BatMat
CeciGian
Sogni d'oro
CeciGian
Un putto con gli italiani
di Nadia Redoglia
E dopo il tempo del patto da senescente uomo in doppio petto (e multi patta), ratto s’apprende il patto del giovinetto Fonzie/ Baden-Powell che attraverso la sua ruota della fortuna, (Pitti) uomo arrivò a noi, promettendo di rottamar nemici e rasserenar amici. Fece un po’ di confusione con oggetti e predicati, ma in compenso si rivelò buon riciclator di cloni.
Il patto iniziale nomato Nazareno fu successone per gli amanti di Spoon River (…recita bene la tua parte, in questo consiste l’onore…), un po’ meno per gli estimatori di Pirandello (dal così è se vi pare a seguire) liquidati chiamandoli gufi.
Se proprio s’ha da parlare di letteratura è forse con il “Viaggio sentimentale in Italia” di Peynet e i suoi Les Amoureux che dobbiamo invece confrontarci. Stante l’ultimo patto proposto dal cupido Renzi agli italiani (cfr abrogazione d’ogni imposta comunale sulla prima casa) pare di sì: sarà infatti interessante scoprire come ogni sindaco (onesto) delle nostre città italiane recepirà quel sentimentalismo!
21 luglio 2015
Il Patto con gli Italiani
Franco Portinari
lunedì 20 luglio 2015
IL FAMOSO TRUCCO
Il noto prestidigitatore Renzi tenta nuovamente il famoso numero del taglio delle tasse sulla casa.
Gli riuscirà nuovamente. Difficile a dirsi, il trucco ormai è sgamato ma la platea ama crederci e applaude molto facilmente.
Uber
Ebert - L'Asino
Ebert - L'Asino
Il contratto cogli Italiani
Fulvio Fontana
Lo strillone
Bertelli
Mauro Biani
Staino
Riverso
Airaghi
martedì 28 luglio 2015
lunedì 27 luglio 2015
"Tato" Banali
Tato attaccala sul muro dietro di te. Un abbraccio, Rob |
Sergio Banali. Giornalista varesino di origine mantovane, aveva 85 anni.
Aveva iniziato la sua carriera proprio a Varese sul finire degli anni ’50 come redattore del settimanale della Federazione comunista L’Ordine Nuovo, di cui poi sarebbe diventato direttore. Nel frattempo faceva anche il corrispondente per il quotidiano L’Unità, dove poi dal 1961 e per trent’anni ha lavorato nella redazione di Milano.
È stato tra i fondatori di Cuore, il settimanale satirico di “resistenza umana” ideato da Michele Serra.
RINTRACCIARTI, IL RICORDO DEL GIORNALISTA MANTOVANO : " QUELLA REDAZIONE ERA UN MANICOMIO "
Sergio "Tato" Banali :
vi riapro il mio Cuore
di Giulio Cisamolo - 6/12/2009 La Voce di Mantova
Lo avevamo incontrato durante l'anteprima del numero speciale di Cuore dedicato a Rintracciarti, e ci aveva sommerso de i ricordi della redazione. Proprio in vista della rimpatriata di questa mattina ci è sembrato un vero peccato che quello che ci aveva raccontato Sergio "Tato" Banali, ex mantovanissimo caporedattore de l'Unità e pilastro della rivista satirica, andasse perduto.
«Era un manicomio, quella redazione».
Prego?
«C'era ad esempio uno spazio, una volta l'anno, dove ognuno poteva scrivere quel che voleva
con la garanzia che non ci sarebbe stata censura. Una volta uscirono certi sogni su di una
nostra giornalista, dopo i quali lei non potè fare altro che rassegnare le dimissioni» .
Un nome per l'anima della rivista ?
«Sicuramente Michele Serra. Era stato lui a proporre al direttore dell'Unità l'idea di Cuore
per riempire il buco lasciato dall' inserto Tango, e la sua scrittura era la migliore» .
La qualità dei testi rimase sempre un punto forte di Cuore, ma di certo non fu l'unico.
«Con la scrittura era la titolazione. Quando si trattò di raccontare la morte di Pertini, ad esempio, la notizia venne lasciata all'occhiello : il titolo, dissacrante, era "E' ancora vivo
Intini" (esponente storico del Pci, lungamente criticato dalla rivista, ndr)».
La macchina era ben oliata : perchè dunque cessarono le pubblicazioni ?
«Il declino era cominciato già da qualche tempo, quando due dei tre editori deciso di ritirarsi.
L'abbandono poi della direzione di Serra non fece altro che accelerare uno scivolamento già
avviato» .
Riusciremo mai a rivedere in edicola i titoli cubitali della rivista?
«In tanti ci chiedono di tornare a lavorare . E vedendo quello che succede oggi il materiale non
mancherebbe davvero. Chissà, magari un giorno ci sarà un nuovo Cuore».
Di certo il pubblico non mancherebbe.
«Ancora oggi la gente vuole leggere satira. E che piacere, per noi che chiudevamo a sera le
pagine, era uscire e vedere tanti ragazzi che sui mezzi sfogliavano la rivista »
La “pazza” redazione di «Cuore»: Sergio Banali sotto il tavolo. |
domenica 26 luglio 2015
La Turchia bombarda Isis e Pkk
Strabismo
Erdogan rompe gli indugi e decide di collaborare con la coalizione anti ISIS bombardando le posizioni dello Stato Islamico ma qualche bombetta gli scappa anche verso le postazioni curde del PKK impegnate nelle stessa difesa contro le forze del Califfato.
(CARTOONMOVEMENT)
UBER
Moyen-Orient. La Turquie entre en guerre contre l'Etat islamique en Syrie
Bleibel
Cresce di ora in ora la tensione in Turchia. Mentre Ankara intensifica i bombardamenti contro le basi dell’Isil e del PKK, due soldati sono stati uccisi e altri quattro sono rimasti feriti nell’esplosione di un’autobomba che aveva come obiettivo un convoglio militare nella provincia a maggioranza curda di Diyarbakir, nel Sud-Est del paese.
Intanto dagli Stati Uniti è arrivata la condanna agli attacchi terroristici dei separatisti curdi. Su Twitter il vice inviato speciale della Casa Bianca per la coalizione anti-Isil, Brett McGurk ha fatto sapere che la Turchia ha il pieno diritto all’autodifesa, augurandosi tuttavia che entrambe le parti continuino il processo verso la pace.
Una pace che al momento vacilla. La tregua del 2013 tra Ankara e PKK sembra di fatto saltata. Il Presidente Recep Tayyip Erdogan dopo un vertice a Istanbul con il Premier Ahmet Davutoglu e il comandante dell’esercito ha fatto sapere che la battaglia continuerà, le operazioni anti-terrorismo e i raid non si fermeranno.(fonte)
ERDOGAN VERSUS ISIS Marian Kamensky
ERDOGAN VERSUS ISIS
25 Jul 2015
Obama,Erdogan, IS
BY RAINER HACHFELD, NEUES DEUTSCHLAND, GERMANY - 7/24/2015
Dilem
Turkish TOP GUN Paolo Lombardi
Turkey attacks PKK and ISIS
25 Jul 2015
dal Web
Oktober 14 2014
Die Türkei bombardiert PKK-Stellungen
Kostas Koufogiorgos
sabato 25 luglio 2015
#Suruc, la denuncia di Latuff
Cartoon of the Day: ISIS Attack on Socialist Pro-Kurd Activists. Surprise? Via @BirGun_Gazetesi
Carlos Latuff - 20 luglio 2015
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Cartoon of the Day: @RT_Erdogan and the ISIS Safe Haven. Via @al_tagreer #SuructaKatliamVar pic.twitter.com/dqSjQmy1Ld
— Carlos Latuff (@LatuffCartoons) 20 Luglio 2015
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Cartoon of the Day: @RT_Erdogan's Invasion of #Syria: Act 1, Scene 1 (Via @MiddleEastMnt) pic.twitter.com/kOqma2PeBj
— Carlos Latuff (@LatuffCartoons) 23 Luglio 2015
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Cartoon of the Day: @RT_Erdogan's Invasion of #Syria: Act 1, Scene 1 (Via @MiddleEastMnt) pic.twitter.com/kOqma2PeBj
— Carlos Latuff (@LatuffCartoons) 23 Luglio 2015
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PKK, not ISIS, targeted by Turkey's airstrikes today! https://t.co/klQyyqiCkZ
— Carlos Latuff (@LatuffCartoons) 25 Luglio 2015
After raids on ISIL in Syria, Turkey extends bombing campaign to PKK targets in Iraq http://t.co/brKgAwHYd3 pic.twitter.com/4a40Q0sCrF
— AJE News (@AJENews) 25 Luglio 2015
#Suruc: la strage
drSRDR
L’esplosione avvenuta davanti al centro culturale Amara a Suruc, nel sudest della Turchia e vicino al confine con la Siria, sarebbe stata provocata da una kamikaze 18enne dello Stato islamico (ex Isil o Isis). È la speculazione che riporta il quotidiano turco Hurriyet. L’attacco ha preso di mira diversi giovani che si erano radunati al centro culturale per partire per Kobane. Secondo il giornale si tratta di almeno 300 membri della Federazione delle associazioni dei giovani socialisti (Sgdf), che dovevano partire con una spedizione estiva per contribuire alla ricostruzione di Kobane, che si trova proprio oltre al confine rispetto a Suruc in territorio siriano.(fonte)
L'attentato, che ha provocato almeno 30 morti e quasi un centinaio di feriti - alcuni dei quali in gravi condizioni - ha avuto luogo mentre era in corso una riunione della Federazione delle associazioni dei giovani socialisti, convocata per organizzare l'arrivo di aiuti nella città di Kobane, il centro a maggioranza curda in territorio siriano che nell'autunno 2014 aveva subito un'offensiva dallo Stato islamico, poi respinta.
Tra settembre e ottobre 2014 circa 200.000 rifugiati curdi erano fuggiti da Kobane ed erano arrivati a Suruç. Molti di loro continuano a essere accolti in città e nei dintorni.
eye opener
BY JOEP BERTRAMS, THE NETHERLANDS - 7/24/2015
Possibilità
Giovanni De Mauro
Volevano costruire una biblioteca, piantare degli alberi, attrezzare un campo giochi. Il più giovane del gruppo si chiamava Okan Pirinç, aveva diciassette anni e veniva da Antakya. I trentadue ragazzi uccisi il 20 luglio a Suruç, in Turchia, militavano nella Federazione delle associazioni dei giovani socialisti. Quando la bomba è esplosa si trovavano nel giardino del centro culturale Amara. Arrivavano da tutto il paese e stavano per andare a Kobane, dall’altra parte del confine, in territorio siriano, per dare una mano nella ricostruzione della città.
Okan Pirinç, Uğur Özkan, Kasım Deprem, Hatice Ezgi Saadet, Cemil Yıldız, Çağdaş Aydın, Nazlı Akyürek, Ferdane Ece Dinç, Mücahit Erol, Murat Yurtgül, Emrullah Akhamur, İsmet Şeker, Nartan Kılıç, Ferdane Kılıç, Serhat Devrim, Met Ali Barutçu, Erdal Bozkurt, Süleyman Aksu, Koray Çapoğlu, Cebrail Günebakan, Veysel Özdemir, Nazegül Boyraz, Alper Sapan, Alican Vural, Osman Çiçek, Dilek Bozkurt, Büşra Mete, Yunus Emre Şen, Ayda Ezgi Şalcı, Polen Ünlü, Duygu Tuna, Nurcan Kaçmaz: sono i nomi delle vittime identificate finora.
Erano ragazze e ragazzi che credevano nella possibilità di cambiare il mondo attraverso l’impegno politico. È per questo che li hanno uccisi.
Pourquoi un attentat en Turquie?
© Jiho (France)
Marilena Nardi ottobre 2014
Non dimentichiamo È l’unico modo per resistere all’Isis
di Joumana Haddad
L’attentato di Suruc è un vero dramma: per tutti quei morti e feriti e per via del fatto che una diciottenne fosse talmen te robotizzata da farsi esplodere uccidendo con se stessa decine d’innocenti, credendo così di compiacere il suo Dio. E quella ragazza non è un’eccezione di questi tempi, ma una «specie» in fase di moltiplicazione… La tragedia più devastante, dal mio punto di vista, sapete che cos’è? Che stiamo perdendo la facoltà di restare stupiti, scandalizzati, mortificati dalle barbarie che vediamo e leggiamo quasi quotidianamente. Stiamo diventando, un’atrocità dopo l’altra, più «spettatori», e meno coinvolti. Questo è, penso, il crimine più grande dello Stato Islamico, e in questo senso forse la sua più grande
«vittoria»: privarci della nostra facoltà di compatire e di sentirci offesi; dell’incapacità di sopportare che degli uomini siano decapitati, delle donne lapidate, dei giovani fatti a pezzi di fronte ai nostri occhi. Mi ricordo benissimo il giorno in cui, da bambina, durante la guerra civile libanese, ho camminato senza accorgermene su un cadavere mentre andavo a scuola. Fino ad oggi non posso dimenticare quella bocca spalancata a metà grido, quegli occhi vuoti che mi guardavano con dolore e vergogna. E a dire la verità, non vorrei dimenticare: non vorrei mai vivere in un mondo dove sia «normale» camminare sui cadaveri per andare a scuola in Libano, dove sia normale sentire che di persone bruciate vive in Siria e venire a sapere che una diciottenne si è fatta saltare
in aria in Turchia... Non vorrei vivere in un mondo dove noi esseri viventi saremo più morti dei morti perché avremo perso l’unica cosa che ci rende degni di vita: la nostra umanità.
Terrorism Shahrokh Heidari
Terrorism not only reminds us of the fragility of human life, but also the fragility of our humanity.
26 Sep 2013
L’esplosione avvenuta davanti al centro culturale Amara a Suruc, nel sudest della Turchia e vicino al confine con la Siria, sarebbe stata provocata da una kamikaze 18enne dello Stato islamico (ex Isil o Isis). È la speculazione che riporta il quotidiano turco Hurriyet. L’attacco ha preso di mira diversi giovani che si erano radunati al centro culturale per partire per Kobane. Secondo il giornale si tratta di almeno 300 membri della Federazione delle associazioni dei giovani socialisti (Sgdf), che dovevano partire con una spedizione estiva per contribuire alla ricostruzione di Kobane, che si trova proprio oltre al confine rispetto a Suruc in territorio siriano.(fonte)
#Suruc Morire tenendosi mano nella mano pic.twitter.com/fmLYRZpojb
— Gianluca Costantini (@channeldraw) 21 Luglio 2015
esplosione a #Suruc nella mappa di @zerocalcare su Kobane era la città a nord. Molti morti. Molta rabbia. pic.twitter.com/DvLS2bvCDw
— Claudio Riccio (@claudioriccio) 20 Luglio 2015
L'attentato, che ha provocato almeno 30 morti e quasi un centinaio di feriti - alcuni dei quali in gravi condizioni - ha avuto luogo mentre era in corso una riunione della Federazione delle associazioni dei giovani socialisti, convocata per organizzare l'arrivo di aiuti nella città di Kobane, il centro a maggioranza curda in territorio siriano che nell'autunno 2014 aveva subito un'offensiva dallo Stato islamico, poi respinta.
Tra settembre e ottobre 2014 circa 200.000 rifugiati curdi erano fuggiti da Kobane ed erano arrivati a Suruç. Molti di loro continuano a essere accolti in città e nei dintorni.
eye opener
BY JOEP BERTRAMS, THE NETHERLANDS - 7/24/2015
Possibilità
Giovanni De Mauro
Volevano costruire una biblioteca, piantare degli alberi, attrezzare un campo giochi. Il più giovane del gruppo si chiamava Okan Pirinç, aveva diciassette anni e veniva da Antakya. I trentadue ragazzi uccisi il 20 luglio a Suruç, in Turchia, militavano nella Federazione delle associazioni dei giovani socialisti. Quando la bomba è esplosa si trovavano nel giardino del centro culturale Amara. Arrivavano da tutto il paese e stavano per andare a Kobane, dall’altra parte del confine, in territorio siriano, per dare una mano nella ricostruzione della città.
Okan Pirinç, Uğur Özkan, Kasım Deprem, Hatice Ezgi Saadet, Cemil Yıldız, Çağdaş Aydın, Nazlı Akyürek, Ferdane Ece Dinç, Mücahit Erol, Murat Yurtgül, Emrullah Akhamur, İsmet Şeker, Nartan Kılıç, Ferdane Kılıç, Serhat Devrim, Met Ali Barutçu, Erdal Bozkurt, Süleyman Aksu, Koray Çapoğlu, Cebrail Günebakan, Veysel Özdemir, Nazegül Boyraz, Alper Sapan, Alican Vural, Osman Çiçek, Dilek Bozkurt, Büşra Mete, Yunus Emre Şen, Ayda Ezgi Şalcı, Polen Ünlü, Duygu Tuna, Nurcan Kaçmaz: sono i nomi delle vittime identificate finora.
Erano ragazze e ragazzi che credevano nella possibilità di cambiare il mondo attraverso l’impegno politico. È per questo che li hanno uccisi.
Pourquoi un attentat en Turquie?
© Jiho (France)
Marilena Nardi ottobre 2014
Non dimentichiamo È l’unico modo per resistere all’Isis
di Joumana Haddad
L’attentato di Suruc è un vero dramma: per tutti quei morti e feriti e per via del fatto che una diciottenne fosse talmen te robotizzata da farsi esplodere uccidendo con se stessa decine d’innocenti, credendo così di compiacere il suo Dio. E quella ragazza non è un’eccezione di questi tempi, ma una «specie» in fase di moltiplicazione… La tragedia più devastante, dal mio punto di vista, sapete che cos’è? Che stiamo perdendo la facoltà di restare stupiti, scandalizzati, mortificati dalle barbarie che vediamo e leggiamo quasi quotidianamente. Stiamo diventando, un’atrocità dopo l’altra, più «spettatori», e meno coinvolti. Questo è, penso, il crimine più grande dello Stato Islamico, e in questo senso forse la sua più grande
«vittoria»: privarci della nostra facoltà di compatire e di sentirci offesi; dell’incapacità di sopportare che degli uomini siano decapitati, delle donne lapidate, dei giovani fatti a pezzi di fronte ai nostri occhi. Mi ricordo benissimo il giorno in cui, da bambina, durante la guerra civile libanese, ho camminato senza accorgermene su un cadavere mentre andavo a scuola. Fino ad oggi non posso dimenticare quella bocca spalancata a metà grido, quegli occhi vuoti che mi guardavano con dolore e vergogna. E a dire la verità, non vorrei dimenticare: non vorrei mai vivere in un mondo dove sia «normale» camminare sui cadaveri per andare a scuola in Libano, dove sia normale sentire che di persone bruciate vive in Siria e venire a sapere che una diciottenne si è fatta saltare
in aria in Turchia... Non vorrei vivere in un mondo dove noi esseri viventi saremo più morti dei morti perché avremo perso l’unica cosa che ci rende degni di vita: la nostra umanità.
Terrorism not only reminds us of the fragility of human life, but also the fragility of our humanity.
26 Sep 2013
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venerdì 24 luglio 2015
Ritratto di Ilaria Occhini
Su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Ilaria Occhini
Ilaria Occhini: "Non sarò mai pacificata, ancora balbetto la prima battuta"
L'attrice fiorentina diretta da Visconti, Risi, Ronconi, Patroni Griffi: "Luchino Visconti aveva un'estetica esibita e classica, minacciata a volte dal suo lato isterico. Quando si invaghì di Delon c'era solo lui. E Alain sentiva di essere il prescelto"
di ANTONIO GNOLI
FORSE ha perfettamente ragione Raffaele La Capria quando, rivolgendosi all'amore di quasi tutta la vita, le dice: "Ho l'impressione cara che dovrei allontanarmi. Non ascoltare quel che dici. A un estraneo si raccontano cose che è giusto non sentire". E lei, Ilaria Occhini, lo guarda con tenerezza e imbarazzo. E gli dice di restare perché le sue parole non tradiranno. È una scena di una bellezza senza rimorsi. Come tra due amanti che ritrovino la ragione profonda dello stare assieme. Sorridono. Raffaele con una leggera irrequietezza. Ilaria mostrando la tensione di un esordio: "Non mi abituerò mai a pronunciare la prima battuta. La sento tra la lingua e il palato. Come una sorsata di buon vino. La voce ne sciacqua il timbro. Cerco di modulare, ritmare, impostare. Ma ogni volta è morire". Pronuncia "morire" stringendosi le mani.
Sa una cosa?
"Cosa?".
È sorprendente questa dichiarazione di insicurezza.
"Perché?".
Da una donna bella, ammirata, fotografata, descritta, ci si aspetterebbe una presenza piena e sicura.
"Se a volte posso essere determinata, la determinazione non è il mio tratto distintivo. Non amo la prepotenza, però mi piacciono le figure forti. Di solito c'è in loro una chiarezza maggiore. Ho spesso pensato che il teatro, diversamente dal cinema, si nutre di una forza interiore, primitiva. Elementare. Di una chiarezza esistenziale che il cinema non ha. Anche se col cinema ho iniziato la mia carriera".
In che maniera?
"Cercavano una liceale per un film di Luciano Emmer. Fui segnalata al regista. Il suo aiuto, Francesco Rosi, venne appositamente a Firenze dove vivevo. Sulla terrazza di casa ci fu il provino. Andò bene. Interpretai la parte di una studentessa. Un ruolo corale in un film che descriveva bene i turbamenti e i problemi di una gioventù dopo la guerra. Era il 1953. Ricordo anche la fotografia diretta da Mario Bava, che sarebbe diventato in seguito un regista cult".
Che ricordo ha di Emmer?
"Ho spesso pensato a lui come a un grande artigiano del cinema. Sul set era un uomo spiritoso. Ma devo dire che dopo quella esperienza non pensai minimamente di dedicarmi al cinema. Però accadde un episodio che mi riportò dentro quel mondo".
Quale?
"Durante un grande ballo a Firenze, Henry Clarke mi dedicò una serie di scatti. Una mia foto finì sulla rivista Vogue con la didascalia: "La bella italiana". Robert Bresson le vide e mi fece contattare. Cercava il ruolo di protagonista per La Princesse de Clèves. Andai a trovarlo a Parigi. Emozionata di trovarmi davanti a un grande regista. Mi disse che ero adatta ma che dovevo migliorare il mio francese. Sei mesi dopo avevo un accento perfetto. Ma il film non si fece. Una questione di diritti bloccò la produzione. E Bresson rinunciò a girare il film".
Immagino la sua delusione.
"Provai dolore. Credevo in quel ruolo. Credevo nelle mie possibilità. In quei mesi, di studio, sentivo crescere progetti e certezze. Tutto andò in fumo. Che fare? Pensai che la cosa più naturale fosse di iscrivermi all'Accademia d'Arte Drammatica. Feci il provino con gli occhi chiusi tanta era forte la tensione. Ottenni l'ammissione. E così nacque la mia storia con il teatro".
Chi frequentava allora?
"Divenni amica di due persone più grandi di me: Mario Missiroli che sarebbe diventato un eccellente regista teatrale. La prima volta che lo vidi gli chiesi se conosceva i Casini. La mia famiglia era molto amica dell'editore Gherardo Casini che aveva frequentato mio nonno, Giovanni Papini. Mario mi guardò con ironia: ma certo che conosco i casini, sono un autorità in materia. E poi scoppiò in una risata. L'altro grande amico fu Luca Ronconi".
Un talento anaffettivo, si è detto di lui.
"Lo era nel senso che sapeva avere un distacco dalle cose. Ma credo che gli costasse. A un certo punto della sua vita Luca avvertì una specie di crisi creativa. Non riusciva più a scrivere. Per questo andò in analisi".
Perché le viene in mente questo episodio?
"Penso che le persone non sono mai una sola cosa. Luca, a un certo punto, cominciò a liquefarsi. Provavo pena ma anche sollievo per un amico che aveva perso sicurezza. Pensavo che fosse un'occasione per rinascere. Come del resto è poi accaduto. Ci rendiamo conto degli amici quando abbiamo la sensazione di perderli. E poi è bellissimo ritrovarli".
Si perdono per i motivi più diversi.
"È vero, anche per stanchezza. L'amicizia richiede uno sforzo, un esercizio continuo con l'altro non indifferente".
Anche in amore è così?
"In amore c'è la sopportazione del quotidiano. Qualcosa talvolta di eroico e di misterioso. Ma anche di terribile. Le piccole viltà. Il bisogno del quieto vivere. L'amore è una scuola di resistenza".
Anche una scuola di recitazione?
"In certi casi sì. In certi casi si recita a soggetto".
Come è stato il suo esordio teatrale?
"Grandioso e catastrofico allo stesso tempo".
Cioè?
"Era la fine degli anni Cinquanta e, grazie agli sceneggiati, stavo riscuotendo un successo notevole in televisione. Ero diventata famosa. Volevo fare teatro e pensai di avvicinare Visconti, che non conoscevo. Sapevo però che cercava un ruolo per un suo Goldoni. Telefonai a Paolo Stoppa che era il tramite con Luchino. Paolo era un uomo greve e cinico. Ai suoi occhi ero solo un pezzo di carne. Doveva solo stabilire se pregiata o no. Alla fine chiamò Visconti il quale, dopo avermi vista, mi scritturò. Debutto, qualche mese dopo, alla Fenice di Venezia".
Cosa accadde?
"Preparai la mia parte con grandissimo impegno. Mi sentivo perfetta. La sera della prima Luchino mi disse: sarà un esordio indimenticabile. E tale fu. Quando vidi la platea, un mare di smoking bianchi, fui presa dal panico. La voce cominciò ad andare per conto proprio. Non la controllavo. Non controllavo il respiro. Ero nel pallone. Questo fu il debutto: un disastro. Visconti restò sconcertato. Deluso".
Lei cosa provò?
"Mi sarei scavata una fossa per nascondermi. Mi sentivo ridicola, inadeguata, cretina. Ma soprattutto avvertivo un senso di vergogna per aver tradito le aspettative di chi credeva in me. Visconti fu straordinario e mi sostenne comunque. Quanto a me, per anni mi sono portata dentro questo fallimento. E ancora oggi sento come uno stordimento ogni qualvolta inizio qualcosa di teatrale".
È diverso dal cinema?
"Nel cinema c'è una meccanicità che il teatro non conosce. Il teatro è un viaggio sentimentale. Pieno di insidie e tormenti. Ronconi lo vedeva come una discesa nelle parti meno note dell'anima. Visconti come una specie di risalita. Il gioco è tutto qui: perdersi e ritrovarsi; oppure trovarsi e poi perdersi".
Chi era più bravo in questo gioco?
"Forse Visconti. Aveva un'estetica più esibita, più classica. Minacciata a volte dal suo lato isterico".
Isterico?
"Sono sensazioni. Ricordo quando Luchino si invaghì di Alain Delon. Non c'era che lui. E Delon, in qualche modo, sentiva di essere il prescelto. Un giorno, a casa di Visconti, sentii le urla di Delon contro un cameriere che aveva sbagliato nel portargli una certa cosa. Istericamente Luchino si accodò a quelle urla, rincarò l'episodio maltrattando il povero cameriere. Le ingiustizie dei grandi".
So che ha lavorato con Delon.
"In un film di produzione francese. C'era anche Jean Gabin. Non parlavano che di donne o di cibo. Ascoltarli fuori dal set faceva precipitare velocemente il loro fascino. Comunque regalai a Gabin un bel pezzo di parmigiano. Non lo so. Mi pareva che le due cose si somigliassero".
Non capisco se lei sia una donna più adirata o più sorpresa dalla vita.
"Adirata no. Sorpresa direi di sì. Per esempio ho avvertito con stupore e disapprovazione un profondo mutamento di giudizio nei riguardi di mio nonno Giovanni Papini".
Cosa intende?
"Sono stata, come nipote, la persona che negli ultimi anni gli fu più vicino. Ma ricordo perfettamente il periodo fiorentino e le persone che venivano a omaggiare il nonno. Una rincorsa. Poi finita la guerra le stesse persone cominciarono a insultarne la figura, a dire che Papini era stato un mascalzone. Come era possibile che lo stesso uomo, prima venerato, fosse stato ridotto alla stregua di un mostro? Questo non fece che alimentare le mie incertezze giovanili".
Una spiegazione era possibile.
"E quale, che il nonno era stato fascista? Tutti, tranne qualche eccezione, lo furono".
Lo si accusò di aver firmato il "manifesto della razza".
"Ma questa è una balla! Non risulta, per quello che ne so, da nessuna parte un'adesione del genere. Oltretutto nel 1939, cioè un anno dopo quel famigerato documento, il nonno scrisse un articolo sulla rivista Frontespizio contro i teorici della razza. Perché avrebbe dovuto firmare?".
Forse perché proprio quell'anno era stato eletto accademico d'Italia. Non si occupava quel posto senza una fedeltà dichiarata al fascismo.
"Intanto anche Luigi Pirandello, Guglielmo Marconi, Marinetti furono nominati accademici. Erano fascisti? Sì, lo erano. Come lo fu il nonno, ma senza nefandezze".
Anche suo padre, Barna Occhini, fu un esponente culturale del fascismo. Come furono i rapporti tra voi?
"Nonostante tutto molto affettuosi. Capivo la sua irruenza. Il suo orgoglio. Mio padre era un critico d'arte e un letterato. Aveva una propria concezione dell'onore. C'è una sua lunga lettera, che in parte lo storico Renzo De Felice pubblicò, nella quale mio padre se la prendeva con Mussolini. È una lettera del 1944. Un atto di accusa non contro il fascismo ma contro la viltà del duce. Lo accusa di essersi ritirato e di non far nulla per combattere i tedeschi che ci depredano. "Non ha niente da dire?", scrive. "Voi restate nascosto e inaccessibile in un misterioso angolino d'Italia". Questo era mio padre. E quando è morto, Antonello Trombadori che gli fu amico, nonostante fossero politicamente agli antipodi, mi disse: "Ilaria ho stimato molto tuo padre e gli ho voluto bene"".
Si parlava poc'anzi dell'amore. Una grande storia è stata quella di lei con La Capria, che è qui presente.
"Mi fa piacere che ci sia. Lui dice che la verità quando si è vecchi diventa più importante della poesia".
Cosa vuol dire?
"Che in fondo non vale la pena dipingersi migliori di quello che si è. Io, ad esempio, sono stata si dice bellissima. Non credo di esserlo più. Mi dico, cosa penserà la gente quando esco in strada dopo ore di trucco? Non è ridicolo tutto questo affannarsi?".
Com'è il vostro rapporto?
"Dudù dice che siamo come questa foto: due vecchietti che sorridono. Lui si sente pacificato. Ha buoni rapporti con le persone e il mondo".
E lei?
"Meno. Molto meno. Dudù dice che sono una "scassacazzi". Non la classica moglie adorante. Dice che non mi piace mai niente di quello che scrive. Non è vero. Gli fa comodo pensarlo. Ma non è vero. Ma dopotutto io sono un'aristocratica e lui un borghese".
C'è un racconto di suo marito molto bello e molto crudo in cui mette un po' a nudo il vostro rapporto che iniziò nel 1961.
"Fu l'anno in cui vinse lo Strega. Ci innamorammo perdutamente e perdutamente siamo stati insieme".
In questo racconto parla anche di tradimenti.
"Ognuno ha il diritto di dire quello che vuole. Di confessarsi pubblicamente. È stato un rapporto lunghissimo. Capisco le rivendicazioni. I momenti alti e bassi. Ci siamo conosciuti. Ci siamo fatti del bene e del male. E questo è tutto".
Proprio tutto?
"Non ci sono più terre selvagge da sognare. O da conquistare. Magari a questo punto uno ricorre al viatico divino. Mi colpì molto mio nonno che dopo essere stato un fervente mangiapreti si convertì profondamente. È morto facendosi leggere i Vangeli. Come uomo passò gli ultimi anni della vita afflitto da una devastante sclerosi. Il male progrediva. Fino a quando perse tutto. Gli restò solo il movimento di un dito e con quello, per comunicare, indicava le lettere dell'alfabeto. Ecco cos'è un intellettuale eroico. Non quegli stronzi che ne fecero una macchietta".
Finiamo in gloria?
"Ma no, finiamo come abbiamo cominciato. Io che prendo la parola e balbetto. Mi emoziono. Rido e piango. Ilaria, mi dico, il guaio non è essere vecchi, ma sentirsi giovani ".
e l'intervista di Antonio Gnoli
a Ilaria Occhini
Ilaria Occhini: "Non sarò mai pacificata, ancora balbetto la prima battuta"
L'attrice fiorentina diretta da Visconti, Risi, Ronconi, Patroni Griffi: "Luchino Visconti aveva un'estetica esibita e classica, minacciata a volte dal suo lato isterico. Quando si invaghì di Delon c'era solo lui. E Alain sentiva di essere il prescelto"
di ANTONIO GNOLI
FORSE ha perfettamente ragione Raffaele La Capria quando, rivolgendosi all'amore di quasi tutta la vita, le dice: "Ho l'impressione cara che dovrei allontanarmi. Non ascoltare quel che dici. A un estraneo si raccontano cose che è giusto non sentire". E lei, Ilaria Occhini, lo guarda con tenerezza e imbarazzo. E gli dice di restare perché le sue parole non tradiranno. È una scena di una bellezza senza rimorsi. Come tra due amanti che ritrovino la ragione profonda dello stare assieme. Sorridono. Raffaele con una leggera irrequietezza. Ilaria mostrando la tensione di un esordio: "Non mi abituerò mai a pronunciare la prima battuta. La sento tra la lingua e il palato. Come una sorsata di buon vino. La voce ne sciacqua il timbro. Cerco di modulare, ritmare, impostare. Ma ogni volta è morire". Pronuncia "morire" stringendosi le mani.
Sa una cosa?
"Cosa?".
È sorprendente questa dichiarazione di insicurezza.
"Perché?".
Da una donna bella, ammirata, fotografata, descritta, ci si aspetterebbe una presenza piena e sicura.
"Se a volte posso essere determinata, la determinazione non è il mio tratto distintivo. Non amo la prepotenza, però mi piacciono le figure forti. Di solito c'è in loro una chiarezza maggiore. Ho spesso pensato che il teatro, diversamente dal cinema, si nutre di una forza interiore, primitiva. Elementare. Di una chiarezza esistenziale che il cinema non ha. Anche se col cinema ho iniziato la mia carriera".
In che maniera?
"Cercavano una liceale per un film di Luciano Emmer. Fui segnalata al regista. Il suo aiuto, Francesco Rosi, venne appositamente a Firenze dove vivevo. Sulla terrazza di casa ci fu il provino. Andò bene. Interpretai la parte di una studentessa. Un ruolo corale in un film che descriveva bene i turbamenti e i problemi di una gioventù dopo la guerra. Era il 1953. Ricordo anche la fotografia diretta da Mario Bava, che sarebbe diventato in seguito un regista cult".
Che ricordo ha di Emmer?
"Ho spesso pensato a lui come a un grande artigiano del cinema. Sul set era un uomo spiritoso. Ma devo dire che dopo quella esperienza non pensai minimamente di dedicarmi al cinema. Però accadde un episodio che mi riportò dentro quel mondo".
Quale?
"Durante un grande ballo a Firenze, Henry Clarke mi dedicò una serie di scatti. Una mia foto finì sulla rivista Vogue con la didascalia: "La bella italiana". Robert Bresson le vide e mi fece contattare. Cercava il ruolo di protagonista per La Princesse de Clèves. Andai a trovarlo a Parigi. Emozionata di trovarmi davanti a un grande regista. Mi disse che ero adatta ma che dovevo migliorare il mio francese. Sei mesi dopo avevo un accento perfetto. Ma il film non si fece. Una questione di diritti bloccò la produzione. E Bresson rinunciò a girare il film".
Immagino la sua delusione.
"Provai dolore. Credevo in quel ruolo. Credevo nelle mie possibilità. In quei mesi, di studio, sentivo crescere progetti e certezze. Tutto andò in fumo. Che fare? Pensai che la cosa più naturale fosse di iscrivermi all'Accademia d'Arte Drammatica. Feci il provino con gli occhi chiusi tanta era forte la tensione. Ottenni l'ammissione. E così nacque la mia storia con il teatro".
Chi frequentava allora?
"Divenni amica di due persone più grandi di me: Mario Missiroli che sarebbe diventato un eccellente regista teatrale. La prima volta che lo vidi gli chiesi se conosceva i Casini. La mia famiglia era molto amica dell'editore Gherardo Casini che aveva frequentato mio nonno, Giovanni Papini. Mario mi guardò con ironia: ma certo che conosco i casini, sono un autorità in materia. E poi scoppiò in una risata. L'altro grande amico fu Luca Ronconi".
Un talento anaffettivo, si è detto di lui.
"Lo era nel senso che sapeva avere un distacco dalle cose. Ma credo che gli costasse. A un certo punto della sua vita Luca avvertì una specie di crisi creativa. Non riusciva più a scrivere. Per questo andò in analisi".
Perché le viene in mente questo episodio?
"Penso che le persone non sono mai una sola cosa. Luca, a un certo punto, cominciò a liquefarsi. Provavo pena ma anche sollievo per un amico che aveva perso sicurezza. Pensavo che fosse un'occasione per rinascere. Come del resto è poi accaduto. Ci rendiamo conto degli amici quando abbiamo la sensazione di perderli. E poi è bellissimo ritrovarli".
Si perdono per i motivi più diversi.
"È vero, anche per stanchezza. L'amicizia richiede uno sforzo, un esercizio continuo con l'altro non indifferente".
Anche in amore è così?
"In amore c'è la sopportazione del quotidiano. Qualcosa talvolta di eroico e di misterioso. Ma anche di terribile. Le piccole viltà. Il bisogno del quieto vivere. L'amore è una scuola di resistenza".
Anche una scuola di recitazione?
"In certi casi sì. In certi casi si recita a soggetto".
Come è stato il suo esordio teatrale?
"Grandioso e catastrofico allo stesso tempo".
Cioè?
"Era la fine degli anni Cinquanta e, grazie agli sceneggiati, stavo riscuotendo un successo notevole in televisione. Ero diventata famosa. Volevo fare teatro e pensai di avvicinare Visconti, che non conoscevo. Sapevo però che cercava un ruolo per un suo Goldoni. Telefonai a Paolo Stoppa che era il tramite con Luchino. Paolo era un uomo greve e cinico. Ai suoi occhi ero solo un pezzo di carne. Doveva solo stabilire se pregiata o no. Alla fine chiamò Visconti il quale, dopo avermi vista, mi scritturò. Debutto, qualche mese dopo, alla Fenice di Venezia".
Cosa accadde?
"Preparai la mia parte con grandissimo impegno. Mi sentivo perfetta. La sera della prima Luchino mi disse: sarà un esordio indimenticabile. E tale fu. Quando vidi la platea, un mare di smoking bianchi, fui presa dal panico. La voce cominciò ad andare per conto proprio. Non la controllavo. Non controllavo il respiro. Ero nel pallone. Questo fu il debutto: un disastro. Visconti restò sconcertato. Deluso".
Lei cosa provò?
"Mi sarei scavata una fossa per nascondermi. Mi sentivo ridicola, inadeguata, cretina. Ma soprattutto avvertivo un senso di vergogna per aver tradito le aspettative di chi credeva in me. Visconti fu straordinario e mi sostenne comunque. Quanto a me, per anni mi sono portata dentro questo fallimento. E ancora oggi sento come uno stordimento ogni qualvolta inizio qualcosa di teatrale".
È diverso dal cinema?
"Nel cinema c'è una meccanicità che il teatro non conosce. Il teatro è un viaggio sentimentale. Pieno di insidie e tormenti. Ronconi lo vedeva come una discesa nelle parti meno note dell'anima. Visconti come una specie di risalita. Il gioco è tutto qui: perdersi e ritrovarsi; oppure trovarsi e poi perdersi".
Chi era più bravo in questo gioco?
"Forse Visconti. Aveva un'estetica più esibita, più classica. Minacciata a volte dal suo lato isterico".
Isterico?
"Sono sensazioni. Ricordo quando Luchino si invaghì di Alain Delon. Non c'era che lui. E Delon, in qualche modo, sentiva di essere il prescelto. Un giorno, a casa di Visconti, sentii le urla di Delon contro un cameriere che aveva sbagliato nel portargli una certa cosa. Istericamente Luchino si accodò a quelle urla, rincarò l'episodio maltrattando il povero cameriere. Le ingiustizie dei grandi".
So che ha lavorato con Delon.
"In un film di produzione francese. C'era anche Jean Gabin. Non parlavano che di donne o di cibo. Ascoltarli fuori dal set faceva precipitare velocemente il loro fascino. Comunque regalai a Gabin un bel pezzo di parmigiano. Non lo so. Mi pareva che le due cose si somigliassero".
Non capisco se lei sia una donna più adirata o più sorpresa dalla vita.
"Adirata no. Sorpresa direi di sì. Per esempio ho avvertito con stupore e disapprovazione un profondo mutamento di giudizio nei riguardi di mio nonno Giovanni Papini".
Cosa intende?
"Sono stata, come nipote, la persona che negli ultimi anni gli fu più vicino. Ma ricordo perfettamente il periodo fiorentino e le persone che venivano a omaggiare il nonno. Una rincorsa. Poi finita la guerra le stesse persone cominciarono a insultarne la figura, a dire che Papini era stato un mascalzone. Come era possibile che lo stesso uomo, prima venerato, fosse stato ridotto alla stregua di un mostro? Questo non fece che alimentare le mie incertezze giovanili".
Una spiegazione era possibile.
"E quale, che il nonno era stato fascista? Tutti, tranne qualche eccezione, lo furono".
Lo si accusò di aver firmato il "manifesto della razza".
"Ma questa è una balla! Non risulta, per quello che ne so, da nessuna parte un'adesione del genere. Oltretutto nel 1939, cioè un anno dopo quel famigerato documento, il nonno scrisse un articolo sulla rivista Frontespizio contro i teorici della razza. Perché avrebbe dovuto firmare?".
Forse perché proprio quell'anno era stato eletto accademico d'Italia. Non si occupava quel posto senza una fedeltà dichiarata al fascismo.
"Intanto anche Luigi Pirandello, Guglielmo Marconi, Marinetti furono nominati accademici. Erano fascisti? Sì, lo erano. Come lo fu il nonno, ma senza nefandezze".
Anche suo padre, Barna Occhini, fu un esponente culturale del fascismo. Come furono i rapporti tra voi?
"Nonostante tutto molto affettuosi. Capivo la sua irruenza. Il suo orgoglio. Mio padre era un critico d'arte e un letterato. Aveva una propria concezione dell'onore. C'è una sua lunga lettera, che in parte lo storico Renzo De Felice pubblicò, nella quale mio padre se la prendeva con Mussolini. È una lettera del 1944. Un atto di accusa non contro il fascismo ma contro la viltà del duce. Lo accusa di essersi ritirato e di non far nulla per combattere i tedeschi che ci depredano. "Non ha niente da dire?", scrive. "Voi restate nascosto e inaccessibile in un misterioso angolino d'Italia". Questo era mio padre. E quando è morto, Antonello Trombadori che gli fu amico, nonostante fossero politicamente agli antipodi, mi disse: "Ilaria ho stimato molto tuo padre e gli ho voluto bene"".
Si parlava poc'anzi dell'amore. Una grande storia è stata quella di lei con La Capria, che è qui presente.
"Mi fa piacere che ci sia. Lui dice che la verità quando si è vecchi diventa più importante della poesia".
Cosa vuol dire?
"Che in fondo non vale la pena dipingersi migliori di quello che si è. Io, ad esempio, sono stata si dice bellissima. Non credo di esserlo più. Mi dico, cosa penserà la gente quando esco in strada dopo ore di trucco? Non è ridicolo tutto questo affannarsi?".
Com'è il vostro rapporto?
"Dudù dice che siamo come questa foto: due vecchietti che sorridono. Lui si sente pacificato. Ha buoni rapporti con le persone e il mondo".
E lei?
"Meno. Molto meno. Dudù dice che sono una "scassacazzi". Non la classica moglie adorante. Dice che non mi piace mai niente di quello che scrive. Non è vero. Gli fa comodo pensarlo. Ma non è vero. Ma dopotutto io sono un'aristocratica e lui un borghese".
C'è un racconto di suo marito molto bello e molto crudo in cui mette un po' a nudo il vostro rapporto che iniziò nel 1961.
"Fu l'anno in cui vinse lo Strega. Ci innamorammo perdutamente e perdutamente siamo stati insieme".
In questo racconto parla anche di tradimenti.
"Ognuno ha il diritto di dire quello che vuole. Di confessarsi pubblicamente. È stato un rapporto lunghissimo. Capisco le rivendicazioni. I momenti alti e bassi. Ci siamo conosciuti. Ci siamo fatti del bene e del male. E questo è tutto".
Proprio tutto?
"Non ci sono più terre selvagge da sognare. O da conquistare. Magari a questo punto uno ricorre al viatico divino. Mi colpì molto mio nonno che dopo essere stato un fervente mangiapreti si convertì profondamente. È morto facendosi leggere i Vangeli. Come uomo passò gli ultimi anni della vita afflitto da una devastante sclerosi. Il male progrediva. Fino a quando perse tutto. Gli restò solo il movimento di un dito e con quello, per comunicare, indicava le lettere dell'alfabeto. Ecco cos'è un intellettuale eroico. Non quegli stronzi che ne fecero una macchietta".
Finiamo in gloria?
"Ma no, finiamo come abbiamo cominciato. Io che prendo la parola e balbetto. Mi emoziono. Rido e piango. Ilaria, mi dico, il guaio non è essere vecchi, ma sentirsi giovani ".
giovedì 23 luglio 2015
In ricordo di Marco Scudeletti
Ciao Marco... preferisco ricordati così... PV (Pietro Vanessi) |
Martedì 21 luglio guardo la mia bacheca Facebook e leggo
uno status di Marco Scudeletti, della sera prima, che commentando un altro post scriveva ironicamente :
«Tutto sommato sembra il mio ritratto giovanile.
Ci dovrei solo aggiungere: Sono un pensionato 72enne, il che fa di me un affamatore del popolo ed un incrementatore del deficit statale e sociale.»
Riguardo poco dopo Facebook e vedo il messaggio di sua moglie Patrizia, che scrive che Marco era morto alle sei e mezzo di mattina....
No Marco eri ancora troppo giovane...
potevi ancora affamarci a lungo...
amico caro, ci mancheranno le tue foto, le tue albe, i tuoi tramonti, tutte le tue foto, ma anche la tua schiettezza e la tua sagacità.
Mi avevi chiesto l'amicizia per la comune passione di
sabato 18 luglio 2015
MIKS 2015: the winners
La bolla cinese
Qualcuno lo ha già ribattezzato il “mercoledì nero” delle Borse cinesi. Stamane Shanghai ha lasciato sul terreno quasi sei punti percentuali. Le perdite da metà giugno superano ormai il 30% e 500 nuove aziende hanno sospeso le contrattazioni (portando il totale a 1.300).
Cosa facendo scoppiare la bolla? Il rallentamento della crescita economica non è un segreto, spiegano gli analisti, ma ora pesa la specificità del mercato azionario cinese: 80% di investitori privati (poco esperti e che si fanno prendere facilmente dal panico) e interventi di sostegno di Pechino che hanno sortito l’effetto opposto.
Ma la bolla sarà solo cinese?
Bubble maker Ramses Morales Izquierdo
Mr Bubble maker gets more and more power, just give him time!
10 Aug 2012
When Will the Euro Bubble Burst? Jean Gouders
Now Portugal also needs extra loans....Italy in the danger zone, France heading towards the danger zone.....
giovedì 16 luglio 2015
Il mare d’Europa
di Michael Kountouris |
Il mare d’Europa
di Nadia Redoglia
Quando toccò a noi porger la chioma allorché l’Europa chiamò, imponemmo le dimissioni a quel capo di governo che comandò il nostro Paese per oltre vent’anni (secondo ventennio italico). Erano proprio quelli i vent’anni vitali per dimostrare all’Europa Unita d’essere adulti responsabili. Ma con “quelloli” noi ce li giocammo ché fummo giusto in grado di dimostrare quanto eravamo bravi in burlesque e burlette mandando tutto (come suol dirsi) a puttane. Poi furono Monti e Fornero fabbricatori di lacrime e sangue per conto terzi.
Subito dopo lo Renzi il munifico, ma anche (e ancora!) “quelloli” ché altrimenti (incredibile ma vero) non si sarebbe potuto governare… Oggi, mentre lo Renzi europeo gigioneggia (modello Jerry Lewis/Alberto Sordi) spaziando tra severe italiche sofferenze e pesanti mancanze sociali, tocca a sorella Grecia porger la chioma ché schiava d’Europa Zeus la creò. Renzi e Tsipras, a dispetto del detto italo-greco, non hanno la stessa faccia e la stessa razza, ciononostante sono costretti a esser travolti dal solito destino dell’azzurro mare nostrum che nostro però è stato mai per davvero…
14 luglio 2015
A Greek-ment
Marilena Nardi
oxi jawohl
BY TOM JANSSEN, THE NETHERLANDS -
Greek Bailout
BY ADAM ZYGLIS, THE BUFFALO NEWS - 7/14/201
Greek Burden
BY STEVE SACK, THE MINNEAPOLIS STAR TRIBUNE - 7/15/2015
Even Hard For Greek Philosophers
BY BRIAN ADCOCK, THE INDEPENDENT - 7/15/2015
Miel_Greek BailOut2015_
BY DENG COY MIEL, SINGAPORE - 7/15/2015
Martin Rowson on the Greek crisis negotiations
Prometheus
Dave Brown
Sparta
Grecia umiliata, i Greci no. Vergogniamoci per l’Europa.
Mauro Biani
*
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mercoledì 15 luglio 2015
Plutone
Selfie
Steve Breen
Missione compiuta: dopo nove anni e mezzo di viaggio e 5 miliardi di chilometri percorsi, la sonda New Horizons ha raggiunto la sua meta. Alle 13,49’57” è passata a una distanza minima di 12.500 km dalla superficie di Plutone, l’ex ultimo pianeta del Sistema solare, declassato dal 2006 a «pianeta nano».
New Horizons and Pluto
BY MARIAN KEMENSKY, SLOVAKIA - 7/14/2015
SPACE-SCOOP!
Moise
Plutone
CeciGian
Pluto
Amorin
Le foto (corriere.it)
http://www.nasa.gov/image-feature/charon-s-surprising-youthful-and-varied-terrain
Steve Breen
Missione compiuta: dopo nove anni e mezzo di viaggio e 5 miliardi di chilometri percorsi, la sonda New Horizons ha raggiunto la sua meta. Alle 13,49’57” è passata a una distanza minima di 12.500 km dalla superficie di Plutone, l’ex ultimo pianeta del Sistema solare, declassato dal 2006 a «pianeta nano».
New Horizons and Pluto
BY MARIAN KEMENSKY, SLOVAKIA - 7/14/2015
SPACE-SCOOP!
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Le foto (corriere.it)
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