuto due anni al termine della guerra.
Rinchiuso nel lager, Giovannino le scrisse una canzone, la canzone di Carlotta:




“Carlotta”
Un chant de Giovannino Guareschi et Arturo Coppola écrit en 1944 alors qu'ils étaient tous deux prisonniers au Stalag X B de Sandbostel

Quando sopra il lager nel mattino senza color
si scatena il vento e porta cupo gelo nel cuor
nel paese del sol, tutto luce e calor
sulla sua seggiolina, la Carlottina sta.

(refrain)
La mamma l'ha annunciato con estrema serieta'
il babbo tornera', ma certo tornera'
pero' lei deve stare buona, buona sul balcon
guardando sempre la', verso il canton.

Seduta sul balcone la Carlotta se ne sta
e aspetta quel papa', che visto mai non ha
e palesando invero ragguardevole apprension
sospira masticando il biberon.

(bridge)
Chi sa, chi sa come sara'
questo famosissimo marito di mamma'
forse avra' i baffon, la barba ed il pancion
la pipa ed il baston, e gli occhiali col cordon.

(spoken) (Chi sa, chi sa che scassatissimo papa')

Ormai tramonta il sole e tutta azzura e' la citta'
per oggi non verra', cattivo d'un papa'
gli occhietti gia' si chiudon sulla nuova delusion
il sonno fa cadere il biberon.

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(2)
Giace il lager muto, senza vita, senza doman
le baracche vuote, le torrette senza guardian
nel paese del sol, tutto luce e calor
sulla sua seggiolina, la Carlottina sta.

(refrain)
La mamma l'ha annunciato con estrema serieta'
il babbo tornera', ma certo tornera'
pero' lei deve stare buona, buona sul balcon
guardando sempre la', verso il canton.

Seduta sul balcone la Carlotta se ne sta
e aspetta quel papa', che visto mai non ha
e palesando invero ragguardevole apprension
sospira masticando il biberon.

(bridge)
Chi sa, chi sa come sara'
questo famosissimo marito di mamma'
forse avra' i baffon, la barba ed il pancion
la pipa ed il baston, e gli occhiali col cordon.

(spoken) (Chi sa, chi sa che scassatissimo papa')

Ed ecco appare all'angolo uno splendido guerrier
le stelle ha sul cimier, d'argento e' il suo piastrin:
il giustacuore azzurro ed i bottoni tutti d'or:
E' il babbo! E torna quasi vincitor! ...

~~fin~~
fonte
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Canzone che Giovannino Guareschi, prigioniero IMI (Internati Militari Italiani) durante la 2a guerra mondiale, dedica a sua figlia, nata nel frattempo: porta un po' d'allegria e viene fischiettata durante le durissime giornate nelle baracche.

Il ricordo delle sofferenze patite avviene attraverso la forma comunicativa che più si presta a suscitare emozioni: la canzone. Guareschi era consapevole della funzione del canto in ambito militare, della forza trascinatrice di testi e musiche in cui i combattenti possono riconoscersi in un'identità comune; e se nel pezzo Le stellette che noi portiamo aveva inserito il ritornello di una canzone della Grande Guerra - l'unica canzone di trincea della quale i repubblicani, per quanto propensi agli inni, non si sarebbero mai potuti appropriare -, con le canzoni scritte durante la prigionia assieme a Coppola aveva dato vita a una nuova produzione musicale, acconcia a divulgare le idee-base e a rafforzare la solidarietà, la coesione e la fierezza nel gruppo dei resistenti. Una produzione, quella del lager, che può stare alla pari, per qualità se non per quantità, con quella partigiana. La rubrica Canzoni del lager di Radio B90 ospitava nelle interpretazioni del cantante Pierino (Valerio dei Cas) diverse canzoni in voga al tempo, ma anche testi scritti e musicati nella prigionia dalla coppia Mario Vezzosi e Camillo Mariani (Un bel dì vedremo un fil di fumo, C'era una volta tre porcellin, Milàn Milàn), da Rino Mazzucchelli (Lontano dal mio cuore, Ritorno), da Cesarini (Angioletti) e dalla coppia Guareschi-Coppola (Dai dai Peppino - nata nell'estate 1944 su ispirazione dell'avanzata russa, e aggiornata nei primi mesi del 1945 - , Magri ma sani - che trae il titolo dal motto adottato nella baracca 18 di Benjaminow per resistere agli inviti al lavoro - e Carlona), o del solo Coppola (Cesarina - che narra di un prigioniero tradito nei sentimenti - e Treviso - in dialetto Veneto, dedicata a tutte le città italiane devastate dai bombardamenti).

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Gianrico Tedeschi - Ritorno alla base e La canzone di Carlotta di Giovannino Guareschi




“Fu a Natale, nel ’47”, da Lo Zibaldino, 1948
(…) Forse Margherita ha ragione quando dice che occorre la maniera forte coi bambini: il guaio è che, a poco a poco, usando e abusando della maniera forte, in casa mia si lavora soltanto con le note sopra il rigo. La tonalità, anche nei più comuni scambi verbali, viene portata ad altezze vertiginose e non si parla più, si urla. Ciò è contrario allo stile del “vero signore”, ma quando Margherita mi chiede dalla cucina che ore sono, c’è la comodità che io non debbo disturbarmi a rispondere perché l’inquilino del piano di sopra si affaccia alla finestra e urla che sono le sei o le dieci.
Margherita, una sera del mese scorso, stava ripassando la tavola pitagorica ad Albertino, e Albertino s’era impuntato sul sette per otto.
«Sette per otto?» cominciò a chiedere Margherita. E, dopo sei volte che Margherita aveva chiesto quanto faceva sette per otto, sentii suonare alla porta di casa. Andai ad aprire e mi trovai davanti il viso congestionato dell’inquilino del quinto piano (io sto al secondo).
«Cinquantasei!» esclamò con odio l’inquilino del quinto piano.
Rincasando, un giorno del dicembre scorso, la portinaia si sporse dall’uscio della portineria e mi disse sarcastica: «È Natale. è Natale — è la festa dei bambini — è un emporio generale — di trastulli e zuccherini!».
“Ecco” dissi tra me “Margherita deve aver cominciato a insegnare la poesia di Natale ai bambini.”
Arrivato davanti alla porta di casa mia, sentii appunto la voce di Margherita: «È Natale, è Natale — è la festa dei bambini!…».
«È la festa dei cretini» rispose calma la Pasionaria. Poi sentii urla miste e mi decisi a suonare il campanello.

Sei giorni dopo, il salumaio quando mi vide passare mi fermò.
«Strano» disse «una bambina così sveglia che non riesce a imparare una poesia così semplice. La sanno tutti, oramai, della casa, meno che lei.»
«In fondo non ha torto se non la vuole imparare» osservò gravemente il lattaio sopravvenendo.
«È una poesia piuttosto leggerina. È molto migliore quella del maschietto: “O Angeli del Cielo — che in questa notte santa — stendete d’oro un velo — sulla natura in festa…”.»
«Non è così» interruppe il garzone del fruttivendolo. « “o Angeli del Cielo — che in questa notte santa — stendete d’oro un velo — sul popolo che canta…”» Nacque una discussione alla quale partecipò anche il carbonaio, e io mi allontanai. Arrivato alla prima rampa di scale sentii l’urlo di Margherita:
«”… che nelle notti sante — stendete d’oro un velo – sul popolo festante”».
Due giorni prima della vigilia, venne a cercarmi un signore di media età molto dignitoso.
«Abito nell’appartamento di fronte alla sua cucina» spiegò. «Ho un sistema nervoso molto sensibile, mi comprenda. Sono tre settimane che io sento urlare dalla mattina alla sera: “È Natale, è Natale — è la festa dei bambini — è un emporio generale — di trastulli e zuccherini”. Si vede che è un tipo di poesia non adatto al temperamento artistico della bambina e per questo non riesce a impararla. Ma ciò è secondario; il fatto è che io non resisto più: ho bisogno che lei mi dica anche le altre quartine. Io mi trovo nella condizione di un assetato che, da quindici giorni, per cento volte al giorno, sente appressarsi alla bocca un bicchiere colmo d’acqua. Quando sta per tuffarvi le labbra, ecco che il bicchiere si allontana. Se c’è da pagare pago, ma mi aiuti.»
Trovai il foglio sulla scrivania della Pasionaria.
Il signore si gettò avidamente sul foglio: poi copiò le altre quattro quartine e se ne andò felice.
«Lei mi salva la vita» disse sorridendo.
La sera della vigilia di Natale passai dal fornaio, e il brav’uomo sospirò.
«È un pasticcio» disse. «Siamo ancora all’emporio generale. La bambina non riesce a impararla, questa benedetta poesia. Non so come se la caverà stasera. Ad ogni modo è finita!» si rallegrò.
Margherita, la sera della vigilia, era triste e sconsolata.
Ci ponemmo a tavola, io trovai le regolamentari letterine sotto il piatto. Poi venne il momento solenne.
«Credo che Albertino debba dirti qualcosa» mi comunicò Margherita.
Albertino non fece neanche in tempo a cominciare i convenevoli di ogni bimbo timido: la Pasioraria era già ritta in piedi sulla sua sedia e già aveva attaccato decisamente: «”O Angeli del Cielo — che in questa notte santa stendete d’oro un velo — sul popolo festante…”».
Attaccò decisa, attaccò proditoriamente, biecamente, vilmente, e recitò, tutta d’un fiato, la poesia di Albertino.
«È la mia!» singhiozzò l’infelice correndo a nascondersi nella camera da letto.
Margherita, che era rimasta sgomenta, si riscosse, si protese sulla tavola verso la Pasionaria e la guardò negli occhi.
«Caina!» urlò Margherita.
Ma la Pasionaria non si scompose e sostenne quello sguardo. E aveva solo quattro anni, ma c’erano in lei Lucrezia Borgia, la madre dei Gracchi, Mata Hari, George Sand, la Dubarry, il ratto delle Sabine e le sorelle Karamazoff.
Intanto Abele, dopo averci ripensato sopra, aveva cessata l’agitazione. Rientrò Albertino, fece l’inchino e declamò tutta la poesia che avrebbe dovuto imparare la Pasionaria.
Margherita allora si mise a piangere e disse che quei due bambini erano la sua consolazione.
La mattina un sacco di gente venne a felicitarsi, e tutti assicurarono che colpi di scena così non ne avevano mai visti neanche nei più celebri romanzi gialli.










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Peppone e Don Camillo Giovannino Guareschi raccontato dai figli

Il "mondo piccolo" di Giovannino Guareschi. Letture e dialogo