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lunedì 28 marzo 2016
Paolo Poli
Scompare un genio
Franco Portinari
Paolo Poli
di Mario Airaghi
Venerdì ha lasciato questo mondo un grande uomo, Paolo Poli.
Ne ho ricordo fin da bambina con le sue filastrocche , Filiberto ecc.
Ho trovato un'intervista molto interessante, dell'anno scorso, dove dice: “Mi sta facendo il coccodrillo!”
Buon viaggio Paolo!
Paolo Poli - Il Grillo E La Formica (1965)
C'era un grillo in un campo di lino
la formicuzza gliene chiede un filino.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Disse il grillo: "che cosa ne vuoi fare?";
"calze e camicie: mi voglio maritare".
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Disse il grillo: "lo sposo sarò io";
la formicuzza: "sono contenta anch'io".
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Era fissato il giorno delle nozze,
due fichi secchi e due castagne cotte.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Andarono alla chiesa a mettersi l'anello;
cadde il grillo e si ruppe il cervello.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
La formicuzza corse verso il mare:
cercar l'unguento pel grillo medicare.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Quando fu là, laggiù vicino al porto,
venne la nuova: il grillo era morto.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
La formicuzza dal grande dolore
con le zampine si trafisse il cuore.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Quattro grillini vestiti di nero
presero il grillo e lo portarono al cimitero.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
Quattro formichine vestite di bianco
presero la formica e la portarono al campo santo.
Larinciunfelarillallera
larinciunferarillallà.
PAOLO POLI: INTERVISTA AL VATE DEL TEATRO ITALIANO
Abbiamo incontrato il poliedrico artista in occasione dell’uscita dell’audiobook “Pellegrino Artusi letto da Paolo Poli. La Scienza in cucina e l’Arte di mangiare bene” e con lui abbiamo ripercorso le tappe della sua gloriosa carriera
di Adriano Ercolani - 02 febbraio 2015
Paolo Poli è una delle figure più affascinanti e intellettualmente stimolanti del teatro italiano del Novecento. Adorato dalle giovani generazioni come icona gay ante litteram, Poli è molto di più: un attore straordinariamente dotato tecnicamente ma, soprattutto, un dotto ricercatore culturale.
Dopo una carriera vastissima (dal teatro alla radio alla televisione al cinema), alla veneranda età di 86 anni è ancora un vivace e arguto osservatore della realtà culturale italiana, in splendida forma sulla scena. La sua ultima fatica è l’audiobook Pellegrino Artusi letto da Paolo Poli. La Scienza in cucina e l’Arte di mangiare bene, all’interno della collana Audiocook della Emons, ideata e curata da Luisanna Messeri. Con l’occasione, abbiamo avuto l’opportunità di ripercorrere la gloriosa carriera di Poli, deliziati dal privilegio della sua elegante ironia.
Innanzitutto, volevo porle i miei omaggi per la sua opera di diffusione culturale, soprattutto per il garbo con cui ci ha porto la sua conoscenza …
“Suvvia, stiamo parlando di un libro di cucina!”
D’accordo, ma ben altre opere ci ha offerto in passato…
“Mi sta facendo il coccodrillo!”
Ma per carità!
“Ho un piede nell’al di là, ha ragione!”
Dunque, parliamo dell’Artusi!
“Bene, a me è stato dato l’incarico di parlare bene dell’Artusi, e io lo farò! Questo libro è nato cinquanta anni dopo I Promessi Sposi e quindici dopo Pinocchio, ed è scritto in un bel toscano, illustre. È stato un libro che tutte le sposine hanno avuto come regalo, portandoselo poi in cucina. Personalmente, ho imparato a leggere su questo libro, poiché lo avevo nel cassetto del tavolo della cucina, che era la stanza più abitata della casa. Sono figlio di un carabiniere., non sono nato in una nursery, sono nato in casa con una levatrice, come era d’uso a quei tempi. Ho imparato dunque a 5 anni a leggere, da solo, su questo libro, perché avevo scoperto che col risotto si fanno le frittelle di San Giuseppe verso la metà di marzo… ma io le mangiavo anche fuori stagione! Ho imparato a leggere da me perché sono andato a scuola solo in terza elementare. Mia mamma, che era insegnante elementare, mi diceva sempre: “Ma no, oggi piove, non andare!”. Pur essendo i miei poveri, compravano libri su libri, la casa era piena di libri, sicché ho imparato più dalle mie letture personali che dall’andare a scuola. Però, si sa, a scuola bisogna andare perché così vuole la società, ci sono i compagni…”
Insomma, come insegna il famoso finale di Pinocchio che a lei non piace…
“Quello in cui diventa un ragazzino perbene … io sono convinto che è la editor che gliel’ha aggiunto. Bastava: “Quant’ero buffo quando ero burattino”, punto. L’editor era Emma Perodi, l’autrice de Le Novelle della Nonna, libro fortunatissimo perché in Toscana si leggeva volentieri. A me piacevano quelle paurose: c’era un frate che il venerdì santo mangiava la bistecca e poi beveva il vino in un teschio, e il diavolo veniva a bussare alla porta della sua cella. Avevo un’edizione con le illustrazioni, si vedeva il diavolo che faceva capolino dall’uscio e io … godevo molto in quelle letture.”
Uno dei momenti di maggior popolarità nella sua carriera è stata appunto la lettura delle fiabe, e di Pinocchio in particolare, anche se so che lei non apprezza quella versione perché paradossalmente era una traduzione dalla versione inglese. Un aspetto che mi ha sempre affascinato molto della sua ricerca è che se da un lato lei ha sempre incarnato lo scandalo e la trasgressione, dall’altro è stato un cantore dell’innocenza. Si ritrova in questa definizione?
“Assolutamente … ha già detto tutto lei! Io sulla tomba non voglio scritte. Il nostro lavoro è fatto sull’acqua del mare, va e viene. È bello perché è come la vita, come l’amore si consuma nel momento che si fa. Della scrittura rimane traccia, il nostro va e viene. Ma è giusto così.”
Però come diceva Walter Benjamin, viviamo ormai da tempo nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’arte, le sue performance possono essere riprodotte all’infinito sia in formato audio che video
“Che orrore!”
Non le piace l’idea di essere ammirato per sempre?
“Macché! Le macchine aiutano l’uomo, ma lo impigriscono. Muore l’artigianato nel momento in cui nasce l’industria.”
Lei è per il primato assoluto dell’esperienza dal vivo.
“Certo, l’esperienza diretta! Mia nonna era brutta, era vecchia, ma mi raccontava le fiabe interpretando i personaggi, modificando le voci: “E poi arrivò la fatina …”, e io vedevo la fatina!”
Tornando all’Artusi, oltre al pregevole aspetto letterario, Pellegrino Artusi è anche elogiato per il lavoro di ricerca e di recupero della tradizione culinaria popolare che ha fatto.
“Sì, ha messo insieme le ricette di tutta Italia, ha realizzato un’opera di grande valore. Ha trovato anche il sistema di tradurre dal francese. In italiano non esistevano le diciture culinarie. C’erano dei libri che giravano con terminologie orrende: la “volaglia” per indicare la cacciagione!”
Credo che sia stato importante anche per formare, ammesso che si sia formata, l’identità italiana, unendo un patrimonio comune di esperienze quotidiane. È d’accordo?
“Sì, indubbiamente ha aiutato l’Unità d’Italia, senz’altro. I Promessi Sposi, nell’ultima versione, la quarantana, hanno primeggiato, affidandosi il Manzoni ai preti. Pinocchio da sé, si è fatto strada negli anni’80 del secolo. L’Artusi è del decennio successivo, l’ultimo del secolo, arriva per ultimo ma ha aiutato anch’egli, col toscano illustre, a creare una lingua unica.”
Una considerazione che mi viene spontanea è che grazie a Internet, a Youtube ad esempio, noi delle generazione successiva possiamo rivivere quei momenti alti della televisione italiana che ora appaiono impensabili. Sulla Rai c’erano Cesare Brandi che spiegava Giorgio Morandi, Carmelo Bene che leggeva i poeti russi, Gian Maria Volontè che interpretava Dostoevskij e Caravaggio, Ungaretti recitava le sue poesie, c’era lei che recitava Palazzeschi etc. Ora se si accende la tv, lo spettacolo è incommentabile. Cosa è successo, secondo lei, quando è avvenuta la decadenza?
“Ciò è successo perché un tempo c’era un lungo apprendistato per gli artisti. C’era poco spazio e quindi bisognava lasciar andare avanti i più bravi. Adesso ci sono mille palcoscenici, mille televisioni, per cui una ragazza che muove appena l’anca viene ripresa da una macchina, riprodotta venti volte ed esce un balletto. Come dicevo prima, le macchine aiutano l’uomo, ma lo impigriscono. Non si incontra più l’artista, l’artigiano che crea e offre dal produttore al consumatore. Uno che sappia appena aprire bocca diviene subito un presentatore.”
Una delle esperienze per me più interessanti della sua carriera è stata la sua partecipazione alla serie delle Interviste Impossibili, in cui davvero il meglio della cultura italiana ha partecipato giocosamente: ricordo fra gli altri Italo Calvino, Umberto Eco, Alberto Arbasino, Guido Ceronetti, Carmelo Bene, Giorgio Manganelli, Leonardo Sciascia etc. Lei partecipò con una magnifica reinvenzione di Eliogabalo, ma interpretò anche Erostrato, Epicuro, Fregoli e Lewis Carroll. Che si ricorda di quell’esperienza?
“Per sopravvivere, si faceva di tutto! Mi ricordo che c’era un giornalista radiofonico imbecille che mi fece leggere la parte prima seduto, accanto a me c’era Umberto Eco, e poi mi fece correre su e giù per la sala, sicché mi dovetti arrampicare sui divani dell’ufficio. Venne un’incisione tutta trafelata, ma a lui piacque così.”
Paolo Poli e Umberto Eco (da Babau, 1970)
Ad esempio, con Umberto Eco lei scrisse una pagina memorabile della televisione in cui affrontate il tema del conformismo e fornite antidoti per combatterlo, mentre oggi tutta la televisione è il trionfo del conformismo stesso.
“Eco aveva fatto il suo primo libro, che era bellissimo, e io ne avevo adattato degli estratti per una trasmissione che non andò mai in onda, Babau ’70. Andò in onda nell’80, il 15 agosto, mentre sull’altro canale c’era il pugilato, per cui tutti guardarono l’altro canale. Ma a me non importa, sono arrivato a questa tardissima età perché sono riuscito a fare di tutto un po’.”
Paolo Poli “Aquiloni”
Nei suoi esordi, lei si è accostato ad autori come Jean Genet e Samuel Beckett, considerati, soprattutto il primo, scandalosi.
“Sì. All’epoca c’erano mille cantine, mille soffitte, in cui con cinquanta persone si faceva un teatro. Io ho iniziato in un teatro di burattini a Milano, il Teatro Gerolamo, in cui agivano gli ultimi burattinai, la famiglia Colla, che è tutt’ora sulla scena. I miei primi amici furono il Mago Zurlì e la moglie e un giovanissimo Missoni.”
Lei ha sempre dato risalto ad autori che da un punto di vista accademico erano considerati minori.
“Io ho fatto la “sopraletteratura” e la “sottoletteratura”, perché dovevo ritagliarmi una fisionomia nel momento in cui si scioglievano le compagnie capocomicali e nascevano i teatri stabili, che avevano l’appannaggio di poter fare Shakespeare o Brecht. Io dovevo dunque fare delle stranezze che non assomigliassero ad altre.”
Il mago Zurlì (Cino Tortorella), Arabella (Sandra Mondaini) e Filiberto (Paolo Poli)
dal minuto 1.51
Il mago Zurlì (Cino Tortorella), Arabella (Sandra Mondaini) e Filiberto (Paolo Poli)
Ci sono figure che lei stimava tra i grandi artisti che ha incontrato? Ho letto più che altro commenti severi, ad esempio su Giorgio Albertazzi, qualcosa come “è un bravo attore, ma non molto intelligente”…
“Io son della Seconda Guerra Mondiale, essendo più giovane della guerra non ho dovuto fare il soldato, io …”
…e nemmeno il repubblichino, ho colto il riferimento …
“Ma era bello e bravo.”
Anche con Pasolini non aveva un rapporto idilliaco, è vero?
“Ma, vedi, l’ho incontrato che ero già trentenne, che se ne faceva di me, ero vecchio per lui! A lui garbavano i “ragazzi di vita” ruspanti. Abbiamo mangiato molte volte assieme a casa di Laura Betti, di cui ero molto amico. Ma Pasolini molto più di me stimava Moravia, e giustamente!”
Lei spesso si è lamentato di come Moravia non venga ricordato come meriterebbe.
“Perché alle cose che sembrano vecchie si preferiscono quelle antiche, si preferisce magari il Roman de la Rose o La Ballade des Pendus di Villon. A mio tempo, non si sapeva che Dante aveva scritto Il Fiore, ci bastava La Divina Commedia …e ci avanzava pure!”
Lei fra le tre cantiche predilige il Purgatorio, se non erro?
“Per forza! Perché nel Giubileo del 1300 quel mascalzone di Bonifacio VIII ha dichiarato urbi et orbi che c’è il Purgatorio e non si passa in Paradiso se non si passa per le chiavi di S.Pietro. In questo modo dava ancor più valore al Papato. E così il povero Dante ha dovuto fare tre cantiche, invece di due com’era d’uso, c’era la Jerusalem Coelestis e la Babilonia Infernalis. Però, facendo così, ha realizzato l’Encyclopedia Britannica dell’epoca. Bellissima.”
Ci sono autori che lei ha frequentato sulla scena ai quali è legato? Ad esempio, mi ha colpito molto la sua interpretazione di Pascoli, poeta spesso vittima di etichette scolastiche.
“Potevo anche mandare a memoria un pezzo di prosa e poi lo dicevo e diventava teatro. Pirandello era già roba vecchia, all’epoca mia, ma poi fu riscoperto. Goldoni era appannaggio delle produzioni scolastiche. Quando uno spettacolo andava male, lo facevano per le scuole, tanto pur di non andare a scuola i ragazzi andavano a teatro, tumultuando e strappando il velluto alle poltrone!
Non era amore per il teatro, era disperazione! Pascoli, lo feci per pigrizia, volli ricordare le mie letture della scuola elementare. A scuola ce lo davano in porzioni gigantesche, soprattutto l’aspetto della tragedia familiare, che con tutto il rispetto a me non interessa. A quel punto, preferisco Chandler.”
Paolo Poli, Filastrocche (la follia)
Ovviamente, alle elementari ci martoriavano con La cavallina storna, anche se poi ci sono delle stupende poesie del Pascoli come Il gelsomino notturno che non hanno nulla da invidiare alla grande poesia simbolista francese.
“Sì, sì, bellissime poesie. Soprattutto, in confronto a quello che c’era. Carducci era di una noia mortale! Un professore di scuola: T’amo, pio bove!”
Era maestro proprio di Pascoli, che poi ereditò la sua cattedra all’Università di Bologna …
“Sì, lo salvò, lo tirò fuori di galera. Pascoli fece tre mesi di galera a causa di un sit-in socialista. E poi succedette a lui.”
Non le faccio la domanda canonica sui matrimoni gay, perché lei ha già chiosato magnificamente in passato (“Che rottura di coglioni” cit.), aggiungendo “le galline beccano sempre nello stesso pollaio, il gatto sa come muoversi e scavalcare gli ostacoli”…
“Si sono noiosi! Noi eravamo aristocratici, solitari. Ora, hanno bisogno del branco, del gruppo. Anche se stanno a due a due vanno bene lo stesso, eh! E poi, allora, ci vuole subito il divorzio! Mica solo per quegli altri, eh! Anche perché, dopo due anni si saranno belli che stufati!”
Lei ha esplorato sia la trasgressione che la cultura alta: posso chiederle un commento sul dibattito seguente all’orribile attentato di Parigi alla redazione di Charlie Hebdo?
“Carmelo Bene, che tu apprezzi, in gioventù recitò sulla croce, estrasse il proprio membro e orinò in testa al critico Paolo Milano che era in prima fila (Bene negli anni ha sempre attribuito il fattaccio ad Alberto Greco, un pittore argentino che recitò nel suo spettacolo Cristo ’63, ndr). Sui nostri giornali non si vede il papa con le corna, solo le altre religioni da noi vengono sbeffeggiate. Ma tutte le religioni sono orrende. Le religioni devono essere lasciate stare. Io feci un’affettuosa ricostruzione del teatro di parrocchia e fu presa come un attacco alla Democrazia Cristiana, Scalfaro fece un’interpellazione parlamentare addirittura! E Scalfaro era una persona per bene.”
Posso chiederle quali sono i suoi prossimi appuntamenti in scena?
“Come diceva Gassman, ‘il mio futuro è dietro le spalle’. C’ho 86 anni, non voglio far pena! Non si va a ballar sotto le stelle! Se si ha bisogno di soldi, si va davanti a una chiesa e si chiede l’elemosina fuori alla porta. È meglio, non credi?!”
Paolo Poli Rita da Cascia 1967
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