BOMBE NUCLÉAIRE: 70 ans après HIROSHIMA
Plantu
A 70 dalla fine della guerra e dalle prime bombe atomiche (6 agosto su Hiroshima, 9 agosto su Nagasaki, circa 200 mila morti diretti) i 150 mila sopravvissuti conducono ancora oggi una vita d’inferno a causa delle conseguenze delle radiazioni.
E' un grande monito per l'umanità.
Hiroshima 1945
Riber
70th Anniversary of Hiroshhima and Nagasaki...
Steve Breen
Hiroshima : 70 ans
Phil Umbdenstock
Hiroshima never again... Amorim
.
05 Aug 2015
Horror
Riverso
Hiroshima, 6 Août 1945
08/07/2015 par Michel Kichka
Il y a 70 ans, Albert Camus avait compris l’Histoire des décennies qui allaient suivre. Un philosophe. Un prophète. Une conscience.
Particolare della visione a 360 gradi di Hiroshima dopo 4 giorni dal bombardamento.
Si tratta di una ricostruzione ad alta tecnologia dei materiali fotografici (da una pellicola assai danneggiata di 11 foto scattate da un giornalista di Asahi Shimbun di Osaka da una posizione a 1,2 km dal ground zero).
E' stato pubblicato su Asahi Shimbun negli ultimi giorni.
http://www.asahi.com/special/nuclear_peace/pano/past/flat/
Si possono vedere qui le altre foto scattate dal medesimo giornalista, Hajime MIYATAKE, entrato nella citta' il 9 agosto:
http://www.asahi.com/s…/nuclear_peace/gallery/2015hiroshima/
Tutte le foto saranno esposte nel Peace Memorial Museum di Hiroshima, attualmente in restauro che si riaprira' nel 2018.
giovedì 6 agosto 2015
mercoledì 5 agosto 2015
Intervista a Carlo Gubitosa, autore di "Satira al telefono"
Satira al telefono di Carlo Gubitosa,
ebook di Quintadicopertina, casa editrice digitale.
L'ebook (che utilizza la tecnologia di sincronizzazione audio/testo) raccoglie telefonate a partiti politici, istituzioni e sedi del potere, registrate da Carlo Gubitosa all'insaputa degli interlocutori e poi pubblicate su Il Male di Vauro e Vincino, dall’autunno 2011 alla primavera 2012. Le domande erano scomode, paranoiche, paradossali, ma le risposte erano ancora peggio.
Ne esce un ritratto dell'Italia commissariata dalla Troika, fatto di domande spiazzanti e surreali, arricchito dalle vignette ed illustrazioni di Vauro, Vincino, Flaviano Armentaro, Mauro Biani, Maurizio Boscarol, Makkox, Marco Pinna, Marco Scalia, Alessio Spataro, Marco Tonus e Filippo Ricca.
La prefazione è di Vincino e la copertina che potete vedere qui sotto di Vauro.
Fany raggiunge Carlo e gli pone qualche domanda:
Da cosa è nato questo progetto Carlo? una tua idea originale o frutto della redazione de Il Male?
E' nato per caso: sentendo Bossi parlare di secessione per l'ennesima volta, e vivendo a Bologna, mi e' venuto in mente di telefonare alla Lega Nord per scoprire se la mia citta' di adozione sarebbe rientrata nella padania. Nel mio telefono c'era un programma per registrare le chiamate che usavo per tenere traccia delle interviste telefoniche, e cosi' ho cominciato per gioco a registrare telefonate che inizialmente condividevo solo con amici e parenti. Poi c'e' stata la seconda casualita': l'incontro con Vincino Gallo che e' sfociato in una bella collaborazione con la riedizione dello storico settimanale di Satira "Il Male", riportato in edicola da Vincino assieme a Vauro Senesi. E fu cosi' che la curiosita' si e' trasformata in una rubrica settimanale.
Ti sei divertito a fare queste telefonate?
Moltissimo. E' bastato fare due chiacchiere con i terminali del potere per capire che il re e' davvero nudo: il partito di Berlusconi per la sua sede di Avellino metteva sul sito i numeri di telefono della cartoleria di fronte, nemmeno nella sede nazionale del PD sapevano che pesci pigliare quando e' stata calata dal cielo la premiership di Mario Monti. Era ridicolo e tragico al tempo stesso guardare che dietro la faccia autorevole e ufficiale del paese c'era un caravanserragio di cialtroneria che non risparmiava niente e nessuno.
La tua preferita?
Ce ne sarebbero tante: una che ricordo con piu' affetto e' quella fatta al webmaster del PD di Firenze, che aveva pagato di tasca sua per un sito che poi fu abbandonato dal partito. Una ennesima umiliazione inflitta ai militanti di una sinistra che non esiste piu'.
Perchè consigli di leggere ed ascoltare l'ebook?
Perche' mi sono divertito molto a realizzarlo e in piu' puo' essere utile rileggere con gli occhi della satira la stagione del potere montiano, che non abbiamo ancora analizzato e metabolizzato a sufficienza.
In Parlamento vorrebbero rendere illegali le autointercettazioni, tu nel frattempo ci hai fatto un libro con tanto di audio delle telefonate, cosa ne pensi?
Che fino a quando non verra' detto il contrario, il diritto di cronaca e di libera espressione del pensiero satirico continuano a essere in vigore, e sara' molto difficile impedire ai cittadini di registrare le proprie telefonate. Lo stesso presidente del Senato Pietro Grasso ha dichiarato che le registrazioni delle telefonate tra privati sono "legittime e utili contro la corruzione".
Chi sei Carlo?
Su Wikipedia sono indicato come scrittore e giornalista, attualmente sbarco il lunario come informatico, ma mi sento semplicemente una persona curiosa e logorroica.
I tuoi desideri?
Mi piacerebbe che in Italia si leggesse di piu', che si potesse vivere di scrittura, che l'editoria ritorni ad essere un settore dove al centro c'e' la cultura e non il profitto.
E per finire perchè Carlo, tu che sei stato insieme a Mario Biani il fondatore di Mamma, meglio di qualsiasi altro mi puoi rispondere, la satira in Italia è morente?
La satira e' un termometro della vivacita' culturale di un paese, della distanza tra il popolo e il potere, della diffusione del pensiero libero. E in questa stagione di pensiero unico purtroppo non gode di ottima salute. Ma e' una ragione di piu' per praticare questo linguaggio libero, libertario e liberatorio.
Ps: mi ha un po' ricordato la zanzara di Cruciani, non è che ti hanno copiato l'idea?
http://fany-blog.blogspot.it/2013/09/la-zanzara-punge-guido-barilla.html
Credo di no
Grazie Carlo, gentilissimo!
Articolo tratto dal audio ebook di Quintadicopertina, Satira al telefono di Carlo Gubitosa
Dialogo con il Ministero delle Finanze:
CARLO G.: Salve, mi scusi, volevo un’informazione, io sono un semplice cittadino...
MINISTERO: Deve chiamare l’ufficio relazioni, questa è la segreteria particolare del capo di gabinetto...
CG: Magari lei mi può rispondere in un secondo... io ho visto che questo famoso spread è sceso a 300, ma adesso come si riflette questa cosa sui nostri conti correnti...
M: Ma che domanda, mi perdoni, non lo sappiamo, non è una pratica d’ufficio, non so che dirle, siamo tutti uguali...
CG: Non è che ci alzano i tassi sui conti correnti? Che beneficio c’è?
M: Non lo so, stiamo nella stessa barca, anche se lavoriamo nello stesso ufficio siamo tutti nella stessa barca...
CG: No, perché abbiamo fatto tutti questi sacrifici per lo spread, però adesso che ci torna? gubitosa
M: Eh lo so, ma qui bisogna andare in Parlamento non qui.
CG: Mi consola, quindi non sono il solo a brancolare nel buio...
M: Certo, è la conferma, siamo tutti stipendiati, come lei.
CG: Quindi anche lei non sa che benefici arriveranno?
M: No, macché, non lo so, sarei una maga.
CG: E tutte queste lacrime e sangue? Abbiamo abbassato lo spread e mo’ manco ci dicono che sò, uno zerocinque per cento in più sui conti correnti.
M: Deve parlare con loro direttamente, chiami la segreteria di Monti che fa prima.
CG: Ma non ci abbassano neanche la benzina?
M: Ma che... mi perdoni... guardi... [Ride]
CG: Ma allora qual era lo scopo di tutto questo?
M: Senta, non è che posso stare al telefono, io la capisco, la capisco, sono nelle stesse condizioni sue, io prendo milleduecento e sto qui dentro, mi levano l’inps, tutto quello che levano a lei, uguale e identico, abbiamo i figli, non lo so come andremo avanti, che le devo di’? Non so che dirle, siamo tutti nella stessa barca.
CG: Allora le esprimo la mia solidarietà, e speriamo che ci dicano qualche cosa magari a livelli più alti.
M: Tanto non ce lo diranno, le cose cattive non ce le dicono tutte.
CG: Speriamo di vedere la luce in fondo al tunnel.
M: Appunto, appunto.
QUI potete comprare il libro digitale in promozione
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disegno di Vincino dalla prefazione di "Satira al Telefono" |
Codice deontologico dell’attività giornalistica:
Il Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica parla chiaro: “Il giornalista che raccoglie notizie (...) rende note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta”.
E deve farlo tutte le volte che “nell’ambito dell’attività giornalistica e per gli scopi propri di tale attività” intende attuare “l’esercizio del diritto dovere di cronaca, la raccolta, la registrazione, la conservazione e la diffusione di notizie su eventi e vicende relativi a persone, organismi collettivi, istituzioni, costumi, ricerche scientifiche e movimenti di pensiero”.
Ma allora perché tutti i contenuti di questo libro sono stati ottenuti registrando telefonate a insaputa dei miei interlocutori, millantando le identità, le professioni e le motivazioni più varie, e usando le reti telefoniche per infiltrarmi all’interno di sedi di partito, uffici della Banca d’Italia, compagnie ferroviarie, parrocchie, uffici SIAE, Università private, alberghi, ospedali, moschee, negozi di dischi usati, uffici Digos, procure, organizzazioni militanti di estrema destra, ministeri, redazioni di quotidiani nazionali e centri di ricerca?
Lo spiega lo stesso codice deontologico quando aggiunge che l’obbligo del giornalista di giocare a carte scoperte resta in vigore “salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa”. Escludendo i rischi per la mia incolumità, resta da chiedersi se c’erano altri modi per raccogliere le stesse informazioni con strumenti diversi dalle telefonate sotto mentite spoglie.
Carlo Gubitosa
lunedì 3 agosto 2015
Ritratto di Giuliana Lojodice
Il 12 aprile su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Giuliana Lojodice
Giuliana Lojodice: "Aroldo, Luchino e gli altri uomini sul palcoscenico della mia vita"
L'attrice e doppiatrice si racconta: "Marcello Mastroianni. Una delle persone più dirette e semplici che io abbia conosciuto. Mi chiese di andare con lui a una cena con Barbra Streisand: "È una tigre, me se magna" "
di ANTONIO GNOLI
Benché fosse una donna di liberi costumi, scoprì improvvisamente la fedeltà e l'amore e per 40 anni dimenticò cosa era stata prima. In fondo la vita bella e inquieta di Giuliana Lojodice si potrebbe racchiudere in queste poche righe. Quasi un romanzetto, verrebbe da dire. "Non mi sono mai vergognata di me, delle mie fantasie verso uomini più grandi. Sostituivano quel padre che avevo avuto, certo,
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Giuliana Lojodice
Giuliana Lojodice: "Aroldo, Luchino e gli altri uomini sul palcoscenico della mia vita"
L'attrice e doppiatrice si racconta: "Marcello Mastroianni. Una delle persone più dirette e semplici che io abbia conosciuto. Mi chiese di andare con lui a una cena con Barbra Streisand: "È una tigre, me se magna" "
di ANTONIO GNOLI
Benché fosse una donna di liberi costumi, scoprì improvvisamente la fedeltà e l'amore e per 40 anni dimenticò cosa era stata prima. In fondo la vita bella e inquieta di Giuliana Lojodice si potrebbe racchiudere in queste poche righe. Quasi un romanzetto, verrebbe da dire. "Non mi sono mai vergognata di me, delle mie fantasie verso uomini più grandi. Sostituivano quel padre che avevo avuto, certo,
venerdì 31 luglio 2015
Spira tantu sentimento? (minzione d'onore)
Azzollini salvato!
Vauro
Vide Omar quant’è muorto…
di Nadia Redoglia
Spira tantu sentimento? Parrebbe di sì dati i titoloni sulla dipartita del mullah pervenutici subito dopo quell’altra notiziona: “diffuse le foto mai viste dei momenti vissuti alla Casa Bianca nelle prime ore dopo l’attacco alle Torri” ché uno s’aspetta di vedere chissà cosa e invece scorre le ovvie facce tese e (manco troppo) stanche di Bush, Cheney e Condoleezza Rice. Sicché domanda sorge spontanea: non solo in quei momenti hanno perfino pensato di farsi fotografare, ma che ci stava da tenere così segreto per quasi 15 anni in tre facce attorno ad anonimo tavolo?! Anche la risposta purtroppo arriva spontanea: evidentemente (anche) i manovratori delle sorti planetarie ci considerano “scolari di seconda media piazzati negli ultimi banchi perché neppure troppo bravi”.
E’ marchio che (molti) anni fa appioppò agli italiani il capo di governo d’allora. Fu infamia che avrebbe dovuto scatenarci suprema indignazione buona a riprenderci lo stato di diritto mollando quello di sudditanza (incapace e interdetta) che s’era mollemente costituito…
In tutta coscienza opino che lo stato di sudditanza invece ancora insiste e, pertanto, più forte che mai. Anzi, stante il voto che oggi oltre la metà dei senatori in tutta coscienza ha espresso contro l’arresto (famme campààà!) invocato dalla magistratura nei confronti del senatore Azzolini, già presidente della commissione bilancio e dunque il voglio posso comando nella “distribuzione”, possiamo oggi ben aggiungere a questo nostro s(S)tato la… “minzione d’onore”.
BEVETENE TUTTI
Il Senato respinge la richiesta di arresto del Senatore Azzollini. L'esponente dell'NCD evidentemente dopo le suore riesce a convincere anche il PD.
UBER
Com'è possibile
Natangelo
Mangosi
Azzollini
Zanda: "Il voto PD in libertà di coscienza!"
NCD nuova coscienza democratica
Portos
La coscienza
Tiziano Riverso
Giannelli
Atto notorio
Ma forse non c'era bisogno del notaio per capire in nostro Stato Patrimoniale.
UBER
martedì 28 luglio 2015
Il Patto con gli Italiani
BatMat
CeciGian
Sogni d'oro
CeciGian
Un putto con gli italiani
di Nadia Redoglia
E dopo il tempo del patto da senescente uomo in doppio petto (e multi patta), ratto s’apprende il patto del giovinetto Fonzie/ Baden-Powell che attraverso la sua ruota della fortuna, (Pitti) uomo arrivò a noi, promettendo di rottamar nemici e rasserenar amici. Fece un po’ di confusione con oggetti e predicati, ma in compenso si rivelò buon riciclator di cloni.
Il patto iniziale nomato Nazareno fu successone per gli amanti di Spoon River (…recita bene la tua parte, in questo consiste l’onore…), un po’ meno per gli estimatori di Pirandello (dal così è se vi pare a seguire) liquidati chiamandoli gufi.
Se proprio s’ha da parlare di letteratura è forse con il “Viaggio sentimentale in Italia” di Peynet e i suoi Les Amoureux che dobbiamo invece confrontarci. Stante l’ultimo patto proposto dal cupido Renzi agli italiani (cfr abrogazione d’ogni imposta comunale sulla prima casa) pare di sì: sarà infatti interessante scoprire come ogni sindaco (onesto) delle nostre città italiane recepirà quel sentimentalismo!
21 luglio 2015
Il Patto con gli Italiani
Franco Portinari
lunedì 20 luglio 2015
IL FAMOSO TRUCCO
Il noto prestidigitatore Renzi tenta nuovamente il famoso numero del taglio delle tasse sulla casa.
Gli riuscirà nuovamente. Difficile a dirsi, il trucco ormai è sgamato ma la platea ama crederci e applaude molto facilmente.
Uber
Ebert - L'Asino
Ebert - L'Asino
Il contratto cogli Italiani
Fulvio Fontana
Lo strillone
Bertelli
Mauro Biani
Staino
Riverso
Airaghi
CeciGian
Sogni d'oro
CeciGian
Un putto con gli italiani
di Nadia Redoglia
E dopo il tempo del patto da senescente uomo in doppio petto (e multi patta), ratto s’apprende il patto del giovinetto Fonzie/ Baden-Powell che attraverso la sua ruota della fortuna, (Pitti) uomo arrivò a noi, promettendo di rottamar nemici e rasserenar amici. Fece un po’ di confusione con oggetti e predicati, ma in compenso si rivelò buon riciclator di cloni.
Il patto iniziale nomato Nazareno fu successone per gli amanti di Spoon River (…recita bene la tua parte, in questo consiste l’onore…), un po’ meno per gli estimatori di Pirandello (dal così è se vi pare a seguire) liquidati chiamandoli gufi.
Se proprio s’ha da parlare di letteratura è forse con il “Viaggio sentimentale in Italia” di Peynet e i suoi Les Amoureux che dobbiamo invece confrontarci. Stante l’ultimo patto proposto dal cupido Renzi agli italiani (cfr abrogazione d’ogni imposta comunale sulla prima casa) pare di sì: sarà infatti interessante scoprire come ogni sindaco (onesto) delle nostre città italiane recepirà quel sentimentalismo!
21 luglio 2015
Il Patto con gli Italiani
Franco Portinari
lunedì 20 luglio 2015
IL FAMOSO TRUCCO
Il noto prestidigitatore Renzi tenta nuovamente il famoso numero del taglio delle tasse sulla casa.
Gli riuscirà nuovamente. Difficile a dirsi, il trucco ormai è sgamato ma la platea ama crederci e applaude molto facilmente.
Uber
Ebert - L'Asino
Ebert - L'Asino
Il contratto cogli Italiani
Fulvio Fontana
Lo strillone
Bertelli
Mauro Biani
Staino
Riverso
Airaghi
lunedì 27 luglio 2015
"Tato" Banali
Tato attaccala sul muro dietro di te. Un abbraccio, Rob |
Sergio Banali. Giornalista varesino di origine mantovane, aveva 85 anni.
Aveva iniziato la sua carriera proprio a Varese sul finire degli anni ’50 come redattore del settimanale della Federazione comunista L’Ordine Nuovo, di cui poi sarebbe diventato direttore. Nel frattempo faceva anche il corrispondente per il quotidiano L’Unità, dove poi dal 1961 e per trent’anni ha lavorato nella redazione di Milano.
È stato tra i fondatori di Cuore, il settimanale satirico di “resistenza umana” ideato da Michele Serra.
RINTRACCIARTI, IL RICORDO DEL GIORNALISTA MANTOVANO : " QUELLA REDAZIONE ERA UN MANICOMIO "
Sergio "Tato" Banali :
vi riapro il mio Cuore
di Giulio Cisamolo - 6/12/2009 La Voce di Mantova
Lo avevamo incontrato durante l'anteprima del numero speciale di Cuore dedicato a Rintracciarti, e ci aveva sommerso de i ricordi della redazione. Proprio in vista della rimpatriata di questa mattina ci è sembrato un vero peccato che quello che ci aveva raccontato Sergio "Tato" Banali, ex mantovanissimo caporedattore de l'Unità e pilastro della rivista satirica, andasse perduto.
«Era un manicomio, quella redazione».
Prego?
«C'era ad esempio uno spazio, una volta l'anno, dove ognuno poteva scrivere quel che voleva
con la garanzia che non ci sarebbe stata censura. Una volta uscirono certi sogni su di una
nostra giornalista, dopo i quali lei non potè fare altro che rassegnare le dimissioni» .
Un nome per l'anima della rivista ?
«Sicuramente Michele Serra. Era stato lui a proporre al direttore dell'Unità l'idea di Cuore
per riempire il buco lasciato dall' inserto Tango, e la sua scrittura era la migliore» .
La qualità dei testi rimase sempre un punto forte di Cuore, ma di certo non fu l'unico.
«Con la scrittura era la titolazione. Quando si trattò di raccontare la morte di Pertini, ad esempio, la notizia venne lasciata all'occhiello : il titolo, dissacrante, era "E' ancora vivo
Intini" (esponente storico del Pci, lungamente criticato dalla rivista, ndr)».
La macchina era ben oliata : perchè dunque cessarono le pubblicazioni ?
«Il declino era cominciato già da qualche tempo, quando due dei tre editori deciso di ritirarsi.
L'abbandono poi della direzione di Serra non fece altro che accelerare uno scivolamento già
avviato» .
Riusciremo mai a rivedere in edicola i titoli cubitali della rivista?
«In tanti ci chiedono di tornare a lavorare . E vedendo quello che succede oggi il materiale non
mancherebbe davvero. Chissà, magari un giorno ci sarà un nuovo Cuore».
Di certo il pubblico non mancherebbe.
«Ancora oggi la gente vuole leggere satira. E che piacere, per noi che chiudevamo a sera le
pagine, era uscire e vedere tanti ragazzi che sui mezzi sfogliavano la rivista »
La “pazza” redazione di «Cuore»: Sergio Banali sotto il tavolo. |
domenica 26 luglio 2015
La Turchia bombarda Isis e Pkk
Strabismo
Erdogan rompe gli indugi e decide di collaborare con la coalizione anti ISIS bombardando le posizioni dello Stato Islamico ma qualche bombetta gli scappa anche verso le postazioni curde del PKK impegnate nelle stessa difesa contro le forze del Califfato.
(CARTOONMOVEMENT)
UBER
Moyen-Orient. La Turquie entre en guerre contre l'Etat islamique en Syrie
Bleibel
Cresce di ora in ora la tensione in Turchia. Mentre Ankara intensifica i bombardamenti contro le basi dell’Isil e del PKK, due soldati sono stati uccisi e altri quattro sono rimasti feriti nell’esplosione di un’autobomba che aveva come obiettivo un convoglio militare nella provincia a maggioranza curda di Diyarbakir, nel Sud-Est del paese.
Intanto dagli Stati Uniti è arrivata la condanna agli attacchi terroristici dei separatisti curdi. Su Twitter il vice inviato speciale della Casa Bianca per la coalizione anti-Isil, Brett McGurk ha fatto sapere che la Turchia ha il pieno diritto all’autodifesa, augurandosi tuttavia che entrambe le parti continuino il processo verso la pace.
Una pace che al momento vacilla. La tregua del 2013 tra Ankara e PKK sembra di fatto saltata. Il Presidente Recep Tayyip Erdogan dopo un vertice a Istanbul con il Premier Ahmet Davutoglu e il comandante dell’esercito ha fatto sapere che la battaglia continuerà, le operazioni anti-terrorismo e i raid non si fermeranno.(fonte)
ERDOGAN VERSUS ISIS Marian Kamensky
ERDOGAN VERSUS ISIS
25 Jul 2015
Obama,Erdogan, IS
BY RAINER HACHFELD, NEUES DEUTSCHLAND, GERMANY - 7/24/2015
Dilem
Turkish TOP GUN Paolo Lombardi
Turkey attacks PKK and ISIS
25 Jul 2015
dal Web
Oktober 14 2014
Die Türkei bombardiert PKK-Stellungen
Kostas Koufogiorgos
sabato 25 luglio 2015
#Suruc, la denuncia di Latuff
Cartoon of the Day: ISIS Attack on Socialist Pro-Kurd Activists. Surprise? Via @BirGun_Gazetesi
Carlos Latuff - 20 luglio 2015
------------
Cartoon of the Day: @RT_Erdogan and the ISIS Safe Haven. Via @al_tagreer #SuructaKatliamVar pic.twitter.com/dqSjQmy1Ld
— Carlos Latuff (@LatuffCartoons) 20 Luglio 2015
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Cartoon of the Day: @RT_Erdogan's Invasion of #Syria: Act 1, Scene 1 (Via @MiddleEastMnt) pic.twitter.com/kOqma2PeBj
— Carlos Latuff (@LatuffCartoons) 23 Luglio 2015
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Cartoon of the Day: @RT_Erdogan's Invasion of #Syria: Act 1, Scene 1 (Via @MiddleEastMnt) pic.twitter.com/kOqma2PeBj
— Carlos Latuff (@LatuffCartoons) 23 Luglio 2015
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PKK, not ISIS, targeted by Turkey's airstrikes today! https://t.co/klQyyqiCkZ
— Carlos Latuff (@LatuffCartoons) 25 Luglio 2015
After raids on ISIL in Syria, Turkey extends bombing campaign to PKK targets in Iraq http://t.co/brKgAwHYd3 pic.twitter.com/4a40Q0sCrF
— AJE News (@AJENews) 25 Luglio 2015
#Suruc: la strage
drSRDR
L’esplosione avvenuta davanti al centro culturale Amara a Suruc, nel sudest della Turchia e vicino al confine con la Siria, sarebbe stata provocata da una kamikaze 18enne dello Stato islamico (ex Isil o Isis). È la speculazione che riporta il quotidiano turco Hurriyet. L’attacco ha preso di mira diversi giovani che si erano radunati al centro culturale per partire per Kobane. Secondo il giornale si tratta di almeno 300 membri della Federazione delle associazioni dei giovani socialisti (Sgdf), che dovevano partire con una spedizione estiva per contribuire alla ricostruzione di Kobane, che si trova proprio oltre al confine rispetto a Suruc in territorio siriano.(fonte)
L'attentato, che ha provocato almeno 30 morti e quasi un centinaio di feriti - alcuni dei quali in gravi condizioni - ha avuto luogo mentre era in corso una riunione della Federazione delle associazioni dei giovani socialisti, convocata per organizzare l'arrivo di aiuti nella città di Kobane, il centro a maggioranza curda in territorio siriano che nell'autunno 2014 aveva subito un'offensiva dallo Stato islamico, poi respinta.
Tra settembre e ottobre 2014 circa 200.000 rifugiati curdi erano fuggiti da Kobane ed erano arrivati a Suruç. Molti di loro continuano a essere accolti in città e nei dintorni.
eye opener
BY JOEP BERTRAMS, THE NETHERLANDS - 7/24/2015
Possibilità
Giovanni De Mauro
Volevano costruire una biblioteca, piantare degli alberi, attrezzare un campo giochi. Il più giovane del gruppo si chiamava Okan Pirinç, aveva diciassette anni e veniva da Antakya. I trentadue ragazzi uccisi il 20 luglio a Suruç, in Turchia, militavano nella Federazione delle associazioni dei giovani socialisti. Quando la bomba è esplosa si trovavano nel giardino del centro culturale Amara. Arrivavano da tutto il paese e stavano per andare a Kobane, dall’altra parte del confine, in territorio siriano, per dare una mano nella ricostruzione della città.
Okan Pirinç, Uğur Özkan, Kasım Deprem, Hatice Ezgi Saadet, Cemil Yıldız, Çağdaş Aydın, Nazlı Akyürek, Ferdane Ece Dinç, Mücahit Erol, Murat Yurtgül, Emrullah Akhamur, İsmet Şeker, Nartan Kılıç, Ferdane Kılıç, Serhat Devrim, Met Ali Barutçu, Erdal Bozkurt, Süleyman Aksu, Koray Çapoğlu, Cebrail Günebakan, Veysel Özdemir, Nazegül Boyraz, Alper Sapan, Alican Vural, Osman Çiçek, Dilek Bozkurt, Büşra Mete, Yunus Emre Şen, Ayda Ezgi Şalcı, Polen Ünlü, Duygu Tuna, Nurcan Kaçmaz: sono i nomi delle vittime identificate finora.
Erano ragazze e ragazzi che credevano nella possibilità di cambiare il mondo attraverso l’impegno politico. È per questo che li hanno uccisi.
Pourquoi un attentat en Turquie?
© Jiho (France)
Marilena Nardi ottobre 2014
Non dimentichiamo È l’unico modo per resistere all’Isis
di Joumana Haddad
L’attentato di Suruc è un vero dramma: per tutti quei morti e feriti e per via del fatto che una diciottenne fosse talmen te robotizzata da farsi esplodere uccidendo con se stessa decine d’innocenti, credendo così di compiacere il suo Dio. E quella ragazza non è un’eccezione di questi tempi, ma una «specie» in fase di moltiplicazione… La tragedia più devastante, dal mio punto di vista, sapete che cos’è? Che stiamo perdendo la facoltà di restare stupiti, scandalizzati, mortificati dalle barbarie che vediamo e leggiamo quasi quotidianamente. Stiamo diventando, un’atrocità dopo l’altra, più «spettatori», e meno coinvolti. Questo è, penso, il crimine più grande dello Stato Islamico, e in questo senso forse la sua più grande
«vittoria»: privarci della nostra facoltà di compatire e di sentirci offesi; dell’incapacità di sopportare che degli uomini siano decapitati, delle donne lapidate, dei giovani fatti a pezzi di fronte ai nostri occhi. Mi ricordo benissimo il giorno in cui, da bambina, durante la guerra civile libanese, ho camminato senza accorgermene su un cadavere mentre andavo a scuola. Fino ad oggi non posso dimenticare quella bocca spalancata a metà grido, quegli occhi vuoti che mi guardavano con dolore e vergogna. E a dire la verità, non vorrei dimenticare: non vorrei mai vivere in un mondo dove sia «normale» camminare sui cadaveri per andare a scuola in Libano, dove sia normale sentire che di persone bruciate vive in Siria e venire a sapere che una diciottenne si è fatta saltare
in aria in Turchia... Non vorrei vivere in un mondo dove noi esseri viventi saremo più morti dei morti perché avremo perso l’unica cosa che ci rende degni di vita: la nostra umanità.
Terrorism Shahrokh Heidari
Terrorism not only reminds us of the fragility of human life, but also the fragility of our humanity.
26 Sep 2013
L’esplosione avvenuta davanti al centro culturale Amara a Suruc, nel sudest della Turchia e vicino al confine con la Siria, sarebbe stata provocata da una kamikaze 18enne dello Stato islamico (ex Isil o Isis). È la speculazione che riporta il quotidiano turco Hurriyet. L’attacco ha preso di mira diversi giovani che si erano radunati al centro culturale per partire per Kobane. Secondo il giornale si tratta di almeno 300 membri della Federazione delle associazioni dei giovani socialisti (Sgdf), che dovevano partire con una spedizione estiva per contribuire alla ricostruzione di Kobane, che si trova proprio oltre al confine rispetto a Suruc in territorio siriano.(fonte)
#Suruc Morire tenendosi mano nella mano pic.twitter.com/fmLYRZpojb
— Gianluca Costantini (@channeldraw) 21 Luglio 2015
esplosione a #Suruc nella mappa di @zerocalcare su Kobane era la città a nord. Molti morti. Molta rabbia. pic.twitter.com/DvLS2bvCDw
— Claudio Riccio (@claudioriccio) 20 Luglio 2015
L'attentato, che ha provocato almeno 30 morti e quasi un centinaio di feriti - alcuni dei quali in gravi condizioni - ha avuto luogo mentre era in corso una riunione della Federazione delle associazioni dei giovani socialisti, convocata per organizzare l'arrivo di aiuti nella città di Kobane, il centro a maggioranza curda in territorio siriano che nell'autunno 2014 aveva subito un'offensiva dallo Stato islamico, poi respinta.
Tra settembre e ottobre 2014 circa 200.000 rifugiati curdi erano fuggiti da Kobane ed erano arrivati a Suruç. Molti di loro continuano a essere accolti in città e nei dintorni.
eye opener
BY JOEP BERTRAMS, THE NETHERLANDS - 7/24/2015
Possibilità
Giovanni De Mauro
Volevano costruire una biblioteca, piantare degli alberi, attrezzare un campo giochi. Il più giovane del gruppo si chiamava Okan Pirinç, aveva diciassette anni e veniva da Antakya. I trentadue ragazzi uccisi il 20 luglio a Suruç, in Turchia, militavano nella Federazione delle associazioni dei giovani socialisti. Quando la bomba è esplosa si trovavano nel giardino del centro culturale Amara. Arrivavano da tutto il paese e stavano per andare a Kobane, dall’altra parte del confine, in territorio siriano, per dare una mano nella ricostruzione della città.
Okan Pirinç, Uğur Özkan, Kasım Deprem, Hatice Ezgi Saadet, Cemil Yıldız, Çağdaş Aydın, Nazlı Akyürek, Ferdane Ece Dinç, Mücahit Erol, Murat Yurtgül, Emrullah Akhamur, İsmet Şeker, Nartan Kılıç, Ferdane Kılıç, Serhat Devrim, Met Ali Barutçu, Erdal Bozkurt, Süleyman Aksu, Koray Çapoğlu, Cebrail Günebakan, Veysel Özdemir, Nazegül Boyraz, Alper Sapan, Alican Vural, Osman Çiçek, Dilek Bozkurt, Büşra Mete, Yunus Emre Şen, Ayda Ezgi Şalcı, Polen Ünlü, Duygu Tuna, Nurcan Kaçmaz: sono i nomi delle vittime identificate finora.
Erano ragazze e ragazzi che credevano nella possibilità di cambiare il mondo attraverso l’impegno politico. È per questo che li hanno uccisi.
Pourquoi un attentat en Turquie?
© Jiho (France)
Marilena Nardi ottobre 2014
Non dimentichiamo È l’unico modo per resistere all’Isis
di Joumana Haddad
L’attentato di Suruc è un vero dramma: per tutti quei morti e feriti e per via del fatto che una diciottenne fosse talmen te robotizzata da farsi esplodere uccidendo con se stessa decine d’innocenti, credendo così di compiacere il suo Dio. E quella ragazza non è un’eccezione di questi tempi, ma una «specie» in fase di moltiplicazione… La tragedia più devastante, dal mio punto di vista, sapete che cos’è? Che stiamo perdendo la facoltà di restare stupiti, scandalizzati, mortificati dalle barbarie che vediamo e leggiamo quasi quotidianamente. Stiamo diventando, un’atrocità dopo l’altra, più «spettatori», e meno coinvolti. Questo è, penso, il crimine più grande dello Stato Islamico, e in questo senso forse la sua più grande
«vittoria»: privarci della nostra facoltà di compatire e di sentirci offesi; dell’incapacità di sopportare che degli uomini siano decapitati, delle donne lapidate, dei giovani fatti a pezzi di fronte ai nostri occhi. Mi ricordo benissimo il giorno in cui, da bambina, durante la guerra civile libanese, ho camminato senza accorgermene su un cadavere mentre andavo a scuola. Fino ad oggi non posso dimenticare quella bocca spalancata a metà grido, quegli occhi vuoti che mi guardavano con dolore e vergogna. E a dire la verità, non vorrei dimenticare: non vorrei mai vivere in un mondo dove sia «normale» camminare sui cadaveri per andare a scuola in Libano, dove sia normale sentire che di persone bruciate vive in Siria e venire a sapere che una diciottenne si è fatta saltare
in aria in Turchia... Non vorrei vivere in un mondo dove noi esseri viventi saremo più morti dei morti perché avremo perso l’unica cosa che ci rende degni di vita: la nostra umanità.
Terrorism not only reminds us of the fragility of human life, but also the fragility of our humanity.
26 Sep 2013
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venerdì 24 luglio 2015
Ritratto di Ilaria Occhini
Su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Ilaria Occhini
Ilaria Occhini: "Non sarò mai pacificata, ancora balbetto la prima battuta"
L'attrice fiorentina diretta da Visconti, Risi, Ronconi, Patroni Griffi: "Luchino Visconti aveva un'estetica esibita e classica, minacciata a volte dal suo lato isterico. Quando si invaghì di Delon c'era solo lui. E Alain sentiva di essere il prescelto"
di ANTONIO GNOLI
FORSE ha perfettamente ragione Raffaele La Capria quando, rivolgendosi all'amore di quasi tutta la vita, le dice: "Ho l'impressione cara che dovrei allontanarmi. Non ascoltare quel che dici. A un estraneo si raccontano cose che è giusto non sentire". E lei, Ilaria Occhini, lo guarda con tenerezza e imbarazzo. E gli dice di restare perché le sue parole non tradiranno. È una scena di una bellezza senza rimorsi. Come tra due amanti che ritrovino la ragione profonda dello stare assieme. Sorridono. Raffaele con una leggera irrequietezza. Ilaria mostrando la tensione di un esordio: "Non mi abituerò mai a pronunciare la prima battuta. La sento tra la lingua e il palato. Come una sorsata di buon vino. La voce ne sciacqua il timbro. Cerco di modulare, ritmare, impostare. Ma ogni volta è morire". Pronuncia "morire" stringendosi le mani.
Sa una cosa?
"Cosa?".
È sorprendente questa dichiarazione di insicurezza.
"Perché?".
Da una donna bella, ammirata, fotografata, descritta, ci si aspetterebbe una presenza piena e sicura.
"Se a volte posso essere determinata, la determinazione non è il mio tratto distintivo. Non amo la prepotenza, però mi piacciono le figure forti. Di solito c'è in loro una chiarezza maggiore. Ho spesso pensato che il teatro, diversamente dal cinema, si nutre di una forza interiore, primitiva. Elementare. Di una chiarezza esistenziale che il cinema non ha. Anche se col cinema ho iniziato la mia carriera".
In che maniera?
"Cercavano una liceale per un film di Luciano Emmer. Fui segnalata al regista. Il suo aiuto, Francesco Rosi, venne appositamente a Firenze dove vivevo. Sulla terrazza di casa ci fu il provino. Andò bene. Interpretai la parte di una studentessa. Un ruolo corale in un film che descriveva bene i turbamenti e i problemi di una gioventù dopo la guerra. Era il 1953. Ricordo anche la fotografia diretta da Mario Bava, che sarebbe diventato in seguito un regista cult".
Che ricordo ha di Emmer?
"Ho spesso pensato a lui come a un grande artigiano del cinema. Sul set era un uomo spiritoso. Ma devo dire che dopo quella esperienza non pensai minimamente di dedicarmi al cinema. Però accadde un episodio che mi riportò dentro quel mondo".
Quale?
"Durante un grande ballo a Firenze, Henry Clarke mi dedicò una serie di scatti. Una mia foto finì sulla rivista Vogue con la didascalia: "La bella italiana". Robert Bresson le vide e mi fece contattare. Cercava il ruolo di protagonista per La Princesse de Clèves. Andai a trovarlo a Parigi. Emozionata di trovarmi davanti a un grande regista. Mi disse che ero adatta ma che dovevo migliorare il mio francese. Sei mesi dopo avevo un accento perfetto. Ma il film non si fece. Una questione di diritti bloccò la produzione. E Bresson rinunciò a girare il film".
Immagino la sua delusione.
"Provai dolore. Credevo in quel ruolo. Credevo nelle mie possibilità. In quei mesi, di studio, sentivo crescere progetti e certezze. Tutto andò in fumo. Che fare? Pensai che la cosa più naturale fosse di iscrivermi all'Accademia d'Arte Drammatica. Feci il provino con gli occhi chiusi tanta era forte la tensione. Ottenni l'ammissione. E così nacque la mia storia con il teatro".
Chi frequentava allora?
"Divenni amica di due persone più grandi di me: Mario Missiroli che sarebbe diventato un eccellente regista teatrale. La prima volta che lo vidi gli chiesi se conosceva i Casini. La mia famiglia era molto amica dell'editore Gherardo Casini che aveva frequentato mio nonno, Giovanni Papini. Mario mi guardò con ironia: ma certo che conosco i casini, sono un autorità in materia. E poi scoppiò in una risata. L'altro grande amico fu Luca Ronconi".
Un talento anaffettivo, si è detto di lui.
"Lo era nel senso che sapeva avere un distacco dalle cose. Ma credo che gli costasse. A un certo punto della sua vita Luca avvertì una specie di crisi creativa. Non riusciva più a scrivere. Per questo andò in analisi".
Perché le viene in mente questo episodio?
"Penso che le persone non sono mai una sola cosa. Luca, a un certo punto, cominciò a liquefarsi. Provavo pena ma anche sollievo per un amico che aveva perso sicurezza. Pensavo che fosse un'occasione per rinascere. Come del resto è poi accaduto. Ci rendiamo conto degli amici quando abbiamo la sensazione di perderli. E poi è bellissimo ritrovarli".
Si perdono per i motivi più diversi.
"È vero, anche per stanchezza. L'amicizia richiede uno sforzo, un esercizio continuo con l'altro non indifferente".
Anche in amore è così?
"In amore c'è la sopportazione del quotidiano. Qualcosa talvolta di eroico e di misterioso. Ma anche di terribile. Le piccole viltà. Il bisogno del quieto vivere. L'amore è una scuola di resistenza".
Anche una scuola di recitazione?
"In certi casi sì. In certi casi si recita a soggetto".
Come è stato il suo esordio teatrale?
"Grandioso e catastrofico allo stesso tempo".
Cioè?
"Era la fine degli anni Cinquanta e, grazie agli sceneggiati, stavo riscuotendo un successo notevole in televisione. Ero diventata famosa. Volevo fare teatro e pensai di avvicinare Visconti, che non conoscevo. Sapevo però che cercava un ruolo per un suo Goldoni. Telefonai a Paolo Stoppa che era il tramite con Luchino. Paolo era un uomo greve e cinico. Ai suoi occhi ero solo un pezzo di carne. Doveva solo stabilire se pregiata o no. Alla fine chiamò Visconti il quale, dopo avermi vista, mi scritturò. Debutto, qualche mese dopo, alla Fenice di Venezia".
Cosa accadde?
"Preparai la mia parte con grandissimo impegno. Mi sentivo perfetta. La sera della prima Luchino mi disse: sarà un esordio indimenticabile. E tale fu. Quando vidi la platea, un mare di smoking bianchi, fui presa dal panico. La voce cominciò ad andare per conto proprio. Non la controllavo. Non controllavo il respiro. Ero nel pallone. Questo fu il debutto: un disastro. Visconti restò sconcertato. Deluso".
Lei cosa provò?
"Mi sarei scavata una fossa per nascondermi. Mi sentivo ridicola, inadeguata, cretina. Ma soprattutto avvertivo un senso di vergogna per aver tradito le aspettative di chi credeva in me. Visconti fu straordinario e mi sostenne comunque. Quanto a me, per anni mi sono portata dentro questo fallimento. E ancora oggi sento come uno stordimento ogni qualvolta inizio qualcosa di teatrale".
È diverso dal cinema?
"Nel cinema c'è una meccanicità che il teatro non conosce. Il teatro è un viaggio sentimentale. Pieno di insidie e tormenti. Ronconi lo vedeva come una discesa nelle parti meno note dell'anima. Visconti come una specie di risalita. Il gioco è tutto qui: perdersi e ritrovarsi; oppure trovarsi e poi perdersi".
Chi era più bravo in questo gioco?
"Forse Visconti. Aveva un'estetica più esibita, più classica. Minacciata a volte dal suo lato isterico".
Isterico?
"Sono sensazioni. Ricordo quando Luchino si invaghì di Alain Delon. Non c'era che lui. E Delon, in qualche modo, sentiva di essere il prescelto. Un giorno, a casa di Visconti, sentii le urla di Delon contro un cameriere che aveva sbagliato nel portargli una certa cosa. Istericamente Luchino si accodò a quelle urla, rincarò l'episodio maltrattando il povero cameriere. Le ingiustizie dei grandi".
So che ha lavorato con Delon.
"In un film di produzione francese. C'era anche Jean Gabin. Non parlavano che di donne o di cibo. Ascoltarli fuori dal set faceva precipitare velocemente il loro fascino. Comunque regalai a Gabin un bel pezzo di parmigiano. Non lo so. Mi pareva che le due cose si somigliassero".
Non capisco se lei sia una donna più adirata o più sorpresa dalla vita.
"Adirata no. Sorpresa direi di sì. Per esempio ho avvertito con stupore e disapprovazione un profondo mutamento di giudizio nei riguardi di mio nonno Giovanni Papini".
Cosa intende?
"Sono stata, come nipote, la persona che negli ultimi anni gli fu più vicino. Ma ricordo perfettamente il periodo fiorentino e le persone che venivano a omaggiare il nonno. Una rincorsa. Poi finita la guerra le stesse persone cominciarono a insultarne la figura, a dire che Papini era stato un mascalzone. Come era possibile che lo stesso uomo, prima venerato, fosse stato ridotto alla stregua di un mostro? Questo non fece che alimentare le mie incertezze giovanili".
Una spiegazione era possibile.
"E quale, che il nonno era stato fascista? Tutti, tranne qualche eccezione, lo furono".
Lo si accusò di aver firmato il "manifesto della razza".
"Ma questa è una balla! Non risulta, per quello che ne so, da nessuna parte un'adesione del genere. Oltretutto nel 1939, cioè un anno dopo quel famigerato documento, il nonno scrisse un articolo sulla rivista Frontespizio contro i teorici della razza. Perché avrebbe dovuto firmare?".
Forse perché proprio quell'anno era stato eletto accademico d'Italia. Non si occupava quel posto senza una fedeltà dichiarata al fascismo.
"Intanto anche Luigi Pirandello, Guglielmo Marconi, Marinetti furono nominati accademici. Erano fascisti? Sì, lo erano. Come lo fu il nonno, ma senza nefandezze".
Anche suo padre, Barna Occhini, fu un esponente culturale del fascismo. Come furono i rapporti tra voi?
"Nonostante tutto molto affettuosi. Capivo la sua irruenza. Il suo orgoglio. Mio padre era un critico d'arte e un letterato. Aveva una propria concezione dell'onore. C'è una sua lunga lettera, che in parte lo storico Renzo De Felice pubblicò, nella quale mio padre se la prendeva con Mussolini. È una lettera del 1944. Un atto di accusa non contro il fascismo ma contro la viltà del duce. Lo accusa di essersi ritirato e di non far nulla per combattere i tedeschi che ci depredano. "Non ha niente da dire?", scrive. "Voi restate nascosto e inaccessibile in un misterioso angolino d'Italia". Questo era mio padre. E quando è morto, Antonello Trombadori che gli fu amico, nonostante fossero politicamente agli antipodi, mi disse: "Ilaria ho stimato molto tuo padre e gli ho voluto bene"".
Si parlava poc'anzi dell'amore. Una grande storia è stata quella di lei con La Capria, che è qui presente.
"Mi fa piacere che ci sia. Lui dice che la verità quando si è vecchi diventa più importante della poesia".
Cosa vuol dire?
"Che in fondo non vale la pena dipingersi migliori di quello che si è. Io, ad esempio, sono stata si dice bellissima. Non credo di esserlo più. Mi dico, cosa penserà la gente quando esco in strada dopo ore di trucco? Non è ridicolo tutto questo affannarsi?".
Com'è il vostro rapporto?
"Dudù dice che siamo come questa foto: due vecchietti che sorridono. Lui si sente pacificato. Ha buoni rapporti con le persone e il mondo".
E lei?
"Meno. Molto meno. Dudù dice che sono una "scassacazzi". Non la classica moglie adorante. Dice che non mi piace mai niente di quello che scrive. Non è vero. Gli fa comodo pensarlo. Ma non è vero. Ma dopotutto io sono un'aristocratica e lui un borghese".
C'è un racconto di suo marito molto bello e molto crudo in cui mette un po' a nudo il vostro rapporto che iniziò nel 1961.
"Fu l'anno in cui vinse lo Strega. Ci innamorammo perdutamente e perdutamente siamo stati insieme".
In questo racconto parla anche di tradimenti.
"Ognuno ha il diritto di dire quello che vuole. Di confessarsi pubblicamente. È stato un rapporto lunghissimo. Capisco le rivendicazioni. I momenti alti e bassi. Ci siamo conosciuti. Ci siamo fatti del bene e del male. E questo è tutto".
Proprio tutto?
"Non ci sono più terre selvagge da sognare. O da conquistare. Magari a questo punto uno ricorre al viatico divino. Mi colpì molto mio nonno che dopo essere stato un fervente mangiapreti si convertì profondamente. È morto facendosi leggere i Vangeli. Come uomo passò gli ultimi anni della vita afflitto da una devastante sclerosi. Il male progrediva. Fino a quando perse tutto. Gli restò solo il movimento di un dito e con quello, per comunicare, indicava le lettere dell'alfabeto. Ecco cos'è un intellettuale eroico. Non quegli stronzi che ne fecero una macchietta".
Finiamo in gloria?
"Ma no, finiamo come abbiamo cominciato. Io che prendo la parola e balbetto. Mi emoziono. Rido e piango. Ilaria, mi dico, il guaio non è essere vecchi, ma sentirsi giovani ".
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Ilaria Occhini
Ilaria Occhini: "Non sarò mai pacificata, ancora balbetto la prima battuta"
L'attrice fiorentina diretta da Visconti, Risi, Ronconi, Patroni Griffi: "Luchino Visconti aveva un'estetica esibita e classica, minacciata a volte dal suo lato isterico. Quando si invaghì di Delon c'era solo lui. E Alain sentiva di essere il prescelto"
di ANTONIO GNOLI
FORSE ha perfettamente ragione Raffaele La Capria quando, rivolgendosi all'amore di quasi tutta la vita, le dice: "Ho l'impressione cara che dovrei allontanarmi. Non ascoltare quel che dici. A un estraneo si raccontano cose che è giusto non sentire". E lei, Ilaria Occhini, lo guarda con tenerezza e imbarazzo. E gli dice di restare perché le sue parole non tradiranno. È una scena di una bellezza senza rimorsi. Come tra due amanti che ritrovino la ragione profonda dello stare assieme. Sorridono. Raffaele con una leggera irrequietezza. Ilaria mostrando la tensione di un esordio: "Non mi abituerò mai a pronunciare la prima battuta. La sento tra la lingua e il palato. Come una sorsata di buon vino. La voce ne sciacqua il timbro. Cerco di modulare, ritmare, impostare. Ma ogni volta è morire". Pronuncia "morire" stringendosi le mani.
Sa una cosa?
"Cosa?".
È sorprendente questa dichiarazione di insicurezza.
"Perché?".
Da una donna bella, ammirata, fotografata, descritta, ci si aspetterebbe una presenza piena e sicura.
"Se a volte posso essere determinata, la determinazione non è il mio tratto distintivo. Non amo la prepotenza, però mi piacciono le figure forti. Di solito c'è in loro una chiarezza maggiore. Ho spesso pensato che il teatro, diversamente dal cinema, si nutre di una forza interiore, primitiva. Elementare. Di una chiarezza esistenziale che il cinema non ha. Anche se col cinema ho iniziato la mia carriera".
In che maniera?
"Cercavano una liceale per un film di Luciano Emmer. Fui segnalata al regista. Il suo aiuto, Francesco Rosi, venne appositamente a Firenze dove vivevo. Sulla terrazza di casa ci fu il provino. Andò bene. Interpretai la parte di una studentessa. Un ruolo corale in un film che descriveva bene i turbamenti e i problemi di una gioventù dopo la guerra. Era il 1953. Ricordo anche la fotografia diretta da Mario Bava, che sarebbe diventato in seguito un regista cult".
Che ricordo ha di Emmer?
"Ho spesso pensato a lui come a un grande artigiano del cinema. Sul set era un uomo spiritoso. Ma devo dire che dopo quella esperienza non pensai minimamente di dedicarmi al cinema. Però accadde un episodio che mi riportò dentro quel mondo".
Quale?
"Durante un grande ballo a Firenze, Henry Clarke mi dedicò una serie di scatti. Una mia foto finì sulla rivista Vogue con la didascalia: "La bella italiana". Robert Bresson le vide e mi fece contattare. Cercava il ruolo di protagonista per La Princesse de Clèves. Andai a trovarlo a Parigi. Emozionata di trovarmi davanti a un grande regista. Mi disse che ero adatta ma che dovevo migliorare il mio francese. Sei mesi dopo avevo un accento perfetto. Ma il film non si fece. Una questione di diritti bloccò la produzione. E Bresson rinunciò a girare il film".
Immagino la sua delusione.
"Provai dolore. Credevo in quel ruolo. Credevo nelle mie possibilità. In quei mesi, di studio, sentivo crescere progetti e certezze. Tutto andò in fumo. Che fare? Pensai che la cosa più naturale fosse di iscrivermi all'Accademia d'Arte Drammatica. Feci il provino con gli occhi chiusi tanta era forte la tensione. Ottenni l'ammissione. E così nacque la mia storia con il teatro".
Chi frequentava allora?
"Divenni amica di due persone più grandi di me: Mario Missiroli che sarebbe diventato un eccellente regista teatrale. La prima volta che lo vidi gli chiesi se conosceva i Casini. La mia famiglia era molto amica dell'editore Gherardo Casini che aveva frequentato mio nonno, Giovanni Papini. Mario mi guardò con ironia: ma certo che conosco i casini, sono un autorità in materia. E poi scoppiò in una risata. L'altro grande amico fu Luca Ronconi".
Un talento anaffettivo, si è detto di lui.
"Lo era nel senso che sapeva avere un distacco dalle cose. Ma credo che gli costasse. A un certo punto della sua vita Luca avvertì una specie di crisi creativa. Non riusciva più a scrivere. Per questo andò in analisi".
Perché le viene in mente questo episodio?
"Penso che le persone non sono mai una sola cosa. Luca, a un certo punto, cominciò a liquefarsi. Provavo pena ma anche sollievo per un amico che aveva perso sicurezza. Pensavo che fosse un'occasione per rinascere. Come del resto è poi accaduto. Ci rendiamo conto degli amici quando abbiamo la sensazione di perderli. E poi è bellissimo ritrovarli".
Si perdono per i motivi più diversi.
"È vero, anche per stanchezza. L'amicizia richiede uno sforzo, un esercizio continuo con l'altro non indifferente".
Anche in amore è così?
"In amore c'è la sopportazione del quotidiano. Qualcosa talvolta di eroico e di misterioso. Ma anche di terribile. Le piccole viltà. Il bisogno del quieto vivere. L'amore è una scuola di resistenza".
Anche una scuola di recitazione?
"In certi casi sì. In certi casi si recita a soggetto".
Come è stato il suo esordio teatrale?
"Grandioso e catastrofico allo stesso tempo".
Cioè?
"Era la fine degli anni Cinquanta e, grazie agli sceneggiati, stavo riscuotendo un successo notevole in televisione. Ero diventata famosa. Volevo fare teatro e pensai di avvicinare Visconti, che non conoscevo. Sapevo però che cercava un ruolo per un suo Goldoni. Telefonai a Paolo Stoppa che era il tramite con Luchino. Paolo era un uomo greve e cinico. Ai suoi occhi ero solo un pezzo di carne. Doveva solo stabilire se pregiata o no. Alla fine chiamò Visconti il quale, dopo avermi vista, mi scritturò. Debutto, qualche mese dopo, alla Fenice di Venezia".
Cosa accadde?
"Preparai la mia parte con grandissimo impegno. Mi sentivo perfetta. La sera della prima Luchino mi disse: sarà un esordio indimenticabile. E tale fu. Quando vidi la platea, un mare di smoking bianchi, fui presa dal panico. La voce cominciò ad andare per conto proprio. Non la controllavo. Non controllavo il respiro. Ero nel pallone. Questo fu il debutto: un disastro. Visconti restò sconcertato. Deluso".
Lei cosa provò?
"Mi sarei scavata una fossa per nascondermi. Mi sentivo ridicola, inadeguata, cretina. Ma soprattutto avvertivo un senso di vergogna per aver tradito le aspettative di chi credeva in me. Visconti fu straordinario e mi sostenne comunque. Quanto a me, per anni mi sono portata dentro questo fallimento. E ancora oggi sento come uno stordimento ogni qualvolta inizio qualcosa di teatrale".
È diverso dal cinema?
"Nel cinema c'è una meccanicità che il teatro non conosce. Il teatro è un viaggio sentimentale. Pieno di insidie e tormenti. Ronconi lo vedeva come una discesa nelle parti meno note dell'anima. Visconti come una specie di risalita. Il gioco è tutto qui: perdersi e ritrovarsi; oppure trovarsi e poi perdersi".
Chi era più bravo in questo gioco?
"Forse Visconti. Aveva un'estetica più esibita, più classica. Minacciata a volte dal suo lato isterico".
Isterico?
"Sono sensazioni. Ricordo quando Luchino si invaghì di Alain Delon. Non c'era che lui. E Delon, in qualche modo, sentiva di essere il prescelto. Un giorno, a casa di Visconti, sentii le urla di Delon contro un cameriere che aveva sbagliato nel portargli una certa cosa. Istericamente Luchino si accodò a quelle urla, rincarò l'episodio maltrattando il povero cameriere. Le ingiustizie dei grandi".
So che ha lavorato con Delon.
"In un film di produzione francese. C'era anche Jean Gabin. Non parlavano che di donne o di cibo. Ascoltarli fuori dal set faceva precipitare velocemente il loro fascino. Comunque regalai a Gabin un bel pezzo di parmigiano. Non lo so. Mi pareva che le due cose si somigliassero".
Non capisco se lei sia una donna più adirata o più sorpresa dalla vita.
"Adirata no. Sorpresa direi di sì. Per esempio ho avvertito con stupore e disapprovazione un profondo mutamento di giudizio nei riguardi di mio nonno Giovanni Papini".
Cosa intende?
"Sono stata, come nipote, la persona che negli ultimi anni gli fu più vicino. Ma ricordo perfettamente il periodo fiorentino e le persone che venivano a omaggiare il nonno. Una rincorsa. Poi finita la guerra le stesse persone cominciarono a insultarne la figura, a dire che Papini era stato un mascalzone. Come era possibile che lo stesso uomo, prima venerato, fosse stato ridotto alla stregua di un mostro? Questo non fece che alimentare le mie incertezze giovanili".
Una spiegazione era possibile.
"E quale, che il nonno era stato fascista? Tutti, tranne qualche eccezione, lo furono".
Lo si accusò di aver firmato il "manifesto della razza".
"Ma questa è una balla! Non risulta, per quello che ne so, da nessuna parte un'adesione del genere. Oltretutto nel 1939, cioè un anno dopo quel famigerato documento, il nonno scrisse un articolo sulla rivista Frontespizio contro i teorici della razza. Perché avrebbe dovuto firmare?".
Forse perché proprio quell'anno era stato eletto accademico d'Italia. Non si occupava quel posto senza una fedeltà dichiarata al fascismo.
"Intanto anche Luigi Pirandello, Guglielmo Marconi, Marinetti furono nominati accademici. Erano fascisti? Sì, lo erano. Come lo fu il nonno, ma senza nefandezze".
Anche suo padre, Barna Occhini, fu un esponente culturale del fascismo. Come furono i rapporti tra voi?
"Nonostante tutto molto affettuosi. Capivo la sua irruenza. Il suo orgoglio. Mio padre era un critico d'arte e un letterato. Aveva una propria concezione dell'onore. C'è una sua lunga lettera, che in parte lo storico Renzo De Felice pubblicò, nella quale mio padre se la prendeva con Mussolini. È una lettera del 1944. Un atto di accusa non contro il fascismo ma contro la viltà del duce. Lo accusa di essersi ritirato e di non far nulla per combattere i tedeschi che ci depredano. "Non ha niente da dire?", scrive. "Voi restate nascosto e inaccessibile in un misterioso angolino d'Italia". Questo era mio padre. E quando è morto, Antonello Trombadori che gli fu amico, nonostante fossero politicamente agli antipodi, mi disse: "Ilaria ho stimato molto tuo padre e gli ho voluto bene"".
Si parlava poc'anzi dell'amore. Una grande storia è stata quella di lei con La Capria, che è qui presente.
"Mi fa piacere che ci sia. Lui dice che la verità quando si è vecchi diventa più importante della poesia".
Cosa vuol dire?
"Che in fondo non vale la pena dipingersi migliori di quello che si è. Io, ad esempio, sono stata si dice bellissima. Non credo di esserlo più. Mi dico, cosa penserà la gente quando esco in strada dopo ore di trucco? Non è ridicolo tutto questo affannarsi?".
Com'è il vostro rapporto?
"Dudù dice che siamo come questa foto: due vecchietti che sorridono. Lui si sente pacificato. Ha buoni rapporti con le persone e il mondo".
E lei?
"Meno. Molto meno. Dudù dice che sono una "scassacazzi". Non la classica moglie adorante. Dice che non mi piace mai niente di quello che scrive. Non è vero. Gli fa comodo pensarlo. Ma non è vero. Ma dopotutto io sono un'aristocratica e lui un borghese".
C'è un racconto di suo marito molto bello e molto crudo in cui mette un po' a nudo il vostro rapporto che iniziò nel 1961.
"Fu l'anno in cui vinse lo Strega. Ci innamorammo perdutamente e perdutamente siamo stati insieme".
In questo racconto parla anche di tradimenti.
"Ognuno ha il diritto di dire quello che vuole. Di confessarsi pubblicamente. È stato un rapporto lunghissimo. Capisco le rivendicazioni. I momenti alti e bassi. Ci siamo conosciuti. Ci siamo fatti del bene e del male. E questo è tutto".
Proprio tutto?
"Non ci sono più terre selvagge da sognare. O da conquistare. Magari a questo punto uno ricorre al viatico divino. Mi colpì molto mio nonno che dopo essere stato un fervente mangiapreti si convertì profondamente. È morto facendosi leggere i Vangeli. Come uomo passò gli ultimi anni della vita afflitto da una devastante sclerosi. Il male progrediva. Fino a quando perse tutto. Gli restò solo il movimento di un dito e con quello, per comunicare, indicava le lettere dell'alfabeto. Ecco cos'è un intellettuale eroico. Non quegli stronzi che ne fecero una macchietta".
Finiamo in gloria?
"Ma no, finiamo come abbiamo cominciato. Io che prendo la parola e balbetto. Mi emoziono. Rido e piango. Ilaria, mi dico, il guaio non è essere vecchi, ma sentirsi giovani ".
giovedì 23 luglio 2015
In ricordo di Marco Scudeletti
Ciao Marco... preferisco ricordati così... PV (Pietro Vanessi) |
Martedì 21 luglio guardo la mia bacheca Facebook e leggo
uno status di Marco Scudeletti, della sera prima, che commentando un altro post scriveva ironicamente :
«Tutto sommato sembra il mio ritratto giovanile.
Ci dovrei solo aggiungere: Sono un pensionato 72enne, il che fa di me un affamatore del popolo ed un incrementatore del deficit statale e sociale.»
Riguardo poco dopo Facebook e vedo il messaggio di sua moglie Patrizia, che scrive che Marco era morto alle sei e mezzo di mattina....
No Marco eri ancora troppo giovane...
potevi ancora affamarci a lungo...
amico caro, ci mancheranno le tue foto, le tue albe, i tuoi tramonti, tutte le tue foto, ma anche la tua schiettezza e la tua sagacità.
Mi avevi chiesto l'amicizia per la comune passione di
sabato 18 luglio 2015
MIKS 2015: the winners
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