"I'm not outside, I'm on the kind of edge, I'm dangling there. I quite like it.
I'm not against the establishment per se. I just do what I do and that's it."
Zaha Hadid
Comunque la pensiate, era una donna nata in un paese islamico che si è affermata in un mondo prevalentemente maschilista come quello dell'Architettura.
— Cartooning for Peace (@CartooningPeace) 29 marzo 2016
---------------------------------------------------------------------------------- La Notizia
Strage cristiani a Lahore - 72 persone, in maggioranza donne e bambini della minoranza cristiana, sono state uccise in un attacco suicida in un parco pubblico di Lahore, nel Pakistan centrale, gremito di famiglie che celebravano la Pasqua. L'esplosione, di forte entità, è avvenuta vicino a un ingresso del Gulshan-i-Iqbal Park situato nell'area di Iqbal Town, un popolare ritrovo domenicale e particolarmente affollato in occasione della festività cristiana.
Il kamikaze si è fatto esplodere vicino a delle altalene in mezzo alla folla. E' stata una carneficina con oltre 300 feriti, rivendicata dai talebani del gruppo Jamatul Ahrar. Secondo quanto riferito all'ANSA da Xavier P. William, responsabile dell'ong Life for All Pakistan che si occupa di diritti delle minoranze religiose, almeno 51 vittime e 157 feriti appartengono alla comunità cristiana. I sopravvissuti hanno detto di aver visto i corpi smembrati dalla deflagrazione riversi in pozze di sangue. Per trasportare i numerosi feriti negli ospedali sono stati usati i taxi e gli autorisciò che erano parcheggiato all'uscita del parco. Il governo di Islamabad ha dispiegato alcuni reparti dell' esercito per facilitare le operazioni di soccorso. La polizia ha confermato la presenza di un kamikaze e anche l'uso di sfere metalliche nell'esplosivo per aumentare l'effetto letale. Al momento della strage c'era una grande folla nel parco a tal punto che le vie di accesso erano intasate dal traffico. E' emerso che non c'era alcun servizio d'ordine a protezione dei numerosi ingressi del parco pubblico che è uno dei più grandi di Lahore. Il massacro è stato duramente condannato da India, Stati Uniti e anche dall'Italia.
"Il pensiero corre alle piccole vittime pachistane di #Lahore e alla Pasqua insanguinata dalla follia kamikaze #prayforlahore" ha scritto su Twitter il premier Matteo Renzi. Anche la premio Nobel per la pace Malala Yousafzai ha stigmatizzato la strage sempre su Twitter. "Sono sconvolta da un crimine insensato - ha scritto la giovane - che ha colpito gente innocente". Il 15 marzo dello scorso anno due kamikaze sempre del Tehrek-e-Taliban Pakistan (TTP) Jamat-ul-Ahrar, si erano fatti esplodere all'ingresso di due chiese di Lahore vicine fra loro, la cattolica St.John's Church e la cristiana Christ Church causando 17 morti.
---------------------------------------------------------------------------------------- Un altro gravissimo attentato in Pakistan nel gennaio scorso, in una università.
War on Knowledge Doaa Eladl Deadly assault on a university in Pakistan. If you want to see more cartoons about terrorism, visit our collection.
20 Jan 2016
Venerdì ha lasciato questo mondo un grande uomo, Paolo Poli. Ne ho ricordo fin da bambina con le sue filastrocche , Filiberto ecc. Ho trovato un'intervista molto interessante, dell'anno scorso, dove dice: “Mi sta facendo il coccodrillo!” Buon viaggio Paolo!
C'era un grillo in un campo di lino
la formicuzza gliene chiede un filino. Larinciunfelarillallera larinciunferarillallà.
Disse il grillo: "che cosa ne vuoi fare?";
"calze e camicie: mi voglio maritare". Larinciunfelarillallera larinciunferarillallà.
Disse il grillo: "lo sposo sarò io";
la formicuzza: "sono contenta anch'io". Larinciunfelarillallera larinciunferarillallà.
Era fissato il giorno delle nozze,
due fichi secchi e due castagne cotte. Larinciunfelarillallera larinciunferarillallà.
Andarono alla chiesa a mettersi l'anello;
cadde il grillo e si ruppe il cervello. Larinciunfelarillallera larinciunferarillallà.
La formicuzza corse verso il mare:
cercar l'unguento pel grillo medicare. Larinciunfelarillallera larinciunferarillallà.
Quando fu là, laggiù vicino al porto,
venne la nuova: il grillo era morto. Larinciunfelarillallera larinciunferarillallà.
La formicuzza dal grande dolore
con le zampine si trafisse il cuore. Larinciunfelarillallera larinciunferarillallà.
Quattro grillini vestiti di nero
presero il grillo e lo portarono al cimitero. Larinciunfelarillallera larinciunferarillallà.
Quattro formichine vestite di bianco
presero la formica e la portarono al campo santo. Larinciunfelarillallera larinciunferarillallà.
PAOLO POLI: INTERVISTA AL VATE DEL TEATRO ITALIANO Abbiamo incontrato il poliedrico artista in occasione dell’uscita dell’audiobook “Pellegrino Artusi letto da Paolo Poli. La Scienza in cucina e l’Arte di mangiare bene” e con lui abbiamo ripercorso le tappe della sua gloriosa carriera
Paolo Poli è una delle figure più affascinanti e intellettualmente stimolanti del teatro italiano del Novecento. Adorato dalle giovani generazioni come icona gay ante litteram, Poli è molto di più: un attore straordinariamente dotato tecnicamente ma, soprattutto, un dotto ricercatore culturale.
Dopo una carriera vastissima (dal teatro alla radio alla televisione al cinema), alla veneranda età di 86 anni è ancora un vivace e arguto osservatore della realtà culturale italiana, in splendida forma sulla scena. La sua ultima fatica è l’audiobook Pellegrino Artusi letto da Paolo Poli. La Scienza in cucina e l’Arte di mangiare bene, all’interno della collana Audiocook della Emons, ideata e curata da Luisanna Messeri. Con l’occasione, abbiamo avuto l’opportunità di ripercorrere la gloriosa carriera di Poli, deliziati dal privilegio della sua elegante ironia.
Innanzitutto, volevo porle i miei omaggi per la sua opera di diffusione culturale, soprattutto per il garbo con cui ci ha porto la sua conoscenza …
“Suvvia, stiamo parlando di un libro di cucina!”
D’accordo, ma ben altre opere ci ha offerto in passato…
“Mi sta facendo il coccodrillo!”
Ma per carità!
“Ho un piede nell’al di là, ha ragione!”
Dunque, parliamo dell’Artusi!
“Bene, a me è stato dato l’incarico di parlare bene dell’Artusi, e io lo farò! Questo libro è nato cinquanta anni dopo I Promessi Sposi e quindici dopo Pinocchio, ed è scritto in un bel toscano, illustre. È stato un libro che tutte le sposine hanno avuto come regalo, portandoselo poi in cucina. Personalmente, ho imparato a leggere su questo libro, poiché lo avevo nel cassetto del tavolo della cucina, che era la stanza più abitata della casa. Sono figlio di un carabiniere., non sono nato in una nursery, sono nato in casa con una levatrice, come era d’uso a quei tempi. Ho imparato dunque a 5 anni a leggere, da solo, su questo libro, perché avevo scoperto che col risotto si fanno le frittelle di San Giuseppe verso la metà di marzo… ma io le mangiavo anche fuori stagione! Ho imparato a leggere da me perché sono andato a scuola solo in terza elementare. Mia mamma, che era insegnante elementare, mi diceva sempre: “Ma no, oggi piove, non andare!”. Pur essendo i miei poveri, compravano libri su libri, la casa era piena di libri, sicché ho imparato più dalle mie letture personali che dall’andare a scuola. Però, si sa, a scuola bisogna andare perché così vuole la società, ci sono i compagni…”
Insomma, come insegna il famoso finale di Pinocchio che a lei non piace…
“Quello in cui diventa un ragazzino perbene … io sono convinto che è la editor che gliel’ha aggiunto. Bastava: “Quant’ero buffo quando ero burattino”, punto. L’editor era Emma Perodi, l’autrice de Le Novelle della Nonna, libro fortunatissimo perché in Toscana si leggeva volentieri. A me piacevano quelle paurose: c’era un frate che il venerdì santo mangiava la bistecca e poi beveva il vino in un teschio, e il diavolo veniva a bussare alla porta della sua cella. Avevo un’edizione con le illustrazioni, si vedeva il diavolo che faceva capolino dall’uscio e io … godevo molto in quelle letture.”
Uno dei momenti di maggior popolarità nella sua carriera è stata appunto la lettura delle fiabe, e di Pinocchio in particolare, anche se so che lei non apprezza quella versione perché paradossalmente era una traduzione dalla versione inglese. Un aspetto che mi ha sempre affascinato molto della sua ricerca è che se da un lato lei ha sempre incarnato lo scandalo e la trasgressione, dall’altro è stato un cantore dell’innocenza. Si ritrova in questa definizione?
“Assolutamente … ha già detto tutto lei! Io sulla tomba non voglio scritte. Il nostro lavoro è fatto sull’acqua del mare, va e viene. È bello perché è come la vita, come l’amore si consuma nel momento che si fa. Della scrittura rimane traccia, il nostro va e viene. Ma è giusto così.”
Però come diceva Walter Benjamin, viviamo ormai da tempo nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’arte, le sue performance possono essere riprodotte all’infinito sia in formato audio che video
“Che orrore!” Non le piace l’idea di essere ammirato per sempre?
“Macché! Le macchine aiutano l’uomo, ma lo impigriscono. Muore l’artigianato nel momento in cui nasce l’industria.”
Lei è per il primato assoluto dell’esperienza dal vivo.
“Certo, l’esperienza diretta! Mia nonna era brutta, era vecchia, ma mi raccontava le fiabe interpretando i personaggi, modificando le voci: “E poi arrivò la fatina …”, e io vedevo la fatina!”
Tornando all’Artusi, oltre al pregevole aspetto letterario, Pellegrino Artusi è anche elogiato per il lavoro di ricerca e di recupero della tradizione culinaria popolare che ha fatto.
“Sì, ha messo insieme le ricette di tutta Italia, ha realizzato un’opera di grande valore. Ha trovato anche il sistema di tradurre dal francese. In italiano non esistevano le diciture culinarie. C’erano dei libri che giravano con terminologie orrende: la “volaglia” per indicare la cacciagione!”
Credo che sia stato importante anche per formare, ammesso che si sia formata, l’identità italiana, unendo un patrimonio comune di esperienze quotidiane. È d’accordo?
“Sì, indubbiamente ha aiutato l’Unità d’Italia, senz’altro. I Promessi Sposi, nell’ultima versione, la quarantana, hanno primeggiato, affidandosi il Manzoni ai preti. Pinocchio da sé, si è fatto strada negli anni’80 del secolo. L’Artusi è del decennio successivo, l’ultimo del secolo, arriva per ultimo ma ha aiutato anch’egli, col toscano illustre, a creare una lingua unica.”
Una considerazione che mi viene spontanea è che grazie a Internet, a Youtube ad esempio, noi delle generazione successiva possiamo rivivere quei momenti alti della televisione italiana che ora appaiono impensabili. Sulla Rai c’erano Cesare Brandi che spiegava Giorgio Morandi, Carmelo Bene che leggeva i poeti russi, Gian Maria Volontè che interpretava Dostoevskij e Caravaggio, Ungaretti recitava le sue poesie, c’era lei che recitava Palazzeschi etc. Ora se si accende la tv, lo spettacolo è incommentabile. Cosa è successo, secondo lei, quando è avvenuta la decadenza?
“Ciò è successo perché un tempo c’era un lungo apprendistato per gli artisti. C’era poco spazio e quindi bisognava lasciar andare avanti i più bravi. Adesso ci sono mille palcoscenici, mille televisioni, per cui una ragazza che muove appena l’anca viene ripresa da una macchina, riprodotta venti volte ed esce un balletto. Come dicevo prima, le macchine aiutano l’uomo, ma lo impigriscono. Non si incontra più l’artista, l’artigiano che crea e offre dal produttore al consumatore. Uno che sappia appena aprire bocca diviene subito un presentatore.”
Una delle esperienze per me più interessanti della sua carriera è stata la sua partecipazione alla serie delle Interviste Impossibili, in cui davvero il meglio della cultura italiana ha partecipato giocosamente: ricordo fra gli altri Italo Calvino, Umberto Eco, Alberto Arbasino, Guido Ceronetti, Carmelo Bene, Giorgio Manganelli, Leonardo Sciascia etc. Lei partecipò con una magnifica reinvenzione di Eliogabalo, ma interpretò anche Erostrato, Epicuro, Fregoli e Lewis Carroll. Che si ricorda di quell’esperienza?
“Per sopravvivere, si faceva di tutto! Mi ricordo che c’era un giornalista radiofonico imbecille che mi fece leggere la parte prima seduto, accanto a me c’era Umberto Eco, e poi mi fece correre su e giù per la sala, sicché mi dovetti arrampicare sui divani dell’ufficio. Venne un’incisione tutta trafelata, ma a lui piacque così.”
Paolo Poli e Umberto Eco (da Babau, 1970)
Ad esempio, con Umberto Eco lei scrisse una pagina memorabile della televisione in cui affrontate il tema del conformismo e fornite antidoti per combatterlo, mentre oggi tutta la televisione è il trionfo del conformismo stesso.
“Eco aveva fatto il suo primo libro, che era bellissimo, e io ne avevo adattato degli estratti per una trasmissione che non andò mai in onda, Babau ’70. Andò in onda nell’80, il 15 agosto, mentre sull’altro canale c’era il pugilato, per cui tutti guardarono l’altro canale. Ma a me non importa, sono arrivato a questa tardissima età perché sono riuscito a fare di tutto un po’.”
Paolo Poli “Aquiloni”
Nei suoi esordi, lei si è accostato ad autori come Jean Genet e Samuel Beckett, considerati, soprattutto il primo, scandalosi.
“Sì. All’epoca c’erano mille cantine, mille soffitte, in cui con cinquanta persone si faceva un teatro. Io ho iniziato in un teatro di burattini a Milano, il Teatro Gerolamo, in cui agivano gli ultimi burattinai, la famiglia Colla, che è tutt’ora sulla scena. I miei primi amici furono il Mago Zurlì e la moglie e un giovanissimo Missoni.”
Lei ha sempre dato risalto ad autori che da un punto di vista accademico erano considerati minori.
“Io ho fatto la “sopraletteratura” e la “sottoletteratura”, perché dovevo ritagliarmi una fisionomia nel momento in cui si scioglievano le compagnie capocomicali e nascevano i teatri stabili, che avevano l’appannaggio di poter fare Shakespeare o Brecht. Io dovevo dunque fare delle stranezze che non assomigliassero ad altre.”
Il mago Zurlì (Cino Tortorella), Arabella (Sandra Mondaini) e Filiberto (Paolo Poli)
dal minuto 1.51
Il mago Zurlì (Cino Tortorella), Arabella (Sandra Mondaini) e Filiberto (Paolo Poli)
Ci sono figure che lei stimava tra i grandi artisti che ha incontrato? Ho letto più che altro commenti severi, ad esempio su Giorgio Albertazzi, qualcosa come “è un bravo attore, ma non molto intelligente”…
“Io son della Seconda Guerra Mondiale, essendo più giovane della guerra non ho dovuto fare il soldato, io …” …e nemmeno il repubblichino, ho colto il riferimento …
“Ma era bello e bravo.”
Anche con Pasolini non aveva un rapporto idilliaco, è vero?
“Ma, vedi, l’ho incontrato che ero già trentenne, che se ne faceva di me, ero vecchio per lui! A lui garbavano i “ragazzi di vita” ruspanti. Abbiamo mangiato molte volte assieme a casa di Laura Betti, di cui ero molto amico. Ma Pasolini molto più di me stimava Moravia, e giustamente!”
Lei spesso si è lamentato di come Moravia non venga ricordato come meriterebbe.
“Perché alle cose che sembrano vecchie si preferiscono quelle antiche, si preferisce magari il Roman de la Rose o La Ballade des Pendus di Villon. A mio tempo, non si sapeva che Dante aveva scritto Il Fiore, ci bastava La Divina Commedia …e ci avanzava pure!” Lei fra le tre cantiche predilige il Purgatorio, se non erro?
“Per forza! Perché nel Giubileo del 1300 quel mascalzone di Bonifacio VIII ha dichiarato urbi et orbi che c’è il Purgatorio e non si passa in Paradiso se non si passa per le chiavi di S.Pietro. In questo modo dava ancor più valore al Papato. E così il povero Dante ha dovuto fare tre cantiche, invece di due com’era d’uso, c’era la Jerusalem Coelestis e la Babilonia Infernalis. Però, facendo così, ha realizzato l’Encyclopedia Britannica dell’epoca. Bellissima.”
Ci sono autori che lei ha frequentato sulla scena ai quali è legato? Ad esempio, mi ha colpito molto la sua interpretazione di Pascoli, poeta spesso vittima di etichette scolastiche.
“Potevo anche mandare a memoria un pezzo di prosa e poi lo dicevo e diventava teatro. Pirandello era già roba vecchia, all’epoca mia, ma poi fu riscoperto. Goldoni era appannaggio delle produzioni scolastiche. Quando uno spettacolo andava male, lo facevano per le scuole, tanto pur di non andare a scuola i ragazzi andavano a teatro, tumultuando e strappando il velluto alle poltrone!
Non era amore per il teatro, era disperazione! Pascoli, lo feci per pigrizia, volli ricordare le mie letture della scuola elementare. A scuola ce lo davano in porzioni gigantesche, soprattutto l’aspetto della tragedia familiare, che con tutto il rispetto a me non interessa. A quel punto, preferisco Chandler.”
Paolo Poli, Filastrocche (la follia)
Ovviamente, alle elementari ci martoriavano con La cavallina storna, anche se poi ci sono delle stupende poesie del Pascoli come Il gelsomino notturno che non hanno nulla da invidiare alla grande poesia simbolista francese.
“Sì, sì, bellissime poesie. Soprattutto, in confronto a quello che c’era. Carducci era di una noia mortale! Un professore di scuola: T’amo, pio bove!” Era maestro proprio di Pascoli, che poi ereditò la sua cattedra all’Università di Bologna …
“Sì, lo salvò, lo tirò fuori di galera. Pascoli fece tre mesi di galera a causa di un sit-in socialista. E poi succedette a lui.”
Non le faccio la domanda canonica sui matrimoni gay, perché lei ha già chiosato magnificamente in passato (“Che rottura di coglioni” cit.), aggiungendo “le galline beccano sempre nello stesso pollaio, il gatto sa come muoversi e scavalcare gli ostacoli”…
“Si sono noiosi! Noi eravamo aristocratici, solitari. Ora, hanno bisogno del branco, del gruppo. Anche se stanno a due a due vanno bene lo stesso, eh! E poi, allora, ci vuole subito il divorzio! Mica solo per quegli altri, eh! Anche perché, dopo due anni si saranno belli che stufati!”
Lei ha esplorato sia la trasgressione che la cultura alta: posso chiederle un commento sul dibattito seguente all’orribile attentato di Parigi alla redazione di Charlie Hebdo?
“Carmelo Bene, che tu apprezzi, in gioventù recitò sulla croce, estrasse il proprio membro e orinò in testa al critico Paolo Milano che era in prima fila (Bene negli anni ha sempre attribuito il fattaccio ad Alberto Greco, un pittore argentino che recitò nel suo spettacolo Cristo ’63, ndr). Sui nostri giornali non si vede il papa con le corna, solo le altre religioni da noi vengono sbeffeggiate. Ma tutte le religioni sono orrende. Le religioni devono essere lasciate stare. Io feci un’affettuosa ricostruzione del teatro di parrocchia e fu presa come un attacco alla Democrazia Cristiana, Scalfaro fece un’interpellazione parlamentare addirittura! E Scalfaro era una persona per bene.”
Posso chiederle quali sono i suoi prossimi appuntamenti in scena?
“Come diceva Gassman, ‘il mio futuro è dietro le spalle’. C’ho 86 anni, non voglio far pena! Non si va a ballar sotto le stelle! Se si ha bisogno di soldi, si va davanti a una chiesa e si chiede l’elemosina fuori alla porta. È meglio, non credi?!”
Perché ho aiutato Blu a cancellare i suoi murales DI BROCHENDORS BROTHERS
Per cancellare tutti i suoi disegni a Bologna Blu non ha agito da solo. Il dietro le quinte dell’operazione raccontato dai protagonisti
Il 12 marzo BLU ha deciso di cancellare tutti i suoi murales da Bologna in risposta alla mostra organizzata da Genus Bononiae. Musei nella Città, nella quale sono esposti alcuni suoi lavori strappati senza consenso dai muri della città. Si è aperto subito un gran dibattito, tra sostenitori e detrattori dell'operazione dell'artista, tra commenti puntuali e esternazioni surreali. Ma Blu non ha fatto tutto da solo.
Non facciamoci fermare dal mostro della paura
23/03/2016 MASSIMO GRAMELLINI
Se la paura è un mostro che si nutre di buio, la scena del Martedì di Passione che ci resterà impressa nella mente l’ha ripresa un telefonino nelle viscere della metropolitana di Bruxelles. Il treno si è appena fermato in mezzo al tunnel e i passeggeri scendono dai vagoni per incamminarsi lungo le rotaie, verso la stazione più vicina. Nei loro gesti non si respira il panico dell’aeroporto, dove tutti correvano a perdifiato trascinandosi appresso i carrelli. Forse qui sotto non hanno ancora la percezione esatta di cosa è successo. Qui il buio e il silenzio avvolgono ogni azione e ogni emozione. A sporcarli affiorano il bagliore tenue delle luci di emergenza e il pianto isolato di un bambino. Ma gli adulti non piangono e non urlano. Neppure parlano. Si limitano a camminare silenziosi in fila per due, ascoltando il rumore dei propri passi senza rallentare né correre, come durante una processione.
A un certo punto la camera del telefonino inquadra un uomo con un corpetto blu solcato da un’enorme scritta Nike.
Cammina da solo in mezzo alle rotaie e tiene in mano un mazzo di fiori bianchi e rossi. Sembra quasi sollevarli con cura, affinché la polvere che sale dal basso non deturpi troppo la loro innocenza. Chissà a cos’erano destinati: se a battezzare una laurea, il vincitore di una gara sportiva o un appuntamento galante di prima mattina. La scena ha un effetto surreale che trascende nel magico: dopo tanto buio, in fondo al tunnel si comincia a intravedere una luce.
Anche noi vorremmo vedere la luce, sperando non sia quella di un treno in corsa che procede contromano. Dopo la mattanza dei vignettisti di Charlie Hebdo eravamo sconvolti, ma immaginavamo ancora che il terrore colpisse obiettivi mirati. Dopo il Bataclan abbiamo capito che non era così, ma continuavamo a sperare che si trattasse di un attentato sporadico, non di un atto bellico a cui ne sarebbero seguiti molti altri. Finché è arrivata la battaglia di Bruxelles a ricordarci che qualcuno ci ha dichiarato guerra e che qualunque muro eretto tra noi e il nemico è ridicolo perché il nemico è già penetrato nella fortezza Europa. Ci è nato, ha frequentato le sue scuole, usufruito dei suoi servizi, imparato le sue lingue e quanto basta dei suoi costumi per coglierne gli aspetti più vulnerabili. I disperati che scappano dalla guerra e i fanatici che ce la portano in casa sono due problemi enormi, ma molto diversi tra loro, che non verranno mai risolti se affrontati allo stesso modo.
La paura non dà mai risposte. Fa solo domande. La più stringente se la stanno ponendo le persone che avevano prenotato un viaggio all’estero per i giorni di Pasqua. Rinunciare, a costo di rimetterci dei soldi? O sfidare il destino, accettando il rischio di salire su un aereo, ma ormai anche su una metropolitana? E qual è il limite da dare all’espressione «viaggio all’estero», quando il terrore invade la capitale stessa dell’Europa?
L’essere umano opta tendenzialmente per la soluzione che risuona meno pericolosa al suo carattere. Il fatto è che questa soluzione si sta rattrappendo di mese in mese, come il numero di Paesi sulla cartina geografica in cui sia ancora possibile immaginare di trascorrere una vacanza senza infilare troppa angoscia in valigia. E’ il ricatto del terrorismo, lo sappiamo, ma conosce un limite nel nostro desiderio naturale di muoverci, accettando rischi calcolati. I treni e gli aeroporti torneranno a popolarsi, perché nessuno è disposto a rinunciare al piacere di percorrere in libertà almeno la porzione di terra che gli è toccata in sorte. Quell’Europa che, paradossalmente, la tragedia spagnola del pullman dell’Erasmus e gli attentati di Bruxelles ci stanno facendo sentire finalmente nostra.
Restringendo la visuale all’Italia, bisogna riconoscere che la sua prolungata impermeabilità ai sicari del Califfo non è frutto del caso o di un accordo segreto con la mafia, come giurano i dietrologi che tutto sanno, ma dello straordinario lavoro di una tra le Intelligence migliori del mondo. Si dice che l’esercizio sviluppa l’organo e i servizi italiani si sono addestrati attraverso mezzo secolo di lotta al terrorismo politico e alla criminalità organizzata, fino a raggiungere livelli di efficienza e di prestigio che le frange di agenti «deviati» non sono riusciti a macchiare. Forse un giorno verremo a sapere quante Bruxelles sono state risparmiate agli italiani in questi anni, grazie ai controlli e alle intercettazioni che qualche anima candida vorrebbe abolire.
La paura è un sentimento reazionario che spinge verso scelte reazionarie. Storicamente trascina i popoli alla dittatura, nell’illusione che sospendere le garanzie democratiche possa proteggere meglio dal terrore. In realtà il populismo porta all’isolamento e l’isolamento non fa che aumentare il pericolo. Ma se avere paura è un diritto, e in certa misura un dovere, anche non perdere la testa lo è. Si brancola al buio come nel tunnel di Bruxelles, eppure si comincia a intravedere una luce. L’interruttore lo hanno in mano i leader europei. Cercheranno l’applauso facile delle opinioni pubbliche, sollevando ponti levatoi nel cuore dell’Europa, oppure useranno l’emergenza per accelerare il processo di integrazione tra le polizie continentali? Forse il terrorismo, come la paura, non si combatte alzando muri, ma gettando reti.
Presa Diretta ha trasmesso fatti (e misfatti) che ruotano attorno a migliaia di vittime italiane (milioni a livello planetario) contagiate da epatite C (HCV). Il pezzo realizza assunti inquietanti, primo fra i quali: chi è ricco può curarsi, chi non lo è può morire.
Limitiamoci a casa nostra.
Attorno agli anni 80 la sanità pubblica trasfuse migliaia di sacche sangue ed emocomponenti infetti da HCV. Chi ha potuto dimostrare che prima della trasfusione era sano è in fila per ottenere dallo Stato il risarcimento danni. Tutti gli altri, insieme con coloro che hanno contratto il virus per altre vie (odontoiatria, siringhe infette ecc.), patiscono in proprio le conseguenze di virus potenzialmente mortale e irreversibile almeno fino qualche anno fa, epoca in cui è stata scoperta la rivoluzionaria terapia che lo annienta, o meglio, che blocca la sua opera devastatrice. La casa farmaceutica scopritrice fu fagocitata da chi (a offerta per rilancio) propose oltre 11miliardi di dollari (!) per metterla sul mercato. Da lì conseguì la commercializzazione monopolizzata. La nostra Aifa nel 2014 l’acquistò spuntando un certo prezzo (seppur a quanto pare inferiore di circa la metà degli 84mila $ in Usa). Prezzo che per l’Italia risulta a tutt’oggi ancora stratosferico e dunque non spendibile per tutti i malati e infatti ci dicono che i soldi non bastano per tutti. Da qui una sorta d’ambarabacicciccoccò SSN “orientata istituzionalmente” a “scegliere” i pazienti cui somministrare il farmaco salvifico. E’ ciò che accade pressappoco dal 2014 a oggi in tutta Italia. La cantilena terapeutica tra medico e paziente tende a orientarsi in via temporale più o meno in queste fasi: 1)“lei al momento non è così grave dunque non rientra nella somministrazione, rivedremo alla prossima visita”. Passa un semestre. 2) “qui è il caso di fare altri esami poi vedremo” . Altro semestre e si chiude l’anno. Nell’anno successivo i nuovi esami invitano il medico a rilevare che “be’ quel valore è significativo, importante quanto a parametro, sì, a ben vedere lei può essere inserito nel protocollo”. Quell’anno trascorre a vuoto, per lo più interamente con domanda del paziente sul tipo “quando iniziamo dunque?” Ed è qui che scattano risposte evasive, ma esplicite, del tipo “al momento non ci sono soldi, si tranquillizzi appena ci saranno lei sarà tra i primi della lista”. Ed è qui che s’instaura il ventaglio dei pazienti: va da coloro che, potendo pagare in proprio l’ottenimento del farmaco, possono rivolgersi ad altri paesi//continenti a coloro che, per indigenza o ignoranza, sono costretti a bloccarsi sull’assistenza italiana. Tra i primi c’è anche chi s’è rivolto all’India . Con massimo un terzo del costo italiano (voli, soggiorno, visite private e terapia compresi) ottiene il tutto. L’India, infatti, a differenza di tutto il resto del pianeta, non solo si è attivata per operare in proprio quanto a brevetti, ma sta lavorando -con ottimi risultati- per ottenere, in virtù di ciò che sancisce la Carta Universale, il diritto alla salute spettante a tutti i popoli. Di fatto l’antidoto all’ HCV èda paragonarsi alla penicillina e a tutti gli storici vaccini salvavita ormai ottenibili con pochi spiccioli (morbillo/vaiolo/polio ecc.). L’India in tal senso ha lavorato anche sull’Aids.
Ebbene, ai pazienti italiani affetti da HCV (teniamo anche ben presente le fonti di contagio!) che, rivolgendosi ai loro distretti sanitari, sono pressoché trattati come sopra, mi permetto di consigliare: chiedete per iscritto ciò che dichiarano i vostri medici. Delle due l’una: o non siete al momento necessari di quella terapia oppure ne avete bisogno, ma il SSN non ha soldi per pagarvela. Nel primo caso ne risponderà, quanto scienza e coscienza, il medico. Nel secondo ne risponderà lo Stato che vi sta impedendo di far valere il sacrosanto diritto sancito non solo dalla Carta Universale, ma anche dal costituzionale italiano art. 32: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Il nostro governo fa l’indiano? No. In questo caso fa l’opposto. Invece d’attivarsi insieme con la “sua” Aifa a lavorare come sta facendo l’India, sottosta al pizzo del monopolio statunitense divenendo così, automaticamente, detentore del potere di vita e di morte…
19 marzo 2016
More time for medicine Alex Falcó Chang
If the world spent more time finding medicines to cure major diseases would be better than spending time searching for new weapons to cause more deaths.
20 Feb 2015
PLAGIO!!!.... así descaradamente. Si fuera solo el dibujo, pensaría que fue una equivocación, pero nunca pongo textos adicionales, tampoco envié este dibujo, la convocatoria pedía dibujos inéditos y este es uno de mis dibujos más publicados."This is not only plagiarism, it´s a theft"!Cosas que no deberían pasar...Elena Ospina
Alarm !! alarm !!!
Dear colleagues cartoonist and members of the international jury, you remember this name: "MARIO RUSSO", he is a plagiarist !!!
It is not the first time that he deceives an international jury.
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Paolo Lombardi
Confesso provo vergogna per questo italiano, tale Mario Russo, così spudorato da partecipare ad un concorso internazionale col disegno della grande artista colombiana Elena Ospina.
Chissà la rabbia che avrà provato Elena a vedere a pagina 29 del catalogo la sua opera con il nome di un'altra persona.
Pazienza se fosse una idea simile ma questo cartoon è stato copiato senza ritegno!
L'organizzazione della mostra (vedi foto sotto) ha già provveduto a cancellare il plagio dal catalogo e spero lo abbia tolto anche dalla mostra.
Women's Rights- International Cartoon Exhibition in Norwegian Cartoonists Gallery, Drøbak, Norway
con le illustrazioni del geniale artista della Belle Époque.
24 MARZO 2016 - 29 MAGGIO 2016
Inaugurazione giovedì 24 marzo, ore 18.00,
Museo della Satira e della Caricatura
a Villa Bertelli (Via Mazzini 200, Forte dei Marmi)
In mostra dal 24 marzo a Villa Bertelli di Forte dei Marmi, grazie alla collaborazione fra Comune e Museo della Satira, i numeri originali del giornale Le Rire, cui collaborò anche Toulouse-Lautrec.
Henri de Toulouse-Lautrec fu uno straordinario innovatore della pittura e della grafica di fine Ottocento. Importante artista post-impressionista, ma anche illustratore e litografo; da osservatore febbrile del mondo in cui viveva, registrò nelle sue opere molti dettagli dello stile di vita bohèmien della Parigi di quel periodo. Portò la sua arte su un piano allora sconosciuto agli altri impressionisti, con semplici tratti, sapeva infatti cogliere con estrema precisione le forme, i corpi e lo spazio.
Lautrec non dipinse mai paesaggi. Innamorato della figura umana e dotato di spirito caustico, fin da piccolo aveva schizzato ritratti, vignette e caricature. Tormentato da problemi di salute tutta la vita, fu sempre desideroso di vivere appieno la vita più vera, quella della gente ai margini della società come le cantanti e le ballerine dei café-chantant, i clown o le prostitute, che ritrasse con i suoi tratti sapienti e “caricati”, ma sempre caratterizzati da una forte empatia, mentre alla ricca borghesia riservò lo sguardo più ironico e sferzante.
La sua carriera iniziò nel momento in cui la Francia, avendo abolito la censura e la stampa era libera di deridere uomini politici o soggetti fino a quel momento considerati intoccabili. Il Paese stava allora attraversando un momento felice di crescita dei lettori, dovuta a un’alfabetizzazione delle classi più umili e a una conseguente esplosione di giornali, che dovevano soddisfare le curiosità dei nuovi lettori. A questo ben si prestava il disegno al tratto su carta, facilmente riproducibile tramite il sistema litografico dei giornali e di questo Lautrec fu maestro indiscusso. Illustrava articoli degli amici scrittori e giornalisti o si divertiva a proporre i suoi soggetti prediletti.
Da un punto di vista politico la Francia stava assistendo a un crescente malcontento nei confronti della Terza Repubblica, all’aumentare dell’anarchismo, a episodi di corruzione e scandali. Tutto ciò favoriva la satira e la caricatura, che venne anche studiata e perfino teorizzata dagli intellettuali del tempo, come Jean Grand Carteret e Arsène Alexandre.
Fu proprio quest’ultimo a dirigere, per diversi anni, il giornale satirico Le Rire, creato da Félix Juven, al quale Lautrec collaborò tra il 1894 e il 1897 producendo meravigliose illustrazioni nelle quali ritrasse le numerose celebrità del mondo dei cabaret nonché scene di vita sociale parigina. Come esempio della sua arte caricaturale basti citare il suo folgorante ritratto della cantante del Moulin Rouge, Yvette Guilbert, di cui i lunghi guanti neri arrivano a vivere di vita propria e a rappresentarne una felice sineddoche in altre illustrazioni dell’autore; il ritratto dello scrittore simbolista Dujardin in Skating, efficace esempio di dandy; o l’ingresso trionfale a dorso di mulo al Moulin Rouge, della pagliaccia Cha-U-Kao, dal ciuffo grottesco e infiocchettato.
Il Museo della Satira espone in mostra i numeri originali del giornale (appartenenti alla collezione del Museo) con le litografie dell’artista, nonché ingrandimenti delle illustrazioni per permettere di godere appieno la grande arte di Lautrec. Ogni illustrazione è accompagnata da una scheda esplicativa che ci immerge nel clima e nell’atmosfera del tempo e ci avvicina a quei personaggi che Lautrec amava e ammirava.
Yvette Guilbert (10/11/1894) - 23 cm x 31 cm
"Of all the music hall performers who inspired Lautrec, Yvette Guilbert exerted by far the greatest hold over him. He was completely fascinated by the style and atmosphere of her act. Lautrec first saw her in about 1892, she had revolutionized the whole atmosphere of the cafe concert by a totally new approach to the performance of a song. Standing almost still except for gestures of her long thin arms in black gloves, which she almost invariably wore, her face almost expressionless except for the twist of her lips, she sang songs with highly scandalous words and themes. The Paris audience was captivating and none more than Lautrec. He found the whole atmosphere of her act and personality magnetic. Over the years they became well known to each other and she inspired some of his finest lithographs, drawings and paintings"
Yvette Guilbert, nome d'arte di Emma Laure Esther Guilbert (Parigi, 20 gennaio 1865 – Aix-en-Provence, 3 febbraio 1944).Fu grande interprete dei music-hall parigini. Innovativa nell'interpretazione rimaneva in piedi, quasi priva di espressione, muovendo solo le braccia rivestite da lunghi guanti neri.
Snobisme (24/04/1896) - 23 cm x 31 cm
We find an elegant gentleman and escort, a prostitute or his mistress, seated at a table of a fashionable Paris restaurant. The meal is done, and as he studies the bill, he softly says to her, "Jeanne, take my wallet, without anyone spotting you, out of the left hand pocket of my overcoat." "And then?" she replies slyly, with a knowing smile. "Then give it to me as if it were yours." The inference is that he is protecting her reputation or more likely his own, from the watchful eye of the doorman of the establishment. An example of the snobbish hypocrisy that ran rampant in Paris at the time, which only Lautrec could capture with such rare insight and beauty.
Skating (11/01/1896) - 23 cm x 31 cm
In this work by Lautrec simply titled "Skating" he gives us a look at the social, as well as the skating itself. From the gallery, a very distinguished monocled, gentleman in top hat, prepares his drink, as he surveys the scene. A blonde skater, with a striking profile and hat to match, holds the rail quite near to him. She seems to be looking past him. In the background we see a waiter move by with a full tray of drinks, as well a decked out lady skater clings to the rail while a man skates effortlessly by them all. A full array of elegant ladies and gentleman round out the gallery. Lautrec has effectively captured the movement, the atmosphere and romance of indoor ice-skating, a very popular pastime in Paris at the turn of the century
CENNI BIOGRAFICI Henri de Toulouse-Lautrec era nato il 24 novembre 1864 ad Albi, nella regione francese dei Pirenei, in un'antica famiglia nobile francese. Sin da giovane si era interessato alla pittura, allontanandosi dall'ambiente aristocratico e conservatore in cui viveva e soffrì di importanti problemi di salute dovuti a malattie genetiche causate dai rapporti tra consanguinei, frequenti nella sua famiglia. Fu in parte anche la sua condizione che lo portò a interessarsi alle persone ai margini della società e a rappresentare la figura umana con tratti nervosi e tormentati.
Si trasferì a Parigi, con la madre, nel 1872 e iniziò a frequentare il Lycée Fontanes, dove conobbe Maurice Joyant, che divenne presto uno dei suoi amici più fidati. Negli anni seguenti Toulouse-Lautrec cadde rovinosamente in casa, si ruppe il femore sinistro e qualche mese dopo si ruppe anche l'altra gamba. Le fratture che si era procurato non guarirono mai del tutto a causa della picnodisostosi, la malattia genetica di cui soffriva e che causava seri problema alle ossa e al loro sviluppo.
La condizione fisica di Lautrec fu tra le cause che lo portarono ad appassionarsi sempre di più all'arte, avendo precluse molte delle altre attività che di solito erano praticate dalla persone della sua stessa estrazione sociale. Frequentò l'atelier di Fernand Cormon, dove incontrò artisti come Vincent Van Gogh, Louis Anquetin, Emile Bernard e Albert Grenier.
Nel giro di alcuni anni Henri de Toulouse-Lautrec divenne uno degli illustratori e disegnatori più richiesti di Parigi: gli furono commissionati manifesti pubblicitari per rappresentazioni teatrali, balletti e spettacoli dei café-concert, oltre che illustrazioni per importanti riviste dell'epoca.
Lautrec contribuì a rendere popolare il linguaggio delle avanguardie di fine Ottocento e rappresentò un ponte di collegamento tra la buona società dell'epoca e la vita bohémiendi ballerine, scrittori, intellettuali, cantanti e anche prostitute che affollavano i locali di Montmartre. I suoi disegni – stilisticamente ispirati alle stampe giapponesi e all'età d'oro della caricatura francese – raccontano molti aspetti della vita parigina: la politica, i movimenti culturali, i divertimenti dei ceti popolari e la nascita di forme di intrattenimento come appunto icaffè-concerto e i cabaret.
Henri de Toulouse-Lautrec morì nel 1901 a soli 37 anni.