sabato 1 agosto 2020

INTERVISTA di Francisco Punal Suárez a Marco De Angelis

Expo de Marco De Angelis

INTERVISTA di Francisco Punal Suárez a Marco De Angelis

  Speciale per Fany Blog

"Veritá a doppio taglio" è il titolo della mostra personale dell'eccezionale artista italiano Marco de Angelis, che si tiene a Le Piastre, dal 31 luglio al 30 agosto, organizzata dall'Accademia della Bugia, bugiardino d'oro per la sezione grafica lo scorso anno.

Gli spettatori della 44a Edizione del Campionato Italiano della Bugia, a Le Piastre, potranno godere dei cartoni di Marco, con disegni e contenuti squisiti. che dimostra il valore sociale dell'umorismo grafico e della satira.

Ne abbiamo parlato con Marco, alla vigilia dell'inaugurazione della sua mostra, esclusivamente per i lettori di Fany Blog.


  1. Da quando ti piace disegnare?

Disegno da quando avevo tre anni, ma al contrario di tanti altri bambini, ho continuato con quello che era il mio hobby preferito e che poi è diventato la mia professione, insieme a quella di giornalista. Disegnavo sempre (con un foglio di carta e una penna ero felice) e studiavo le tecniche dei grandi disegnatori sui giornali di comics, guardandoli con la lente d’ingrandimento, ma arricchendo la mia formazione generale anche con tanti libri, fonti di conoscenza e di idee.


  1. Quale formazione accademica hai?

Ho studiato al liceo storia dell’arte e tecniche, poi ho seguito un corso libero all’Accademia di Belle Arti di Roma, mentre all’Università frequentavo la facoltà di Storia e Antropologia. Ma l’arte del cartoon e dei comics l’ho imparata studiando da solo, perché quando ero ragazzo non c’erano scuole di fumetto e illustrazione, come adesso. A quei tempi non pensavo che potesse diventare una professione (in Italia non sarebbe stato facile vivere facendo il disegnatore), anche se dal ’75 avevo molte collaborazioni e avevo preso premi importanti. Poi nel 1980, a 25 anni, sono stato assunto in un importante quotidiano, Il Popolo, e il cartoon è diventato il mio impegno giornaliero, insieme a quello di redattore.


  1. Quali argomenti affronti in questa mostra?

Espongo disegni su vari argomenti di attualità, come l’ambiente, guerra e pace, il rapporto uomo-donna, la libertà di pensiero e il Coronavirus, naturalmente. Ho voluto offrire un ritratto generale del nostro mondo e della nostra società, cercando di lanciare dei messaggi con l’aiuto del sorriso. Riuscire a far pensare gli altri facendoli sorridere (anche se con amarezza) è una cosa molto gratificante. 


  1. Cosa significa esporre in questo luogo?

Le Piastre è famosa per il Campionato della Bugia, e tengo questa mostra personale nelle strade del paese, perché ho vinto il primo premio nella passata edizione (e avevo già vinto nel 2015, quindi sono un gran bugiardo…). E’ un concorso che è arrivato alla 44° edizione e ha riscosso sempre maggiore successo, sia per la sezione grafica che per quella verbale o letteraria, e qui c’è l’unico incredibile museo al mondo sulla bugia. Oltre al fatto che Le Piastre è un bel luogo d’incontro, trovo che bugia e satira siano direttamente collegate, perché la satira spesso smaschera le bugie, mentre altre volte un umorismo bugiardo con la metafora racconta la verità. 


  1. Perché l'umorismo e la satira sono importanti nella società?

Da sempre l’umorismo ha avuto un effetto terapeutico sullo spirito, permettendoci di affrontare il mondo con un occhio diverso, leggero e intelligente allo stesso tempo, ed esorcizzando con il sorriso anche le cose più brutte. La satira non cerca solo il sorriso liberatore, ma penetra nei fatti, li analizza e commenta graficamente, come un articolo di giornale, usando la metafora grafica, il paradosso o la battuta umoristica. La satira è stata sempre temuta, perché tocca il cuore e la mente delle persone e con un’immagine può dire molte cose, spesso colpendo più di tante parole. Proprio per questo, oltre alla tragedia di Charlie Hebdo, in questi ultimi anni molti disegnatori satirici sono minacciati e condannati nei paesi autoritari, ma anche censurati in alcuni paesi democratici


  1. L'umorismo grafico, la caricatura, occupa il posto che merita nella stampa italiana?

Il Italia l’umorismo grafico e la satira hanno una grande tradizione nella cultura dei secoli passati, ma hanno avuto un posto di rilievo soprattutto sui giornali del ‘900. E’ sempre stato molto difficile, però, fare della satira una vera professione, al contrario di tanti Paesi. Io ho avuto la fortuna di essere uno dei pochissimi a poter vivere di satira, ma perché ero anche giornalista e grafico e, oltre ai giornali dove lavoravo, avevo molte altre collaborazioni, in tempi in cui ogni associazione aveva un giornale e il tuo lavoro veniva ricompensato con generosità. Ora c’è una crisi generale che spinge i giornali e gli editori a risparmiare proprio sulla satira, e soltanto pochi hanno uno spazio dedicato in modo dignitoso all’editorial cartoon o all’umorismo. Non vi sono più riviste satiriche e le poche apparse negli ultimi anni hanno avuto vita breve. L’unico successo di questi anni è la rivista online Buduàr (www.buduar.it) di cui sono caporedattore, ma che non avrebbe resistito tutto questo tempo (siamo al n.67 dal 2012), se fosse stata su carta. I costi sarebbero stati troppo alti, difficoltà di trovare pubblicità, distribuzione, ecc. Per fortuna molti autori hanno potuto esprimersi sul web, ma questo ha portato anche a un proliferare di umorismo di modesta qualità e un deprezzamento dell’attività di disegnatore nella visione degli editori. Nella stampa italiana si fanno lodi all’umorismo e alla satira, ma poi dalla maggior parte degli editori viene considerata una spesa inutile e forse anche un po’ scomoda.


  1. Dove pubblichi i tuoi disegni?

Dopo aver lavorato fisso in vari quotidiani e collaborato per anni con continuità con molti giornali, ora sono free lance (da quando sono andato in pensione da Repubblica come giornalista). Oltre a dedicarmi a Buduàr con disegni e articoli, in questo momento distribuisco i miei disegni su numerose testate all’estero, grazie a CartoonArts International (fino all’anno scorso in joint venture con The New York Times), GoComics e Cartoon Movement, quindi su giornali come il Courrier International, Confronti, NYTid, Le Monde, vari giornali di settore, ecc. Ma da sempre illustro anche libri per ragazzi e in questo momento sto lavorando soprattutto ad alcuni progetti, dopo avere illustrato dei libri e realizzato una app per iPad “Iron horse story”. Insomma, mi muovo su più fronti.


  1. L'epidemia di coronavirus finirà?

Probabilmente finirà, perché la scienza sta lavorando per trovare una soluzione come per altre malattie, ma non possiamo sapere quando. Non sia sa quasi nulla di questo virus, come si propaga l’infezione, le modalità, non c’è una cura precisa o un vaccino. In questo momento in Italia la situazione è migliorata, i provvedimenti presi finora hanno funzionato, ma il virus potrebbe riattaccare, forse mutato. In molti Paesi la situazione è molto grave, quindi non possiamo stare tranquilli e dobbiamo continuare a prestare molta attenzione, senza abbassare le difese.


È ormai noto che l'Unione Europea ha ignorato la richiesta di aiuto dell'Italia, prima dell'inizio dell'epidemia.

"Nessuno Stato membro ha risposto alla richiesta dell'Italia o alla richiesta di aiuto della Commissione", afferma Janez Lenarčič, commissario europeo per la gestione delle crisi. "Il che significava che non solo l'Italia non era preparata. Nessuno era preparato. La mancanza di risposta alla richiesta italiana non era tanto una mancanza di solidarietà quanto una mancanza di attrezzature".

  1. Cosa ne pensi di questa situazione?

L’Europa anche in questa situazione ha dimostrato che prevalgono sempre gli egoismi e gli interessi di parte. 

L’Italia non era preparata, come tutti gli altri Paesi europei, ma l’Italia ha capito subito la gravità della situazione, proprio perché colpita per prima dall’epidemia. Se tutti gli altri avessero guardato con maggiore attenzione e lungimiranza, senza sottovalutare, avremmo affrontato con più facilità l’emergenza. In realtà il problema è apparso subito grave non solo nel suo aspetto sanitario (con la diffusione in gran parte dell’Europa), ma anche in quello economico, dividendo l’Unione Europea tra Paesi che dovevano fare i conti con la pesante crisi causata dal Covid-19 e dal lockdown e Paesi che volevano soltanto tutelare la propria economia. 



Roma, 30/7/2020


Marco De Angelis - Cleaning

Marco De Angelis - Free journalism

Marco De Angelis - Free of thought

Marco De Angelis - Knitting



Marco De Angelis - Last Climate Change Summit

Marco De Angelis - Scissor on satire

Marco De Angelis - SOS from the sea

Marco De Angelis - The Carpet

Marco De Angelis - The Dragon






MARCO DE ANGELIS




Marco De Angelis, vignettista, illustratore, giornalista professionista e grafico è nato nel ’55 a Roma, dove vive e lavora. Ha pubblicato su La Repubblica, Il Popolo (giornali di cui è stato redattore), Il Messaggero, Il Mattino, Grazia, I Gialli Mondadori, Panorama, Help!, ComicArt, Comix, le riedizioni del Travaso e del Marc’Aurelio e altre testate per un totale di 200 giornali in Italia e all’estero, come The New York Times, Washington Post, Los Angeles Times, Chicago Tribune, Herald Tribune, Courrier International,  Le Monde, Nebelspalter, Eulenspiegel, Yez, Fenamizah, Fire, ecc. 

CartoonArts International e The New York Times Syndicate hanno distribuito le sue vignette in tutto il mondo. Pubblica anche su Cartoon Movement e GoComics e le sue opere appaiono su moltissimi altri siti web.

E’ uno dei fondatori e caporedattore del mensile umoristico online Buduàr.

è stato editor per l’Italia della rivista americana WittyWorld e fa parte di Cartooning for Peace. 

Ha illustrato molti libri per Giunti, De Agostini, La Scuola, San Paolo, Lapis, Salani, European Language Institute (pubblicando sulle sue 28 riviste distribuite in 35 Paesi).

Ha ricevuto circa 130 premi internazionali, tra cui la Palma d’Oro al Salone dell’Umorismo di Bordighera nel 1997 e il Primo premio a Istanbul nel 1987 e nel 2016, due volte Primo Premio Consiglio d’Europa, Primo premio a Teheran, Krusevac, Pistoia, Dolo, Belgrado, Sisak, Fano, Città di Castello, Pescara, Chieti 

e altri, è stato premiato anche a Tokyo, Skopje, Montreal, Ottawa, Amsterdam, Olen, Galati, Porto, ecc. Ha collaborato con RAI, Telemontecarlo, Coldiretti, Confartigianato, Cisl, Asstra, Gepi, Ministero dell’Interno, Università Bocconi, Comune di Genova e molte società e associazioni. E’ stato membro di numerose giurie e le sue opere sono esposte in vari musei in Italia e nel mondo.




Marco De Angelis

www.marcodeangelisart.com





venerdì 31 luglio 2020

Compie 100 anni Franca Valeri

Auguri per i primi 100 anni
© GIO / Mariagrazia Quaranta



Nasce a Milano Franca Norsa, in arte Franca Valeri, in omaggio al poeta francese Paul Valéry. Attrice, sceneggiatrice, autrice e regista, è negli anni Cinquanta, dai microfoni della radio, “la signorina snob”. Caustica osservatrice del mondo, regala al pubblico una variegata galleria di ritratti di donne contemporanee. Dalla Cesira, manicure milanese vagamente razzista e permalosa, condannata a perenni fallimenti sentimentali, alla Sora Cecioni, romana sempre al telefono con mammà.


TANTISSIMI AUGURI FRANCA! 💝💖💛💙



Non è bella ma...
Marianna Balducci


31/7/1920: di Franca Valeri ne nasce una ogni 99 anni.
Piero Tonin



Tanti auguri a Franca Valeri, pseudonimo di Franca Maria Norsa, attrice e sceneggiatrice italiana, di teatro e di cinema, nota per la sua lunga carriera di interprete caratterista in campo sia cinematografico sia teatrale. Grande appassionata di opera lirica, si è dedicata spesso alla regia operistica.
Oggi compie 100 anni, è nata a Milano il 31 luglio 1920.
Carrera Arcangelo


Auguri a Franca Valeri !
Pierpaolo Perazzolli


©Riccardo Mannelli





Franca Valeri: "Nel ricordo la mente si rigenera e ci dimostra che siamo vivi"
Attrice, sceneggiatrice e scrittrice, ha firmato anche la regia di alcune opere liriche: "La nostalgia è una sorella che a una vecchia cocciuta come me fa da badante. Adesso mi piace molto ricordare. Sto lavorando a un nuovo libro. Vorrei intitolarlo 'Il secolo della noia'. Ogni tanto mi chiedo se risorgeremo da tutto questo tedio. Non ho una risposta, ma ci sto seriamente pensando"

I gatti sono stati la sua vita. Come lo furono Vittorio Caprioli e Maurizio Rinaldi. Ma non sarebbe giusto tralasciare la cosa più importante che Franca Valeri ha avuto in sorte: il teatro. Potrà sembrarvi una frase enfatica. Ma cosa c'è di enfatico in un amore dichiarato con intelligenza e sommessa ironia? Riproposto ora in un piccolo libro per Einaudi - La stanza dei gatti - dove il teatro è rappresentato come un vecchio signore, magari un po' stanco ma al tempo stesso intramontabile. Guardo questa donna ormai fragile, percepisco la fatica che accompagna le parole e i pensieri lucidi strappati a una infermità che indossa con tranquillità; penso alle luci del palcoscenico che hanno illuminato la sua lunga vita. La piccola casa in cui vive è accogliente: i gatti sono nella loro stanza; il cane Aroldo - un nome, dice, di ascendenze verdiane - ronfa tranquillamente sul divano: " è un Cavalier King Charles, sa quei cani immancabili nei quadri di corte? Ne ho cinque, gli altri quattro a Trevignano in campagna, e poi ci sono cani di altre razze, li salvo e li accudisco. Fanno parte della mia vita che è stata lunga e, devo riconoscere, fortunata".

Quanto fortunata?
"Parecchio, sospetto. Lo sono stata per tutte quelle occasioni che si sono presentate senza che le determinassi. Poi, oltre alla fortuna, c'è il talento senza il quale in un mestiere come il mio non si va da nessuna parte".

Il talento ha una definizione?
" Possiamo sostituirlo con bravura, creatività, istinto e, nei casi più rari, genialità. Ma alla fine è una condizione inconoscibile. Come la grazia che si va a posare dove vuole".

E lei come ha scoperto di averlo?
"Non l'ho scoperto, nel senso che non è una condizione a parte o che si aggiunge alla psiche. Recitando avvertivo l'estrema naturalezza con cui la voce accompagnava il corpo e la gestualità di quest'ultimo. Sentire tutto questo equivale all'ascolto del suono delle campane la domenica mattina".

Come fosse un richiamo religioso?
"Più che religioso parlerei di sacro. Sono convinta che l'origine del teatro si collochi in quell'indefinibile momento. Senza sacralità non si capirebbero i riti che vestono il teatro e la crudeltà che lo segna. Non era Antonin Artaud che parlava di teatro della crudeltà?".

È a quello che si riferisce?
"Intendo crudeltà non come sadismo ma necessità: se sei posseduto da quel demone non puoi fare altro che sottometterti alla sua forza. Sono convinta che il teatro sia il modo più importante che sia stato offerto a chi crede di avere qualcosa da dire".

Più importante della letteratura?
"Altrettanto importante, ma certamente collocabile prima della letteratura".

Lei recita ancora?
"Non più. Sono caduta, qui in casa, il 21 ottobre dello scorso anno. Rottura di cinque costole e una riabilitazione lenta e parziale. Devo stare ferma. Non mi lamento. Se c'è una cosa che mi dà enormemente fastidio è il piagnisteo dei vecchi. Lasciamo le lacrime ai giovani. Loro hanno diritto di piangere con quello che gli sta capitando. Noi no".

Non trova che ci sia un eccesso di retorica sui giovani?
"Forse, ma dopotutto se non hanno un futuro, la domanda è: chi glielo ha rubato? Mi piacciono i giovani, mi circondo delle loro  attenzioni. Racconto loro cose che non sanno, che neppure immaginano siano mai esistite. Mi sento una specie di portabandiera del passato".

Com'era da giovane?
"Spiritosa. Ma lo ero anche da bambina. Già allora pensavo di voler recitare. Cioè, volevo rendere il mio pensiero qualcosa di esprimibile agli altri. Non ho mai avuto dubbi su questa vocazione. Ma è stato difficile darle una voce e un corpo".

Perché?
" Sono nata alla fine della Prima guerra mondiale. Esattamente nel 1920. Poi arrivò il fascismo che scambiò la vita delle persone per un teatro permanente e mediocre. Dovetti attendere il dopoguerra. E fu davvero un bel periodo: un'epoca certo dura ma felice".

I suoi come reagirono a quella voglia di fare teatro?
"Mio padre reagì male. Oltretutto, aggiunse con una certa ironia, non c'erano precedenti in famiglia. Gli feci notare che non era del tutto vero: una lontana cugina, Fanny Norsa, che era vissuta in Inghilterra, aveva calcato il palcoscenico come ballerina. La verità è che a mio padre sembrava impossibile che io avessi le qualità per recitare. Poi ebbe modo di ricredersi".

Quando?
"Una sera venne a teatro a sentirmi. Notò che la gente mi seguiva divertendosi e applaudendo. Il giorno dopo mi disse che aveva riposto molte ambizioni su di me e che dopo avermi visto attrice aveva avuto la certezza che non sarei fallita".

Cosa faceva suo padre?
"Era ingegnere, fu un importante dirigente della Breda. Allontanato dal posto di lavoro per ragioni razziali".

Foste perseguitati?
"Ce la siamo sempre cavata. Alcuni amici fidati aiutarono mio padre, mia madre, mio fratello e me a riparare in Svizzera. Anche in quell'occasione fui fortunata, mi venne risparmiato il dolore atroce delle tante famiglie ebree disperse, distrutte e annientate. Finita la guerra tornammo in Italia".

Cominciò allora la sua carriera?
"Avevo recitato, ma niente di impegnativo. Divenni amica di Vittorio Caprioli che aveva già maturato qualche esperienza teatrale. Era simpatico, brillante, fantasioso. Ci dicemmo che era venuto il momento di trovarci un lavoro e passammo in rassegna gli attori che avrebbero potuto aiutarci. La scelta cadde su Sergio Tofano".

Quello del "Signor Bonaventura"?
"Aveva creato una maschera che divenne popolarissima sul Corriere dei piccoli. Alla fine, dopo parecchi assalti, Vittorio lo convinse a fare compagnia con noi e uno dei primi spettacoli che allestimmo fu proprio Bonaventura. Ricordo che uno dei ruoli che interpretai fu il cane bassotto, il che vista la mia passione per gli animali mi sembrò gravido di conseguenze".

Con Caprioli vi sposaste.
"Il nostro matrimonio durò un po' meno di quindici anni e poi ci siamo separati, andando ciascuno per la propria strada. Lui con le sue storie io con le mie. Senza rancori né complicazioni. Anche perché trovai un nuovo compagno, Maurizio Rinaldi, un musicista che seppe appagare l'altra mia grande passione: l'opera".

Erano molto diversi?
"Direi di sì, ma erano uguali in fatto di tradimenti. Specialisti in adulterio".

Ne ha sofferto?
" Non più di tanto, la gelosia passava rapidamente e poi cosa vuole gli uomini sono dannatamente esibizionisti".

Non ritiene che Caprioli sia stato un grande attore ma sottovalutato?
"Più che sottovalutato incompreso. Aveva una istintiva profondità nell'interpretare certi personaggi, rara in quel mondo. Oltretutto è stato un bravissimo regista di cinema. Ci sono almeno tre suoi film che reputo bellissimi".

Mi viene in mente "Splendori e miserie di Madame Royale".
" Magnifico, una storia di travestitismo tra il grottesco e il dolente senza eguali. Con un Ugo Tognazzi insuperabile nella parte di Madame Royale. Dati i tempi non era semplice affrontare le problematiche di quel mondo".

Era la prima volta credo che in Italia si rappresentavano delle drag queen.
"Il film uscì nel 1970, oltre che regista Vittorio era anche uno degli interpreti di questa stravagante comunità omosessuale: si era dato il nome piuttosto pittoresco di " Bambola di Pechino". Ma il suo film, cult anche per i più giovani, è Parigi o cara dove io interpretavo il ruolo di una svagata prostituta sui cui tratti avrei ricamato il personaggio della Sora Cecioni".

La mitica Cecioni che esordiva al telefono con " Pronto mammà".
" Già, il personaggio fu ispirato da una mia donna di servizio, oggi guai se le chiami così, Renata. Una bella cinquantenne, vedova, prosperosa, con ossigenatura e permanente fatta in casa. Fu lei il mio modello. Ancora oggi la penso con affetto e gratitudine. Ma so che quel mondo non esiste più".

Come definirebbe la comicità?
"Certamente è un istinto. Poi c'è la gioia di divertire il pubblico con qualcosa di tuo. C'è gente che incontro o che mi scrive per ringraziarmi di quel poco o tanto che le ho donato".

Lei ha lavorato tantissimo con Alberto Sordi. Cosa conserva di quel rapporto?
" Se non ricordo male, credo di aver fatto sette film con lui. Mai uno screzio, una insofferenza, una caduta di stile. Certamente fu un comico di straordinario talento. L'ho amato molto meno quando si mise in testa di fare la regia dei propri film. Aveva un tale potere sul pubblico che tutto gli era permesso e perdonato. Ma ho lavorato anche con Totò: davvero unico. La sua comicità si fondeva con i tempi della tradizione del teatro napoletano. In privato era molto diverso, come afflitto da una seriosa malinconia. E poi c'è De Sica che per me è stato un idolo. Oltre che recitare sapeva far recitare e questo non è da tutti".

Ha lavorato anche con Eduardo De Filippo?
" Presi parte a Questi fantasmi, ma a me piaceva soprattutto Peppino ".

Ha mai capito perché litigarono?
" Rivalità, incomprensione, stanchezza. Chi lo sa. Il nostro è un mestiere che può molto innervosire. Comunque, senza togliere l'aura ai due fratelli, ritengo che la più straordinaria dei tre fosse Titina. E loro lo sapevano".

Le accade di rivedere i suoi vecchi film?
"Non ho molto piacere a rivederli. Poi, se qualcuno insiste, capita che torni sui luoghi del delitto e finisce che mi ci appassiono. Siamo deboli, umani e un po' vanitosi, no?".

Prima si accennava alla gelosia che è un tratto ricorrente tra coloro che recitano in teatro.
"Sono sempre stata immune da questo sentimento. Anzi, ho cercato spesso di voler bene e farmi voler bene. Noto, con soddisfazione, che invecchiando il mio giudizio conta per le altre, per quelle attrici che sono agli inizi o nel pieno della loro attività".

Si sente vecchia?
"Lo sono, è un fatto. Le leggi della natura comprendono la decadenza. Ma il punto è come frani. O, se vuole, come si protegge la propria dignità di donna e di artista".

In questo nuovo libro si definisce una "donna sola".
"Ho avuto una carriera quasi sempre solitaria, fatta più di monologhi che di incontri. Quanto al privato, la mia vita mi ha riservato il destino di essere lasciata sola. Soprattutto affettivamente. Quando perdi i genitori, gli uomini che hai amato, gli amici che non ci sono più, la solitudine diventa una condizione imprescindibile. Però non ho mai avuto la sensazione di essere abbandonata".

Vuole dire che non le pesa?
" So che esistono persone per le quali la solitudine è come una mazzata sulla fronte. Non fanno che lamentarsene. Io posso stare sola sia perché non ho perso il senso dell'amicizia, sia perché continuo a scrivere. Mi duole soltanto non poter più leggere".

C'è un libro che è stato fondamentale per la sua crescita?
"Ce ne sono diversi. Ma per forza di cose il libro della mia vita è stato la Recherche. Lo lessi tutto durante la guerra, diciamo nel mio esilio dorato in Svizzera. Mi entusiasmò, per la lingua francese che esprimeva e per quel senso straordinario che Marcel Proust attribuì al tempo del ricordo".

Cosa intende dire?
" Quella lettura tra le tante cose mi ha anche insegnato il valore del tempo. Mi ha educato a ricordare. Molte cose della nostra vita ci sfuggono e a volte le ritroviamo improvvisamente. Ma dobbiamo essere pronti a carpirle. Mi piace molto in questa fase della mia vita ricordare. A volte quando non prendo sonno, o mi sveglio improvvisamente, comincio delle lunghe "passeggiate" notturne".

È come liberare la propria mente.
"La mente si rigenera nel ricordo e ci dimostra che siamo ancora vivi".

Lo dice con una punta di nostalgia.
"È una sorella che a una vecchia cocciuta come me fa da badante. Però non bisogna cercare la pietà che è quasi sempre falsa o inutile ".

Accennava allo scrivere.
"Sto lavorando a un nuovo libro. Vorrei intitolarlo: Il secolo della noia ".

Quale secolo?
"Quello in cui siamo entrati. Aspettavamo il Duemila con la speranza che avremmo visto realizzate cose straordinarie. E tutto lo straordinario che c'è stato vomitato addosso è solo qualcosa di ripugnante. Ci resta questa noia. Noia per il progresso ostinato, per le banalità televisive, per le cattive notizie, per i ciarlatani della politica che hanno scambiato il Parlamento per un teatro, ma non sanno nulla del vero teatro. Ogni tanto mi chiedo: risorgeremo da tutto questo tedio? Non ho una risposta, ma ci sto seriamente pensando".


Il Diario della Signorina Snob
di Franca Valeri

giovedì 30 luglio 2020

Ritratto di Gianrico Tedeschi



GIANRICO TEDESCHI
DI RICCARDO MANNELLI

Gianrico Tedeschi, 100 anni di vita e di teatro, l'attore che li aveva compiuti  il 20 aprile scorso è stato un grande testimone del Novecento, da un palco all'altro,  e uno dei nostri grandi protagonisti in scena per oltre settant'anni. 
Ha iniziato a recitare in un campo di prigionia nazista poi ha avuto una carriera dedicata al teatro lavorando con Strehler, Ronconi, Visconti. È stato protagonista in tv di sceneggiati, varietà, compreso Carosello.
Ripropongo una vecchia intervista del 2013 dove ci racconta momenti significativi della sua vita e che conclude dicendo di avere un sogno : «Sì, un piccolo sogno. C' è un romanzo che mi ha divertito: Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, di uno scrittore svedese. Ecco, se avessi le forze ne farei una riduzione teatrale. Benaugurante, non trova?».
.... che direi si è avverato.



GIANRICO TEDESCHI
la faccia più beffarda del teatro italiano. Quando ti è di fronte sembra che rida. E quando ride davvero sospetti che ti prenda in giro.
 A 93 anni Gianrico Tedeschi dice che la sua giornata è tempestata di vuoti di memoria: «È come calpestare una gruviera mentre fai la gimkana tra i suoi buchi. Ogni tanto per distrazione ci finisci dentro. E non ti ricordi neppure come si chiamava tua madre. A proposito perché lei è qui? Scherzo, lo so, lo so. L' incontro con il vecchio leone, l' uomo dei mille palcoscenici, dei cofanetti di biscotti e delle minestre concentrate; il sopravvissuto alla crisi del teatro, del cinema, di Carosello».
 Ride, come un vecchio spensierato che non si prende sul serio e che ha lenito gli acciacchi con il farmaco dell' ironia. Di solito vive sul lago d' Orta, non lontano da Novara, con la moglie e attrice Marianella Laslzo, ma ci incontriamo nella casa di una delle due figlie a pochi chilometri da Roma: in un comprensorio simile all' Olgiata, però meno aggressivo e pretenzioso.
 «Nonostante i tempi, sono un vecchio abbastanza felice; glielo dico perché a volte ricordando il passato mi scappa qualche lacrima e non vorrei essere frainteso. Le mie figlie mi danno gioia. Una è sociologa, l' altra fa l' attrice. Non avrei voluto che Sveva intraprendesse la mia carriera. Ma è andata così. Bisogna seguire l' istinto o la ragione? Non l' ho mai capito fino in fondo».
 Perché non le piace che sua figlia faccia teatro?
 «Perché è dura. Perché se ti dedichi solo a questo mestiere oggi non ce la fai a vivere con serenità. Io ho faticato e mi sono divertito. Loro, intendo quelli che hanno iniziato solo ieri, che faranno?».
 Ogni generazione ha le sue tragedie. La sua quali ha vissuto?
 «Dovrei dirle la guerra. E credo sarei nel giusto. Ma poi mi chiedo non sono forse diventato quello che sono grazie anche a ciò che mi è accaduto in quegli anni terribili?». 
Quali anni? 
«Dal 1943 al ' 45. Prima di allora mi sembrava di stare in un altro mondo. Certo, non facile, indurito dalle difficoltà. Ma niente era davvero insormontabile. È solo quando le fauci del tempo si spalancano che la tua vita improvvisamente è messa a repentaglio». 
Dove più alto è il pericolo lì cresce anche la salvezza.
«Si fa presto a dire la salvezza, quando la vita è scossa, traumatizzata, messa in discussione. A me è andata bene e ringrazio il teatro, quella passione che mi è servita durante gli anni della prigionia trascorsi in vari campo di concentramento». 
Passione nata come?
«Eravamo bambini, io il più piccolo di tre fratelli, quando mio padre ci portava tutte le domeniche ad assistere a una rappresentazione. Nei primi anni fu una tortura. Mi annoiavo, volevo fuggire da quello spazio che mi sembrava opprimente e tornare ai miei giochi. Non c' era verso di scappare. Poi, verso i tredici anni, ho cominciato a capire e a lasciarmi andare a quelle recite. Mi incuriosivo ai gesti degli attori, alle voci. Una volta papà mi portò al dal Verme di Milano a vedere Ermete Zacconi. Recitava ne Gli spettri di Ibsen. Fu una cosa strana. Mi impressionò il verismo. Allora decisi che il teatro sarebbe entrato nella mia vita. Mio padre aveva involontariamente gettato il seme».
 Cosa faceva nella vita? 
 «Era commesso nel più grande negozio di colori di Milano. Venivano tanti artisti a servirsi. Si sentiva gratificato da quel mondo del quale era solo uno spettatore. Attento e disponibile. Diceva: pensa, cosa sarebbero i pittori senza di noi, senza un pubblico che li ammiri e li segua. Fu un uomo umile e operoso. E quando partii per la guerra, lui che era un antifascista convinto, mi disse: non devi niente a questo paese, comportati con onore, ma torna a casa».
 Dove la spedirono? 
«In Grecia, avevo il grado di sottotenente. Ci mandarono a combattere contro la resistenza greca. Restammo lì, nella parte Nord, dal 1941 al ' 43. Sembravamo tanti disperati, soprattutto quando apprendemmo della disfatta del fascismo, della fuga ignominiosa del Re. I tedeschi ci catturarono e ci spedirono in Germania. Fui destinato al Benjaminovo, un campo non lontano da Varsavia. E lì che ho cominciato a fare teatro». 
E i tedeschi glielo consentirono? 
«Non era un campo di sterminio, e per quanto fosse duro avevamo piccole possibilità di movimento. Agevolate dal fatto che i tedeschi volevano che aderissimo alla Repubblica di Salò. Cosa che ci guardammo bene dal fare. Tra i prigionieri c' erano Giovanni Guareschi, ricordo che ogni tanto faceva il giro delle baracche con la fisarmonica; Alessandro Natta, che sarebbe diventato segretario del Pci; Giuseppe Lazzati, futuro rettore della Cattolica e perfino quel meraviglioso caricaturista di Novello. Avevamo con noi dei libri. Li mettemmo tutti assieme creando una piccola biblioteca. Fu lì che pescai un paio di commedie di Pirandello: EnricoIV e Il piacere dell' onestà. Mi venne l' idea che potevamo allestire una recita nel campo. Imparammo le parti, ci procurammo perfino dei vestiti da donna e alla fine debuttammo davanti a tutti i prigionieri. Fu un successo incredibile. Decisi così che avrei fatto l' attore».
Come pensa sia stata la sua carriera? 
«Non ho mai avuto il piglio del mattatore. E per quanto mi sforzi nel cercarli, non vedo in me tracce di narcisismo né di istinti prevaricanti. Detesto la retorica sul grande attore. Le frasi ovvie: come desiderare di morire sul palcoscenico. Il teatro è vita, eros, artificio, ma soprattutto fatica e dedizione. Ho cercato, sempre, di essere all'altezza di queste convinzioni, poco scolastiche».
 Ha fatto l' Accademia? 
«Subito dopo la guerra, con Strehler e Grassi. Ma siccome a Milano non c' erano in quel momento sbocchi immediati, feci anche l' Accademia nazionale a Roma. Mi bocciarono. E dovetti ripresentarmi. Anni dopo Silvio D' Amico, che era il direttore, mi disse che quella bocciatura fu un errore di trascrizione di una segretaria. Non so se fosse vero. O se semplicemente voleva riparare un torto, o qualcosa che a me allora parve così». 
Cos' è fallire per un attore? 
«Per alcuni è una tragedia. Per me è un chiedersi dove hai sbagliato. Se il pubblico non ti segue o ti volta le spalle una ragione c' è. Quando insieme ad Anna Magnani facemmo Chi è di scena?, la gente, ancora abituata alla rivista, non capì. Una sera, prima dello spettacolo Anna si presentò sul palcoscenico e disse: "aho, gente mia, noi stamo a dà er mejo. Voi datece na mano: applaudite!". Era una donna carismatica, schietta. Pochi mesi dopo, se non ricordo male, prese anche l' Oscar per La rosa tatuata ». 
Il talento cos' è?
 «È un dono, se ce l' hai lo devi conservare. Il buon Dio non te lo dà una seconda volta. Chi ne aveva tantissimo e lo ha dissipato fu Walter Chiari. Ha buttato via tutto. Ma non ho mai incontrato un uomo più generoso di lui. Lavorammo insieme con Franca Valeri che era l' opposto di lui. Meticolosa, perfetta come la lancetta di un cronometro. Colta e sofisticata. Aveva innalzato il pettegolezzo all'arte dell' intrattenimento». 
A proposito di colto e sofisticato so che ha interpretato il ruolo che fu di Rex Harrison in My Fair Lady. 
«Era il 1964. Il regista, un americano mi pare, durante il provino disse: canti qualcosa. Cantai ' O sole mio. Rimase estasiato. Interpretai il ruolo di Higgins, il professore di fonetica. Fu un successo. A Milano, alla fine della prima, venne Ingrid Bergman a congratularsi in camerino. Ero emozionatissimo. In seguito seppi che dopo essersi lasciata con Rossellini si era sposata con il produttore del musical. A Roma fu la volta di Rex Harrison. Elegantissimo. Bello. Autorevole. Dopo lo spettacolo finimmo in una vecchia trattoria. Cantammo gran parte della sera e giuro che non ho mai sentito uno più stonato di lui». Un attore non è mai quello che sembra?
 «Un attore deve essere ciò che sembra. Soprattutto non deve avere pensieri». 
Cosa intende?
 «Quando chiesero a John Gilguld come avesse fatto ad essere così bravo nell' interpretare Re Lear, rispose che non ne era consapevole. Non era in grado di giudicare Shakespeare, compito che lasciava ai letterati. E che sul palcoscenico la sola cosa che lo guidava erano le emozioni. Un attore non può parlare seriamente di Shakespeare o di Moliére. Però può farli propri».
 Un attore non pensa? 
«In un certo senso è così.È la sola macchina che io conosca dotata di un cuore pulsante».
 Lei ha fatto anche molto cinema. 
«Più per denaro che per passione. Un solo film da protagonista e fu un fiasco clamoroso. Per il resto ruoli secondari, piccole parti. Come l' ultima, qualche mese fa, nel film di Roberto Andò: Viva la libertà, in cui interpreto un vecchio saggio della sinistra italiana. Credo che il riferimento fosse a Vittorio Foa». 
Come vede la politica?
 «Bisogna convenire sull' idea che è un bel rebus. Mi fa venire in mente il periodo in cui in televisione partecipavo alla trasmissione di Cochi e Renato Il poeta e il contadino. Erano i primi anni Settanta. Tenevo dei monologhi surreali tipo: "La maturità democratica delle foreste incide sui dischi volanti"; "Oggi è stata fondata una casa di riposo per uomini politici"; "Tutti i grandi cervelli hanno curato i loro fegati a Chianciano". Insensatezze di questo tipo. E ho l' impressione che frasi del genere oggi non stonerebbero nel linguaggio dei nostri politici. La politica è sempre più non sense. Preferisco, lo dico sottovoce, il mio rincoglionimento».
 Ha un' età scintillante.
 «Aver superato i novanta non mi autorizza a sparare sul mondo. Il vecchio irresponsabile che dice quello che gli passa per la testa non mi piace».
 Cosa rappresenta questa età? 
«Cose belle e malinconiche. Le prime sono gli amori avuti, gli affetti coltivati, le persone cui si è fatto del bene e quelle da cui ne hai ricevuto. E poi il teatro, per tutto quello che mi ha donato. Infine giunge la constatazione che tutto questo un bel giorno finisce e allora subentra la malinconia. Mi piacerebbe rinascere per poter fare meglio tutto quello che ho fatto. Capisco che è infantile. Ma, quando mi rinchiudo nel mio studio, è la sola cosa che mi torna costantemente alla mente. Un desiderio di perfezione».
 Nient' altro? 
«Sì, un piccolo sogno. C' è un romanzo che mi ha divertito: Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, di uno scrittore svedese. Ecco, se avessi le forze ne farei una riduzione teatrale. Benaugurante, non trova?».





Approposito di grandi attori, ieri 27 luglio ci ha lasciato Gianrico Tedeschi. 
Aveva 100 anni. Riposa in Pace...


Gianrico Tedeschi (Il poeta e il contadino - 1973)

domenica 26 luglio 2020

Quei 70.000 camici, indagato Attilio Fontana.



Il 16 aprile, nel pieno dell'emergenza Covid-19 in Lombardia, con le terapie intensive intasate e il personale sanitario senza dispositivi di protezione, la ditta del cognato e della moglie del presidente Attilio Fontana si è aggiudicata, senza passare una gara pubblica, una fornitura di camici da mezzo milione di euro. Lo ha scoperto l'inviato di Report Giorgio Mottola grazie al racconto esclusivo di un dipendente di Aria, la società pubblica per gli acquisti della Lombardia. Attraverso una procedura negoziata, la Dama spa, società che produce il noto marchio Paul&Shark, ha venduto alla regione oltre 70 mila camici. Ai microfoni di Report il cognato di Fontana ha dichiarato: "L'appalto ci è stato assegnato a mia insaputa. Non avremo un euro dalla Regione Lombardia".
 



Il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana indagato per "frode in pubbliche forniture".
La vendita di 75.000 camici effettuata dalla soc. Dama Spa (di proprietà del cognato di Fontana, Andrea Dini, e al 10 per cento della moglie dello stesso Fontana) è finita sotto l'occhio dalla Procura per le modalità di assegnazione diretta dell'appalto dopo il servizio della trasmissione Report che l'aveva resa pubblica.
E fin qui tutto "quasi" normale se non fosse per il tardivo e maldestro tentativo di trasformare uno sporco affare in una generosa donazione per la lotta al COVID19.
Gianfranco Uber



Camice monouso?
Franco Portinari



Alla Regione camici per mezzo milione dal cognato.
Indagato Governatore della Lombardia Attilio Fontana.
#attiliofontana #RegioneLombardia #camici #Aria #Lega
Durando


Una pandemia a misura d'uomo
Giannelli



ATTILIO FONTANA, UNA BELLA PERSONA

#Fontana #AttilioFontana #Bahamas #Svizzera #scudofiscale #RegioneLombardia #Lombardia #epidemia #sanità
#COVID #camici

www.vermidirouge.com



Fontana lombarda



Salvini difende Fontana
Fulvio Fontana



A sua insaputa
Fioretti


Giannelli torna alle sue vignette preferite, cioè quelle che giocano con il cognome dei politici.
La notizia dello scandalo dei camici la risolve quindi inventandosi una piazza del nord italia dove c’è il Governatore della Lombardia che, come il Dash, lava bianco che più bianco non si può. Alla Fontana, naturalmente, sotto a un monumento al guerriero di Legnano modificato apposta per il calembour. L'importante è togliere il NERO dai camici, e lasciarli asciugare all'ARIA (S.p.a.). Lo scudo del guerriero è fiscale e vale 5 milioni.
[Carosello]


IL DONATORE
Portos



Quanto buon umore



Ormai Fontana non può più aprire bocca.
Qualsiasi cosa provi a dire viene deriso con un sapido calembour o con una velenosa allusione. Paventa inchieste a orologeria, e prontamente la coppia giannelliana, che per una volta non assiste alla scena seguendo il TG1 ma osserva dalle retroguardie, lo sferza ricordandogli i soldi finiti oltreconfine.
E d'altra parte il presidente della Lombardia, con quel mocio Vileda in testa, è sempre meno credibile. La grisaglia si dirada, segno che l'ora delle dimissioni, per assecondare il gioco di parole del Maestro, è vicina?
Oppure il Nostro ci sta dicendo che alcuni orologi sono talmente rotti che non ci indovinano nemmeno una volta al giorno? [L'OraIllegale]



Camice d'autore
Mario Bochicchio

sabato 25 luglio 2020

Eritreo Cazzulati e l'arteriosclerosi di Enzo Lunari

Dalle pagine FB di Enzo Lunari


Arteriosclerosi
© Enzo Lunari

Vacanza al mare e il gatto
© Enzo Lunari


Tolleranza
© Enzo Lunari



U'M ZAZA U'M ZAZA 
© Enzo Lunari




LA VITA NON È SOGNO
© Enzo Lunari


Eritreo Cazzulati è il personaggio dei fumetti disegnato da Enzo Lunari per l’indimenticabile rivista Cuore.
Cazzulati  è un uomo d’altri tempi, in una realtà nemica fatta di bollette, code, prescrizioni del medico e adesivi per dentiere.  Il suo nome è la metafora dell’ anacronismo (chi ormai ricorda più la campagna d’Eritrea?) che Cazzulati rappresenta e della beffa che subisce quotidianamente ma contro cui osa ribellarsi. Eritreo Cazzulati, a modo suo, è un eroe dei nostri giorni!
Dal sito:
"Eppure a furia di sopravvivere hanno messo insieme una forza che è tutta riassunta nella loro parola d'ordine: "Resistere!". Resistere alla burocrazia, al carovita, al progresso tecnologico, al traffico, all'assistenza sanitaria. Resistere a tutto e contro tutti. Resistere non ostante gli acciacchi fisici e il cervello che magari un po' va e un po' viene. Eroi o rompiscatole si può discutere, una cosa è certa: le loro carcasse sono ben lungi dal sedimentare!"



© Enzo Lunari




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martedì 21 luglio 2020

11 anni di Fany-Blog


Auguri Fanyblog!!!
© GIO



11° compleanno del blog!
Grazie a tutti per seguirmi sempre così numerosi.
Grazie a chi vorrà contribuire alla festa.
Tutti i contributi verranno pubblicati sul blog.
11° birthday of the blog!
Thank you all for following me so many times.
Thanks to those who want to contribute to the party.
All contributions will be published on the blog.
11° cumpleaños del blog!
Gracias a todos por seguirme tantas veces.
Gracias a todos los que quieren contribuir a la fiesta.
Todas las contribuciones se publicarán en el blog.





© Toti Spi




Feliz once aniversario Fany Blog
Francisco Punal Suarez





Buon Compleanno Fany-Blog
Mario Airaghi
Grazie Fany
© Laura Neri