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giovedì 6 gennaio 2011

Il Brasile e Cesare Battisti

In un modo o in un altro, il caso Battisti è comunque a un passo dalla svolta chiave, quella che deciderà il futuro dell’ex militante Pac condannato in contumacia all’ergastolo in Italia per quattro omicidi alla fine degli anni ’70, dei quali si dichiara innocente.
Lula nega l'estradizione proprio l'ultimo giorno del suo mandato.
Si ricorre e per il momento almeno rimane in carcere ma...


PAESE CHE VAI ...
Può anche essere che la mancata estradizione di Battisti derivi da una scarsa fiducia nella giustizia italiana ma che dire del balletto che c'è stato tra i diversi poteri istituzionali brasiliani?

Pubblicato da uber
Etichette: giustizia, MAGISTRATURA




World Wild
La grana Battisti passa a Dilma

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Fare giustizia, anche se crolla il mondo

Di Ferdinando Camon (1 gennaio 201i)

Chiamiamo le cose col loro nome: il 2011 comincia con una umiliazione internazionale non del governo italiano, ma del popolo italiano. La nostra dignità, il nostro diritto alla giustizia, la nostra stessa vita vengono considerati poco, niente, da uno Stato come il Brasile, dopo essere stati considerati poco, niente, da uno Stato vicino e fraterno, come la Francia. Il pluriassassino italiano Cesare Battisti, che i nostri tribunali han condannato a due ergastoli per rapine e omicidi, vien prima ospitato dalla Francia, poi aiutato dalla polizia francese (testimonianza dello stesso Battisti) a fuggire in Brasile, da cui il presidente Lula, alla scadenza del suo mandato, tre giorni fa ha rifiutato di estradarlo. Il nostro presidente della repubblica definisce “incomprensibile” la decisione del collega brasiliano. Ma una comprensibilità ci deve pur essere. Cerchiamola.
Avrebbe il Brasile rifiutato di consegnare alla giustizia del suo paese un pluriassassino francese? inglese? tedesco? Penso proprio di no. Perché l’ha fatto con l’Italia? Perché siamo un paese senza forza internazionale, un paese che si autodisprezza e con ciò facilita il disprezzo degli stranieri. Nel braccio di ferro tra Roma e Brasilia non è mai stato chiaro se l’Italia “esigeva” la consegna di un assassino condannato definitivamente, o se la “trattava” tenendo conto che col Brasile, potenza economica in ascesa, sono in ballo rilevanti commesse per le nostre aziende. Non abbiamo un’ossatura come nazione, i nostri rapporti con l’estero, in campo economico politico giudiziario, son rimessi alla trattativa personale, alle intese sotterranee, un atteggiamento che permette ai nostri ministri di esercitare un machiavellico opportunismo quando son fuori, e sbandierare una mussoliniana retorica in patria. Il presidente brasiliano era in Italia poco tempo fa. Nessuna nostra autorità governativa gli ha dichiarato che la mancata consegna del nostro pluri-condannato sarebbe stata inaccettabile. Il capo del nostro governo s’è lasciato sfuggire che questo pluriomicida “è così schifoso che non sa se sia meglio che resti là dov’è”. Ma che significa? Qui si tratta di giustizia, e la giustizia è il primo dovere di uno Stato. Uno Stato senza giustizia non è uno Stato. E noi siamo uno Stato senza giustizia. Uno Stato dove la giustizia è troppo spesso rimessa in dubbio e smentita: abbiamo un’infinità di processi che non vengono celebrati, e altissime cariche che hanno un contenzioso con la magistratura. La famosa frase di un imperatore tedesco: “Si deve fare giustizia, anche se crolla il mondo”, e quella altrettanto famosa di Hegel: “Si deve fare giustizia, altrimenti il mondo muore”, hanno lo stesso significato: la giustizia vale più del mondo. Questo, nei confronti di un colpevole da ergastolo, non l’ha applicato ieri la Francia, non lo applica oggi il Brasile. Ma non lo applicano non per il reato da punire, ma per lo Stato che vuol punirlo. Non è Battisti che gl’interessa proteggere. È l’Italia che non gl’interessa favorire. Francia e Brasile fan capire di ritenere che la giustizia italiana sia la giustizia di uno Stato che fu fascista e non ha mai smesso di esserlo, ed è mafioso, e verso i nemici del potere esercita una persecuzione giudiziaria. Nessuno gli ha fatto capire che i più ferrei nemici dei nostri terroristi furono e restano i partiti dell’opposizione di sinistra, perché il terrorismo sabotava la vita politica e sindacale: era un nemico del popolo, prima che del governo. Esattamente come questi atti del governo francese e brasiliano: sabotando la giustizia, forniscono un sostegno al crimine. I terroristi ricercati e condannati che ieri confluivano a Parigi, domani potrebbero puntare sul Brasile. I governi che danneggiano la giustizia fuori casa, la danneggiano anche in casa.

(fercamon@alice.it)
mariobochicchio

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L'uomo giusto alla Farnesina - Giulio Laurenzi



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Brasil - giors e gugu STRISCE BAVOSE

Il caso Battisti 
Lele Corvi http://www.lelecorvi.com/

Dal forum di ÆNIGMATICA due interventi per capire meglio il perché della mancata estradizione:
Passata dalle prime pagine la notizia del rifiuto dell'estradizione di battisti da parte del brasile, alcuni giornali finalmente oltre che indignarsi spiegano anche il perchè di questa decisione.
D'altra parte non è un caso che Francia, Inghilterra, Spagna, Giappone e da ultimo il Brasile stesso  abbiano sempre negato l'estradizione sia di terroristi di destra che di sinistra.
Perche? Perchè negli anni settanta per combattere il cancro delle brigate rosse e dell'estremismo delle stragi è stata emanata una legislazione speciale in deroga agli articoli della nostra costituzione ( legge reale, utilizzo dei pentiti, carcere duro ect..).
Tutte queste misure vengono considerate da questi paesi come violazioni dei diritti umani ( giusto o sbagliato che sia ) anche perchè queste leggi terminata l'emergenza non sono mai state abrogate e in caso di terrorismo sono ancora in vigore.

La motivazione principale che il Brasile ha addotto come fatto derimente per negare l'estradizione è quella che Battisti è stato condannato sulla base di testimonianze di pentiti ( altri terroristi ) e non su prove oggettive portate in dibattimento.

Questo i nostri politici lo sanno benissimo ( anche quelli che sbraitano ) tanto è vero che nella visita in Italia di pochi mesi fa di Lula nessuno ha toccato questo argomento.
Per avere Battisti in carcere sarebbe bastato meno proclami e magari garantire al Brasile una nuova istruttoria (costava poco concederla ) poi avutolo sul suolo patrio come Macchiavelli insegna, si faceva come volevamo noi.
Molto più semplice gridare per tre giorni per poi dimenticarsene, intanto le vittime saranno abbandonate, come al solito, a se stesse. b

I familiari delle vittime di Battisti questo vogliono: giustizia e verità. La vendetta, invece, fa parte dei discorsi di tanti nostri rappresentanti che cavalcano le emozioni del momento per raccattare consensi. Vero è che, oggi, parlano dell’applicazione di una sentenza emessa da una Magistratura (che ieri era, e domani sarà, "il cancro della democrazia italiana", "al cui interno esiste un'associazione a delinquere a fini eversivi", mentre "i giudici sono antropologicamente dei pazzi”), ma è altrettanto vero che l’amore della Giustizia a giorni alterni diventa giustizialismo.

P.S.: non solo Battisti

PP.S.: ma Lula ha fatto bene o ha fatto male? Dal “suo” punto di vista (che è anche politico) potrebbe avere ragione (come l’aveva Sarkozy nel 2007, per Marina Petrella), dal “nostro”, anzi dal “mio”, si resta perplessi: forse la promessa di un nuovo processo (così come previsto dal Mandato di Cattura Europeo, nei casi di contumacia cfr. [3° "post"])  avrebbe salvato capra e cavoli. Sal

Riprendo dall'articolo di Camon per concludere:
"La giustizia è il primo dovere di uno Stato. Uno Stato senza giustizia non è uno Stato. E noi siamo uno Stato senza giustizia. Uno Stato dove la giustizia è troppo spesso rimessa in dubbio e smentita: abbiamo un’infinità di processi che non vengono celebrati, e altissime cariche che hanno un contenzioso con la magistratura. La famosa frase di un imperatore tedesco: “Si deve fare giustizia, anche se crolla il mondo”, e quella altrettanto famosa di Hegel: “Si deve fare giustizia, altrimenti il mondo muore”, hanno lo stesso significato: la giustizia vale più del mondo."
Basta legiferare ad personam e per il proprio portafoglio.

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Aggiornamento del 8 gennaio 2011

NAPOLITANO SU BATTISTI "NON CI SIAMO FATTI CAPIRE"
(AGI) - Ravenna, 8 gen. - Nella vicenda della mancata estradizione di Cesare Battisti "e' mancato qualcosa alla nostra cultura e alla nostra politica per trasmettere, e far capire davvero, il senso di cio' che accadde in quegli anni tormentosi del terrorismo". Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, parlando a Ravenna. QUI  


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Andrea Alla Foa INSERTO SATIRICO

lunedì 27 dicembre 2010

BEARZOT, una vera grande icona del calcio MONDIALE!

Il mio piccolo omaggio ad una vera grande icona del calcio MONDIALE!

Un uomo serio. Un uomo onesto. Un uomo leale. Uno che dava e chiedeva rispetto. Un uomo sincero. Un secondo padre (per Zoff, Conti, e anche per Rossi). Un uomo di frontiera.

Un uomo che credeva nell'amicizia e nel sacrificio. Un uomo di sport. Un maestro di vita. Un uomo colto. Un uomo chiuso a riccio(ma neanche tanto). Un uomo aperto (ma solo quando si fidava). Un uomo d'altri tempi, purtroppo sì, ma ancora capace di districarsi a fatica nei nostri. Un uomo in guerra contro la volgarità, il chiasso, il luccicante vuoto, le avvisaglie le aveva viste nella Milano da bere, e il resto sarebbe stato peggio.

Bearzot  di VADELFIO

Da ieri in Italia c'è un galantuomo di meno, Enzo Bearzot. E' morto il 21 dicembre, come un altro ct, Vittorio Pozzo, che di mondiali di calcio ne aveva vinti due. Il terzo, per quelli della mia generazione, resta il più bello. Si sapeva che il vecio stava male, prima costretto alle stampelle, poi alla carrozzina, poi al letto. Si era isolato, nel male. Sua moglie Luisa faceva filtrare solo i fedelissimi. Si era isolato già prima, da pensionato felice di godersi i tre nipotini (Rodolfo, Livia, Giulia). Milano era la sua città dal 1951, da quando aveva sposato Luisa, conosciuta sul tram numero 3. Non gli piaceva più, per quel progressivo incattivirsi, per la fretta, la maleducazione in generale e del tifo in particolare.
TOTO' CALI'
Qui gli saltava fuori un cruccio, quello di non aver fatto e detto di più contro il becerume crescente, lui che nel '90 era stato quasi male dalla rabbia, sentendo fischiare
l'inno dell'Argentina, lui che non sopportava la classica frase da tifoso: "La cosa più bella è vincere un derby su autogol al 92'". "No, la cosa più bella è vincere giocando bene e meritando di vincere". La prima casa era in via Washington 107, riconoscibile dalle scritte sul marciapiede in vernice bianca: "A morte Bearzot". Sarà stato un tifoso di Beccalossi o di Pruzzo, gli illustri non convocati, o uno dei tanti antipatizzanti che ogni notte minacciavano via telefono o citofono.

Bearzot continuava a cambiare numero di telefono, poi cambiò casa e andò in via Crivelli. Trovando la tranquillità giusto perché aveva vinto nell'82, ma quante ne aveva dovute sentire e leggere. Scimmione. Bastardo. Scimpanzé. Direttore di un lebbrosario (il ritiro degli azzurri). Vittima di un cortocircuito cerebrale. Raccomandato da Fulvio Bernardini (non era vero) preoccupato che ci fosse il pane per i suoi due figli (nemmeno questa era vera, i risparmi di un'onesta carriera di operaio specializzato a centrocampo, così si definiva lui, li avevi messi a frutto).

Ciao Vecio
Paride Puglia PUNCH
Una squadra da prendere a calci, aveva detto Matarrese, presidente di Lega. "Le due ultime partite prima dell'Argentina erano da spararsi. Ma io non potevo, doveva andare avanti". Molti, ricordando Bearzot, citano la sua capacità di parlare con l'uomo calciatore. Può averla assorbita da Rocco che del resto, da suo allenatore, lo spinse a fare lo stesso mestiere. Rocco aveva la commissione interna. Bearzot si fidava delle autocandidature. "Chi vuol marcare Zico?". "Io", disse Gentile alzando la mano. Ma di quella partita-capolavoro, la vera finale dell'82, la mossa fondamentale di Bearzot riguardò Serginho. In molti ci chiedevamo perché quella squadra tecnicamente fortissima tenesse come punto (e punta) di riferimento un lungagnone sgraziato come Serginho.
Bearzot si era dato la risposta: perché Serginho non andava mai in fuorigioco, dava profondità alla squadra e facilitava gli inserimenti di Socrates, Zico, Falcao, Junior. Ergo, anticipare Serginho e, riconquistato il pallone, via veloci. In anticipo giocarono benissimo prima Collovati, poi Bergomi. Ma io, come flash personale e pensando alle accuse di catenacciaro, ho un pezzetto della finale: doppio scambio nell'area tedesca tra Bergomi (dentro) e Scirea (fuori) prima dell'apertura che porta al gol Tardelli.

ciao vecio Bearzot
ottomax
L'avesse segnato un Cruijff, quel gol, tutti avremmo suonato i violini al calcio totale degli olandesi (che Bearzot ammirava). Fatto dagli azzurri, passava per una casualità. E ancora ricordo lo sterno rientrante di Pablito, che sembrava un riformato alla leva, le corse di Conti che sembrava un raccattapalle invecchiato, e il vice-Bettega, l'attaccante di sfondamento, era Altobelli, un mucchio d'ossa. Meno colloni, coscioni, mascelloni. Più importanti i tre gol di Rossi o una sola delle parate di Zoff, quella al 90' su incornata di Oscar? E' difficile dire, com'è difficile raccontare oggi cosa fosse quella squadra. Forse il paragone più azzeccato l'ha fatto lo stesso Bearzot, conversando col suo amico e biografo Gigi Garanzini ("Il romanzo del vecio", Baldini & Castoldi, 1997): "Se io ascolto I'm coming Virginia, il mio pezzo preferito di Bix Beiderbeck, mi vedo davanti agli occhi una straordinaria squadra di calcio. La batteria dà i tempi di fondo, un po' come il regista che detta le cadenze del gioco, il sax può essere il fantasista, il contrabbasso è il libero, capace di difendere ma anche di offendere, la tromba è il goleador. Tu che dirigi fai in maniera che i singoli interpreti si muovano entro il filo conduttore della musica e si adattino di volta in volta al pezzo da suonare, così come alla partita da giocare. Ma sempre in funzione dell'assolo del solista, perché è quello che ti mette i brividi ed è grazie a quello che si vincono le partite".


I vecchi amici - INSERTO SATIRICO

Ve lo immaginate un allenatore di oggi che parte dal jazz per spiegare il suo calcio? Io no. Ma anche Brera aveva usato gli endecasillabi leopardiani per raccontare il dribbling di Pelé. E di Brera, ma ancor più di Giovanni Arpino, Bearzot era amico. "Sopporto le critiche ma non le insinuazioni e le offese. E, pur essendo cattolico, non porgo l'altra guancia". Ultimamente preferiva parlare di politica più che di calcio. "Sono rimasto, al mio bar, l'unico antiberlusconiano". E allora ti rassegni? "Un corno, allora m'impegno di più". Con orgoglio e umiltà, aveva giocato 442 gare tra A e B. Aveva iniziato contro Silvio Piola e chiuso contro Sandro Mazzola. I suoi volevano farne un medico, o almeno un veterinario, o almeno un impiegato di banca. "Ma io avevo deciso di fare il calciatore il 19 giugno del '38 ascoltando il 4-2 del secondo mondiale nella piazza di Gradisca. Avevo capito che il calcio può dare tantissime gioie alla gente".
http://www.matrablog.it/vignette/Bearzot.gif
In ricordo di Enzo Bearzot (1927-2010)
Massimo Ciani - http://www.matrablog.it/

Può anche farla pensare, che non è una brutta cosa, oggi che per valore s'intende solo quello del cartellino. Tre anni fa l'ultima domanda di un'intervista a Bearzot nel giorno del suo compleanno era stata: "Come le piacerebbe essere ricordato, tra un po' d'anni?". Risposta: "Come una persona perbene". Così si concludeva il mio pezzo, ma adesso è diverso. Adesso che mi sento un po' più povero ma lucido, devo dirti, Enzo, che così sarai ricordato, perché non ci sono altre strade. E ti sia lieve la terra, vecio.
(22 dicembre 2010)
GIANNI MURA

Le bellissime parole dell'articolo di Gianni Mura per ricordare un grande uomo.

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Bearzot l'italiano di confine
Massimo Grammellini
Non è vero che italiani come Bearzot non ne nascono più. È vero invece che nascono quasi sempre negli stessi posti: vicino a un confine.

Là dove dell’italianità, evidentemente, arrivano solo gli effluvi e non le pestilenze. Italiani di confine erano i piemontesi Cavour e Gobetti, il trentino De Gasperi e - per rimanere nel paradiso ristretto dei commissari tecnici campioni del mondo - l’alpino torinese Vittorio Pozzo. Dell’italiano di confine, Enzo Bearzot da Aiello del Friuli aveva tutte le caratteristiche, a cominciare dal cattivo carattere che è tipico, diceva Montanelli, di chi un carattere ce l’ha.

Nella patria dei vittimisti che scaricano di continuo le proprie responsabilità, lui era uno che si assumeva spesso anche quelle degli altri. Proteggeva i suoi miliardari in mutande come un papà. Ma non come un papà moderno e cioè dando loro sempre ragione. Sapeva ascoltarli, sgridarli e poi aspettarli, per mesi o per anni come con Paolo Rossi, trasmettendo sicurezza a quei cuori fragili. Nella patria dei disfattisti seppe raccogliere i cocci di un ambiente distrutto dal calcio-scommesse e trasformare le polemiche con la stampa in benzina reattiva. Nella patria dei cinici impose una sua visione romantica del calcio, senza però mai dimenticarsi che il contropiede non è una parolaccia ma l’essenza di una nazione che, dal Piave al Bernabeu, in contropiede ha vinto tutte le battaglie reali o metaforiche della sua storia.

Nella patria dei raccomandati lui, ex capitano e tifoso del Toro, penalizzò in Nazionale le bandiere granata a beneficio delle maglie juventine che aveva combattuto all’ultimo sangue in tanti derby. Nella patria dei gerontocrati lanciò Rossi e Cabrini a vent’anni e Bergomi a diciotto nella finale Mundial. E, quel che più conta, nella patria degli opportunisti non trasse alcun vantaggio dall’impresa spagnola che fece di lui e della sua pipa l’icona di almeno due generazione di italiani. Finita l’avventura in azzurro non gironzolò per talk show, non firmò contratti pubblicitari o di consulenza, anche quando per molti club sarebbe stato un onore potersi fregiare della sua collaborazione. Semplicemente si mise da parte, con un senso impeccabile dell’uscita di scena, senza aggrapparsi alla coda filante della gloria perché non ne aveva la nostalgia né il rimpianto. Gli era più che sufficiente serbarne il ricordo.

lunedì 22 novembre 2010

“Vieni via con me”- 2a puntata– La ‘Ndrangheta al Nord

Questa sera andrà in onda la terza puntata di Vieni via con me con la partecipazione del ministro Maroni.
Maroni ha chiesto di poter replicare alle parole di denuncia di Roberto Saviano, intervenendo alla trasmissione  in difesa della lega, "il partito degli onesti", vestito da Sandokan (battutaccia).
Anche il Giornale ha iniziato la sua battaglia contro con raccolte di firme ( la macchina del fango).
Di seguito qualche vignetta


Giannelli http://www.corriere.it/ 
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nico pillinini
Andrea Alla Foa!!! Inserto Satirico

Infami e picciotti d'onore

Nella trasmissione "Vieni via con me" in cui lo scrittore Roberto Saviano spiegava le gerarchie della 'ndrangheta a un ceto punto parla dell'etichettatura dei nemici come "infami".

Stranamente il ministro Maroni indignandosi per alcune affermazioni sulla Lega che non ha mai ostacolato le infiltrazioni mafiose al nord (citando una dichiarazione dell'ideologo legaiolo Gianfranco Miglio) usa lo stesso aggettivo per lo scrittore campano: "infame", appunto!

Non è che a questo punto Maroni è un "picciotto d'onore"?

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Maroni / Sandokan - MAURO BIANI - http://maurobiani.splinder.com/



Maroni - MAURO BIANI - http://maurobiani.splinder.com/
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La tigre della Padania - PORTOS Comic strip

Maroni - Nicola Bucci "Bucnic"

Maroni vestito da Sandokan - VAURO Le vignette di Vauro
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nico pillinini

Saviano resta dove sei
Nadia Redoglia
Lo scrittore sostiene che le mafie fanno enormi affari al nord. Maroni afferma che la lega è ben radicata in quel territorio, chiamato affettuosamente padania. Il sillogismo è inevitabile. Se poi anche la DIA ci informa che la 'ndrangheta “lassù” influenza la vita politica, sociale ed economica, ci aspetteremmo un ministro allarmato e riflessivo. Pretende, invece, che “Vieni via con me” gli dia spazio per replicare alle “accuse infamanti di Saviano” (cit.). Ben prima di Gomorra, altri libri e servizi d’inchiesta hanno evidenziato che le mafie s'infiltrano da nord a sud negli ingranaggi istituzionali, nel motore delle economie nazionali, oltre che nelle attività già criminali all'origine, dunque redditizie senza l’intervento del potere diretto che, al più, volta la faccia dall’altra parte per non vedere. Questi “infami” dell’informazione, le mafie non se li filano perché (ahi)noi per primi non ce li filiamo. Ma se lo share supera il 30% le cose cambiano assai. Con i mafiosi siamo costretti, ministro leghista compreso, a prenderne atto e Saviano scortato lo dimostra. Che lo scrittore debba però anche “proteggersi” da Maroni, più allarmato dallo share che dalle mafie, non l’avevamo previsto. Articolo 21-Press a poco



Il Giornale: raccolta di firme contro Saviano -VAURO Le vignette di Vauro



Da vigliacchi raccogliere firme contro Saviano
venerdì, 19 novembre 2010
il Bastardo
Da vigliacchi raccogliere firme contro Saviano
La raccolta di firme contro Roberto Saviano strombazzata da “Il Giornale” non è solo vile, ma anche truffaldina. I lettori sono invitati a compilare un modulo con su scritto: “Io non sono mafioso”. Bella forza. E l’assunto della protesta è semplicemente falso, quando sostiene che Saviano “ha accusato il Nord di essere mafioso”. Un travisamento meschino del suo intervento televisivo. Resta solo il desiderio di colpire una voce scomoda perchè la sua esperienza di vita, il suo talento narrativo e la verità della sua denuncia penetrano trasversalmente l’opinione pubblica e mettono in discussione un potere compromesso a vari livelli con le organizzazioni criminali.
Gad Lerner

L'elenco delle stragi impunite - VAURO Le vignette di Vauro
MAURO BIANI - http://maurobiani.splinder.com/


Dopo 14 anni Saviano fa arrestare Iovine
Visto e detto ciò, mi interessa anche segnalare  gli interventi (a) e (b) di Giulio Cavalli. In effetti l'altra sera mentre seguivo Saviano, mi aspettavo che sortisse anche Cavali perchè 1. è tra le persone della società civile che conosce (e divulga) meglio la storia della mafia al nord 2. è del nord. Mi sarebbe persino sembrata una cosa intelligente: uno del sud, uno del nord e lo stesso messaggio, magari raccontato meglio. Sarà per la prossima volta?
MAURO BIANI - http://maurobiani.splinder.com/ ________________________________________________________

http://www.robertosaviano.it/rassegna/le-mani-sul-federalismo/

domenica 10 ottobre 2010

Il cordoglio

Cordoglio per i 4 alpini caduti nella missione di pace in Afghanistan...
... ma non solo per loro ... ma anche per tutti quelli caduti precedentemente... 
...fa più notizia quando il numero dei caduti è alto ma anche una vita  sola è troppo importante per essere persa... 34 sono i militari caduti dal 2004 in Afghanistan...
Un pensiero a tutti i familiari.

Giannelli http://www.corriere.it/ 


totocalì Inserto Satirico
TOTO' CALI' http://totocali.blogspot.com/


C'è posta per te!
Matteo Bertelli


Un mondo di animali
Andrea Alla Foa!!! Inserto Satirico


Missione di pace!
Umberto Romaniello



La tragedia afghana mi ha fatto inevitabilmente pensare al programma scolastico "Allenati per la vita" il programma scolastico sottoscritto da Gelmini e La Russa
EbEr- EbEr Album



Penne più nere
Mario Bochicchio

Bang!
 GAVA http://gavavenezia.blogspot.com/

IL CORDOGLIO

Unanime il cordoglio per le quatto vittime italiane della guerra in Afganistan.
Anche il generale Petreus ha espresso il suo dolore e il suo ringraziamento per lo sforzo militare italiano.
Il progressivo sganciamento degli USA da questa avventura, che ormai viene definita comunemente "un nuovo Vietnam", è destinato ad incidere pesantemente sull'impegno italiano che sarebbe auspicabile venisse immediatamente rivalutato.Uber Humour

giovedì 23 settembre 2010

Pettegolezzi: le ultime da sinistra

Un premier gay? Già stato, niente di nuovo sotto il sole.
Ai microfoni delle Iene il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e probabilissimo leader della coalizione di centro-sinistra appare certo, anzi certissimo.
"L'Italia ha già avuto un primo ministro gay, anzi un primo ministro democristiano gay" risponde all'inviato che, retorico, gli chiede se un gay possa o meno diventare Premier.
Poi infierisce: " il nome non lo faccio nemmeno sotto tortura".

CHI HA ORECCHIE PER INTENDERE
Vendola reclama primarie subito e si candida ufficialmente come sfidante del Cavaliere.
 "Saprò parlare anche ai cattolici" dice. L'orecchino? Non è un problema.
Uber Humour




PORTOS Comic strip

PORTOS Comic strip
Etichette: DC, gay, Vendola

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Che "Cosa" sei, che "Cosa" sei, che "Cosa" sei?
Andrea AllaFoa INSERTO SATIRICO
Ultime da sinistra
In casa PD oggi si prova a ristabilire la concordia.
Uber Humour


 
Franceschini lo stratega
Fricca
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MAURO BIANI - http://maurobiani.splinder.com/

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