Modificato 10/10/2010
Mi ero riproposta di non scrivere su questo brutto argomento...
ma poi stamattina quando ho visto la vignetta dell'amico Uber ( con cui concordo) e letto l'articolo di Aldo Grasso( con cui disaccordo) non posso esimermi dal farlo .... sono nauseata...indignata
era già brutto di per se ma poi tutto questo accanimento mediatico, che orrore!
...non guardo mai chi L'ha visto, ma non credo nella buona fede della giornalista e di tutto lo staff ... la speculazione c'è stata ( già in primissima serata le news di google davano la notizia)....
...e non è la prima volta ... ricordate il caso Carretta? la confessione in diretta tv, conosco i familiari, non ho le parole per raccontare il loro strazio ad avere appreso la notizia così pubblicamente...
Ho riportato 3 articoli oltre alle vignette quello di Calabresi, di Gramellini e quello di Grasso ...solo opinioni sulla moralità dell'informazione televisiva ... nulla sugli avvenimenti per rispetto a quell'angelo che non c'è più... Sarah.
LA PIETA' : "chi l'ha vista?"
A "chi l'ha visto" si è avuto un brutto esempio di come può degenerare il tritacarne mediatico.
La pietà sembra essere un sentimento fuori moda o meglio tacitato dall'imperativo di oggi dell'informazione in diretta ed a ogni costo.
Pubblicato da
uber
Etichette: informazione, tv
La macchina del dolore
Siamo tutti vittime della stessa macchina. La macchina del dolore, che si nutre di casi umani e in cambio macina numeri dell’Auditel, quelli che fanno la gioia e il fatturato dei pubblicitari. Loro, i burattinai. Gli altri - giornalisti, pubblico, ospiti - i burattini. Colpevoli, naturalmente, ma solo di non avere la forza di strappare il filo. Federica Sciarelli è una giornalista in gamba e una persona perbene, ma forse ha mancato di freddezza. Avuto sentore della notiziaccia, avrebbe dovuto mandare la pubblicità e soltanto dopo, lontano dalle luci della diretta, rivolgersi alla madre in pena, invitandola ad allontanarsi dal video e a chiamare i carabinieri. Una questione di rispetto, ma in questa società di ego arroventati chi ha ancora la forza e la voglia di mettersi nei panni del prossimo, guardando le situazioni dal suo punto di vista?
Noi giornalisti siamo colpevoli di abitare il mondo senza provare a cambiarlo ed è una colpa grave, lo riconosco.
La consapevolezza del potere dei media accresce le nostre responsabilità, ma non può annullare completamente quelle degli altri. Mi riferisco anzitutto agli ospiti dei programmi. Il presenzialismo televisivo della mamma di Sarah ha l’attenuante della buona fede. Ma fino a qualche anno fa i parenti delle persone scomparse andavano in tv per il tempo minimo necessario a leggere un comunicato o pronunciare un appello. Poi si ritiravano nel loro sgomento. Adesso non trovano di meglio che bivaccare per giorni e giorni in tv: non davanti al video ma dentro. Spalancando alla prima telecamera di passaggio la stanza della figlia scomparsa e accettando di partecipare a una trasmissione come «Chi l’ha visto?» dalla casa del cognato, sul quale in quel momento già gravavano forti sospetti.
Non accuso la signora: è cresciuta con questa tv che sembra onnipotente, nel vuoto che c’è. Una tv che è vita meglio della vita e in cui il Gabibbo ha preso il posto del poliziotto, «Forum» del pretore e «Chi l’ha visto?» del detective Marlowe. Mi limito a riconoscere in quelle come lei la vera carne da macello televisivo. Carne che si immola volontariamente, nella convinzione che oggi la televisione possa darti tutto, persino tua figlia. Giornalisti emotivi, tronisti del dolore. Il ritratto di famiglia è quasi completo. Manca l’ultimo tassello, forse il più importante. I telespettatori. Le tante prefiche guardone che sputano sentenze dal salotto di casa. Ah, quanta sacrosanta indignazione! Peccato che durante il melodramma il pubblico di «Chi l’ha visto?» sia più che raddoppiato. Erano talmente occupati a indignarsi che si sono dimenticati di compiere l’unico gesto che potrebbe davvero cambiare questo sistema fondato sul pigro consenso del popolo: spegnere il televisore.
Massimo Gramellini
( la Stampa)
Il fascino della mostruosità
Toto Calì
TOTO' CALI
'
this is reality
fabiomagnasciutti
8/10/2010
Sarah: l'orrore in diretta
spinga a fare un passo indietro
Trovo agghiacciante come è stata condotta la trasmissione Chi l’ha visto di mercoledì scorso. La Sciarelli che cercava di fare lo scoop in diretta sul ritrovamento del corpo di una bambina, con la madre presente che non aveva ancora appreso la notizia.
LUISA FENOGLIO
H o assistito inorridito alla trasmissione Chi l’ha visto, all’interno della quale una affannatissima Sciarelli annunciava in diretta il presunto ritrovamento del cadavere di Sarah, collegata coi parenti della vittima riuniti a casa. Quale deontologia professionale viene rispettata dai giornalisti? Quale valore aggiunto ha fornito il teatrino, se non quello di far crescere una audience morbosa? Il viso basito della madre di Sarah mi ha fatto spegnere il televisore.
IVANO CREPALDI
Ieri sera ho assistito per quanto il mio senso della decenza me l’abbia permesso alla trasmissione Chi l’ha visto. È vero che molte indagini sono state riaperte a seguito di interventi in trasmissione ma deve esistere un limite all’intrusione nelle vicende private. Non tutto si può mostrare, non tutto si deve esibire. Ormai la tivù invece esibisce tutto, ieri persino la notizia della morte di una figlia data in diretta in una sorta di via crucis multimediale.
EZIO VARDANEGA
Lo strazio della mamma di Sarah, che appariva stordita e paralizzata alla notizia del possibile ritrovamento del corpo della figlia, riesco appena ad immaginarlo. È un dolore totale, devastante e non penso che per lei abbia fatto la differenza essere in diretta televisiva. Nel momento in cui ti dicono che la tua bambina è morta nulla ha più senso, tutto ciò che è fuori dalla lacerazione della tua vita, dal rapporto intimo e totalizzante con tua figlia e dalla mancanza improvvisa che provi, non esiste.
Nel momento in cui crollano le speranze coltivate per settimane, quelle illusioni che sono state l’energia per andare avanti, non si è più in grado di decidere nulla e per questo penso sia stato ipocrita chiedere alla signora se voleva restare o lasciare la trasmissione.
Anche il ruolo di Federica Sciarelli era difficilissimo ed è facile dire adesso, a mente fredda, come ci saremmo comportati noi al suo posto. Però non riesco a togliermi dagli occhi quello strazio e penso che per il rispetto di tutti noi sarebbe stato giusto e coraggioso chiudere il collegamento con quella casa pugliese.
Ogni giorno di più penso che la questione cruciale del giornalismo oggi non sia più l’urgenza di pubblicare ogni cosa che ci passa per le mani o di far vedere tutto ma la capacità di sapersi fermare, di rinunciare, di saper fare un passo indietro.
Calabresi (la Stampa)
Se la morte è in 3D
Lenuit INSERTO SATIRICO
Storie di zii e crudeltà...
PV Pietro Vanessi - Una Vignetta di PV
Gesto di delicatezza nella tv verità
Il delitto perfetto. Non per chi l’ha commesso, ma per la tv: le telecamere sono in casa dell’assassino mentre il colpevole confessa l’omicidio in una vicina caserma dei carabinieri. E la prima ad apprendere la notizia, è la madre della povera Sarah Scazzi. Con un crescendo drammaturgico di grande intensità: le mezze conferme, le mezze smentite, l’incertezza sulla localizzazione del ritrovamento, il numero dei «fermati». A un certo punto, sul finire della trasmissione, la conduttrice Federica Sciarelli dice: «Una notizia che non avremmo mai voluto dare». C’è da crederle.
Ma sul piano mediatico era quella la notizia che ogni programma, dei tanti che si sono occupati del caso, avrebbe voluto dare. Poteva capitare a una delle tv locali che in Puglia hanno seguito ossessivamente la vicenda; poteva capitare a
Porta a porta, con l’inevitabile commento a caldo di qualche criminologo; poteva capitare, ed è capitato, a
Chi l’ha visto?, la trasmissione più titolata a seguire la scomparsa della ragazza, la trasmissione che una settimana fa aveva mandato in onda le lacrime dello zio, Michele Misseri, disperato perché aveva trovato i resti del telefonino di Sarah.
Con le telecamere ormai accese 24 ore su 24, in una società organizzata attorno ai media, nella piena consapevolezza che ormai gli strumenti multimediali rappresentano il nuovo ambiente in cui viviamo, è inutile chiedersi se questo strazio collettivo in diretta andasse fermato o no. Da tempo viviamo nel post-Vermicino.
Quando la Sciarelli si premura di dire alla mamma di Sarah, Concetta Serrano, se desidera interrompere il collegamento compie un gesto di estrema delicatezza, ma manda, contemporaneamente, un’indicazione linguistica: questo non è un reality, questa è tv verità. Il fatto è che la verità non sembra mai vera, si vorrebbe dire di no alla verità dell’apparenza, spegnendo le telecamere, nella speranza che ci sia una verità diversa dell’essere.
Aldo Grasso
TIVVU
GRIECO http://www.coriandoli.it/
Modifica : ho aggiunto l'articolo del professor Ferdinando Camon
8 ottobre 2010,ore 17,20
Giustizia impossibile per Sarah
Di
Ferdinando Camon
Oggi alle 15,30 Sarah avrà i funerali cattolici, anche se non era battezzata. Sarà l’acme della tensione e dei commenti, sull’atroce destino che le è toccato. Tutti cercheranno di capirlo. Qui ci proviamo anche noi, e poiché dovremo dire cose orrende e disumane, cerchiamo prima se possiamo dire cose degne dell’uomo. Sì, possiamo. E dunque diciamole. La prima cosa umana, nell’atroce delitto di Avetrana, dove uno zio ha strangolato la nipotina di 15 anni e dopo, al momento di buttarla in un pozzo, l’ha violata, ciò che v’è di umano è anzitutto l’affare del telefonino. Il telefonino della ragazza. L’assassino l’ha prima bruciacchiato, poi l’ha buttato accanto a un supermercato, sperando che qualcuno lo notasse, infine, visto che nessuno lo trovava, l’ha preso lui e l’ha consegnato alla polizia. La polizia ha avuto un sospetto: «Costui è l’assassino». È ciò che lui sperava: essere scoperto ed espiare. C’erano in lui due idee di salvezza: la salvezza nella menzogna, negando tutto a tutti, vivendo la vita di prima, e la salvezza nella verità, confessando, finendo in guerra con tutti, tranne la propria coscienza. Ha fatto la seconda scelta. La scelta umana. Consegnando il cellulare ha detto: «Prendetelo», ma voleva dire: «Prendetemi».
Lo chiamano mostro, e per quello che ha fatto se lo merita. Ma dobbiamo riconoscere che c’è in lui questa scintilla umana.
Ce n’è un’altra, e sta nella coscienza che quel che ha fatto non ha riparazione. Se uno ruba, può restituire. Ma se uno toglie la vita, non può più ridarla. Perciò l’omicidio è il crimine che non ha giustizia. Qualunque condanna subisca, l’assassino, nei paesi come il nostro dove non c’è (ed è giusto che non ci sia) la pena di morte, finisce sempre ampiamente perdonato. In questo ampio perdono c’è un’ingiustizia. L’assassino veramente pentito vorrebbe giustizia per sé, e sapendo che non può averla è tentato di farsela da solo: infatti lo zio di Sarah ha dichiarato che vuole uccidersi. Per questo lo tengono sotto sorveglianza giorno e notte. Anche il fratello di Sarah esprime una speranza: «Spero che si uccida». Anche gli amici di Sarah. Ieri sfilavano davanti alla casa dell’assassino alzando cartelli dove oltre a “Maiale”, “Mostro”, “Bestia”, stava scritto anche: “Ucciditi”. Sono quelli della pena di morte. Poiché non possiamo dargliela noi, la speranza è che se la dia lui.
C’è delitto e delitto, e questo è fra i peggiori. L’ha uccisa, e dopo ha voluto un rapporto sessuale con lei. Non subito dopo, ma molto dopo. Perché subito dopo l’ha avvolta in una coperta, l’ha caricata in macchina e l’ha portata lontano chilometri, in quel postaccio introvabile, nascosto da tralci, dove c’era un pozzo. Prima di gettarla nel pozzo l’ha spogliata per bruciare i vestiti, e dopo averla spogliata l’ha violata. Cito questo particolare intollerabile, e me ne scuso, per far capire un concetto: c’è l’assassino di un attimo e l’assassino di lunga durata. Questo ci mette ore a rinsavire. L’assassinio separa l’assassino da noi, da noi umanità, e lo chiude in uno spazio dove non c’è morale. Più a lungo resta in quello spazio, più l’assassino è perduto. Qui l’omicidio non è durato un attimo, ma è durato fino a quella violenza sessuale. E anche dopo, molto dopo. “Un reato d’impeto”, ha detto un ufficiale dei carabinieri. Ma quale impeto! Questo è durato 42 giorni, per 42 giorni l’assassino ha mentito a tutti e anche a se stesso, manovrando i singhiozzi e le lacrime come un alibi. Adesso non diteci che è pazzo, perché è più furbo di noi. Non diteci che era incapace d’intendere. Non auguriamogli di uccidersi, l’invito al suicidio non esiste nel nostro codice. Ma, ammettiamolo, l’omicidio non sappiamo punirlo, sull’omicidio siamo impotenti.
( fercamon@alice.it )